Le acque ferme, spesso rappresentate nella poesia simbolista dalla palude e, più raramente, dallo stagno, simboleggiano una situazione esistenziale statica, di totale immobilità. Questa situazione di stasi è in genere portatrice di sventura che si materializza soprattutto in grave malattia (esistevano ancora, un centinaio di anni fa, in alcune zone palustri della penisola, molti casi di malaria), la quale, conseguentemente, è causa di morte. Non trascurabile è anche il riferimento ad una regressione individuale. Da ricordare infine che l'acqua ferma può riflettere il volto di chi si sporge verso di essa, ecco perciò spiegati alcuni rimandi allo specchio e quindi al proprio inconscio.
Poesie sull'argomento
Alfredo Baccelli: "Palude romana" in "Poesie" (1929).
Giovanni Camerana: "Maremma" in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli: "Il pozzo" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Francesco Cazzamini Mussi: "Lo stagno" in "I Canti dell'adolescenza (1904-1907)" (1908).
Gabriele D'Annunzio: "Nella belletta" in "Alcyone" (1904).
Cosimo Giorgieri Contri: "Argine del Brenta" in "Mirti in ombra" (1913).
Alessandro Giribaldi: "Giglio Solitario" in "Il 1° libro dei trittici" (1897).
Guido Gozzano: "Domani" in "Il Piemonte", dicembre 1904.
Arturo Graf: "All'acqua morta" in "Le Rime della Selva" (1906).
Marco Lessona: "Stagno" in "Versi liberi" (1920).
Giuseppe Lipparini: "Al pozzo" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).
Mario Malfettani: "Lo Stagno" in "Il 1° libro dei trittici" (1897).
Remo Mannoni: "La palude" in «Marforio», luglio 1903.
Marino Marin: "I riflessi de l'acqua" in "Il Marzocco", luglio 1897.
Marino Marin: "Le acque rettili" in «Nuova Antologia», luglio 1903
Pietro Mastri: "L'acqua e la stella" in "L'arcobaleno" (1900).
Nino Oxilia: "Col tremolante ventre al sole..." in "Canti brevi" (1909).
Salvatore Quasimodo: "Acquamorta" in "Notturni del re silenzioso" (1989).
Antonio Rubino: "Accidia palustre" in "Versi e disegni" (1911).
Giovanni Tecchio: "Palude" in "Canti" (1931).
Testi
PALUDE ROMANA
Su la deserta vetustà degli archi
in rosso foco il vespero s'indugia:
nel piano brullo, interminato, stagna
plumbea palude.
Di fra le canne fischia 'l piviere:
gracchia la rana da le verdi muffe:
di malta e strame, povere capanne
sorgono a ripa.
Lividi aspetti, misere parvenze:
lungi, la mandra di lunate corna
il cavalcante bùttero compone,
pungendo a tergo.
Ultimo un colpo dalla caccia s'ode,
mentre la notte desolata cala.
Batte la Febbre a l'umide capanne:
la Morte passa.
(Da "Poesie" di Alfredo Baccelli)
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