venerdì 23 dicembre 2016

Versi de l'inverno (parte II)

Visto che le feste di Natale sono ormai alle porte, è giusto che tra queste ulteriori poesie invernali ve ne siano molte che ne parlino; più di una evidenzia sentimenti malinconici o nostalgici; soprattutto il Ricci Signorini, fa diventare la sua lirica una vera e propria meditazione sulla morte. Stesso discorso potrebbe essere fatto per quel che concerne la festa di Capodanno, qui decisamente meno presente. Non mancano però versi più ottimisti, in particolare tra i poeti mistici (come, ad esempio, il Salvadori). Si nota infine una assidua presenza di focolari e camini: in tempi in cui non esistevano i sistemi di riscaldamento odierni, l'unico modo per stare al calduccio era, soprattutto di sera, sedersi davanti al fuoco insieme alla famiglia e tenersi compagnia raccontando storie fantasiose, oppure, recitando dei versi di poeti illustri. Altri tempi.



VENERE CAPITOLINA
di Nicola Marchese (1858-1910)

Alba — la pallidissima — di brina
(or or ella emergea) rorida, viene
a nunziar la stella mattutina,
silenziosamente, alle sirene.

Spirano un sogno assai puro i rigori
freddi dell'ora all'acque addormentate
dal solenne cullar della marea;
e ribrezzi, nel sogno, han di pudori
le dal bacio di luce acque baciate.
All'artefice, allor, tale dovea
il mare abbrividir pio dell'idea,
che (dei sensi dormia la ciurma immonda),
nivea, nell'ora casta, in vetta all'onda,
Venere biancheggiò Capitolina.

(Da "Crisantemi", Vecchi, Trani 1895)




A MADONNA, XIII
di Corrado Corradino (1852-1923)

Ecco: sui prati albeggiano
Le prime nevi intatte
E con le nocche gelide
Dicembre ai vetri batte.

Rina, ai fiorelli teneri
Già l'aria è perigliosa;
Riedi alla stanza tepida,
O bel bocciuol di rosa.

E mentre il ceppo crepita
Sovra le brage ardenti
Siedi, ed il fronte candido
Ai baci miei consenti.

Che fa se irato sibila
Dicembre? O mia gentile,
I baci dentro all'anima
Fan rifiorir l'aprile.

E al Dio d'amor ne l'orrida
Stagion di sole avara
La chiusa stanza è un tempio
E il caminetto è un'ara.

Vieni! — Ma tu, tristissima,
Con le pupille afflitte
Guardi lassù la funebre
Selva de le soffitte,

E pensi ai bimbi lividi
Sdraiati in sullo strame.
Pensi ai nudi tugurii
Dove si ha freddo e fame.

(Da "Su pe' 'l calvario", Casanova, Torino 1889)




NE LE CASE DE LA NUTRICE - L'ASILO
di Alfredo Catapano (1881-1927)

Desta il fuoco nel grande camino, sì come t'era uso,
o nutrice, una volta: da' monti è soffiato rovajo.
Noi sentirem la lupa tentare le porte co 'l muso,
poi che sarà da' corvi discesa co 'l gramo gennaio.

Alta attizza la vampa, gran freddo ha il mio cuore deluso;
ma più tue antiche istorie varranno di fiamma e di sajo:
narra di me fanciullo, al trotto del rapido fuso;
narra di me fanciullo, al frullo del vecchio arcolajo.

Udrem ne le vigilie, da presso, il mugghiar del Tirreno
che allaga il tuo breve orto; udrem cigolar la castagna
ne la brace, ed il sonno verrà su 'l mio fronte sereno.

Ma in vano io mi rifuggo in tale desio, smemorato...
Amore, amor tradito m'insegue con pronte calcagna:
come il tuo flutto, o mare, l'asil mi flagella il Passato.

(Da "Interludio", Melfi & Joele, Napoli 1905)




PASSANDO L'APPENNINO
di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (1871-1919)

O di bel rosso, tremolo, in orrori
di alberi se il Decembre ùluli ai monti,
asil di uccelli su contese fonti
da' geli, o sorbo degli uccellatori!

E passando la posta di Appennino
indugia, mentre sbuffano un desìo
d'acqua i cavalli al vitreo riale.
Poi, a un sibil di frusta, essi il cammino
affrettano, e a lor vivo scampanìo
da l'albero incantato un clamor sale
rapido, che fuor rompe in nuvol d'ale
e calando s'inselva! E con lui vola
il cuor cui lieve immaginar consola
d'aspri viaggi e di pensosi errori.

(Da "Sonetti e poemi", Traversari, Empoli 1910)




E L'ORA VIENE CON LA RICORDANZA
di Fausto Salvatori (1870-1929)

E l'ora viene con la ricordanza.
Nella sera d'inverno il caminetto
Arde. Sulla scacchiera per diletto
Un bianco alfiere contro il nero avanza.

Fioriscono i parati della stanza
Rossi nell'ombra. Il pallido merletto
Della tua veste odora. E a me nel petto
Il dolce sogno porta la speranza.

La tua bianca regina corre dritta
Sul mio re nero: l'impeto deludo
Con l'attacco dei fanti a schiera fitta.

Invano il re fra le due torri chiudo:
È perso e tu sorridi. La sconfitta
Sai che mi viene dal tuo piede nudo.

(Da "In ombra d'amore", Optima, Roma 1929)




ACCORATA
di Sandro Baganzani (1889-1950)

S'accendono a quest'ora i lumi
nella malinconia
delle strade deserte
dove scivola senza rumore
qualche ombra nera?

Voglio sedermi stassera
al focolare di casa mia.

Che fai?
Vedo alla fiamma del ciocco
il tuo viso dolce
sotto l'onda biondissima
dei capelli.
Scherzano i bimbi
con l'Ava paziente.
Tutta la casa è piena
dell'Assente.
Hai acceso la lampada
per la bambina morta?
Davanti il piccolo altare
i fiori di calicanto
spandono quella loro
sottile fragranza
d'inverno di freddo.
Amor mio
di lontananza?
Nella stanza nuziale
hai tu recato
con le tue mani
l'acqua nell'anfora
e il libro che sai?
Odora la cena
sulla tovaglia di lino
cucita in un'ora serena
da te?
Attendi che salga le scale
qualcuno venuto da lunge
cui punge un acuto dolore
di casa lontana?
Vedo il tuo viso dolce come il cielo
se passano ale di nuvole
primaverili.
Quali nuvole
velano
i tuoi occhi grigi
di tristezza vana?

Creatura!
Con una gioia amara
di piangere
colgo il fiore della tua bocca pura!
E nulla è più triste
di questo lento
tormento.
Andare andare andare
fasciati di malinconia
dietro una rimembranza
nell'ora che s'accendono
come insonni pupille
sui trivi i fanali
via
per strade di sogno
Creatura
oh senza speranza
mai
d'arrivare.

(Da "Senzanome", Mondadori, Milano 1924)




IL DECEMBRE
di Antonio Beltramelli (1879-1930)

Cielo d' inverno, pallido sì come
un'opale, fra toni grigi e rosa
sopra il ricamo delle rame ignude.
Un falcetto di luna era nel fondo
brumoso, a pena, sopra l'alte mura
del giardino, E i comignoli e le torri
e i bruni tetti avevano a bacìo
tracce di neve, tinte di soavi
iridescenze. Non si udìa che il fresco
parlottar delle bimbe nel giardino.
Era intorno un biancor d'alba serena.
Ella pensava un cuore ed una nave.
A notte il trepestio della tempella
la ridestava con un tuffo al core.
Sbarrati gli occhi, si levava, intenta
al suono. E ancora rinascean le voci
delle veglianti al letto di sua madre
e udiva un ulular lungo di pianto.
Ma il suono lento di una, campanella
dall'orto, ed una musica sommessa,
levata a Dio nella solinga chiesa,
le chiudevan la mente in un riposo
stanco, lontano, senza mutamento.

Giunse Natale e la trovò più bella.
Più luminoso il piccoletto volto
e gli occhi illanguiditi di dolcezza.
Giunse Natale e le trovò un sorriso.
Forse sognava in cor la primavera
ed un ritorno. Nella bianca cella,
odoravan soave i calicanti,
i fiori della purità jemale.
E a notte ondavan le campane chiare.
Giunse il Natale con le cennamelle
e con le ombre dei tre re pastori.
Un profondo mistero di letizia
raccolse intorno al ceppo le educande.
Ed ella meno si sentì smarrita
e vide in cielo una raminga stella.
Natale!... un aliar vago d'incensi,
e luci e suoni. Un'angosciata ebbrezza
le serrava la gola:
                    - Oh! dolce amore,
può dunque darsi che da tanto buio
risorga a te, nell'aria, nella vita?... -

E scrisse: - Gaddo, non ho più respiro,
non ho più lena, non ho più che il mio
dolore! Gaddo, dove, dove sei?
Porto la mano al cuore che lo sento
appena appena! Non ricordi il maggio?
Cantavan le colombe.... io ti aspettavo...
e all'acuto odorar del gelsomino
mi abbandonava tutto il mio coraggio.... -

(Da "Solicchio", Treves, Milano 1913)




PRIMA NEVE
di Giulio Gianelli (1879-1914)

Sorrisa da occhi già mesti
                da voci giulive
di bimbi cui orna le vesti,

discende da un bianco mistero
la neve e descrive
ne l'aria un suo lento pensiero.

Su i tetti colore di rosa,
su li alberi posa
un attimo, poi non è più.

Svanita siccome un pensiero
tornata al mistero!
Un'anima bella che fu.

(Da "Mentre l'esilio dura", Streglio, Torino 1904)




NOSTALGIA
di Giovanni Tecchio (1872-?)

Nell'immoto grigior la neve lenta,
A piume a piume candida si posa,
Pianamente così silenziosa,
Che la campagna tutta s'addormenta.

E si trasforma e ormai non si rammenta
Più la parvenza d'ogni umana cosa;
In una visione dolorosa
Si va piegando in sé l'anima intenta.

Strano sopore d'infinita pace;
Qua il fumo d'uno sperso casolare,
Là in fondo in fondo tremula una face.

Ch'io ti rivegga ancora, o fanciullezza!
Tutti là ancora intorno al focolare...
Ma non ritorna più quella dolcezza.

(Da "Canti", Monanni, Milano 1931)




BUONE FESTE, BUONE FESTE!...
di Giacinto Ricci Signorini (1861-1893)

Buone feste, buone feste! Ma tu posi in cimitero:
Corre e ride oggi la gente, ma rivive il mio pensiero
Quella piena ora di guai:
Quando, fermo il cor, l'estremo ministerio far ti volli
E con mani tremebonde sopra i letti azzurri e molli
Della bara ti posai.

Quanto tempo oggi è passato? Ma che forse ancora batte
L'ala il tempo per il mondo? forse ancora fuggon ratte
Le speranze ed i dolor?
Questa vita che ci inebbria non è forse un vano incanto?
Il mio lutto non ondeggia, come nuvola di pianto,
Su chi vive e su chi muor?

Ma tranquilli almeno i morti dormon tutti nelle bare?
Ché tortura empia, infinita, per i cuori è ricordare
del passato i tristi dì.
Forse, nella densa notte della tomba ancor sospiri,
E ricordi eternamente le ferite ed i martìri
Che il tuo spirito patì.

(Da "Thanatos", Soc. coop. per l'arte tipografica, Cesena 1892)




NATALE ANTICO
di Teresah (pseud. di Corinna Teresa Ubertis, 1874-1964)

Odore di Natale e di bruciate!
Sotto la cappa del camino c'era
quasi una primavera d'agrifogli;
il vischio, il mirto; e c'erano i germogli
della speranza che nome non ha...

Nome non ha, ma spunta, ecco, e s'abbarbica
ai rami della quercia che divampa;
e la fiamma s'allunga e striscia e stampa
orme di luce entro la cappa nera;
fa bel cammino verso la brughiera,
fiorisce spino, luppolo, giaggiolo,
nome non ha, ma canto d'usignolo,
volo di storno, amor di capinera...
è tutta d'oro, va verso l'estate...
Odore di Natale e di bruciate!
S' era a veglia lassù, sotto le rame
che avean per bacche gocciole d'inverno;
zia novellava di cielo e d'inferno
e non udiva l'uggiolìo del cane.
— C'è qualcuno nell'aia... hanno picchiato
ai vetri... no... — Veniva dal passato,
dall'avvenire, il muto viandante?
Ognuno gli chiedeva il suo sembiante.

Noi bimbe si pensava: Oh sarà bello!
avrà la neve a fiocchi sul mantello...
ma sotto l'agrifoglio bacerà
la più bella di noi, che non lo sa.

(Da "Il libro di Titania", Ricciardi, Napoli 1909)




LA NOTTE SANTA
di Carlo Chiaves (1882-1919)

Caduta è sulla terra,
tutto il giorno, la neve.
Dopo il vespero breve
la notte, anche, è discesa.

Ma, tutt'a un tratto, il vento
aspro vento di gelo,
spazzò le nubi: in cielo
ardon fitte le stelle.

Ed è superbo il vasto
splendor dell'infinito,
sovra il mondo sopito,
candido, terso, uguale.

In terra anche, un bagliore
vago, qua e là s'accende,
palpita, trema, splende
ne le case dell'uomo.

E con fiamma diversa
per le finestre aperte,
raggia su le deserte
strade, la luce incerta.

Queste faci son vive
perché si veglia, al mondo,
perché il vocio è giocondo,
presso la fiamma viva.

Perché una pace immensa
ci conforta, c'incanta,
perché la notte è santa,
perché la notte è bella.

A tratti, per le tenebre,
un'eco di campane
giunge, che par di umane
voci diverse, un'eco.

È come l'armonia
d'una dolce preghiera
che salga, ne la sera,
verso le stelle, pia.

Pace! un rintocco freme
da la campana: tace
l'alta notte: indi - Pace! -
freme un rintocco, lento.

Ed ogni cor si placa
in un palpito uguale:
su da l'anima sale
un senso alto di pace.

Più serena la vita,
più securo l'amore
più lieve anche il dolore,
più facile la via.

Meno crudele il pianto
forte la gioventù,
e non c'inganni più
una speranza vana.

Innalzando a le stelle
gli occhi ed il cor, si pensa
con tenerezza immensa
tutto che il cor vorrebbe.

Abbia al suo desco un pane
quei che la man ci stende:
se a me la fiamma splende,
splenda a tutti una fiamma.

Non strugga acerbo il pianto
altri, e non stremi il duolo;
al padre il suo figliolo
duri, ed ai figli il padre.

Non ardan, nella notte
fochi men puri o degni;
amor soltanto regni
tutta la santa notte.

Vibra intanto un estremo
rintocco di campana.
Pace! l'anima umana
piange di tenerezza.

(Da "Tutte le poesie edite e inedite", IPL, Milano 1971)




NOTTE DI NATALE
di Giuseppe Albini (1863-1933)

La notte del Natale argentea, cheta
    Nel mite aer distendesi,
Mentre solingo a la solinga meta
    Salgo per le vie placide.

Ove sono le nevi turbinanti
    A la bufera gelida
Che sferza e avvolge ciechi i viandanti?
    Felicemente immemore,

In vetta a le montagne o tra i sonori
    Scogli il verno si esercita:
Qui, dolce come a' giorni degli amori.
    Inonda il plenilunio,

E sol, come un incenso, per i tersi
    Spazi e 'l divin silenzio
Raro esala vapor. I clivi immersi
    Ne l'aureola sfumano,

E le zolle riluccican di gemme
    Ove le ha tocche il vomere.
santa notte, i cori di Betlemme
    Che gioia nunziavano

Fammi tu riudire, e quando aggiorni,
    Duri tra i rei, tra i miseri.
Alquanto de la pace, in che si adorni
    Questi colli riposano.

(Da "Poesie", Zanichelli, Bologna 1901)




CANZONE DI NATALE
di Giuseppe Deabate (1857-1928)

È tornato il leggendario,
Il vegliardo incappucciato
Dei bambini e del lunario;
Ecco il verno è ritornato!

Batte il piè di neve eguale
Al palazzo e al casolare;
Picchia ai vetri delle sale,
Siede accanto al focolare;

Ride e mormora alle culle:
Il Natale è ritornato;
Bacia in volto le fanciulle:
— Bimbe mie, sono arrivato!

Presto presto per le stanze
A spiegar la bianca veste:
Questo è il tempo delle danze,
Questo è il tempo delle feste!

Alle porte dei tuguri,
Alle misere soffitte,
Agli squallidi abituri
— Dove giaccion derelitte

Le miserie al suolo ignudo —
Batte il vecchio e grida: Aprite!
Io per voi sarò men crudo,
Io per voi sarò più mite!

Così notte e dì vagando
Va il vegliardo incappucciato,
Va il vegliardo ramingando
Senza posa pel creato...

Via dall'uno all'altro ostello,
Varca monti e varca valli,
Scuote il candido mantello...
È una pioggia di cristalli.

Sovra i campi e sovra i tetti,
Su la terra desolata...
È una danza di fiocchetti,
È una grande nevicata:

Oh bei fiocchi, oh lunghe istorie
Dell'inverno, che desìo,
Quanto amor, quante memorie
Suscitate nel cuor mio!

Quando il tempo così lento
Ci pareva ad aspettarvi,
Quando l'occhio stava intento
Le lunghe ore a contemplarvi!

Oh bei sogni, oh sogni eterni,
Quanti giorni son passati;
Quante nevi, quanti inverni
Da quei dì son dileguati!

Quanti fior caduti al suolo,
Quante fedi in sulla via!...
Ecco lungi spicca il volo
La dolente anima mia,

Come passera smarrita
Per la terra desolata...
— Bimbe mie, non è la vita
Che una grande nevicata!

(Da "Il canzoniere del villaggio", Casanova, Torino 1898)




NUOVO NATALE
di Giulio Salvadori (1862-1928)

Dimmi, Pietà materna,
dimmi, Desìo d'amore,
sai la Parola eterna
per cui dà vita il cuore?

Aprirsi ama: bisogno
d'un'altra vita, ardente
palpito, non di sogno,
ma d'altro cuore ei sente.

Se non è cuor mortale,
è palpito del cielo.
Oh uscir di sé! fatale
luce e di morte gelo

È l'ideal bagliore,
se in esso io resto assòrto.
Ah, il mio fratello muore
ed il mio cuore è morto.

No, non è morto! Ardore
divino e umano, eterno,
tocca il mio freddo cuore,
scioglie il suo triste inverno,

E un tenero Bambino
vivo nel cuore è nato.
Ah, il suo riso divino
è dal dolor velato!

I poveri, gli afflitti,
i misteri gementi,
gl'infanti derelitti,
i languidi, i morenti

Vedo in quel mesto velo
e in Lui li stringo al petto.
Nel palpito del Cielo
il nuovo Fiat è detto.

(Da "Ricordi dell'umile Italia", Libreria Editrice Internazionale, Torino 1918)




NOTTE SANTA
di Ada Negri (1870-1944)

Madre, una notte di Natale io penso
con neve in terra e fulgor d'astri in cielo,
e dentro il gemmeo fluttuante velo
un aroma nostalgico d'incenso.

Tu sfioreresti il suol col passo alato
de' tuoi tempi più belli — allor che il gajo
cuore batteva al ritmo del telajo,
e povertà ridea senza peccato.

L'anima in petto io sentirei tremare
quale a fior della neve il bucaneve;
scendere a me vedrei, con volo lieve,
bianche angelelle, nel candor lunare.

Soavissima notte!... — Uno stupore
d'infanzia, un'innocenza di bambino
addormentato. — Io non avrei vicino
al cuor che il soffio del tuo grande cuore.

Narrerebbero intanto le campane
che nacque ancor fra i poveri Gesù.
E noi s'andrebbe, io senza meta, tu
senza ricordi, per le valli piane,

salmodiando in pace — ed al fiorire
dei cieli, all'alba, in violette e in gigli,
ritorneremmo tacite ai giacigli
rupestri, per sognare e per morire.

(Da "Dal profondo", Treves, Milano 1910)




PRESEPE RUSTICO
di Augusto Ferrero (1866-1924)

Lassù, lassù, fra i vertici nevati,
asceta solitario
veglia il piano l'antico Santuario.
Ivi quando il granturco al sol biondeggia,
e nel romito bosco
ogni sito più fosco
avviva di color gaio il ciclamo,
traggon dai popolosi
borghi le genti a placidi riposi.

Ora nel manto candido di neve
l'antico veglio dorme.
Tace l'eco dei grandi ippocastani
ché ai recessi montani
non peregrinan più divote torme
o di pace bramose anime elette.
Nel luogo austero e pio
resta qualche pastor sceso dall'alpe
e un canuto e fedel servo di Dio.

Qual fra le giovinette, onde frequente
avea tributo la Madonna Nera
di felci e fior boschivi,
or qui, ne' cittadini agi cullata,
ancor volge un dolente
pensiero ai verdi clivi,
onde i borghi apparivano nel piano
bianchi navigli erranti
ai confini del mare alto, lontano?

O morti boschi, nel fatal silenzio,
acque del rio gelate,
cui traevan le mandre all'arsa estate,
ermi angusti sentieri
pei dorsi aspri e selvosi,
abissi orrendi e neri,
a cui nel fondo strepita la Ianca,
o fra rupi obliati casolari,
cui la neve ora copre, uguale e bianca,

ancor, di questi giorni all'allegrezza,
vi rimembra il poeta.
Pensa al solenne antico Santuario,
che guarda, solitario
meditabondo asceta,
fremere lungi le città, nel piano.
Ivi un'ignota mano
foggiò un povero e rustico presepe:
v'è il pargolo Gesù con la Famiglia,
e il bove all'asinello assai somiglia.

Mi sta, quel rozzo e povero presepe,
tuttor nella memoria.
E al canuto e fedel servo di Dio
ed ai pochi pastor scesi dall'alpe
al luogo austero e pio,
d'ogni festa esigliati
nel silenzio invernale,
lassù, lassù, fra i vertici nevati,
invio fraternamente il buon Natale!

(Da "Nostalgie d'amore", Roux e C., Torino-Roma 1893)




PRIMA LUCE
di Antonio Della Porta (1868-1938)

Domani splenderà la prima luce
De l'anno; e il vivo suono de la buona
Opera umana correrà pel mondo
Allegramente; e chiederan le sorti
Liete li umani al giovinetto nato
Lui deprecanti pel futuro bene.

Dolce promessa d'ogni dolce bene,
Se il padre sole indorerà la luce
Nova, sarà che rechi il nuovo nato,
Seco adducendo la letizia buona
Ristoratrice salda de le sorti
Che han diversa vicenda per il mondo.

E ciascuno invocante, al picciol mondo
Di sue spemi recondite, il gran bene
Trarrà nel'auspicio; e, tra le sorti
Dolorate in silenzio, egli la luce
Novella chiederà, non su la buona,
Ma sovra la più triste a l'anno nato.

E, guardando nel sole: — O nuovo nato
Cui volgasi anelante il cuor del mondo —
Pregherà, ritrovando, alata e buona,
La voce rituale, — il sommo bene
De la speme ch'è in te, ne la tua luce,
Rinnovi la più triste di mie sorti. —

Così, Madonna, io penso de le sorti
Mie rifiutare, per virtù del nato
Novello, quante a la novella luce
Domani saran fosche, in faccia al mondo;
Incorruttibil gioia, il nostro bene
Risplenderà sola speranza buona.

Ne la remission timida e buona
A l'arbitro di tutte nostre sorti,
Io sentirò la voce, o solo bene,
Tua mormorare: — È giorno; il sole è nato;
Destasi l'opra umana per il mondo
Giulivamente a la propizia luce.

La prima luce avviva con sì buona
Letizia il mondo, che le nostre sorti
Fremono: l'anno è nato, il grande bene! —

(Da "La bella mano", Zanichelli, Bologna 1891)




QUESTA SERA
di Francesco Cazzamini Mussi (1888-1954)

Metti legna sul camino,
versa un gotto nel bicchiere:
sono astemio, ma vo' bere,
questa sera,
come tutte l'altre sere.
Oh ben vengano i ricordi,
questa sera!
Troveranno un bel bracere
nel mio cuore
ed il vino buon umore!
S'avvicina il capodanno
e le pietre spacca il gelo.
Poco male! Poco danno!

Metti legna sul camino,
versa un gotto nel bicchiere:
sono astemio, ma vo' bere,
questa sera...

I ricordi, se verranno,
poveretti, a salutarmi,
questa sera,
da devoti vecchi amici
non avran viso dell'armi,
ma pensando agli infelici,
e magari ai più felici,
guarderemo insieme il cielo...
S'avvicina il capodanno
e le pietre spacca il gelo.
Poco male! Poco danno!
Senti? Il vento come urla...
Se spogliasse la foresta,
solamente!
Ma le carni ti raggela
ed un brivido ti corre
per la pelle.
Nelle valli, tra le forre
fischia e indomito ribelle,
or ti sbatte come vela,
or ti bacia come femmina
che ti culli dolcemente.
Ride, piange, stride ed urla.
Ah, col vento non si burla!
Ma la nebbia scende lenta
come un velo,
che nasconde, che confonde.
Onde, onde, onde, onde...
Fascia, smorza ogni rumore.
Tu la senti mareggiare
impalpabile, sottile.
Ov'è il sole dell'aprile?
Delle stelle il scintillare?
Tu la senti anche nel cuore.
E la sente, anch'esso, il fuoco
che languendo a poco a poco
s' addormenta.
E la nebbia sonnolenta
scende lenta lenta lenta.
Metti legna sul camino,
versa un gotto nel bicchiere:
sono astemio ma vo' bere
questa sera...

In campagna a capodanno?
Che stranezza d'annoiato!
Capodanno... Il vecchio è andato,
l'anno nuovo se ne andrà...
Oh se quello ritornasse...
Ritornare?
Non si può dall'al di là!

Quella povera piccina
che mentiva tanto bene,
e d'un riso luminoso
ingannava amante e sposo,
quella povera piccina
non ritorna al nostro bene.
Nostro. Quello proibito,
che fu il mio,
quello onesto e stabilito
del marito.
Quella povera piccina
che farà, lassù, con Dio?
E poi l'altra... E l'altra ancora...
Non son morte... Questo è il grave,
che il morire
fa il ricordo più soave...

Metti legna sul camino,
versa un gotto nel bicchiere:
sono astemio, ma vo' bere,
questa sera...

Quelle povere ragazze,
un po' sciocche, un poco pazze,
della dolce vita vana?
Come spuma nel bicchiere!
Oh! Ma le altre, più severe
di soverchie primavere?
Penitenza di peccati
che non voglio perdonati!

La città, come sperduta
nella nebbia, è sì lontana!
Oh che il vino m'è cattivo,
se rivivo
quel ch'è stato e non ritorna,
se l'imagine ravviso
d'un sorriso
della dolce vita vana.
La più dolce... O tu che bevi,
non posare la tua tazza
mentre infuria l'allegria,
sazio, lesto, a passi lievi,
vieni via...
In campagna a capodanno?
Che stranezza d'annoiato!
Chissà quanto m'ha cercato
in città Doretta mia!

Metti legna sul camino,
versa un gotto nel bicchiere:
sono astemio ma vo' bere,
questa sera...

Oh saggezza che zampilli
nel chiarore
del liquore,
che scintilli
su dal ceppo che ancor arde!
Tutto il resto? Ubbìe bugiarde.
Ecco, allungati che il fuoco
ti riscaldi a poco a poco...
L'infinito... L' avvenire...
Che sgomento!
Che morire!
Urli il vento
furibondo,
e sul mondo
cali pur la nebbia greve.
Qui fa caldo e si sta bene...
Che più cerchi? Dentro il breve
limitare
del camino c'è la vita,
fuori, il mare
della notte alta infinita,
fuori, il vento furibondo
e la nebbia densa e greve.
Poi, chissà, forse, la neve...
Oh tu saggio, tu che ronfi,
o segugio de'begli anni,
Ti ricordi, quante lepri?
Ora, stanco, stai vicino
alla soglia del camino,
triste, pieno di malanni,
né annusando tra i ginepri,
tra le oscure selve intatte,
tra le fratte,
segui il filo dell'agghiaccio.
Ti ricordi quante lepri?
Ora, molle come straccio,
o vescica che si sgonfi,
ti rasciughi i reumi e gli anni.
Non s'asciugano, ahimè, gli anni...

O Brighella, qua la zampa.
Su, la lepre passa, arrampa
per le balze, alla montagna...
Quanta strada già guadagna!...
Su, gagliardo tra i gagliardi!
Tu non senti? Dormi?... È tardi...

Oh, dormire!

Metti legna sul camino,
versa un gotto nel bicchiere:
sono astemio, ma vo' bere,
questa sera...

(Da "Le allee solitarie", Ricciardi, Napoli 1920)




PAESAGGI, I
di Mattia Limoncelli (1880-1966)

Lontano le città nel luccicore
fatte presepi a specchio delle rive
esitan bianche bianche entro un vapore.

Le ricingono — sciarpe fuggitive —
impazienti, argentei canali
dopo lentezze gelide, invernali.

Un va e vieni di locomotive
su una rete binaria
con frequenza di spole
dai folti centri via pei campi svaria
entro occhiate di sole:
mesce i randagi popoli
delle fosche metropoli.

(Da "Faro senza luce", Treves, Milano 1922)




Cornelius Krieghoff, "Winter Landscape"