domenica 5 febbraio 2012

Le acque ferme nella poesia decadente e simbolista italiana

Le acque ferme, spesso rappresentate nella poesia simbolista dalla palude e, più raramente, dallo stagno, simboleggiano una situazione esistenziale statica, di totale immobilità. Questa situazione di stasi è in genere portatrice di sventura che si materializza soprattutto in malattia (e esistevano ancora, un centinaio di anni fa, in alcune zone palustri della penisola, molti casi di febbre e di malaria), la quale, conseguentemente, è causa di morte. Non trascurabile è anche il riferimento ad una regressione individuale; c'è infine da tener presente anche un altro aspetto: l'acqua ferma può far da specchio a chi si sporge verso di essa, ecco perciò spiegati alcuni rimandi allo specchio e quindi al proprio inconscio.
 
 
Poesie sull'argomento
Alfredo Baccelli: "Palude romana" in "Poesie" (1929).
Giovanni Camerana: "Maremma" in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli: "Il pozzo" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Francesco Cazzamini Mussi: "Lo stagno" in "I Canti dell'adolescenza (1904-1907)" (1908).
Gabriele D'Annunzio: "Nella belletta" in "Alcyone" (1904).
Cosimo Giorgieri Contri: "Argine del Brenta" in "Mirti in ombra" (1913).
Alessandro Giribaldi: "Giglio Solitario" in "Il 1° libro dei trittici" (1897).
Guido Gozzano: "Domani" in "Il Piemonte", dicembre 1904.
Arturo Graf: "All'acqua morta" in "Le Rime della Selva" (1906).
Marco Lessona: "Stagno" in "Versi liberi" (1920).
Giuseppe Lipparini: "Al pozzo" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).
Mario Malfettani: "Lo Stagno" in "Il 1° libro dei trittici" (1897).
Remo Mannoni: "La palude" in «Marforio», luglio 1903.
Marino Marin: "I riflessi de l'acqua" in "Il Marzocco", luglio 1897.
Marino Marin: "Le acque rettili" in «Nuova Antologia», luglio 1903
Pietro Mastri: "L'acqua e la stella" in "L'arcobaleno" (1900).
Nino Oxilia: "Col tremolante ventre al sole..." in "Canti brevi" (1909).
Salvatore Quasimodo: "Acquamorta" in "Notturni del re silenzioso" (1989).
Antonio Rubino: "Accidia palustre" in "Versi e disegni" (1911).
Giovanni Tecchio: "Palude" in "Canti" (1931).
 
 
Testi
PALUDE ROMANA

Su la deserta vetustà degli archi
in rosso foco il vespero s'indugia:
nel piano brullo, interminato, stagna
plumbea palude.

Di fra le canne fischia 'l piviere:
gracchia la rana da le verdi muffe:
di malta e strame, povere capanne
sorgono a ripa.

Lividi aspetti, misere parvenze:
lungi, la mandra di lunate corna
il cavalcante bùttero compone,
pungendo a tergo.

Ultimo un colpo dalla caccia s'ode,
mentre la notte desolata cala.
Batte la Febbre a l'umide capanne:
la Morte passa.

(Da "Poesie" di Alfredo Baccelli)

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