domenica 30 novembre 2014

Dicembre in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

DICEMBRE NELLA STANZA
di Siro Angeli (1913-1991)

Dicembre nella stanza
vuota mi inoltra. Duole
agli occhi quel riflesso
di sole che si insinua

dalle persiane. Sole
sul bianco soffitto
due mosche immote stanno.
Ma la vita continua

dicono. Il raggio fruga
inquieto l'ombra, sfiora
il letto intatto. Dentro
lo specchio c'è una fuga

di oggetti che ti ignorano.
Rigermina, all'inganno
del raggio, una precaria
estate. Ed ebbre, adesso,

le mosche in una danza
d'amore e morte vanno.
La vita è così varia.
D'oro per un momento

palpitano nell'aria;
poi giù sul pavimento
scendono a capofitto
come la mia speranza.

(Da "L'ultima libertà", 1962)





DICEMBRE
di Cesare Angelini (1886-1976)

Dicembre, il mese della santa festa
che ha fatto cristiane anche le nevi:
(ne parla il vento con sussurri brevi
ai sassi del ruscello, alla foresta).

Nel gran racconto, l'anima si desta
succhiando infanzia dai lontani evi.
(Le pievi ne discorrono alle pievi:
la terra tutta è un gran presepe in festa).

Nevica sui villaggi? Nelle veglie
le case tornano intime, sognanti;
le parole han riflessi di conchiglie.

Questa notte Gesù fa compagnia
al povero, al fringuello, al camminante
che come foglia fluttua per la via.

[Da "Autunno (e le altre stagioni)", 1959]





SUL LUNGARNO DI DICEMBRE, TRA UN PONTE E L'ALTRO IN COSTRUZIONE
di Piero Bigongiari (1914-1997)

È l'acqua che ha toccato la Tua mente
questa che scende dolcemente a valle
e muove il remo abbandonato sullo
scalmo come il pensiero al renaiolo.

È l'acqua del diluvio, delle tenebre.
Un blu affligge tenero le strade
poi più intenso è un colore d'uragano.

Da un caffé nel tepore del Lungarno
stendo la mano a Te, Signore delle
acque calme dentro la mandorla
cilestrina dei ponti,
                      lasciata la presa
si piega il timone della mia vita
al filo di queste acque indifferenti
dove il sole annega con luce lunare
un ultimo riflesso del fuoco primo.

Scendono dalla Tua eterna differenza
che nel lago del cuor m'era durata
i primi fuochi ciechi delle rive.

(Da "Le mura di Pistoia", 1958)





DICEMBRE
di Adriano Grande (1897-1972)

Il bel tempo è finito. Ecco a torrenti
dal ciel la pioggia; ed ecco, lamentosi,
dal mar, dai monti, i penetranti vènti.
Ecco la bruma dei pensieri ansiosi.

Questo, o Signore, delle risplendenti
fughe in natura, ove cercai riposi
e n'ebbi invece oscuri stordimenti,
m'avanza solo, nei dì dolorosi.

Sto inginocchiato con la fronte al suolo,
ma a Te non basta. Anche il mio pentimento
non dà riparo, lacero mantello.

Nell'antica miseria, al gelo e al duolo
rabbrividisco. Il nuovo smarrimento
lungi dal nembo, è il fuggir d'un uccello.

[Da "Poesie (1929-1969)", 1970]





DICEMBRE
di Carlo Michelstaedter (1887-1910)

Scende e sale senza posa
nebbia e pioggia greve e scura,
nella nebbia la natura
si distende accidiosa.

Goccia, goccia lieve chiara
va sicura al suo destin
scende e spera, e vanno a gara
altre gocce senza fin.

Giù l'attende terra molle
dove all'altre unita va
a formar le pozze putride
per i campi e le città.

Nella pozza riflettete
gocce unite in società
grigio in grigio terra e cielo
per i campi e le città.

Ma la noia il disinganno
fa le gocce sollevar
ed il bene che non sanno
van col vento a ricercar.

Dalle pozze dalle valli
sale il velo e in alto va,
non ha forma né colore
l'affannosa umidità.

Nella nebbia la natura
si distende accidiosa,
scende e sale senza posa
pioggia e nebbia fastidiosa.

(Da "Scritti", 1912)





DICEMBRE
di Nicola Moscardelli (1894-1943)

La cenere soffiata dal vento
si spande sulla soglia della casa
ove i mendicanti passando
scrivono pace con la punta del bastone
ma sotto l'ala dei grandi cappelli
grumi di rughe si sciolgono in lacrime.

(Da "Foglie e fiori", 1937)





MATTINA DI DECEMBRE
di Luigi Siciliani (1881-1925)

La nebbia che copriva e terra e cielo
a poco a poco intorno si dirada.
Ecco, tondeggia in mezzo al verde cupo
delle sue foglie il giallo degli aranci.
È nata l'erba; il suolo n'è coperto.
Qua marciscono, a piè dei loro gambi
pieni di foglie accartocciate e grigie,
abbattuti i notturni gelsomini;
là i crisantemi sembrano percossi
da una gran doglia e abbassano la loro
capellatura sotto il grave peso
dell'acqua che ne preme e steli e foglie.
Solo le rose ridono, là bianche,
qua porporine, a salutare il sole.

(Da "Arida nutrix", 1920)





DICEMBRE A PORTA NUOVA
di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)

Mi raccoglie nel suo gomito
Inerte la fredda sera d'autunno.
Scorre deserta sulle foglie
E mi ridesta a ogni tonfo 
Dei castagni. Tutto il bene
Che mi resta forse è in quest'ora
Calma che si accerta,
A questa svolta che si gonfia
D'acque perché la ripa si fa stretta.
Poi rotta la dolcezza dell'indugio
OgnI cosa decade con più fretta 
E non mi duole l'alito d'ombra 
Che mi gela la fronte. 
Sopra la spalletta curvo
Mi assale il vento dalla buca del ponte.

(Da "Vidi le muse", 1943)





DICEMBRE
di Diego Valeri (1887-1976)

Tristi venti scacciati dal mare
agitavano la città notturna.
Da nere gole aperte tra le case
rompevano, invisibili
ombre, con schianti ed urla;
si gettavano per le vie deserte
ferme nel bianco gelo dei fanali,
urtavano alle porte
sbarrate, s’abbrancavano alle morte
rame d’alberi dolenti,
scivolavano lungo muri lisci,
dileguavano via, serpenti,
con fischi lunghi e lenti strisci...

Ora mi sporgo all’attonita pace
della grigia mattina: tutto tace.
Teso il cielo di pallide bende.
Il gran cipresso, assorto, col suo verde
strano, nell’alta luce. Un coccio lustra
tra la terra bruna dell’orto.
Finestre senza tende, cupe,
guardano intorno. Non c’è voce umana,
grido d’uccello, rumore di vita,
nell’aria vasta e vana.
C’è solo una colomba,
tutta nitida e bionda,
che sale a passi piccoli la china
d’un tetto, su tappeti
fulvi di lana vellutata, e pare
una dolce regina
di Saba
che rimonti le silenziose scale
della sua fiaba.

(Da "Poesie", 1962)





TRE DICEMBRE
di Giorgio Vigolo (1894-1983)

La mattina che nacqui,
grigia e fredda di un tre dicembre,
il plumbeo cielo di neve
echeggiava di salve lontane,
(mi hanno detto, per non so quale
festa d'armi) e di là dal fiume
giungevano i colpi
sugli alberi del Lungotevere
al palazzetto di pietra serena.
Pareva che battesse un cuore
dentro a quel livido cielo di nuvole,
il mio piccolo cuore che palpitava
per lo spavento di nascere.

A forza d'immaginarla
mi ricordo di quella mattina;
alle origini d'ogni memoria
mi pare traudire in un sogno
remoto dal fondo
degli anni quel rombo,
quel cupo rintocco del cuore
che sempre ha battuto da allora,
che palpita ancora, che intona
i preludi del divenire.

(Da "La luce ricorda", 1967)

martedì 25 novembre 2014

Progetto di un'antologia sui poeti simbolisti italiani





Il simbolismo è una corrente letteraria che, probabilmente, ha espresso il meglio di sé in poesia; ciò non è avvenuto in Italia, bensì in Francia, dove tale corrente è nata e si è diffusa maggiormente. Ciò nonostante, anche nel nostro paese il simbolismo ha prodotto opere molto interessanti e di grande valore; alcune opere sono in versi e, se si eccettua qualche nome (come Giovanni Pascoli e Gabriele D'Annunzio) gli autori purtroppo non sono molto conosciuti. Circa quarant'anni fa il critico Glauco Viazzi, in collaborazione con l'editore Vanni Scheiwiller, si provò a delineare una poesia simbolista italiana rimasta fino ad allora un'astrazione vaga e indefinita; da questo tentativo nacque l'antologia Poeti simbolisti e liberty in Italia. Dopo quasi dieci anni, lo stesso critico ultimò un'ulteriore opera antologica: Dal simbolismo al déco, che approfondisse la precedente. Purtroppo quest'ultima uscì un anno dopo la scomparsa di Viazzi. Dopo di lui, se si eccettuano sporadici saggi, l'argomento non è stato più trattato.
In un periodo come quello odierno, in cui i libri hanno sempre meno importanza, è certo difficile pensare che qualcuno ritorni ad interessarsi della poesia simbolista italiana. Però, al di là di questa considerazione, se in futuro fosse possibile la stampa di un libro che tratti questo argomento, vorrei suggerire la struttura che potrebbe avere una ipotetica antologia.  La prima questione sarebbe sui nomi da inserire nella selezione poetica, e in questo senso direi che sarebbe necessario includere il maggior numero di poeti, divisi in svariate sezioni, più numerose di quelle adottate da Viazzi, eccole.



PRECURSORI

Enrico Nencioni
Domenico Gnoli
Enrico Panzacchi
Giovanni Camerana
Luigi Gualdo
Arturo Graf
Remigio Zena
Arturo Colautti
Vittoria Aganoor
Giovanni Pascoli
Giacinto Ricci Signorini
Alberto Sormani




MAESTRI E CAPISCUOLA

Gabriele D'Annunzio
Gian Pietro Lucini
Ceccardo Roccatagliata Cecardi
Agostino John Sinadinò




DECADENTI

Nicola Marchese
Giovanni Alfredo Cesareo
Domenico Oliva
Mario Mariani
Adolfo De Bosis
Aurelio Ugolini
Guido Vitali
Teofilo Valenti




ESTETI

Silvio Pagani
Mario Morasso
Romolo Quaglino
Ettore Borzaghi
Pier Ludovico Occhini
Guido da Verona
Antonio Beltramelli




ESOTERICI

Ricciotto Canudo
Raoul Dal Molin Ferenzona
Mornor Yadolphe
Enrico Cardile




NEO-ROMANTICI

Augusto Ferrero
Diego Garoglio
Riccardo Forster
Luigi Donati
Luisa Giaconi
Cosimo Giorgieri Contri
Guelfo Civinini
Alice Schanzer
Domenico Tumiati
Gustavo Brigante Colonna
Francesco Gaeta
Giovanni Croce
Riccardo Mazzola




INTIMISTI

Italo Dalmatico
Pietro Mastri
Angiolo Orvieto
Willy Dias
Giovanni Tecchio
Guglielmo Felice Damiani
Ugo Ghiron
Térésah
Enzo Marcellusi
Giuseppe Zucca




MISTICI

Antonino Anile
Virgilio La Scola
Ettore Botteghi
Luigi Orsini
Angelina Lanza
Emanuele Sella
Federigo Tozzi
Beniamino De Ritis
Augusto Garsia




SCUOLA LIGURE

Adelchi Baratono
Alessandro Giribaldi
Mario Malfettani
Alessandro Varaldo
Pier Angelo Baratono




SCUOLA SICILIANA

Angelo Toscano
Tito Marrone
Federico De Maria
Umberto Saffiotti
Giuseppe Rino
Francesco Biondolillo
Gesualdo Manzella Frontini
Luca Pignato




MUSICISTI

Enrico Annibale Butti
Giuseppe Vannicola
Giannotto Bastianelli




TRADIZIONALISTI, CLASSICISTI ED EPIGONI

Emilio Girardini
Marino Marin
Olindo Malagodi
Francesco Chiesa
Ettore Romagnoli
Alfredo Galletti
Francesco Pastonchi
Giovanni Chiggiato
Arturo Foà
Bino Binazzi
Biagio Chiara
Luigi Siciliani
Giuseppe De Paoli
Tommaso Sillani




DANNUNZIANI

Ettore Moschino
Fausto Salvatori
Edmondo Corradi
Vincenzo Fago
Lucio D'Ambra
Giuseppe Lipparini
Alfredo Catapano
Amalia Guglielminetti
Ettore Cozzani




CREPUSCOLARI

Giulio Gianelli
Yosto Randaccio
Carlo Chiaves
Remo Mannoni
Guido Gozzano
Fausto Maria Martini
Marino Moretti
Guido Ruberti
Carlo Vallini
Alberto Tarchiani
Sergio Corazzini
Umberto Bottone
Nino Oxilia




TRA LIBERTY E CREPUSCOLARISMO

Diego Angeli
Bruno Vignola
Enrico Fondi
Corrado Govoni
Aldo Palazzeschi
Alberto Viviani




FUTURISTI

Paolo Buzzi
Massimo Bontempelli
Enrico Cavacchioli
Francesco Cangiullo
Antonio Bruno
Alceo Folicaldi
Fausto M. Bongioanni




VISIONARI

Luigi Crociato
Guido Pereyra
Antonio Rubino
Giovanni Cavicchioli
Emanuele Castelbarco
Eugenio Gara
Francesco Scaglione




POST-CREPUSCOLARI

Diego Valeri
Francesco Cazzamini Mussi
Mario Adobati
Sandro Baganzani
Guido Marta
Mario Venditti
Giuseppe Villaroel
Fausto Valsecchi
Ugo Betti
Nicola Moscardelli
Giuliano Donati Pétteni




PRE-ERMETICI

Dino Campana
Arturo Onofri
Girolamo Comi
Luigi Fallacara




OCCASIONALI

Giuseppe Deabate
Marco Lessona
Pompeo Bettini
Angiolo Silvio Novaro
Sebastiano Satta
Giovanni Cena
Achille Leto
Ada Negri
Gino Del Guasta
Lionello Fiumi
Francesco Meriano




MINIMI

Rosario Altomonte
Giuseppe Altomonte
Carlo Basilici
Alessandro Benedetti
Antonello Caprino
Annunzio Cervi
Mario Cestaro
Stefano Cesare Chiappa
Massimo Coronaro
Enrico Damiani
Aldo Fumagalli
Giacomo Gigli
Giuseppe Giusta
Armando Granelli
Giorgio Lais
Guido Milelli
G. A. Sanguineti
Emilio Scaglione
Alfredo Tusti
Cesare Giulio Viola
Donatello Zarlatti
Mario Zarlatti



Volendo spiegare brevemente i motivi di tali divisioni, è importante dire che i PRECURSORI sono quei poeti del secondo Ottocento che più di altri tennero presente la corrente simbolista sviluppatasi in quel preciso periodo in Francia, e che furono i primi in assoluto in Italia a farlo. I MAESTRI e i CAPISCUOLA sono coloro che divennero dei veri e propri punti di riferimento per altri poeti più giovani; da qui nasce anche la categoria dei DANNUNZIANI, visto che Gabriele D'Annunzio fu il poeta più imitato ed ammirato in Italia proprio tenendo presente quel tipo di poesia che potrebbe definirsi decadente-simbolista. Come D'Annunzio, altri poeti si avvicinarono alle nuove tendenze letterarie nate nel paese transalpino, per questo li ho voluti catalogare come DECADENTI. Per ESTETI s'intendono quegli scrittori che predilessero i preziosismi, le parole ricercate e inconsuete e, soprattutto, la raffinatezza delle immagini e dei personaggi presenti nei loro versi. Negli ESOTERICI prevalgono invece le situazioni e le atmosfere in cui si svolgono riti pseudo-religiosi e iniziatici. Nei NEO-ROMANTICI si nota una assidua presenza di versi riconducibili al romanticismo: scuola che ebbe prosecuzioni e strascichi per oltre un secolo dalla sua nascita. In netto contrasto con gli aspetti esteriori e passionali dei romantici si pongono gli INTIMISTI, i quali, tutto sommato, anticipano i temi portanti dei CREPUSCOLARI; costoro, a loro volta, si posero in contrasto coi FUTURISTI, visto che nei loro versi predominava il rimpianto per il passato. La sezione TRA LIBERTY E CREPUSCOLARISMO vorrebbe, riprendendo un'altra sezione di una nota antologia curata da Edoardo Sanguineti, unire alcuni poeti che non possono essere inseriti in un gruppo specifico, vista la loro ecletticità (e si parla soprattutto di Govoni e di Palazzeschi). I POST-CREPUSCOLARI proseguirono la strada tracciata da Corazzini e sodali, intuendo che quel tipo di poesia era la migliore del tempo e che sarebbe stata imitata e tenuta ben presente per molto tempo oltre la sua epoca. Le SCUOLE (ligure e siciliana) di poesia simbolista si svilupparono agli albori del XX secolo, e vi parteciparono poeti di grande talento (Marrone e Giribaldi per esempio) che, per motivi vari, purtroppo si persero per strada. I MISTICI invece scrissero per lo più versi in cui prevale il sentimento religioso arricchito però, rispetto a coloro che li precedettero, di simbolismi più o meno palesi. I VISIONARI, come si evince dal termine, incentrarono le loro composizioni poetiche sulla "visione" (spesso ricca di riferimenti simbolici), ovvero su immagini, paesaggi e figure create in modo fantasioso e bizzarro. I MUSICISTI furono veramente tali, nel senso che, oltre a scrivere occasionalmente dei versi, crearono musica. I PRE-ERMETICI sono coloro che, come affermò anche il grande critico Luciano Anceschi, anticiparono la corrente poetica dell'ermetismo (e il riferimento è in particolare a Campana e a Onofri). I TRADIZIONALISTI, i CLASSICISTI e gli EPIGONI si vorrebbero riunire in un unico gruppo perché tutti hanno in comune la scarsa innovazione e la debole originalità dei loro versi, seppure tentarono tutti di inserirsi nelle nuove tendenze poetiche del tempo. Gli OCCASIONALI sono poeti che saltuariamente o accidentalmente scrissero poesie vicine al simbolismo. Infine i MINIMI, il cui elenco potrebbe essere ben più consistente, sono poeti che pochissimi conoscono, e che in molti casi non scrissero mai neanche un libro di versi, limitandosi a pubblicare le loro poesie sulle riviste letterarie di fine Ottocento e d'inizio Novecento.

giovedì 13 novembre 2014

Pensiero d'autunno

Fammi uguale, Signore, a quelle foglie
moribonde che vedo oggi nel sole
tremar dell'olmo sul più alto ramo.
Tremano sì, ma non di pena: è tanto
limpido il sole, e dolce il distaccarsi
dal ramo, per congiungersi sulla terra.
S'accendono alla luce ultima, cuori
pronti all'offerta; e l'angoscia, per esse,
ha la clemenza d'una mite aurora.
Fa ch'io mi stacchi dal più alto ramo
di mia vita, così, senza lamento,
penetrata di Te come del sole.



COMMENTO

Questa poesia di Ada Negri (1870-1945) è tratta dalla raccolta Vesperitna (Mondadori, Milano 1931), uscita quando l'autrice era già ultrasessantenne. Si tratta di una preghiera e, nello stesso tempo, di una meditazione che ha come argomento la morte. Quest'ultima è rappresentata qui dalle ultime foglie ancora appese agli alberi in autunno inoltrato; foglie che, nel giro di pochi giorni, sono destinate a cadere dai rami. La poetessa, guardandole in una serena giornata dell'autunno, si accorge che, pur nel momento estremo della loro esistenza, non dànno l'impressione di soffrirne (come capita troppo spesso agli esseri umani), ma al contrario sembrano pronte a cadere giù per ricongiungersi definitivamente con la terra dalla quale l'albero è nato. Quindi l'insieme della visione fa sì che la Negri inoltri una preghiera a Dio affinché le dia una forza interiore simile, sì che la ponga di fronte al trapasso senza drammi, assistita da una serenità che somigli a quella delle ultime foglie cadenti che si vedono sui rami irradiati dal sole autunnale.


John Everett Millais, "Autumn Leaves"


martedì 11 novembre 2014

San Martino (da un album)

Sempre ti vedo e penso, San Martino,
solo soletto e di notte in cammino.
Ed è la notte dei tempi, un piovoso
Medioevo remoto e pauroso.
Sei così rustico, sei così antico,
e così serio in volto e così amico!
Vai per terre e per borghi a passi eguali,
buon pellegrino, e liberi i mortali
d'ogni male, fai piovere e ristare,
della campagna nume tutelare.
Magno Martino, santo parrocchiano,
tutto tu puoi sul popolo cristiano.
A un tuo cenno è sconfitto anche il demonio
che tentò nel deserto Sant'Antonio.




NOTA

La poesia San Martino di Vincenzo Cardarelli (1887-1959), uscì per la prima volta ne Il Tesoretto. Almanacco delle lettere. 1939, Milano, Edizioni Primi Piani, 1939. Fu quindi inserita nel volume dei Meridiani della Mondadori dedicato al poeta di Tarquinia: Opere, la cui prima edizione fu stampata nel 1981; qui, la suddetta poesia è inserita nelle Poesie disperse. Per il medesimo argomento e per la stessa, inedita forma di filastrocca, è interessante, dello stesso autore, leggere anche Santi del mio paese.



El Greco, "San Martino e il mendico"

domenica 9 novembre 2014

Può bastare poco

Può bastare poco a riprendere fiato,
uno slancio puerile, un impeto a vuoto.
Non conosco le strade che calpesto,
i muri che rasento sconosciuto.
Come un ebete urlo a mani alzate.
La vita non l'ho combattuta.
Ho schiacciato la miccia sotto i tacchi,
ho franto i fiori tra le dita.
E non mi accosto più
ai vecchi affetti, alle insegne abbattute.
Io allargo intorno il vuoto.



COMMENTO

La poesia di Leonardo Sinisgalli (1908-1981) intitolata Può bastare poco, fa parte della raccolta L'età della luna (Mondadori, Milano 1962). Il testo mostra una sorta di dramma personale, un senso di sconfitta, di inutilità e di vuoto che il poeta evidenzia in modi originali. Già i primi due versi spiegano che, per superare un momento critico della vita (riprendere fiato), non serve un evento importante, ma una semplice emozione o una piccola, stupida gioia momentanea. Dopo questa osservazione Sinisgalli sembra che inizi a fare un bilancio della propria esistenza, palesando un senso di estraneità nei confronti della società e delle cose che lo circondano; si rende conto di non aver vissuto come avrebbe voluto, di aver perso le occasioni, di aver rinunciato al combattimento per ottenere qualcosa d'importante. Alla fine, ciò che gli rimane è soltanto il vuoto, l'isolamento. Ma s'intuisce che in fondo, forse inconsciamente, il poeta ha cercato e voluto una situazione del genere, e che oltretutto tende a consolidarla.


Edvard-Munch, "Melancholia"

sabato 8 novembre 2014

San Martino e dintorni in 10 poesie italiane

San Martino cade l’11 novembre di ogni anno. Il clima dei nostri tempi, è cambiato: l’inquinamento atmosferico, come tutti sanno, ha causato un costante innalzamento delle temperature, mutando drasticamente le classiche caratteristiche delle stagioni. L’estate di San Martino, oggi, per i motivi che ho spiegato, non è più identificabile climaticamente parlando; in passato era un periodo compreso nella prima metà di novembre, e coincideva spesso con una serie di giornate serene, tiepide, tanto da far pensare ad un ritorno dell’estate. Ovviamente non sempre il tempo regalava queste belle giornate, ma già il fatto che in diversi anni, tale evento si ripetesse, fece in modo che gli esseri umani fantasticassero su una repentina e inattesa ricomparsa dell’estate, destinata durare pochissimi giorni. Ecco, a tal proposito, una serie di poesie italiane dell’Ottocento e del Novecento che parlano del giorno di San Martino e della sua estate.





SAN MARTINO

di Giosuè Carducci (1835-1907)

La nebbia a gl'irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale 
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini 
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi 
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.

(Da "Rime nuove", 1889)





NELL'ESTATE DEI MORTI
di Gabriele D'Annunzio (1863-1938)

Guarda. Non ha la terra una pianura
più dolce. Sotto l’autunnale giorno
come regina sta, porpora e oro,
immemore de l’alta genitura.
Alte le biade, se ricordi, in torno
fluttuavano come un mar sonoro,
avanzando la grande tua figura.

Guarda le nubi. Fendono leggère
talune il cielo come le galere
un ellesponto cariche di rose
che si riversan pe’ ricurvi fianchi;
vanno talune come gloriose
quadrighe tratte da cavalli bianchi;
figurando la forza ed il piacere.

Dense come tangibili velarii
scorrono il piano le lunghe ombre loro.
Entro splendonvi or sì or no le vigne
pampinee, le pergole, i pomarii,
e le foreste da la chioma insigne,
e tutte quelle sparse cose d’oro,
come entro laghi azzurri e solitarii.

Guarda. Ti dà la terra tutti i suoi
pensieri. Lèggi. Mai per le sue forme
visibili ella espresse più profondi
pensieri. (Io ben li leggo ora, da poi
che tu nel giorno più non mi nascondi
il sole.) Guarda come ella s’addorme
ne’ suoi pensieri. - Che faremo noi?

Oggi, per far più cupo il tuo pallore,
per far più triste l’anima dolente,
evocherò, come più tristamente
non volli mai - con una melodia
infinita, continua, che sia
senza numero quasi -, un grande amore
passato, un grande lontano dolore.

Tendevi, ne la luce ultima, ieri
verso i tuoi fulvi alberi ancor vocali,
tendevi tu l’orecchio, - ti ricordi? -
proclive, come un musico che accordi
una lira; ed a te l’ombre dei neri
capelli in fronte battevan come ali.
E parevi diffusa in quei misteri.

Or tu m’odi ne l’atto che mi piacque,
t’inclina al verso come a quel susurro
di morienti nel letale occaso.
Rimanesti in ascolto quando tacque,
immota; e l’ora ti coprì d’azzurro
e di silenzio pia. Sole, nel vaso
marmoreo, per te piansero l’acque.

Piansero quelle ch’eran sì canore!
Scendea l’azzurro col silenzio e il gelo
notturno, senza fine; senza fine
gli astri sgorgavan come adamantine
lacrime dal profondo cielo; e il cielo
era lontano come un grande amore
passato, un grande lontano dolore.

Odimi, reclinata verso il suono.
L’anima imperiosa, dal suo trono
piegando verso me che parlo, m’oda.
La farò triste come non fu mai.
Sol una volta almen tu piangerai,
tu che non ridi al verso che ti loda
e scuoti il capo quando io t’incorono.

(Da "Poema paradisiaco", 1893)





WATERLOO
di Romualdo Pantini (1877-1945)

San Martino, bel santo della guerra,
oggi ch'è la tua festa qua discendi,
e l'ombra de la tua lancia protendi
sopra la dissodata umida terra!

Chi mai t'invochi in questo dì non erra:
che nel primaveril sole risplendi,
e di luce benefica raccendi
ogni zolla che ancor sangue rinserra.

Ma i cavalli, che già scosser di polve
nembi pugnaci, traccian lenti i solchi
allo stanco richiamo dei bifolchi.

E al clangor delle trombe non risponde
che il fischio del vapor, e '1 sol confonde
con gli ori suoi la gloria e la dissolve.

(Da "Antifonario", 1906)





SAN MARTINO
di Camillo Sbarbaro (1888-1967)

La prima neve subito si squaglia,
e di ruscelli abbevera i maggesi.
Avvezzi i pin dei venti alla battaglia,
stanno nell'aria tepida sorpresi.

Ma per che l'ala intirizzita pesi
al passerotto che qua e là si scaglia;
e tace il verso dei tacchini vanesi,
e stecchita si drizza la boscaglia.

Pur se questo, Novembre, è un tuo trastullo,
e di timo non hai cespo che odori,
né lodoletta e lasci il pesco brullo,

mi piace il gesto tuo, perché t'accori
d'esser barbogio e vuoi tornar fanciullo,
come d'un vecchio che raccolga fiori.

(Da "Resine", 1911)





INSALATA DI SAN MARTINO
di Ernesto Ragazzoni (1870-1920)

I
È una tepida estate
di San Martino, tanto
dolce che le giornate
d’April non hanno incanto

maggior. Le stesse foglie
secche, per i vïali
più che l’aria di spoglie,
hanno un aspetto d’ali

mutevoli, lunghesso
i fossi e dentro i carri,
che se le tiran presso
in turbini bizzarri.

Io vo’ pei campi; avanzo
oltre i sentieri, e fumo,
contandomi un romanzo
per mio uso e consumo;

dove, com’è disegno
nelle oleografie,
ci son isbe di legno
sotto la neve, vie

tra pioppi ermi al tramonto,
cacciatori in cucina
attorno a un pasto pronto;
un’Ada, un’Ermelina

che guardan pei cancelli
se giunge Adolfo, Arturo;
rovine di castelli
chiuse in un cielo oscuro,

sassi di muriccioli
coll’edera, e un mendìco...
mulini... boscaiuoli...
un pozzo sotto un fico,

bimbi affacciati ai vetri
che guardan, chi sa dove;
passan forme di spetri
(son tanti dì che piove);

nubi, e una spiaggia incolta.
Insomma, l’arsenale
completo d’una volta,
romantico - autunnale.


II
Io vo’ pei campi, fiuto
per l’aria odor di tordi
arrosto, in un velluto
— cari! — di lardo a fior di

fiamma sovra uno spiedo;
e il buon odor mi viene
da un luogo che non vedo,
ma certo assai dabbene.

O pace! Che mai l’oste
mi servirà stasera?
Forse le caldarroste
— o pace! — e del barbera?

O le pere in giulebbe...
(che giorni ha San Martino!)
Né mi dispiacerebbe
prima uno stufatino.

Che pace! È come un lento
lasciarsi andare a caso
s’un fiume sonnolento,
incontro a un bell’occaso...

L’acque, in un loro velo
viola e d’or, pare ardano;
e sono l’acque e il cielo
silenzi che si guardano.

Io vo’ pei campi. Lungi
bruciano forse stipa,
c’è un fumo, e ve ne aggiunge
pur uno la mia pipa.

Oh, il fumo? Chi la sente
la nostalgia che ha
il fumo — che, silente —,
d’autunno se ne va,

(esule e senza casa)
d’autunno, e verso sera...
sulla campagna rasa...
ombra che si fa nera!

Con che, detta la mia,
(come la mulinavo!)
brava corbelleria,
fo’ punto, e vi son schiavo.

(Da "Poesie", 1927)





ESTATE DI SAN MARTINO
di Emilio Girardini (1858-1946)

Oh, la piccola estate! Al tempo bello
il tardo autunno infreddolito e vizzo
si ringalluzza come un vecchierello
che dal cantuccio ai campi esce rubizzo.

Io pur l'aggranchita anca mi rizzo
e lungo i miei viottoli, bel bello,
nel sole, a la vitalba, acceso tizzo,
sosto, o a una rosa languida a un cancello.

Ma, giunto a un bivio, simili a orfanelle,
se vogliono la madre che non hanno,
gemere udendo al vento tre alberelle

a piè di un calvo e taciturno abete,
m'auguro, sciolto dal fugace inganno,
fra quattro sue compatte assi quiete.

(Da "I canti della sera", 1931)





SAN MARTINO
di Luigi Fallacara (1890-1963)

L'autunno, doratura
d'alberi e di paesi,
sulla nera pianura,
gli aridi fuochi ha accesi.

Passeggero brillare
di splendori fra i rami,
dolce sogno a sognare,
per me senza richiami.

Guardo, appare, si perde,
ciglio di neonata,
l'esile filo verde
del grano dell'amata.

Le bianche radichette
affonda la semente,
la primavera mette
oggi il suo primo dente.

(Da "Antologia", 1934)





ESTATE DI SAN MARTINO
di Cesare Pavese (1908-1950)

Le colline e le rive del Po sono un giallo bruciato 
e noi siamo quassù a maturarci nel sole. 
Mi racconta costei - come fossi un amico -
«Da domani abbandono Torino e non torno mai più.
Sono stanca di vivere tutta la vita in prigione».
Si respira un sentore di terra e, di là dalle piante,
a Torino, a quest'ora lavorano tutti in prigione.
«Torno a casa dei miei dove almeno potrò stare sola
senza piangere e senza pensare alla gente che vive.
Là mi caccio  un grembiale e mi sfogo  in cattive risposte
ai parenti e per tutto l'inverno non esco mai più».
Nei paesi novembre è un bel mese dell'anno:
c'è le foglie colore di terra e le nebbie al mattino,
poi c'è il sole che rompe  le nebbie. Lo dico tra me
e respiro l'odore di freddo che ha il sole al mattino.
«Me ne vado perché è troppo bella Torino a quest'ora:
a me piace girarci e vedere la gente
e mi tocca star chiusa finch'è tutto buio
e la sera soffrire da sola»! Mi vuole vicino
come fossi un amico: quest'oggi ha saltato  l'ufficio
per trovare un amico. «Ma posso star sola cosi?
Giorno e notte -l'ufficio - le scale - la stanza da letto
se alla sera esco a fare due passi non so dove andare
e ritorno cattiva e al mattino non voglio più alzarmi.
Tanto bella sarebbe Torino - poterla godere 
solamente poter respirate». Le piazze e le strade
han lo stesso profumo di tiepido sole 
che c'è qui tra le piante. Ritorni al paese.
Ma Torino è il più bello di tutti i paesi. 
«Se trovassi un amico quest'oggi, starei sempre qui».

(Da "Poesie del disamore", 1977) 





ESTATE DI SAN MARTINO
di Gian Carlo Conti (1928-1983)

Una nebbia sospesa appena si distende
sui neri solchi e le siepi già irte,
ma il sole è ancora tiepido
in questa lunga estate di San Martino
in cui cammino a passi lenti per la via,
che non conduce più a verdi paradisi,
ma ad una casa vicina,
al naturale confine della vita.

(Da "Il profumo dei tigli", 1960)





L'ESTATE DI SAN MARTINO
di Carlo Betocchi (1899-1986)

Questi che scopa, scopa
le sue foglie d'autunno
nel sol di San Martino,

questo buffo becchino,
in tuta, malinconico,
che i pensieri di casa

nella scopa travasa,
mentre la fa pei lastrici
puliti andar per nulla

tra il vento che gli frulla
le crepitanti foglie,
via! povero gnomo...

E soltanto gli giova,
di quel lavoro inutile,
quel che ripensa e cova

dell'umil vita in sé:
lì presso, intanto, un cumulo
di tali foglie brucia,

e quieto par che dica:
- Ad altro indirizzo
col mio bel ghiribizzo

di fumo al vento; e... senti,
senti sì come odora
di ciò che fu e sarà! -

Di quante libertà
fatto è il mattino: ognuno
ha la sua propria, e tutte

ne fann'una; e niuna è sola,
e tutte sono sole:
e c'è il sole per tutti.

Anche per me, simpatico
passeggiator che passo
e sbocconcello un pane

con l'uva e il ramerino,
e con l'occhio strapazzo
(tal quale un giovinastro

le fuggiasche ragazze),
l'aria fresca, pungente,
le frasche d'un giardino,

il mio caro spazzino.

(Da "L'Estate di San Martino", 1961)

domenica 2 novembre 2014

Novembre in 10 poesie di 10 poeti italiani del XIX secolo

Novembre, penultimo mese dell'anno, detto anche "mese dei morti", perché nel suo secondo giorno ricorre la commemorazione dei defunti. Per quanto mi riguarda, ho sempre amato Novembre, che viene troppo spesso descritto in modo negativo, con aggettivi che si rifanno a sentimenti tristi. Purtroppo, negli ultimi anni a Novembre sono accaduti eventi climatici e atmosferici tali da renderlo ancor più odioso. Ma se accade questo, se le piogge sono sempre più abbondanti e violente, se si susseguono alluvioni, bombe d'acqua e quant'altro, è veramente colpa di Novembre? Non c'entra nulla l'uomo? Comunque la pensiate, ecco 10 poesie di 10 poeti italiani dell'Ottocento, in cui Novembre viene descritto con quel romanticismo che ancora era di moda in quel secolo per noi così lontano. Com'era bello, allora, il Novembre!



NOVEMBRE
di Fausto Bonò (1832-1890)

Stavamo alla finestra,
Ed attraverso i vetri
Vedevansi grigi e tetri
Gli orti, le case, il ciel;

Mentre le morte foglie
Che con fioco lamento
Fea turbinare il vento
Portava il fiumicel.

Noi tacevam: tremando
Sulla chiusa vetrata
Dall'alito offuscata
Io scrissi: - T'amo, e tu? -

Ella arrossì: col dito
Scrisse non so che cosa,
Ma il ciel si tinse in rosa,
Altro non vidi più.

(Da "Poesie edite e inedite", 1890)





AL PITTORE LORENZO DELLEANI
di Giovanni Camerana (1845-1905)

Conoscete in Val Pesio il paesello,
Il grigio guardian della vallata?
Incubo e spia, gli sovrasta il castello
Dalla montagna squallida e bruciata.

Strepitante di sol, taglia il murello
I bitumi e le ombrìe della borgata,
E il campanile scintillante e snello
Fende l’aria autunnale immacolata.

È il giorno sesto di novembre, è l’ora
In cui fumano i tetti, e barcollando
L’enorme disco rovente si affonda

Nel zaffir delle gravi Alpi; e tu ancora
Una volta, sognando e contemplando,
Stampasti la virile orma profonda.

(Da "Poesie", 1968)





NOVEMBRE
di Giuseppe Deabate (1857-1928)

Da gli alberi le foglie ad una ad una
Con mesto crepitìo cascano giù:
Così è caduto l'amor mio; nessuna
Dolce speranza in cor palpita più!

Passò l'estate, ahimé! l'ore gioconde...
Il sorriso dei miti occhi passò;
Venne la pioggia delle foglie bionde,
E l'inverno del cuor seco portò.

(Da "Il canzoniere del villaggio", 1898)





LA FINE VOLGARE E TENERA
di Cosimo Giorgieri Contri (1870-1943)

Le povere viole hanno un lontano
odor di morte che mi fa sognare:
violettine di novembre rare
portemi dalla tanto amata mano!

Ella le tolse — oh vi morìan sì bene! -
dalla pelliccia della sua mantella:
le violette nella mano bella
avevano il color delle sue vene:

care pallide vene ove già tanto
s'indugiò la bocca disiosa:
care pallide mani ove il mio pianto
cadea come rugiada entro una rosa.

Io le dissi: Amor mio, ti sovverrai,
ti sovverrai di me, sempre? Sorrise
ella, la mano dalla mia divise,
— oh! il sorriso più triste che fu mai -

e mormorò misteriosamente:
Si; per sempre: ricordati anche tu...
Io non risposi, io non risposi più...
Mi figurai la cara bocca assente,

la cara mano ad altre strette unita:
e un dolore cocente, una paura
della mia solitudine futura
mi traboccò nell'anima smarrita.

Strinsi la mano gelida, la mano
spoglia del guanto; e le dissi: Perdona,
quanto cattivo io fui, tu che sei buona,
tu che tenera sei, quant'io fui vano...

Ti sovvenga di me come di un mite
ricordo, di un amor dolce, o diletta:
o mille e mille volte benedetta
l'anima che fu vostra benedite.

Oh! il sottil gesto! Ella tolse dal petto
le violette di novembre, rare:
eran fresche così, d'un violetto
così molle, così piccole e chiare,

ch'io ripensai le sue piccole vene
tramanti l'epidermide sottile,
e la dolcezza del "Ti voglio bene„
detto altre volte al polso signorile.

Con strider lungo un tram sopravveniva:
ella alzò il braccio, lenta, in gesto lento:
mentre il tram si fermava, io lo rammento,
vidi che il dolce viso impallidiva.

Poi salì: mi gettò come un addio
il suo profumo di viole rare:
e fu la fine tenera e volgare
che la tolse al mio sogno e all'amor mio.

(Da "Il convegno dei cipressi", 1894)





TRISTEZZA DI NOVEMBRE
di Arturo Graf (1848-1913)

La prima neve imbianca
La sommità del colle:
Scende una pace stanca
Sulle mietute zolle.

Di trilli e di richiami
Più non risuona il bosco.
Oh, lo squallor dei rami
Nell’aer freddo e fosco!

La dïafana spera
Dello stagno sopporta
Qualche piuma leggiera
E qualche foglia morta,

E fa veder, raccolti
Nell’orbe che la chiude,
Gli spettri capovolti
Delle arbori ignude.

Fuor della rupe cava
Querulo il fonte sgorga;
Ma fiore più non lava
Che in suo margine sorga.

L’aere impigrito e denso
Smorza la luce e il suono;
Spira ogni cosa un senso
Di tedio e d’abbandono.

D’una tristezza greve
L’anima mia s’ingombra:
Ecco la prima neve,
Ecco il silenzio e l’ombra.

Tornerai tu, se l’ôra
Blanda t’inviti, o maggio?
Rinverdiranno ancora
L’olmo, la quercia, il faggio?

Rinverdiran quei salci
Che dalla sponda a gara
Lentano i molli tralci
Sull’acqua muta e chiara?

Si copriran di novi
Fiori la piaggia e il brolo?
Rispunterà tra’ rovi
Il tenero giaggiolo?

Come novella sposa
Che s’alzi alla mattina,
Risorgerà la rosa
Dalla sua verde spina?

Faran da stranii lidi
Le rondini ritorno?
Pigoleranno i nidi
Al rinnovar del giorno?

O dolce primavera,
E tu che tanto amai,
Solitudine austera,
Vi rivedrò più mai?

D’una tristezza greve
L’anima mia s’ingombra:
Ecco la prima neve,
Ecco il silenzio e l’ombra.

(Da "Medusa", 1890)





LA GRIGIA NEBBIA DI NOVEMBRE...
di Olindo Guerrini (1845-1916)

La grigia nebbia di novembre ammanta 
Del paterno villaggio i casolari, 
Stridono i tizzi verdi in sugli alari, 
Geme il vento di fuori e il corvo canta. 

Oggi le donne pie disser la santa 
Prece dei morti a piè de' bruni altari, 
Ogni pietra, ogni croce oggi è compianta 
Dove dormon sepolti i nostri cari. 

Ma sono agli altri questi dì men gravi, 
Ma lieto il padre narra oggi al figliuolo 
Le antiche gioie e le virtù degli avi, 

Ma l'amor, la famiglia ad ogni duolo 
Recan oggi conforto e più soavi 
Sono i sorrisi, i baci... ed io son solo. 

(Da "Postuma", 1878)





NOVEMBRE
di Costantino Nigra (1828-1907)

Sull'irte stoppie dei mietuti campi
nella pianura grigia
la pioggia senza tuoni e senza lampi
scende lenta continua.

Come cappa di piombo, a poco a poco
s'abbassa il cielo. I villici,
nelle capanne affumicate, al fuoco
tendon le mani e guardano

per l'uscio aperto l'acqua che giù cade.
Ma l'affamata greggia
resta nei campi a divorar le rade
erbe del magro pascolo

nere di mota. Irrequieto attento
gira d'intorno e vigila
il cane, e su pel dorso ispido il vento
gli arruffa i peli ruvidi.

Ritto, appoggiato sul bastone, come
sentinella fantastica,
sta il pastor col cappuccio in sulle chiome
immoto all'intemperie.

Nella tasca ha la povera sua mensa,
dura ha la faccia ed ebete,
non favella, non opera, non pensa,
guata stupido ai nuvoli.

O vezzose Amarilli, o bionde Clori,
dai guarnelletti rosei,
o guinzagliate di nastrini e fiori
linde agnellette candide,

ecco il vostro Lindoro! Ahi! Sulla testa
ricci non ha né cipria,
e non vi mena ghirlandato a festa;
ai piedi nudi ha i zoccoli.

Ma dalla pieve suona il vespro. Ei piega
nel fango le ginocchia
e si fa segno di croce e prege.
Cade lenta la pioggia.

(Da "Idilli", 1893)





NOVEMBRE
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
                   senti nel cuore...

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
                   sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
                   fredda, dei morti.

(Da "Myricae", 1900)





NOVEMBRE
di Gabriele Rossetti (1783-1854)

Lascian gli alberi le spoglie
al venir dei dì brumali:
come cadono le foglie
così cadono i mortali;
ed ognuna, allor che scende,
par che dica a chi l'intende:

«Uom che passi, in me ti specchia,
se comprenderlo pur sai:
come fronda che s'invecchia
nel terren tu pur cadrai:
gioventù, se l'hai, si perde:
nell'estate anch'io fui verde».

Leve foglia, a te risponda
chi si sente un'alma in seno:
il mio corpo è gracil fronda
che rientra nel terreno:
tutto annunzia, a me d'intorno,
ch'indi venni e là ritorno.

Ma ragion che in me prevale
dice, unendosi alla fede,
ch'ho uno spirito immortale
come Quei che me lo diede:
torna al suol, ch'io tendo a Dio,
tu sei foglia, ed uom son io.

(Da "Poesie inedite e rare tratte dagli autografi", 1929)





NOVEMBRE
di Ulisse Tanganelli (1853-1931)

Distillano le rame a goccia a goccia
La lor malinconia nel tempo dolco;
È giallo d'acqua nei maggesi il solco,
E il primo verde del frumento sboccia.

Zirlano i tordi in cerca mattutina
Di ginepri odorati; il pettirosso
Torna alle siepi nella chiusa villa.
E fitta fitta un'acquerugiolina

Sopra il gran lutto del saturnio dosso
Piange l'occhio del ciel senza pupilla.
Non aura spira, né virgulto oscilla;

Tace d'intorno ogni tumulto umano,
Ma con singhiozzi di dolor silvano
Il rio percorre la materna roccia.

(Da "La buona dea", 1892)