venerdì 22 marzo 2013

Antologie: "Poeti minori dell'Ottocento" a cura di Luigi Baldacci


"Poeti minori dell'Ottocento" è il titolo di un'antologia poetica curata da Luigi Baldacci e pubblicata dall'editore Ricciardi nel 1958. In realtà, quanto detto è valido solo per il primo tomo di quest'opera che comprende anche un secondo tomo, pubblicato cinque anni dopo e curato dallo stesso Baldacci e da Giuliano Innamorati.
Si tratta di un'antologia molto importante, curata ottimamente in ogni minimo dettaglio, e dedicata a quei poeti minori dell'Ottocento che furono al centro dell'attenzione di molti critici illustri in un periodo di anni che potremmo comprendere tra il 1947 ed il 1968. La selezione effettuata da Baldacci è piuttosto severa, perché, come spiegato da lui stesso alla fine dell'Introduzione: «Abbiamo chiara coscienza di certe omissioni, lamentabili forse in sé e tuttavia imposte dall'economia del nostro lavoro. Ma il criterio nostro è stato quello di ritrarre adeguatamente ciascuno dei poeti qui accolti, anziché abbondare nelle presenze e dover poi costringere ogni poeta entro termini troppo angusti o, comunque, insufficenti a darne la genuina fisionomia». Baldacci parla al plurale perché intende includere, nel suo discorso, l'opera intera; ciò è chiarito subito dopo quando afferma: «Il secondo tomo sarà dedicato alla produzione poetica dell'Ottocento che si discosta dalla linea tradizionale della "lirica" [...]». Parlando del primo tomo, che in sostanza raggruppa il meglio della poesia ottocentesca italiana cosiddetta "minore", mi pare interessante riportare cosa ha scritto Baldacci in un'altra sua interessante antologia: Secondo Ottocento, Zanichelli, Bologna 1969: «Ogni secolo si concede dei lussi, degli sperperi poetici, che rappresentano più il costume che le strutture portanti della storia, e della storia delle forme. Un certo impianto antologico impone di registrare anche quei lussi, un altro di delineare solo le strutture. [...] Negli ultimi anni lo studio di questo settore importante ha segnato notevoli progressi. Ciò non toglie che certe abitudini storiografiche, certi luoghi comuni abbiano ancora molta forza di suggestione. Così, a volte, si dà conto dei lussi e si tace sui fatti veri della poesia». E infine così conclude: «I poeti minori dell'Ottocento sono, insomma, assai maggiori di quanto si creda». Come non essere d'accordo su quest'ultima affermazione, pensando a poeti come Poerio, Aleardi, Prati, Zanella, Guerrini, Praga, Tarchetti, Camerana, Graf, Gnoli e tanti altri ancora. Due parole infine sull'ordinamento dei poeti presenti nell'antologia, che si basa fondamentalmente sulle tendenze poetiche susseguitesi negli anni; per tal motivo Domenico Gnoli, nato molto prima rispetto a parecchi poeti presenti, ma rivelatosi con un'opera fortemente innovativa agli albori del XX secolo, è quasi in fondo al libro.




POETI MINORI DELL'OTTOCENTO
TOMO I

I
Gabriele Rossetti, Giovita Scalvini, Giovanni Berchet.

II
Bartolomeo Sestini, Luigi Carrer, Pietro Paolo Parzanese, Francesco Dall'Ongaro, Vincenzo Padula.

III
Alessandro Poerio, Agostino Cagnoli, Goffredo Mameli, Giambattista Maccari, Giuseppe Maccari, Giulio Carcano, Cesare Betteloni, Andrea Maffei, Giuseppe Revere.

IV
Aleardo Aleardi, Giovanni Prati.

V
Giacomo Zanella, Costantino Nigra, Felice Cavallotti, Mario Rapisardi, Olindo Guerrini, Giuseppe Aurelio Costanzo.

VI
Emilio Praga, Iginio Ugo Tarchetti, Arrigo Boito, Giovanni Camerana.

VII
Vincenzo Riccardi di Lantosca, Vittorio Betteloni, Edmondo De Amicis, Pompeo Bettini.

VIII
Enrico Nencioni, Enrico Panzacchi, Giovanni Marradi, Severino Ferrari.

IX
Remigio Zena, Contessa Lara, Arturo Graf, Vittoria Aganoor Pompilj, Giulio Salvadori, Domenico Gnoli, Adolfo De Bosis.

lunedì 18 marzo 2013

La siesta del micio

È sereno. Ogni cosa
sembra velata di fatica.
Il pomeriggio è in panna su l'antica
Certosa.

Nel marciapiede suonano i miei passi.
Si pensa quasi che l'azzurro crepiti.
Dei pugnali di sole tiepidi
feriscono il cuore dei tassi.

Sopra in tetto s'illuminan dei coppi.
De le finestre sono infiorate.
Il vento pettina le sue chiome arruffate
nei lunghi pettini dei pioppi.

De le campane d'un convento vicino
spennellan l'aria di una loro festa.
Sul davanzale un bianco micio fa la siesta
gambe a l'aria come un maialino.






Questa poesia di Corrado Govoni (1884-1965) fa parte della raccolta Armonia in grigio et in silenzio (1903), precisamente è la XX dell'ultima sezione intitolata La Certosa che in questo caso ha il significato di cimitero; infatti tale sezione comprende una serie di poesie "cimiteriali" dai titoli eloquenti (Riflessione sopra un avello, Corone funebri, "Lapide anonima" ecc.). La poesia sopra riportata descrive un momento incantato, di estrema calma all'interno del camposanto; il pomeriggio viene definito come "in panna", che nel linguaggio marinaresco sta a significare una manovra particolare con la quale il veliero si arresta e si può anche rimettere in moto facilmente. Singolare è anche il pensiero del poeta secondo il quale l'azzurro del cielo stia crepitando, così come fa il fuoco della legna che scoppietta nel camino. I raggi del sole sono paragonati a pugnali che colpiscono al cuore gli alberi che circondano quel luogo: i tassi. I "coppi" che s'illuminano sui tetti sono delle tegole che hanno forma di mezzo tronco di cono. Dopo i tassi pugnalati dal sole, Govoni fantasiosamente immagina che il vento pettini le chiome dei pioppi. L'ultima quartina è quella che esprime nello stesso tempo una sensazione di gioia e di tenerezza: il suono delle campane di un vicino convento immette nell'aria una festosa atmosfera, mentre sul davanzale di una finestra è possibile osservare un gatto bianco che in una posizione bizzarra (gambe a l'aria) sta facendo il suo sonnellino pomeridiano.




Corrado Govoni, "La siesta del micio"
(da "I poeti crepuscolari", a cura di Giorgio De Rienzo, Mondadori, Milano 1999)

sabato 16 marzo 2013

Poeti dimenticati: Francesco ed Emilio Scaglione


Francesco ed Emilio Scaglione furono due fratelli che si dedicarono in gioventù alla scrittura di versi, attratti particolarmente dalle nuove tendenze poetiche sviluppatesi in Italia e in Europa  tra l'Ottocento ed il Novecento. Pubblicarono un primo volume nel 1910, la cui particolarità consiste nel fatto che le poesie ivi presenti risultano firmate da entrambi. Francesco poi fece uscire una ulteriore opera poetica circa un anno dopo; lì finì la stagione artistica dei fratelli Scaglione, che per un periodo furono ricordati come rappresentanti di quel cenacolo di poeti siciliani nato agli albori del XX secolo, avente come punto di riferimento la misteriosa e stravagante figura di Agostino John Sinadinò; insieme a loro fecero parte di questo gruppo anche Tito Marrone, Federico De Maria, Angelo Toscano, Umberto Saffiotti e Gesualdo Manzella Frontini. Furono, insieme a pochi altri, i primi poeti che portarono in Italia le suggestioni e le atmosfere della poetica simbolista, e per tal motivo non andrebbero dimenticati.



Opere poetiche

"Limen" (Francesco e Emilio Scaglione), Giannotta, Catania 1910.
"Litanie" (Francesco Scaglione), Bideri, Napoli 1911.



Presenze in antologie

"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 1, pp. 169-177; vol. 2, pp. 214-230; vol. 3, pp. 237-241).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 497-508).



Testi

Un giorno che peccai
mi dissero che mai
pietà ritroverei.
Ero così bambino
allora, e non credei
che potesse il destino
già cogliermi fra' rei
ne l'eterno cammino.
Un giorno che peccai
mi dissero che mai
pietà ritroverei.

Ed il mondo ho girato,
molti sogni ho spezzato,
molte lacrime ho pianto.
Poi, talvolta, un sorriso,
fra un anelito e un canto,
m'ha scherzato pe 'l viso.
Poi quel pianto ho rimpianto,
poi quel riso ho deriso.
Così il mondo ho girato,
molti sogni ho spezzato,
molte lagrime ho pianto.

Ma quel peccato sento
che di dissolvimento
m'inebria e m'avvelena.
Ogni giorno più forte
del mio essere in pena
dissuggella le porte:
ho già colma ogni vena
del suo soffio di morte.
Tale il peccato io sento
che di dissolvimento
m'inebria e m'avvelena.

(Da "Limen")

martedì 12 marzo 2013

Similitudine


In mezzo all'erbe sfolte
agonizzano al sole
tutte quelle viole
che non furono colte.

Ed hanno la tristezza
di giorni non vissuti,
di baci non goduti,
di non dette parole
d'amor - quelle viole
che non furono colte
e che, prive di brezza,
morran tra l'erbe sfolte.



Questa poesia di Mario Venditti (1889-1964) fa parte della raccolta Il terzetto (Parrella, Napoli 1911), seconda opera in versi del poeta napoletano che in verità non ebbe molti estimatori e che oggi è assolutamente sconosciuto. Eppure la lirica sopra riportata, come altre dello stesso volume, non sono affatto da buttare. In Similitudine è piuttosto evidente l'associazione dei fiori con gli esseri umani: le viole "non colte", che rimangono a morire lentamente sotto il sole, rappresentano quelle persone che nella loro vita non hanno vissuto a pieno la loro esistenza per scelta personale, per paura o per chissà quale altro motivo; queste, come i fiori, continueranno ad esistere passivamente, per poi morire senza aver dato un vero significato al loro passaggio sulla Terra.

lunedì 11 marzo 2013

Ohimè che cosa è accaduto

Ohimè che cosa è accaduto?
Il mandorlo è fiorito,
Ed io nulla ho sentito
Nulla ho veduto!

S'è guernito e coronato
D'un diadema di stelle d'argento,
Tutta notte ha lavorato
E sull'alba splendeva contento:

Ed ora le sue stelle le dà al vento:
La ghirlandetta fragile e superba
La sparpaglia su l'erba
Del fresco prato!

Il miracolo è compiuto,
Ma io nulla ho veduto
Nulla ho sentito!
Che cosa dunque è accaduto?

Dov'era questo povero cuore assorto,
Dov'era questo povero cuore muto
Se il mandorlo è fiorito
Ed esso di nulla s'è accorto?
 



È questa, l'ottava poesia del volume poetico di Angiolo Silvio Novaro Il piccolo Orfeo, Fratelli Treves Editori, Milano 1929. Come si può notare, trattasi di un testo molto semplice, tutto concentrato sullo stupore del poeta nel vedere, in un mattino di fine inverno, che l'albero del mandorlo è fiorito improvvisamente. Per tal motivo, ovvero per aver perduto l'occasione di osservare da vicino l'incredibile spettacolo della rinascita primaverile dei fiori e, simbolicamente, della vita, è fortemente rammaricato. Novaro fu poeta classicista e, come dissero molti illustri critici, "pascoliano"; scrisse molti versi per il pubblico infantile che intere generazioni impararono a memoria sui banchi di scuola. Rimase coerente con la sua poetica iniziale fino all'ultima opera che pubblicò; lo si capisce anche da questa poesia, che uscì qualche anno prima rispetto ai primi libri di Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli e Mario Luzi: i massimi esponenti del cosiddetto "ermetismo". Novaro non cercò mai di imitare le ultime avanguardie poetiche, continuando a scrivere liriche che riflettono la sua puerile semplicità, la sua meraviglia di fronte agli spettacoli della natura e i suoi profondi sentimenti per la famiglia e l'umanità intera. Grande esempio di coerenza e di grazia che difficilmente si ritrova nei tempi odierni.

domenica 10 marzo 2013

Genio e sperimentalismo nella poesia di Paolo Buzzi

Si può ben dire che, parlando di futurismo e in particolare di poesia futurista, dopo il fondatore del movimento artistico, ovvero Filippo Tommaso Marinetti, il poeta più importante sia stato Paolo Buzzi; presente in maniera non marginale nella prima antologia poetica: I poeti futuristi (1912), è anche autore del primo volume di versi, cronologicamente parlando, propriamente futurista: Aeroplani, uscito per le edizioni di "Poesia" (rivista letteraria creata da Marinetti) nel 1909, stesso anno di pubblicazione del famoso Manifesto marinettiano nel quale si proclamavano i punti principali alla base dell'innovativo movimento nato in Italia e divenuto famoso anche all'estero; una ristampa di questa opera che definirei basilare del poeta milanese è stata pubblicata in edizione anastatica qualche anno fa da Lampi di stampa (vedi foto in alto a dstra). È indiscutibile, secondo me, il talento poetico di Buzzi, certamente il migliore rappresentante, comprendendo anche Marinetti, della poesia futurista; la medesima cosa deve aver pensato anche l'insigne critico Pier Vincenzo Mengaldo che ha inserito Buzzi nella sua severa selezione dell'antologia Poeti italiani del Novecento, Mondadori, Milano 1978, dove, nel profilo critico che precede la scelta dei testi dice:
«Fra i poeti della prima ondata futurista Buzzi, che certo è particolarmente fornito di doti, rappresenta la posizione insieme più letteraria e più eclettica, per cui fin dall'inizio il suo futurismo è, nella prassi, privo di oltranza e contaminatorio».
Quindi Buzzi espresse in poesia il miglior futurismo, quello più letterario, ma non solo, come afferma lo stesso Mengaldo, il poeta di "Aeroplani" prosegue in modo egregio la migliore tradizione letteraria lombarda, essendo in parte legato al movimento della scapigliatura.
Un altro critico importante, Luciano De Maria, parlando di Buzzi nel suo libro Marinetti e i futuristi (Garzanti, Milano 1994), dice:
«Poeta culto, solidamente formatosi sulla tradizione greco-latina e italiana, sui grandi contemporanei Carducci, Pascoli e D'Annunzio, con palesi innesti lombardo-scapigliati e chiare assidue frequentazioni francesi, Buzzi seppe amalgamare con esiti alterni, ma spesso rilevanti, i frutti della sua profonda cultura classica con lo sperimentalismo futurista».
Insomma Buzzi è un poeta che non può essere posto ai margini della poesia novecentesca come a volte è successo, perchè, insieme ad altri scrittori (Lucini, Palazzeschi, Govoni, Folgore, Soffici) ha contribuito al rinnovamento della poesia italiana sia dal versante dei contenuti, sia da quello della metrica, essendo tra i pionieri del verso libero.
Accanto a questo volume, tra le migliori opere di Paolo Buzzi è giusto ricordare anche le poesie di Versi Liberi (1913) e il romanzo sperimentale L'Ellisse e la Spirale (1915); dispiace il fatto che gli ultimi volumi ricapitolanti la carriera poetica buzziana risalgano a più di cinquanta anni or sono (si parla di Selecta del 1955 e di Poesie scelte del 1961, entrambi curati da Francesco Flora) e si auspica una solerte ristampa che magari comprenda l'intera opera letteraria di questo "gigante" del Novecento italiano.

"Insiemi" di Gianni Rodari

L'amico virtuale, l'amico d'infanzia, l'amico di scuola, l'amico del quartiere, l'amico del lavoro, l'amico del cuore... Quanti amici! Ma esistono veramente? La verità è che quasi tutta l'umanità è priva di vere amicizie; il concetto è ben espresso da un famoso proverbio: "Chi trova un amico trova un tesoro": quante persone nella vita trovano dei tesori? Eppure, mai come nel nostro tempo la parola "amico" è stata usata tanto a sproposito; in special modo nei cosiddetti social network presenti su internet, c'è uno sproporzionato e quanto mai sbagliato uso di questa parola. A tal proposito vorrei proporre una geniale poesia di Gianni Rodari (1920-1980) che fa parte del volumetto intitolato "Il cavallo saggio. Poesie epigrafi esercizi" e che è stato ristampato due anni fa dalla Einaudi di Torino (la prima edizione uscì grazie a "Editori Riuniti", a Roma nel 1984); qui sono raccolte le poche poesie dello scrittore piemontese non riservate al pubblico infantile; ve ne sono di validissime, ma sull'argomento che ho appena trattato mi piace riportare Insiemi perché ben rispecchia quella voglia attualissima di "condividere", di cercare le cose più strane e lontane che possano unire persone diversissime e distanti, probabilmente per la necessità inconscia di sentirsi meno soli. 
 


 
INSIEMI

Lo consolava la matematica degli insiemi.
Riflettendo sui suoi casi facilmente scopriva
di far parte di numerosi insiemi così catalogabili:
l’insieme degli uomini nati nel 1920,
l’insieme degli uomini nati nel 1920 tutt’ora viventi,
l’insieme di tutti i nati,
l’insieme di tutti i mancini,
l’insieme degli epatopatici,
l’insieme degli addetti al commercio,
l’insieme degli addetti al lavoro,
l’insieme delle persone che portano l’orologio al polso,
l’insieme dei mammiferi,
l’insieme dei bipedi
(di questi due insiemi egli occupava saldamente l’intersezione
senza l’imbarazzo di chi tiene il piede in due scarpe),
l’insieme degli abitanti della via Lattea,
la cui tabulazione sarà possibile
solo a completamento della sua esplorazione,
l’insieme di coloro che hanno schifo dei ragni,
l’insieme degli utenti della strada,
l’insieme degli italiani sopravvissuti alla seconda guerra mondiale,
l’insieme degli italiani che temono la terza,
l’insieme degli europei che abitano a sud di Francoforte sul Reno ma a nord del Busento,
a ovest di Saint-Tropez ma a est di Salonicco,
l’insieme degli uomini bianchi,
l’insieme degli uomini bianchi con occhi celesti,
l’insieme dei lettori di libri gialli, sia bianchi che negri,
l’insieme delle persone che non sanno usare un calcolatore elettronico,
l’insieme dei lettori di giornali che non scrivono al direttore,
l’insieme dei vertebrati,
l’insieme degli alfabetizzati,
l’insieme dei moderatamente alcoolizzati
l’insieme dei viaggiatori che sono stati una sola volta a Brindisi ma non una volta sola a Recanati,
l’insieme delle organizzazioni individuali di materia vivente, di cui fanno parte vescovi, ministri, tranvieri, scolopendre, eucalipti, rododendri, muschi, scrittori, trachinie, delfini, batteri, microbi, principi del sangue,
l’insieme di coloro il cui nome comincia con la lettera M,
tra cui si notano principi del foro, donne di strada, attori svedesi, minatori boliviani, guardie di finanza,
ex membri del partito comunista, pastori, monaci buddisti,
l’insieme dei compratori di cravatte
(che non sta in corrispondenza biunivoca
con l’insieme dei portatori di cravatte,
stanteché molte mogli comprano cravatte ma non le portano
e molti mariti portano cravatte ma non le comprano).
Col tempo si rese conto, non senza un sentimento di orgoglio,
di essere un elemento di un insieme infinito
quale è certamente al di là di ogni meschino dubbio
l’insieme degli uomini reali e degli uomini immaginari.
Scoprì con gioia di far parte di numerosi sottoinsiemi,
di insiemi universali,
di insiemi disgiunti,
di insiemi complementari.
Lo entusiasmò la certezza che mai, per soffiar di venti,
sarebbe precipitato in un insieme vuoto,
quale l’insieme degli uomini alti diciotto metri,
l’insieme dei presidenti della R. I. eletti prima del 1940,
l’insieme dei numeri pari divisori di tredici,
l’insieme dei ramarri parlanti, l’insieme dei rettangoli con cinque angoli,
l’insieme delle chitarre che fumano la pipa
e quello delle pipe che suonano la chitarra.
Paragonando l’insieme dei violinisti
e quello dei generali d’artiglieria
giunse a formulare il seguente sillogismo:
tutti i violinisti hanno i capelli lunghi,
taluni generali d’artiglieria hanno i capelli corti,
dunque taluni generali d’artiglieria non sono violinisti.
La scoperta lo riempì d’entusiasmo:
riunì i violinisti, i generali e se stesso
in un apposito insieme di cui diede la rappresentazione tabulare
provando un vivo senso di solidarietà.
Ogni giorno egli aggiungeva all’inventario dei suoi insiemi
decine di nuovi interessanti raggruppamenti.
Come avrebbe potuto sentirsi mai solo,
o temere per le sue difese personali,
contemplando l’insieme di tutti i suoi insiemi,
vedendolo crescere a vista d’occhio,
docile ai suoi comandi?
Mai vi fu uomo più sicuro, più protetto,
eserciti innumerevoli muovevano in suo soccorso
da ogni parte del cosmo,
dalle profondità del tempo,
dalle sterminate riserve dell’immaginazione,
da ogni piano del condominio.
Eppure di quando in quando, con frequenza irregolare,
guardandosi allo specchio o toccandosi la guancia,
non vedeva che un’immagine un po’ assurda.
Chiusa la porta di casa,
oltre a lui non c’era anima viva nelle stanze.
La notte si destava inquieto
nell’insieme dei suoi mobili, da cui restava escluso,
pensava stancamente un insieme
che costringesse almeno i fiori finti
a schierarsi al suo fianco
e, «che sarà», si domandava, «di me».

giovedì 7 marzo 2013

Paesaggio

Il campo
di ulivi
si spiega e si richiude
come un ventaglio.
Sopra l'oliveto
sta un cielo sprofondato
e una buia pioggia
di fredde stelle.
Tremano giunco e penombra
sulla sponda del fiume.
L'aria grigia s'increspa.
Gli ulivi
sono carichi
di gridi.
Un branco
d'uccelli imprigionati
che sommuovono le loro così lunghe
code allo scuro.


(Federico Garcia Lorca)
Da "Poeti del Novecento italiani e stranieri", Einaudi, Torino 1960





 
Grande poesia di Garcia Lorca tutta tesa ad evidenziare sentimenti e situazioni "negative". Lo dimostrano i luoghi e le similitudini che si susseguono: il campo di ulivi che si richiude come un ventaglio; il cielo sprofondato, la buia pioggia, gli ulivi carichi di gridi e così via. I colori sono scuri o spenti, vogliono trasmettere tristezza e squallore. Si percepisce nei versi di Lorca, molto chiaramente, un "freddo" che pervade non solo il paesaggio descritto, ma anche l'anima del poeta.


lunedì 4 marzo 2013

Da "Vino e pane" di Ignazio Silone

«Si vive nel provvisorio» disse. «Si pensa che per ora la vita va male, per ora bisogna arrangiarsi, per ora bisogna anche umiliarsi, ma che tutto ciò è provvisorio. La vera vita comincerà un giorno. Ci prepariamo a morire col rimpianto di non aver vissuto. A volte quest'idea mi ossessiona: si vive una sola volta e quest'unica volta si vive nel provvisorio, nella vana attesa del giorno in cui dovrebbe cominciare la vera vita. Così passa l'esistenza. Di quelli che conosco, t'assicuro, nessuno vive nel presente. Nessuno mette nel suo attivo quello che fa ogni giorno. Nessuno è in condizione di dire: "Da allora, da quella data occasionale, è cominciata la mia vita". Anche quelli che hanno il potere e ne sfruttano i vantaggi, credi a me, vivono d'intrighi e paure, e sono pieni di disgusto verso la stupidità dominante. Anch'essi vivono nel provvisorio, in attesa». «Non bisogna aspettare» disse Pietro. «Anche nell'emigrazione si vive in attesa. Questo è il male. Bisogna agire. Bisogna dire: Basta, da oggi».
«Ma se non c'è libertà?» disse Nunzio.
«La libertà non è una cosa che si possa ricevere in regalo» disse Pietro. «Si può vivere anche in paese di dittatura ed essere libero, a una semplice condizione, basta lottare contro la dittatura. L'uomo che pensa con la propria testa e conserva il suo cuore incorrotto, è libero. L'uomo che lotta per ciò che egli ritiene giusto, è libero. Per contro, si può vivere nel paese più democratico della terra, ma se si è interiormente pigri, ottusi, servili, non si è liberi; malgrado l'assenza di ogni coercizione violenta, si è schiavi. Questo è il male, non bisogna implorare la propria libertà dagli altri. La libertà bisogna prendersela, ognuno la porzione che può».

(da "Vino e pane" di Ignazio Silone, Mondadori, Milano 1976)

Ignazio Silone



Questo frammento è tratto da uno dei romanzi più famosi di Ignazio Silone (pseud. di Secondo Tranquilli, Pescina 1900 – Ginevra 1978). Volendo aggiungere qualcosa della biografia dell’autore, ricordo che Silone fu impegnato politicamente fin da giovanissimo (a ventuno anni fu tra i fondatori del Partito Comunista Italiano); nel 1930, allontanatosi dalla fede politica giovanile, fu costretto a trasferirsi in Svizzera, dove cominciò a pubblicare dei romanzi in terra elvetica; soltanto nel secondo dopoguerra, quando lo scrittore tornò in Italia, alcune sue opere letterarie come Fontamara , uscirono in edizione italiana. Vino e pane fu pubblicato per la prima volta col titolo Pane e vino a Zurigo, nel 1937; fu quindi stampato dalla Mondadori di Milano nel 1955.

Nel frammento che ho trascritto, si possono leggere alcuni pensieri riguardanti la concezione della vita e della libertà. È sostanzialmente una discussione tra due personaggi del romanzo: Piero e Nunzio, in cui si sottolineano gli errori di tante persone che, invece di vivere il presente, sono in perenne attesa di un futuro migliore che non giungerà mai. Nella seconda parte, invece, si parla di libertà individuale, e di come si possa essere liberi anche se si vive  in una nazione dove domina una dittatura: è tutta questione di mentalità e di coraggio; alla stessa maniera, ma a parti invertite, un individuo apatico, stupido e servile, è incapace di trovare la propria libertà anche se vive in un paese dove vige la democrazia.


Ai margini del crepuscolarismo

Prima di tutto intendo precisare che il titolo di questo post non è riferito ad una poesia marginale, ma intende porre in risalto il fatto che, oltre ai poeti inseriti nella corrente poetica definita crepuscolarismo, ci furono tanti altri autori di versi, contemporanei e non rispetto a questi ultimi, i quali subirono chiaramente l'influsso del crepuscolarismo, e ciò riguarda sia grandi nomi che piccoli. Ora, prima di analizzare più in profondità questo concetto, è bene chiarire quali siano stati i "luoghi" e i "pensieri" che caratterizzarono le poesie dei crepuscolari, per questo ho estratto un frammento molto eloquente dal volume "Antologia della letteratura italiana" di Mario Pazzaglia:
"La poesia crepuscolare vive in un'atmosfera, appunto, di crepuscolo: ha toni smorzati, un linguaggio volutamente dimesso, canta cose umili e banali. Ha un suo paesaggio caratteristico, continuamente rievocato: lo squallore dei solitari pomeriggi domenicali, organetti di Barberia che suonano nelle vie deserte, piccoli interni domestici, corsie d'ospedale, pallide e scialbe amanti provinciali. E tutto è avvolto da un silenzio scorato, da un sentore d'autunno e di rinuncia, di rimpianto per ciò che non è stato, e soprattutto da un senso di morte imminente, o meglio da un sentirsi morire un poco ogni giorno, che riflette un'avvertita incapacità di vivere".
Chiarito questo e chiarito che qui non s'intende parlare dei poeti a tutti gli effetti crepuscolari¹ ma di coloro che più o meno marcatamente attraversarono il crepuscolarismo, si potrebbe cominciare parlando di Arturo Onofri (1885-1928), poeta romano che è noto soprattutto per i suoi versi della maturità ("Terrestrità del sole" e "Vincere il drago!" tra le opere più famose) che per certi versi anticipano l'ermetismo; ma esiste anche l'Onofri della gioventù, che pubblicò libri come "Poemi tragici" (1908) e soprattutto "Canti delle oasi" (1909) dove emerge la netta vicinanza con la poetica crepuscolare, a comprova si leggano questi versi:


...
Ritorneremo buoni come alla nostra infanzia,
e se vicino al fuoco, anche, mi bacerai,
noi più non penseremo se in questa vecchia stanza
un tempo ci baciavamo, né se altra volta ci amammo.
Ora, senza rimorsi ed anche senza amarezza
languisci all'umile ombra della triste mia dolcezza,
come un dì sotto il salice in riva al lago...
Tu piangi? Gli occhi hai arsi dal lavorìo dell'ago...
Oh, guarda fra le lacrime la nostra bianca e vecchia
gatta che presso al fuoco freddolosa sonnecchia!
Piangi, piangi!: non ho per noi altra speranza
che di vivere ancora in questa nuda stanza.
...

(Da "Poemi del sole, XIX" in "Canti delle oasi")
 


Umberto Saba comiciava a farsi conoscere quando ormai i poeti crepuscolari avevano gi
à esaurito la loro vena poetica, la sua vicinanza con essi fu notata, tra gli altri, anche da Scipio Saltaper, a testimonianza del fatto che in effetti tale vicinanza ci fosse, trascrivo alcuni versi scritti dal poeta triestino nel 1906:

Piove sui campi e i colli. Era l'estate
ieri, la bella e grande estate. Ed ecco:
ha mutato stagione all'improvviso.
È pianto quel che fu ieri sorriso
del mondo. In cielo ininterrotte lente
vanno le nubi, dicono: l'estate,
una gioia è finita.
«Dove andò la tua vita,
con tutte le sue pene,
con la grazia arridente,
con le ore serene?
Antichissima oscura
la città dalle lunghe erte ti appare.
All'orizzonte un mare
trema d'acque, o trema agli occhi il pianto?
S'io giungessi, se accanto
io ti giungessi, non più atteso!» Ieri
era la bella estate, oggi diversa
delle cose è l'immagine. E i pensieri
vanno ai soli nel mondo, ai prigionieri,
ai marinai nostalgici, all'avversa
fortuna. È autunno. E il cor pur lo sente.

("Autunno" in "Il Canzoniere")
 


Anche Camillo Sbarbaro, poeta ligure che si inserì nell'ambiente degli intellettuali vociani e che è ritenuto, insieme a Eugenio Montale, uno dei migliori rappresentanti di quella "linea ligure" con cui si intese riunire molti poeti nati in Liguria di generazioni diverse che comunque nei loro versi presentavano alcuni aspetti in comune, anch'egli dimostrò almeno una simpatia per la poesia dei crepuscolari, principalmente nella sua raccolta più importante: "Pianissimo" (1914), dove si leggono questi versi:


Taci, anima mia. Son questi i giorni
tetri che per inerzia si dura,
i giorni che nessuna attesa illude.
Come l'albero ignudo a mezzo inverno
che s'attedia nell'ombra della corte,
non m'aspetto di mettere più foglie
e dubito d'averle messe mai.
...
Non sono che uno specchio rassegnato.
In me stesso non guardo perchè nulla
vi troverei...
E, venuta la sera, nel mio letto
mi stendo lungo come in una bara.

(Da "Pianissimo")
 


Diego Valeri
è un altro di quei poeti che, pur non essendo ritenuti crepuscolari, molto debbono a costoro, in quanto la loro poesia spesso palesa somiglianze sia per quel che concerne i temi trattati che per le atmosfere evocate. Ecco alcuni esempi tratti dalle raccolte "Le gaie tristezze" (1913), "Umana" (1916) e "Crisalide" (1919):
...
- Piccole care cose, mie compagne
umili e buone dei passati dì,
in questa notte fredda, in questa nuda
camera triste, fate ch'io vi scordi,
più non mi fate piangere così.

(Da "Notturno" in "Le gaie tristezze")
 

Vagabondi organetti di Novara
che umilmente per il mondo andate
effondendo in mazurche rassegnate
la vostra tremebonda anima ignara,
Io cantare vorrei, con umilitate
pari alla vostra, la dolcezza lene
che all'uomo oppresso dalle molte pene
con le musiche vostre dispensate.
...
Ecco: e il segreto affanno non
è piùche un gusto di domeniche svanite,
che un sentore di mammole appassite,
che un nostalgico amor di ciò che fu.
...

(Da "Organetti" in "Umana")
 

Bianco dorato mattino, di quanta tristezza sei grave,
tu che sorridi, come un malato al suo tremendo destino,
e una lacrima d'astro hai sul ciglio, e piangi col pianto dell'ave!...
Come somigli alla sera, tu, bianco dorato mattino!
E voi, cupe soavi viole, occhi bruciati di passione,
voi, stelle d'ombra profonda nell'erba chiara e sottile,
come sapete di disperazione,
come sapete d'autunno, voi, primi fiori d'aprile!...
...

(Da "Preghiera primaverile" in "Crisalide")
 


Vi sono poi altri poeti che pi
ù o meno nacquero tra il 1885 ed il 1895 e che non ebbero grande fortuna, anche se si conquistarono, ai loro tempi, un breve periodo di notorietà, pure questi chiaramente suggestionati dai crepuscolari; uno di essi è Francesco Cazzamini Mussi, dalla sua raccolta "Le allee solitarie" (1920) ecco alcuni versi dimostrativi:

Avanti, o banditore,
o Cuore, o Cuore,
facciamo l'inventario.
"Amor - Fede - Speranza..."
C'è qualcosa che avanza?
"Amor - Fede - Speranza..."
Nessuno compra o cede,
nessuno più ci crede?
Si prosegua l'incanto!
E tu, Gioja, o perduta
Gioja,
ove sei col tuo vario
sorriso, prostituta?
Facciamo l'inventario.
Tutto si ruppe tra le nostre dita...
Di chi la colpa? Mia? No, della vita.
Tutto si ruppe tra le nostre dita...
...

(Da "Incanto" in "Le allee solitarie")
 


Nicola Moscardelli fu poeta precoce che proprio ai suoi esordi ottenne discreto successo grazie anche alle poesie d'isprazione crepuscolare contenute in "Abbeveratoio"(1914), da cui estraggo questo passo:


Le rose convalescenti
agonizzano nelle tombe di vetri
nei salotti delle case borghesi
al suono di una vecchia romanza
nei pomeriggi di mosconi e di sole.
La notte allunga il suo corpo ignudo
su le cattedrali slanciate verso il cielo
per le vie che si sfiancano
sui balconi nostalgici che serrano
ancora qualche profumo
dell'ultimo tramonto
pronti a raccogliere le stelle del cielo
che sonnolente precipitano.
...

(Da "Macchie" in "Abbeveratoio")
 


Di Sandro Baganzani propongo parte di una poesia inclusa in "Arie paesane" (1920), l'opera che gli diede grande notoriet
à:

Questa giornata domenicale che gronda
malinconia di lumi nel canale morto
dopo il chiasso delle campane,
le grida dei venditori ambulanti,
il piffero che fa ballare gli amanti sul piazzale,
è come un lento male
che si attacca ai distanti,
il male della domenica.
...
Decadenza!
Nella camera immensa
piangere su di un romanzo:
come se i gialli cartocci delle foglie
che riempiono i viali
mi portino via qualchecosa
di molto caro,
che non so bene in fondo cosa sia:
e forse è l'ombra della tua veste
che dilegua,
forse è il profumo
del tuo seno di bambina
sotto la batista e la mussolina,
forse è la dolcezza delle parole
che ci scrivemmo un giorno
che non ci diremo più.
...

(Da "La mia triste vita" in "Arie paesane")
 


Ugo Betti prima di dedicarsi, con successo, al teatro, pubblic
ò alcuni volumi di versi, il primo dei quali s'intitola "Il Re pensieroso" (1922), dal quale ecco un frammento dal sapore crepuscolare:

...
Dove sono tutte le mie canzoni?
Erano doni
di cristallo e d'oro
per te, bambina!
Sono svaniti nella tua manina
come il tesoro d'una fiaba,
poveri miei doni!
E così piangi!
Ma so che tu perdoni...
Tu sei buona! Sapevi le parole
che addormentano il male...
E cullavi questi miei sogni...
Con le manine timide
mi coprivi gli occhi insonni
come per pietà!
Come una mamma, che vuol consolare
una pena misteriosa, e non sa.

(Da "Congedo" in "Il Re pensieroso")
 


Ecco infine qualcosa riguardante Augusto Garsia, la cui stella brill
ò per poco tempo, questi versi appartengono a "Opposte voci" (1921).

Mattina grigia, smorta
malinconia diffusa
che doni all'aria un volto
di triste pace assorta,
mattina grigia, molto
già stanca e già delusa,
che pur rassegnata
a sospingere innanzi
la novella giornata,
l'anima mia randagia
per una lunga notte
di sconforti, di lotte
e di speranze vane,
inerte in sé s'adagia,
inerte in te rimane.

("Mattina grigia" in "Opposte voci")
 


Anche dopo pi
ù di un decennio dalla fine del crepuscolarismo, non scompaiono suggestioni e imitazioni della corrente poetica primonovecentesca; in una antologia che ebbe larga fama, intitolata "Poeti Novecento", uscita nel 1928, che si proponeva di far emergere alcuni poeti di talento possibilmente giovani e praticamente sconosciuti, la poesia crepuscolare la fa da padrone, segno evidente che Corazzini, Gozzano e gli altri erano ancora il punto di riferimento principale per chi allora si dedicava alla scrittura di versi. Da quell'antologia voglio riproporre alcuni versi di due poeti in particolare, i quali, almeno stando alla data di nascita, certo non potevano essere considerati giovani, ma che comunque furono considerati emergenti; il primo è Carlo Kutufà, che in una lunga poesia scrive anche:
...
Ancor mi vedo l'umile impiegato
d'ieri, seduto in faccia allo sportello
d'un ufficio qualunque dello Stato.
Quella specie di lurido budello,
appestato da i fiati d'otto o nove,
con me, prostituiti del cervello,
oggi s'industria con sembianze nuove
d'accivettarmi, come le bagasce
fanno col merlo ch'è alle prime prove.
E a ridere mi forza. E come nasce
dal riso il pianto (e piansi, io lo confesso,
quando mi prese fra le sue ganasce),
mestamente rievoco me stesso
d'allora, meno scettico e più buono,
che i romani traducono più fesso.
...

(Da "Poeti Novecento")
 


L'altro poeta
è Attilio Canilli, del quale riporto qualche strofa della poesia "Orfanelle":

Nel cortile, dal cielo esangue
piove una luce avvelenata
che scolorisce le cose.
(Oh, ma quante quante rose,
rose rosse di sangue!)
E le tre bimbe giocano
con le loro bambole morte,
senza un grido, un gesto, una voce.
(Nemmeno la voce più fioca
in questo morto fiume senza luce!)
Dagli occhi azzurri, dagli occhi neri
goccia una lagrima, ancora,
che non cade, ma brilla.
(Oh, le fiamme dei ceri
oscillano oscillano oscillano!)
...

(Da "Poeti Novecento")
 


Chiudo con due premi Nobel della letteratura: Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo che mi sembra superfluo presentare. Del primo riporto una parte di un componimento poetico della giovent
ù, ritrovato grazie ad un manoscritto datato 1919:

Vieni qui, facciamo una poesia
che non sappia di nulla
e dica tutto lo stesso,
e sia come un rigagnolo di suoni
stentati
che si perde tra le sabbie
e vi muore con un gorgoglio sommesso;
facciamo una suonatina di pianoforte
alla Maurizio Ravel,
una musichetta incoerente
ma senza complicazioni,
che tanto credi proprio
a grattare nel fondo non c’e’ senso;
facciamo qualcosa di "genere leggero.

(Da "Sonatina di pianoforte" in "Tutte le poesie")
 


Di Quasimodo invece ecco una poesia che fa parte del suo volume d'esordio: "Acque e terre" (1930):


Io sono forse un fanciullo
che ha paura dei morti,
ma che la morte chiama
perche' lo sciolga da tutte le creature:
i bambini, l'albero, gli insetti;
da ogni cosa che ha cuore di tristezza.
Perche' non ha piu doni
e le strade son buie,
e piu non c'e' nessuno
che sappia farlo piangere
vicino a te, Signore.

("Nessuno" in "Tutte le poesie")
 


Note
1) I poeti che rientrano a pieno titolo nel crepuscolarismo sono: Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Corrado Govoni, Fausto Maria Martini, Marino Moretti, Carlo Chiaves, Aldo Palazzeschi, Carlo Vallini, Giulio Gianelli, Nino Oxilia, Guelfo Civinini, Tito Marrone, Umberto Bottone, Remo Mannoni; a questi andrebbero aggiunti alcuni poeti che fecero parte di cenacoli romani nei primissimi anni del XX secolo e che avevano come punto di riferimento principale la figura di Sergio Corazzini.

sabato 2 marzo 2013

I poeti emiliano-veneti della casa editrice Taddei (1915 - 1925)


Nell'ambito della poesia italiana d'inizio Novecento sarebbe opportuno a mio avviso ricordare un piccolo movimento nato nel cuore della penisola italica, intorno al 1915, conosciuto anche anche come "Cenacolo dei poeti di Ferrara" che faceva riferimento a Corrado Govoni e comprendeva un esiguo numero di scrittori, tutti (o quasi) nati in Emilia Romagna ed in Veneto; molti di loro collaboravano ad alcune riviste letterarie come «La Diana» e «La Brigata» dove pubblicarono anche alcune liriche. Il comun denominatore di codesto gruppo era l'evidente ammirazione per la poesia di Giovanni Pascoli e dei simbolisti francesi, mista ad una propensione verso quelle correnti che avevano maggiormente influenzato la poesia italiana del primissimo Novecento: crepuscolarismo e futurismo; ma questi scrittori non si limitavano ad imitare i loro illustri predecessori, bensì sperimentavano un rinnovamento della forma (tutti spesso facevano uso del verso libero) e, in parte, anche del linguaggio, pur dimostrando una rispettosa fedeltà alle tematiche dei loro maestri. Gli intellettuali che componevano questo cenacolo pubblicarono molte opere poetiche per la casa editrice Taddei di Ferrara, attiva particolarmente nel periodo che va dal 1914 al 1922 e che, per tal motivo, ho voluto inserire nel titolo di questo post. Voglio infine riportare un elenco dei poeti "emiliano-veneti" con le opere in versi da loro pubblicate nel decennio in questione; sarà facile notare la presenza di nomi importanti come il già menzionato Corrado Govoni e Diego Valeri, quest'ultimo si mise in luce con libri di liriche assai validi, da considerarsi tra i migliori dell'intero Novecento italiano. Per ciò che riguarda gli altri, si può affermare che tutti, noti o meno noti, dimostrarono di possedere una rimarchevole e fantasiosa originalità.



SANDRO BAGANZANI (Verona 1889 - ivi 1950). Opere poetiche: Arie paesane, Taddei, Ferrara 1920; Senzanome, Mondadori, Milano 1924.


LIONELLO FIUMI (Rovereto 1894 - Roverchiara 1973). Opere poetiche: Mussole, Taddei, Ferrara 1920; Tutto cuore, Alpes, Milano 1925.


CORRADO GOVONI (Tamara 1884 - Roma 1965). Opere poetiche: L'inaugurazione della primavera, La Voce, Firenze 1915 (2° ed. riveduta e corretta, Taddei, Ferrara 1920); Poesie scelte, Taddei, Ferrara 1920; Il quaderno dei sogni e delle stelle, Mondadori, Milano 1924; Brindisi alla notte, Bottega di Poesia, Milano 1924.


G. EDOARDO MOTTINI (Caluso 1884 - Milano 1935). Opere poetiche: Rose nel pruneto (1916-1919), Taddei, Ferrara 1921.


GIUSEPPE RAVEGNANI (San Patrignano di Romagna 1895 - Milano 1964). Opere poetiche: Io e il mio cuore, s. e., Ferrara 1916; Sinfoniale, Taddei, Ferrara 1918; Le due strade, Taddei, Ferrara 1921.


AMALIA VAGO (Venezia 1886 - Santa Margherita Ligure 1979). Opere poetiche: Il diario dell'anima, Taddei, Ferrara 1922.


DIEGO VALERI (Piove di Sacco 1887 - Roma 1976). Opere poetiche: Umana, Taddei, Ferrara 1916; Crisalide, Taddei, Ferrara 1919; Ariele, Mondadori, Milano 1924.


BRUNO VIGNOLA (Montebelluna 1878 - 1956). Opere poetiche: Gamma, Taddei, Ferrara 1918.


PIETRO ZANFROGNINI (Staggia 1885 - ?). Opere poetiche: Canti d'avanti giorno, Taddei, Ferrara 1917.