giovedì 28 febbraio 2013

Marzo in 10 poesie di dieci poeti italiani del XX secolo


L'ADOLESCENTE
di Cosimo Giorgieri Contri (1870-1943)

Sul mar, come velato
d'una nebbia fuggente,
il marzo adolescente
soffia un suo dolce fiato:

e giù dalli orti e dai
poggi il fiato si spande,
agile tra ghirlande
di futuri rosai.

Non vider occhi mai
un mattin più ridente:
per quanti, o adolescente
marzo, sorriderai?

Quanti cuor, quanti fiori
berran tuo dolce fiato,
in vista al mar, velato
di argentei vapori?

Poi che tu ben sorridi,
marzo, al pallido mare;
ecco: e il tuo riso pare
correr lungh'essi i lidi,

già luminoso tanto
che ogni cosa ne tepe;
e il cuore è come siepe
animata d'un canto.

Sorridi, o adolescente
marzo, in tue vesti chiare;
il mare è calmo: il mare
gode tacitamente;

viene a tratti, di mare
e di mandorli e di
peschi, un odor così
forte da inebriare.

Non pensiamo. Domani
dubiteremo ancora.
Non oggi: oggi s'infiora
marzo nei cuori umani:

e ognun che passa, come
ebro d'ignoti amori
risogna un sen che odori
sotto disciolte chiome.

(Da "Primavere del desiderio e dell'oblio", Lattes, Torino 1903)





MARZO
di Francesco Pastonchi (1874-1953)

Al novel tempo l'aere sereno
fa chiara nell'azzurro ogni montagna;
raggia di neve il culmine, un baleno
ha il rio che nel petroso alveo si lagna.

Ma là, dove il rigor del gel vien meno
cedendo al verdeggiar della campagna,
biancheggian fumi, e in qualche umido seno
striscia di nebbie cerule ristagna.

Sole, affretta il desio che trema e brilla
in ogni forma, se ben tutto tace,
e il tuo vigor novellamente infòndine;

si levi il canto che nell'ombra oscilla,
e questo velo fragile di pace
sia lacerato dalla prima rondine!

(Da "Belfonte", Streglio, Torino 1903)





ALITO DI MARZO
di Luigi Orsini (1875-1954)

O tiepido soffio di marzo 
    che il ciocco ultimo spegni, 
ma susciti in alto lo sfarzo 
    di più lucenti segni, 
e sei come l'alito ch'esce 
    largo da un petto umano, 
tu che, se spiri, già cresce, 
    già rinverdisce il grano; 
tu che, se svoli, si desta 
    ogni germe sotterra, 
e già de la vita a la festa 
    ogni cor si disserra; 
promessa di giorni più chiari 
    che a nòve spemi assenti, 
ond'è che azzurreggiano i mari, 
    sciolte le vele ai vènti: 
o àlito buono e odoroso 
    de le pie primavere, 
che avvivi lo sguardo pensoso 
    a le invernali sere, 
che guidi le rondini miti 
    su le memori gronde 
e chiami ai balconi fioriti 
    le fanciulle gioconde, 
che ad anime docili e pure 
    sogni più vaghi adduci, 
e fai che le fronti secure 
    s'incoronin di luci ; 
che spingi a le siepi tremanti 
    gli ansiosi vilucchi, 
e al bacio dei cieli esultanti 
    le nubi caste, a mucchi; 
tu sei come certe ventate 
    ch'errano per la vita, 
che giungon da plaghe ignorate 
    d'una terra sbandita, 
che vengon da zolle remote, 
    buone e misteriose, 
cui morso di gel non percote 
    ma carezzan le rose; 
che vengon da monti, da piani 
    ove eterno è l'amore, 
e stillano balsami arcani 
    e dà frutti il dolore : 
ventate ripiene di semi 
    benedetti e fecondi, 
che portano germi di spemi, 
    che rinnovano i mondi! 
Oh germi di palpiti santi, 
    oh dolcezze, oh richiami, 
che l'eco di placidi canti 
    lasciano in cor che s'ami: 
che scaldan con tenere cure 
    petti affraliti e macri, 
placano orribili arsure 
    come freschi lavacri: 
parole non mai proferite, 
    voci non mai intese, 
e piccole bocche sfiorite 
    a bocche altrui protese: 
occhiate che accendono al bene, 
    mani ploranti pace, 
e braccia che spezzan catene 
    a levare chi giace ! 
O tiepido soffio di marzo, 
    tutto in te si raccoglie, 
misteri, chiarori, onde, sfarzo, 
    acque, campane, foglie! 
In te, largo spirito, ch'esci 
    come da un petto umano, 
in te che, se tremoli, mesci 
    buffi e cori fra il grano: 
in te che, se penetri muovi, 
    ogni seme, sotterra; 
in te, onde a fremiti novi 
    ogni cor si disserra: 
in te che da lidi superni 
    a la valle infinita 
fra risa e fra palpiti eterni 
    fai rifiorir la vita! 

(Da "I canti delle stagioni", Antongini & De Mohr, Milano 1905)





FIORITA DI MARZO
di Ada Negri (1870-1944)

La fioritura vostra è troppo breve,
o rosei peschi, o gracili albicocchi
nudi sotto i bei petali di neve.

Troppo rapido e il passo con cui tocchi
il suolo — e al tuo passar l'erba germoglia
o Primavera, o gioja de' miei occhi.

Mentre io contemplo, ferma sulla soglia
dell'orto, il pio miracolo dei fiori
sbocciati sulle rame senza foglia,

essi, ne' loro tenui colori,
tremano già del vento alla carezza,
volan per l'aria densa di languori;

e se ne va così la tua bellezza
come una nube, e come un sogno muori,
o fiorita di Marzo, o Giovinezza!...

(Da "Dal profondo", Treves, Milano 1910)





MARZO
di Carlo Michelstaedter

Marzo ventoso
mese adolescente
marzo luminoso
marzo impenitente.

Marzo che fai tuoi giochi
con le nuvole in alto
e con l'ombra e le luci
dài mutevol risalto
alla terra stupita

alla terra intorpidita,
mentre dal seno le strappi
e le primole e le rose
e fresch'acque rigogliose
lieto fai rigorgogliare.

Ed il passero riscuoti
con la tua folle ventata
nella sua grondaia secca
nella siepe denudata.

Spazzi i portici e le calli
e la nebbia nelle valli
e la polvere degli avi
e i propositi dei savi
rompi e l'ombra delle chiese.

Ed il pavido borghese
che nell'essa porta il gelo
dell'inverno trapassato
e col corpo imbarazzato
geme il reuma ed il torpore,
che nel volto porta il velo
della noia ed il pallore
della diuturna morte,
si rinchiude frettoloso
si rinvoltola accidioso
e rincardina le porte.

Se lo scuoti e lo palesi,
marzo giovane pazzia,
la sua trista nostalgia
sogna il sonno di sei mesi.

Ei ti teme, dolce frate
marzo, terrore giocoso
ma tu passi vittorioso
sbatti gli usci e le impannate
con le tue folli ventate.

E la densa polve sveli
nel tuo raggio popolato
e sul legno affumicato
i vetusti ragnateli.

Poich'il termine al riposo
canti, marzo adolescente,
t'odia questa buona gente,
marzo luminoso.

Ma se t'odiano addormiti
nelle coltri riscaldate
ed i passeri impauriti
nelle siepi denudate,
t'ama il falco su nell'aria
che più agile si libra
nella tua ventata varia
e la sente in ogni fibra
lieto nella tua procella,
ché per lei si fa più bella
ché per lei si fa più pura
ai suoi occhi la natura.

Marzo mese luminoso
marzo adolescente
marzo mese irriverente
marzo ventoso.

1° marzo 1910

(Da "Scritti", Formiggini, Roma 1912)





MATTINA DI MARZO
di Carlo Stuparich (1894-1916)

  Questa mattina di marzo grigia e ventilata senza violenza, incontaminata ancora dall'industria polverosa, la sento come un dono espresso di un dio non pomposo. Il corpo rabbrividisce soltanto alla pelle, più dentro è tepido e mansueto come una primavera covata, e se le narici dilatate imbevono un po' di vento circolante, esso non porta né odor né sapore ma al cervello soltanto una leggerissima spruzzaglia di freschezza. La via che tutti i giorni mi mena al lavoro, vuota e immobile, senza svolte, si va assottigliando per essere più misteriosa in fondo, dove si ferma a una bassa parete di casa traversale impennacchiata di un'ala di verde cipressino: in fondo, dove il cielo cenere si indurisce e schiara in un bianco che se vi strisciassi la palma della mano lo sentirei come la madreperla intima di una conchiglia marina.

   Marzo 1915

(Da "Cose e ombre di uno", La Voce, Roma 1919)





SCHERZO DI MARZO
di Arturo Onofri (1885-1928)

  Il vento marzolino scava graziosi ombelichi d'azzurro nei corpaccioni dei nuvoli, che vanno ruzzolando pel cielo. Tra l'acqua a rovesci che spandono giù a quando a quando, e il sole che bevono ancora, quei cari giganti, non raccapezzandosi più per la gran sbornia di primavera, si lasciano andare a estrose scampagnate d'ombre e di luci, e mischiate fantasie di stagioni.
  La terra sta a guardarli, incantata di tanta arroganza, e dal fremito di seduzione che le fa offrire le rosee rotondità di colline e il ventre dorato di boschi, si capisce che n'è innamorata.
  Ma il vento maligno, che deve pensare agli amori più seri del sole, li caccia a nerbate per l'aria.

(Da "Arioso", Casa d'Arte Bargaglia, Roma 1921)





ACQUA DI MARZO
di Adriano Grande (1897-1972)

La breve acquata 
di primavera,
il ciel che a un tratto
s'oscura e torna limpido,
il caldo mezzodì, la rinfrescata
sera,
ora che marzo termina,
son meraviglie: incanti
di fanciullezza che a vivere impara.
Umor mutevole,
scherzo d'affetti, gioco
d'un sangue nuovo, questo
pianger del tempo
senza motivo e ridere,
all'uomo anziano lavano
l'anima un poco.

(Da "Strada al mare", Vallecchi, Firenze 1943)





MARZO
di Gian Carlo Conti (1928-1983)

Lasciatemi qui
a vedere il mondo alla rovescia:
la felicità mi fa girare la testa,
come a te il vino ti fa cantare
e dire cose care e sciocche,
gli occhi splendidi che mai
mi stancherei di baciare.

(Da "Il profumo dei tigli", Feltrinelli, Milano 1960)





MARZO E LE SUE IDI
di Bartolo Cattafi (1922-1979)

Di tutto diffido
del pugnale di bruto
della tenera carne di cesare
dello stesso destino
che passi presto il tempo
vengano alfine marzo e le sue idi.

(Da "Marzo e le sue idi", Mondadori, Milano 1977)





MARZO
di Carlo Betocchi (1899-1986)

Varia il tempo, fra scrosci di pioggia,
brevi serenità;
ne riluccica il rosso dei tetti,
dall'asciuttore solito. Riflette
quel suo color di nuovo che perdette
con gli anni. Poca cosa. Eppure
che ravviva un barlume, quasi dell'anima.
Ed il mio cuore fa come i colombi
grigi: in quel fresco umidore
bazzica, si rallegra del poco
che a uno specchio di sole
resta chiaro. E il cielo è amaro,
dolcemente amaro.

(Da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1984)


martedì 26 febbraio 2013

Poeti dimenticati: Domenico Oliva


Nacque a Torino nel 1860 e morì a Genova nel 1917. Fu valente giornalista e critico drammatico, ricoprì vari incarichi prestigiosi in politica e, in gioventù, scrisse anche due volumi di versi. In essi si trovano parecchi elementi tipici della poesia italiana ottocentesca, tra cui spiccano un vago gusto scapigliato, un più raro realismo e una primitiva tendenza a proporre le tematiche care alla poesia simbolista e decadente europea. Pur possedendo qualità per nulla trascurabili, la lirica dell'Oliva fu quasi totalmente ignorata, e fu forse per tal motivo che lo scrittore piemontese decise di abbandonarla molto presto in favore di altre, più gratificanti, attività.



Opere poetiche

"Poesie", Libreria editrice Galli, Milano 1889.
"Il ritorno", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1895.







Presenze in antologie

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903
"Poeti della rivolta", a cura di Pier Carlo Masini, Rizzoli, Milano 1978




Testi


NEL GRAN SILENZIO DELLA NOTTE...

Nel gran silenzio della notte e sotto
La vasta luce della luna s'odono
Voci lontane:
E son voci festose,
Canti d'ebbri, gridii di donne e strane
D'allegrie rumorose
Interrotte folate.
Ma tranquillo è il bastion candido e i candidi
Abitatori suoi sono tranquilli:
Le magre piante, grate
Alla lunar dolcezza,
Mostrano la bellezza
Dell'ombre lunghe e le grazie ridenti
Dei contorni lucenti.
Sempre sen riede questa
Fulgida festa
Di cose e d'orizzonti:
Per quei folli che cantano lontani
Ritornerà domani
La breve ora d'oblio?
Diman forse nemica
Li attenderà la sorte
Ovver la morte:
E, immaginando tremebondi Iddio,
Ei, renitenti invan, procomberanno
Nell'infinito vortice
Lividi e soli,
Ove del nulla i voli
Rapidamente avvolgonsi.

Milano, Febbraio 1888.

(Da "Poesie")

domenica 24 febbraio 2013

Il crepuscolo nella poesia italiana decadente e simbolista


Il crepuscolo è il momento del giorno che segue il tramonto e precede la sera, in cui è ancora presente una tenue luminosità del cielo. Nell'ambito del simbolismo poetico sono di fondamentale importanza i testi di Charles Baudelaire intitolati: Le Crépuscle du soir e Le Crépuscle du matin: entrambi descrivono dei momenti che precedono qualcosa, in questo caso la sera e il mattino, si tratta comunque di un'attesa o di una lento cambiamento, infatti ci dice il poeta in alcuni versi di Le Crépuscle du soir: «L'orizzonte si chiude lentamente» e «L'uomo impaziente si trasforma in belva». Ma il crepuscolo è inteso anche nell'accezione di perdita e di fine imminente; ciò si deduce leggendo alcuni versi da Le Crépuscle du soir. («È l'ora che i malati peggiorano! [...] Più d'uno non potrà più cercare la minestra odorosa, la cena accanto al fuoco, a un cuore che ama»). Altri componimenti relativi al crepuscolo sono presenti in poeti di fine Ottocento come Georges Rodenbach, Francis Jammes e Albert Samain, tutti o quasi con riferimenti precisi alla fine di qualcosa, alla malinconia e alla morte.




Poesie sull'argomento

Giovanni Camerana: "Guarda lo stagno livido" e "Bacia l'ultimo sole..." in "Poesie" (1968).
Francesco Cazzamini Mussi: "Malia crepuscolare" in "Canti dell'adolescenza" (1908).
Willy Dias: "Crepuscoli" in "Domenica Letteraria", marzo 1896.
Giuliano Donati Petteni: "Crepuscolo" in "Versi dorati" (1916).
Augusto Ferrero: "Crepuscolo" in "Gazzetta Letteraria", maggio 1893.
Enrico Fondi: "Crepuscolo laziale" in "Poesia", giugno 1906.
Diego Garoglio: "Crepuscolo nel podere" e "Ora crepuscolare" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Corrado Govoni: "Crepuscolo", "Crepuscolo di morte" e "Crepuscolo nel chiostro" in "Le fiale" (1903)
Corrado Govoni: "Petali di crepuscolo" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni: "Crepuscolo ferrarese" in "Fuochi d'artifizio" (1905).
Corrado Govoni: "Crepuscolo" (2 poesie) in "Gli aborti" (1907).
Olindo Malagodi: "Crepuscolo" in "Poesie vecchie e nuove" (1928).
Tito Marrone: "Crepuscolo" in "Cesellature" (1899).
Tito Marrone: "Il crepuscolo d'oro" in "Le rime del commiato" (1901).
Tito Marrone: "Crepuscoli d'inverno" in "Antologia poetica" (1974).
Arturo Onofri: "Crepuscolo d'agosto" in "Liriche" (1914).
Angiolo Orvieto: "Crepuscolo indiano" in "Verso l'Oriente" (1923).
Giovanni Pascoli: "Crepuscolo" in "Poesie varie" (1912).
Yosto Randaccio: "Crepuscolo di cielo e d'anima" in "Poemetti della convalescenza" (1909).
Alfredo Tusti: "Malinconie del crepuscolo" in "Giornale d'Arte", luglio 1905.
Teofilo Valenti: "Crepuscolo de la sera" in "Le Visioni" (1906).
Fausto Valsecchi: "Il crepuscolo della fede" in "Antologia della lirica italiana" (1924).
Alessandro Varaldo: "Nel crepuscolo bianco..." in "Marine liguri" (1898).
Giuseppe Villaroel: "Elegia crepuscolare" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).




Testi

CREPUSCOLO LAZIALE
di Enrico Fondi

Già sparve il dì sotto l’arco del cielo a l’estremo orizzonte
(non metallica volta di fucina, ove un fabro
Gigantesco foggi un mondo e nell’alto le impronte
Del suo lavoro accenda?): sol treman fra il cinabro

e l’ocra molle de’ cirri adamantini barbagli
che man mano snutriti van cedendo a la notte.
Che azzurro palpito è il mare! E, su, il cielo in che vivi frastagli
traccian gli strati! E come spiran leni le frotte

piumate delle brezze serotine! E come si stende
calma, nelle ombre, un’arra di superba dimane!
Per che ventura è sì azzurro il Tirreno? E sì nitido splende
Il cielo? E tersa è l’etra? Nè le nubi con strane

turpi Chimere, né offendono con fuliggìnei vapori
il trionfo dell’arco vitreo crepuscolare,
chè anzi un’armonia sonora di caldi colori
ne’ grembi hanno, stagnando, così, fra cielo e mare.

Oggi il divin Flutto, la vaga residua forza
de’ vergini elementi, in cui fervea non vano
un desìo distruttore, s’adunò – livida scorza
di fuso piombo – negli spazi e in un Uragano

si sfece, ebro, svellendo, per la sua rabbia gagliarda,
tutte le debolezze della multipla Vita,
tutta struggendo al suolo l’Impurità che ora guarda,
commista al fango, e ghigna contro a l’aria schiarita.

Nelle marine de’ cieli, sottili vanendo, gli strati
segnan le scie de’ venti (non pur l’addensamento
di tutti i cerebrali torpidi ingombri esalati
da la soggetta Roma con palustre fermento?),

né stridono, co’ grigi toni, a la cerula tregua,
ma letifican li occhi che vedono e che sanno.
La metallica volta che a grado a grado dilegua,
per l’incalzar delle ombre, lancia tra il loro inganno

l’accesa sfida, e chiara di gioie ne accerta la stanza
della dimane: il mondo novo che su le pire
del passato un gigante – l’invitto Pensiero che avanza –
sta foggiando per l’Uomo, di là, nell’avvenire.

 Monte Albano, - di agosto ‘904

 (Dalla rivista “Poesia”, aprile/maggio/giugno 1906)  

sabato 23 febbraio 2013

La pioggia in 10 poesie italiane del XX secolo

La pioggia è un argomento molto ricorrente nella poesia, in quella italiana ci sono poi diversi capolavori di poeti importanti come la famosissima Pioggia nel pineto di Gabriele D'Annunzio, da molti conosciuta e studiata sui banchi di scuola, non gli si può negare un fascino particolare quando descrive con maestria le sensazioni provate dal poeta e dalla sua donna che si trovano all'interno di una pineta durante una pioggia estiva: «Ascolta. Piove / dalle nuvole sparse. / Piove su le tamerici / salmastre ed arse, / piove su i pini / scagliosi ed irti, / piove su i mirti / divini, / su le ginestre fulgenti / di fiori accolti, / su i ginepri folti / di coccole aulenti, / piove su i nostri volti / silvani, / piove su le nostre mani / ignude, / su i nostri vestimenti / leggeri, / su i freschi pensieri / che l'anima schiude / novella, / su la favola bella / che ieri / t'illuse, che oggi m'illude, / o Ermione».
Era una poesia presente nei libri scolastici anche quella di Angiolo Silvio Novaro intitolata: Che dice la pioggerellina di marzo?; consiste in una confortante considerazione sulla pioggia marzolina che, al contrario di quella autunnale, è messaggera di nuova vita e della stagione primaverile ormai imminente: « - Passata è l'uggiosa invernata, / passata, passata! / Di fuor dalla nuvola nera, / di fuor da la nuvola bigia / che in cielo si pigia, domani uscirà Primavera ...».
Nell'ambito della poesia crepuscolare la pioggia è un elemento piuttosto frequente che si associa ad uno stato di depressione: un misto d'uggia e di tristezza. Corrado Govoni nella sua opera poetica Armonia in grigio et in silenzio ambienta molte sue liriche in un'atmosfera piovosa, tra le migliori c'è [Di fuori piove] che descrive, con lo stile inconfondibile del poeta emiliano, il tedio di una giornata uggiosa trascorsa in casa: «La buia solitudine / si scava la fossa: / la quieta quietudine / spuma la sua cimossa. / / I tappeti i bei racconti / velano di leggeri fumi; / nei ritratti, i ritratti a le fronti / affluiscono a grumi [...]. / Le imposte sono chiuse. / Il lume sembra un cero espiatorio / tra gli oggetti pieni di scuse. / e la camera è un purgatorio».
Anche nelle poesie di Marino Moretti la pioggia è spesso presente, un esempio è La domenica della pioggerella che fa parte delle Poesie scritte col lapis e rientra pienamente in quel tipo di ambientazione classica che predilige la poesia crepuscolare: un grigio giorno festivo, il cielo che piange e il suono delle campane che suscitano nel poeta un senso di struggente malinconia; sembra di leggere alcuni passi di Bruges la morta, romanzo di Georges Rodenbach: «E intanto, intanto di fuori / continua a piangere il cielo, / continua a stendere un velo / grigio sugli ultimi fiori, / / e una remota campana / continua i lenti rintocchi / solo perchè dai nostri occhi / scenda una lacrima vana».
Di nuovo crepuscolarismo e atmosfere autunnali contraddistinguono i versi di Guelfo Civinini in Pioggia d'ottobre: «Mormorano le gronde / nella piccola corte / sovra le foglie morte / canzoni moribonde. / / Il cuore si nasconde: / ha chiuso le sue porte, / pensa le foglie morte, / ascolta e non risponde».
Non lontano dalla poetica dei crepuscolari fu Diego Valeri, la sua lirica però (Pioviggina dalla raccolta Umana) prende le mosse da una giornata di pioggia per fare delle considerazioni esistenziali che però si concludono con una dichiarata incapacità di comprendere: «Ricordare?... Pensare?... / Io non so che ascoltare / la cantilena che le gronde arpeggiano / leggerissimamente / sul mio capo che brucia e mi fa male: / dolce lenta ed uguale, / dolce lenta ed uguale atrocemente».
Pensieri tristi balenano nella mente di Carlo Michelstaedter come si può notare leggendo i versi della poesia senza titolo che ancora una volta parla di un giorno molto piovoso e grigio: «Cade la pioggia triste senza posa / a stilla a stilla / e si dissolve. Trema / la luce d'ogni cosa. Ed ogni cosa / sembra che debba / nell'ombra densa dileguare e quasi / nebbia bianchiccia perdersi e morire ...».
Nella poesia intitolata In ritardo Giovanni Pascoli con la descrizione di un giorno di pioggia vuole porre in risalto un cambiamento di stagione (dall'estate all'autunno) che è rappresentato dalla pioggia stessa: «E l'acqua cade su la morta estate, / e l'acqua scroscia su le morte foglie; / e tutto è chiuso, e intorno le ventate gettano l'acqua alle inverdite soglie»; c'è poi la visione piuttosto ricorrente in Pascoli dei nidi delle rondini e, con l'approipinquarsi della notte, un netto riferimento alla morte imminente: «...e l'anno è morto, ed anche il giorno muore, / e il tuono muglia, e il vento urla più forte, / / e l'acqua fruscia, ed è già notte oscura, / e quello che c'era non sarà mai più».
Simile a quest'ultima è la poesia di Salvatore Quasimodo: Già la pioggia è con noi che trasmette una spaesata tristezza per l'inesorabile trascorrere del tempo: «Ancora un anno è bruciato, / senza un lamento, senza un grido / levato a vincere d'improvviso un giorno».
Termino con una profonda poesia della scrittrice Ada Negri, composta dalla maestrina di Lodi in tarda età e che ha come tema dominante il pensiero dell'al di là, palesato a seguito della descrizione di una precipitazione piovosa notturna, avvenuta all'inizio dell'autunno dopo un lungo periodo di siccità estiva: «Era la pioggia, sì; ma sovra un mare / di fronde mormoranti di felice /ristoro nelle tenebre; la prima / pioggia d'autunno, dopo un'arsa estate / tutta febbre di sole...»; poi la Negri esprime un desiderio: «Vorrei, pioggia d'autunno, essere foglia / che s'imbeve di te sia nelle fibre / che l'uniscono al ramo, e il ramo al tronco, / e il tronco al suolo; e tu dentro le vene / passi, e ti spandi, e sì gran sete plachi». Ma, come è ben noto, le foglie d'autunno si seccano e poi cadono; di questa cosa è ben consapevole la poetessa, però la sua speranza è che dopo la fine inevitabile della vita umana vi sia una rinascita, così come rinascono le foglie dell'albero in primavera: «Vorrei, pioggia d'autunno, essere foglia, / abbandonarmi al tuo scrosciare, certa / che non morrò, che non morrò, che solo / muterò volto sin che avrà la terra / le sue stagioni, e un albero avrà fronde».



LA PIOGGIA IN 10 POESIE ITALIANE DEL XX SECOLO


"In ritardo" di Giovanni Pascoli, da "Canti di Castelvecchio" (1903).

"Di fuori piove" di Corrado Govoni, da "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).

"La pioggia nel pineto" di Gabriele D'Annunzio, da "Alcyone" (1904).

"Che dice la pioggerellina di marzo?" di Angiolo Silvio Novaro, da "Il Cestello" (1910).

"La domenica della pioggerella" di Marino Moretti, da "Poesie scritte col lapis" (1910).

"Pioggia d'ottobre" di Guelfo Civinini, in "I sentieri e le nuvole" (1911).

"Cade la pioggia triste e senza posa" di Carlo Michelstaedter, da "Scritti" (1912).

"Pioviggina" di Diego Valeri, da "Umana" (1916).

"Pioggia d'autunno" di Ada Negri, da "Vespertina" (1930).

"Già la pioggia è con noi" di Salvatore Quasimodo, da "Ed è subito sera" (1942).
 
 
 

martedì 19 febbraio 2013

Antologie: "Poeti italiani del Novecento" di Vincenzo Mengaldo


"Poeti italiani del Novecento", a cura di Vincenzo Mengaldo, Mondadori, Milano 1978, è da ritenersi senza dubbio una delle migliori antologie presenti oggi sugli scaffali delle librerie, ed è certamente la migliore tra quelle dedicate ai poeti italiani del XX secolo. Il punto di forza di quest'opera è ritrovabile a mio avviso nella interessantissima e accurata introduzione, che, anche se può sembrare piuttosto lunga, risulta molto gradevole alla lettura. Qui sono spiegati in maniera molto precisa, informata e concreta, sia i criteri delle scelte fatte dall'antologizzatore, sia lo spazio temporale preso in considerazione per la selezione dei testi e dei poeti, sia le fasi principali in cui si è evoluta e sviluppata la poesia italiana tra il 1903 e il 1978. Si parte da Corrado Govoni, poeta che secondo molti critici fu il primo lirico novecentesco con le sue opere pubblicate nel 1903 ("Le fiale" e "Armonia in grigio et in silenzio"), per giungere fino ad Amelia Rosselli; la poetessa è infatti l'ultima tra gli scrittori selezionati. Vi sono, tra i poeti presenti, due sorprese: la prima è rappresentata da Massimo Bontempelli, prosatore lombardo molto noto, i cui versi pochi in realtà conoscono, visto che la sua sola opera pubblicata (escluse quelle ripudiate) è "Il purosangue. L'ubriaco", spesso ignorata o dimenticata dai critici e quasi mai inserita in antologie. L'altra sorpresa è Giaime Pintor, patriota e scrittore che morì in giovane età durante la 2° Guerra Mondiale, che è presente nell'antologia di Mengaldo con alcune traduzioni di poesie tedesche. Ecco infine l'elenco dei poeti inclusi nel volume.






Corrado Govoni, Sergio Corazzini, Aldo Palazzeschi, Guido Gozzano, Paolo Buzzi, Arturo Onofri, Marino Moretti, Umberto Saba, Luciano Folgore, Clemente Rebora, Dino Campana, Virgilio Giotti, Camillo Sbarbaro, Ardengo Soffici, Diego Valeri, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Ungaretti, Giovanni Boine, Massimo Bontempelli, Piero Jahier, Delio Tessa, Biagio Marin, Eugenio Montale, Attilio Bertolucci, Salvatore Quasimodo, Carlo Betocchi, Alfonso Gatto, Sergio Solmi, Giacomo Noventa, Mario Luzi, Cesare Pavese, Leonardo Sinisgalli, Giorgio Caproni, Sandro Penna, Vittorio Sereni, Giaime Pintor, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Orelli, Franco Fortini, Tonino Guerra, Nelo Risi, Andrea Zanzotto, Luciano Erba, Giovanni Giudici, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Albino Pierro, Antonio Porta, Giovanni Raboni, Amelia Rosselli, Franco Loi. 

domenica 17 febbraio 2013

La piazza e gli aranci tutti accesi

La piazza e gli aranci tutti accesi
con frutti rotondi e ridenti.

Baraonda di piccoli scolari
che, all'uscita sfrenata della scuola,
empiono l'aria della piazza in ombra
col gridio delle loro voci nuove.

Allegria d'infanzia ai cantoni
delle città morte!...
E un nostro qualcosa di ieri che ancora
vaga, vediamo, per queste vecchie strade.


(Antonio Machado)
Da "Poeti del Novecento italiani e stranieri", Einaudi, Torino 1960
 





Questa poesia di Machado stimola il pensiero a tuffarsi nei ricordi lontani, probabilmente per molti i più belli della vita intera: quelli dell'età infantile; a quanti succede di ripensarci (con rimpianto indicibile) ancora oggi, ogni volta che, per caso o per intenzione, capita di ripassare davanti all'istituto scolastico nelle cui aule si è passato lungo tempo, da bambini. Ritornano alla mente tante cose ormai perdute per sempre, irripetibili come l'allegria pura, sincera e grande che nasceva da situazioni semplici, da pensieri e da entusiasmi che solo i bambini possono vivere. Quello che dice il poeta è verità: in quei momenti, in quei luoghi precisi esiste "qualcosa di noi", appartenente al "nostro" passato remoto, che ancora vaga: allora, leggendo questi stupendi versi, molti si rivedranno bambini, uscire dalla scuola e correre felici verso la casa dei genitori o dei nonni, desiderosi di giochi e di emozioni puerili.


venerdì 15 febbraio 2013

Poeti dimenticati: Vincenzo Gerace


Vincenzo Gerace nacque a Cittanova di Calabria nel 1874 e morì a Roma nel 1930. Figlio di un magistrato, già da bambino seguì gli spostamenti del genitore dovuti al suo lavoro; i suoi studi si svolsero a Catania e a Palermo, in quest'ultima città cominciò a collaborare a qualche rivista e a pubblicare le sue prime opere poetiche. Trasferitosi a Roma, diede alle stampe il romanzo La grazia (1907) che ebbe buoni consensi di critica. Nel frattempo aveva stretto amicizie importanti con poeti (Mario Rapisardi) e filosofi (Benedetto Croce) che influenzarono molto il suo pensiero. Si stabilizzò poi a Napoli, dove lavorò come bibliotecario; in seguito fu di nuovo a Roma e quindi a Bari, dove per breve tempo professò l'insegnamento. Nel 1926 ricevette il prestigioso premio di poesia dell'Accademia Mondadori grazie ad un'opera, La fontana nella foresta, che sarebbe stata pubblicata due anni dopo. La poesia di Gerace, che ebbe i suoi massimi riconoscimenti all'interno del terzo decennio del XX secolo, è decisamente legata al passato e si rifà in particolare ai grandi classici italiani e greci.



Opere poetiche

"La fonte della vita", Sandron, Palermo 1901.
"Versi", Nuova Antologia, Roma 1921.
"Versi", Bestetti e Tumminelli, Roma 1926.
"La fontana nella foresta", Mondadori, Milano 1928.
"Scherzi ed epigrammi", Bestetti e Tumminelli, Roma 1928.
"Variazioni musicali", La Prora, Milano 1934.



Presenze in antologie

"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 3, pp. 109-121).
"L'Adunata della poesia", 2° edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. CCLXXXX-CCLXXXXVI).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 114-121).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 246-247).
"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 528-533).
"Antologia della Poesia Italiana Cattolica del Novecento", a cura di Mario Nanteli, UPSCI, Roma 1959 (pp. 100-102).




Testi

SIMBOLO

O piccolo grillo che zirli
fra l'erbe dell'umido prato,

di te vagamente si piace
tacendo a l'intorno il creato:

si tacciono i venti, si tace
fra' lidi l'immenso oceano,

e t'odon le stelle brillando
da l'alto con tremito arcano.

Che cosa la notte sarebbe
privata de' flauti leggeri

che suoni tu sì volentieri
perduto nell'ombra del prato?

(Da "La fontana nella foresta")

martedì 12 febbraio 2013

Poeti italiani dimenticati tra il XIX ed il XX secolo


Vi è un folto gruppo di poeti italiani che pubblicò libri di versi tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, e che rimane sempre (o quasi) escluso dalle antologie della poesia italiana, sia che riguardino il XIX secolo, sia il XX secolo. Eppure questi scrittori ebbero, ai loro tempi, un vasto pubblico di lettori e non gli mancarono neppure i consensi e i giudizi favorevoli di critici insigni; a qualcuno di loro non fu perdonato l'appoggio (in alcuni casi quasi velato) al regime fascista, altri caddero ben presto nel dimenticatoio o furono ritenuti dagli addetti ai lavori, una sorta di emulatori della poesia ottocentesca quando questa era ormai fuori tempo massimo. Al di là di questi discorsi e delle ragioni, probabilmente anche giuste, per cui questi poeti sono stati e sono tutt'ora esclusi da qualsiasi repertorio poetico recente riguardante i due secoli appena trascorsi, è a mio avviso doveroso ricordarli, per lo meno in quanto "meteore" o "lampi" di un'epoca (quella a cavallo dei due secoli prima citati) forse poco ricordata in generale dai testi di storia letteraria italiana. Rammenterei poi un aneddoto interessante: quando Giovanni Papini e Pietro Pancrazi nel 1920 fecero uscire la famosa antologia da loro curata Poeti d'oggi, molti furono i critici autorevoli che lamentarono l'assenza nella suddetta selezione antologica di alcuni poeti e scrittori, tra questi vi erano letterati come Giovanni Bertacchi, Giovanni Cena, Francesco Gaeta, Pietro Mastri, che, a grande richiesta, trovarono poi spazio nella seconda edizione (1925) dell'antologia suddetta. Ecco infine l'elenco, comprendente una breve biobibliografia, dei poeti in questione.



GIOVANNI BERTACCHI (Chiavenna 1869 - Milano 1943). Dal 1916 al 1938 fu docente di letteratura italiana nell'Università di Padova, scrisse vari studi tra i quali spiccano quelli su Leopardi e su Dante Alighieri. I suoi libri di poesie sono: Il canzoniere delle Alpi (1895), Poemetti lirici (1898), Liriche umane (1903), Alle sorgenti (1906), A fior di silenzio (1912), Riflessi di orizzonti (1921), Il perenne domani (1929).

GIOVANNI CENA (Montanaro 1870 - Roma 1917). Fu giornalista, narratore e poeta; ricoprì per lungo tempo l'incarico dei Redattore-Capo nella rivista letteraria "Nuova Antologia". Pubblicò i seguenti volumi di versi: Madre (1897), In umbra (1899) e Homo (1907); postumo uscì il libro delle sue Poesie complete (1922).

GIOVANNI ALFREDO CESAREO (Messina 1860 - Palermo 1937). Poeta, drammaturgo, critico letterario e docente universitario, fu tra l'altro socio dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo e socio corrispondente dell'Accademia della Crusca. Opere poetiche: Sotto gli aranci (1881), Le Occidentali (1887), Gl'inni (1895), Le consolatrici (1895), Poesie (1912), I canti di Pan (1920), Poemi dell'ombra (1923), Colloqui con Dio (1928).

ADOLFO DE BOSIS (Ancona 1863 - Pietralacroce 1924). Diresse la rivista "Il Convito", tradusse l'opera di Shelley e compose versi raccolti nei seguenti volumi: Amori ac silentio sacrum (1900), Amori ac silentio e Le Rime sparse (1914).

FRANCESCO GAETA (Napoli 1879 - ivi 1927). Giornalista e poeta oltre che critico (si occupò dell'opera di Salvatore Di Giacomo), fu direttore della rivista "I Mattaccini". Pubblicò le seguenti opere poetiche: Il libro della giovinezza (1895), Reviviscenze (1900), Sonetti voluttuosi e altre poesie (1906), Poesie d'amore (1920); fu Bendetto Croce a curare in edizione postuma le sue Poesie (1928).

DIEGO GAROGLIO (Montafia 1866 - Asti 1933). Letterato e insegnante, fu collaboratore delle riviste "Vita Nuova" e " Il Marzocco"; poeta dalla vena facile, pubblicò numerose raccolte, tra le quali: Poesie (1892), Poesie sorrentine (1893), Due anime (1898), Elena (1901), Canti sociali (1904), Sul bel fiume d'Arno (1912), Umanità (1922), Canti di Pietramala (1930), Canti delle Dolomiti (1930), La villa, il Parco, il podere (1930).

COSIMO GIORGIERI CONTRI (Lucca 1870 - Viareggio 1943). Fu poeta, narratore e drammaturgo; collaborò a molte riviste tra le quali "Nuova Antologia", "Hermes", "La Riviera Ligure", "La Lettura". Le sue poesie si trovano nei volumi: Versi tristi (1888), Il convegno dei cipressi (1895), Primavere del desiderio e dell'obio (1903), La donna del velo (1905), Mirti in ombra (1913), Il convegno dei cipressi e altre poesie (1922).

MARINO MARIN (Corcrevà di Bottrighe 1860 - Adria 1951). Ebbe un incarico importante nel comune di Adria che ricoprì per lungo tempo; collaborò al "Marzocco" ed a "Nuova Antologia". Pubblicò i seguenti volumi di versi: Humus (1892), Sonetti secolari (1896), Voci lontane (1898), Luci e ombre (1904), Narciso (1907), Le Opere e i Giorni (1920), Espiazione (1923), Rassegnazione (1927), La voce della gran Madre Antica (1933).

PIETRO MASTRI (Pirro Masetti, Firenze 1868 - ivi 1932). Poeta ed avvocato, collaborò alle riviste "Il Marzocco", "Nuova Antologia" e "Vita Nuova". Opere poetiche: Frammenti poetici (1893), L'arcobaleno (1900¹, 1920²), Lo specchio e la falce (1907), La meridiana (1920), La fronda oscillante (1923), La via delle stelle (1927), Ultimi canti (postumo, 1933).

ADA NEGRI (Lodi 1870 - Milano 1945). Inizialmente maestra elementare, trovò la fama dopo le prime opere poetiche: Fatalità (1892) e Tempeste (1895), cui seguirono: Maternità (1904), Dal profondo (1910), Esilio (1914), Il libro di Mara (1919), I canti dell'isola (1924), Vespertina (1930), Il dono (1935); postumo uscì un volume che raccoglie la sua intera opera in versi: Poesie (1948).

ANGIOLO ORVIETO (Firenze 1869 - ivi 1968). Poeta, saggista, librettista e drammaturgo, fu cofondatore della "Vita Nuova" e del "Marzocco"; scrisse molti versi raccolti nei volumi: La sposa mistica (1893), Sposa mistica. Il velo di Maya (1898), Verso l'Oriente (1902), Le sette leggende (1912), Primavere della cornamusa (1925), Il vento di Sion (1928), Il gonfalon selvaggio (1934).

FRANCESCO PASTONCHI (Riva Ligure 1874 - Torino 1953). Poeta, narratore e drammaturgo, dopo la laurea insegnò letteratura all'università di Torino. Opere poetiche: Saffiche (1892), Aurei distici (1895), La giostra d'amore e Le canzoni (1898), Italiche (1903), Belfonte (1903), Sul limite dell'ombra (1905), Il pilota dorme (1913), Il randagio (1921), Italiche. Nuove poesie (1923), Versetti (1930), Rime dell'amicizia (1943), Endecasillabi (1949).

DOMENICO TUMIATI (Firenze 1874 - Bordighera 1943). Poeta e drammaturgo, collaboratore del "Marzocco" della "Lettura" e di "Nuova Antologia", pubblicò i seguenti volumi di versi: Iris Florentina (1895), Musica antica per chitarra (1897), Poemi lirici (1902), Musiche perdute (1923) e il riassuntivo Liriche (1937).

domenica 10 febbraio 2013

Antologie: "Poesia italiana dell'Ottocento" (Muscetta-Sormani)


Prima di tutto bisogna dire che "Poesia italiana dell'Ottocento", a cura di Carlo Muscetta ed Elsa Sormani (Einaudi, Torino 1968), è un'opera molto bella a vedersi: due tomi di 14 x 21,5 cm., di oltre mille pagine ciascuno, con copertine in tela e una custodia in cartoncino e con, all'interno dei tomi, vari disegni di famosi artisti italiani. È, cronologicamente parlando, l'ultima prestigiosa antologia dedicata ai poeti italiani dell'Ottocento che si aggiunge a quelle di Ferruccio Ulivi,  Angelo Romanò, Ettore Janni, Luigi Baldacci e Giuseppe Petronio. Vi compaiono i testi di un po' tutti i grandi poeti ottocenteschi, anche se non mancano alcune clamorose esclusioni. Ecco, di seguito a questo breve commento, l'elenco dei poeti presenti nell'antologia "Poesia italiana dell'Ottocento".





I. FRA NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO
Vincenzo Monti, Ugo Foscolo.


II.
Carlo Porta


III. MANZONI E I ROMANTICI CATTOLICO-LIBERALI
Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Bartolomeo Sestini, Andrea Maffei, Luigi Carrer, Saverio Baldacchini, Pietro Paolo Parzanese, Giovanni Prati.  


IV. 
Giuseppe Gioacchino Belli.


V.
Niccolò Tommaseo


VI. BERCHET E LA SCUOLA DEMOCRATICA
Giovanni Berchet, Gabriele Rossetti, Giovita Scalvini, Alessio Poerio, Goffredo Mameli, Domenico Carbone, Luigi Mercantini, Francesco Dall'Ongaro, Ippolito Nievo.


VII. GIUSTI E LA POESIA GIOCOSA E SATIRICA
Giuseppe Giusti, Filippo Pananti, Giulio Perticari, Giovanni Giraud, Antonio Guadagnoli, Arnaldo Fusinato, Francesco Proto, Antonio Baratta, Giovanni Visconti-Venosta, Vincenzo Riccardi di Lantosca, Edmondo De Amicis, Ettore Novelli.


VIII. TRAMONTO DEL CLASSICISMO
Paolo Emilio Castagnola, Giambattista Maccari, Giuseppe Maccari, Diego Vitrioli, Gioacchino Pecci (Leone XIII), Giacomo Zanella, Alinda Bonacci Brunamonti, Giuseppe Revere, Costantino Nigra, Vittorio Betteloni.


IX. TARDO ROMANTICI, SCAPIGLIATI E VERISTI
Vincenzo Padula, Aleardo Aleardi, Giuseppe Giacosa, Antonio Fogazzaro, Mario Rapisardi, Giuseppe Aurelio Costanzo, Bernardino Zendrini, Emilio Praga, Iginio Ugo Tarchetti, Arrigo Boito, Ferdinando Fontana, Contessa Lara, Domenico Milelli, Olindo Guerrini, Renato Fucini, Cesare Pascarella, Ferdinando Russo, Pompeo Bettini.


X.
Salvatore Di Giacomo.


XI.
Giosue Carducci.


XII. CARDUCCIANI E BIZANTINI
Vittorio Imbriani, Giovanni Rizzi, Felice Cavallotti, Giuseppe Chiarini, Giacinto Ricci-Signorini, Guido Mazzoni, Giovanni Marradi, Severino Ferrari, Enrico Nencioni, Enrico Panzacchi, Giulio Salvadori, Luigi Gualdo, Remigio Zena.


XIII. INNI STORICI
Goffredo Mameli, Luigi Mercantini, Filippo Turati.


venerdì 8 febbraio 2013

I colori nella poesia italiana decadente e simbolista

Fondamentale è l'importanza dei colori, soprattutto pensando alla psicologia per la quale la percezione di un colore da parte dell'occhio umano rappresenta un fatto rivelatore, che nasce da una profonda elaborazione delle nostre emozioni. Secondo il pensiero di alcuni pittori il colore è un mezzo col quale è possibile stimolare in modo diretto l'anima; cosicchè, un assemblaggio armonico di colori, così come è avvenuto e tutt'ora avviene nella creazione di molte tele famose, assume un concentrato di alta spiritualità in grado di stimolare l'anima dell'uomo, permettendole di raggiungere una sorta di estasi ultraterrena. Per ciò che concerne la poesia simbolista, è bene ricordare che ogni colore fa riferimento a simboli precisi e che, soprattutto alcuni come il bianco ed il rosso sono stati preferiti rispetto agli altri da questi poeti. Per tale motivo si elencano di seguito le sole poesie che non comprendono i colori citati, ai quali dedicherò un capitolo a parte.
 
 


Poesie sull'argomento
Mario Adobati: "I colori dell'esilio" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Fausto M. Bongioanni: "Lampada verde" in "Venti poesie" (1924).
Luigi Fallacara: "Azzurro" in «Lacerba», febbraio 1915.
Corrado Govoni: "I registri del verde" e "Oro e violetto" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni: "Sinfonia di grigio" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni "Il verde", "Il giallo", "L'azzurro" e "Il nero" in "Gli aborti" (1907).
Tito Marrone: "Sonetto grigio" in "Cesellature" (1899).
Pietro Mastri: "L'acacia rosa" in "La fronda oscillante" (1923).
Arturo Onofri: "Dalla zuffa fra i gialli e fra gli azzurri" in "Simili a melodie rapprese in mondo" (1929).
Nino Oxilia: "Studio di bianco e nero" in "Gli orti" (1918).
Aldo Palazzeschi: "Festa grigia" in "Lanterna" (1907).
Aldo Palazzeschi: "Mar Giallo" in "Poemi" (1909).
Alice Schanzer: "Canto grigio" in "Motivi e canti" (1901).
Domenico Tumiati: "Canepa verde" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Mario Venditti, "Nero e blu" in "Il cuore al trapezio" (1921).
Giuseppe Villaroel: "Sfumatura" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).
 
 


Testi
SFUMATURA
di Giuseppe Villaroel

Cancello di stagno.
Dal muro nerognolo
penzola sulla strada
la chioma bruna e scarmigliata
dell'edera
che gronda ancora le lacrime
della tempesta
passata.
Brivido rosso e carnale
di rose lungo il verde viale
della Candida villa
aperta al tramonto lilla
tutto fresco e lavato;
ma lievemente venato
di giallo.
E sulla veranda di cristallo,
il tremore della tua veste
leggera
di seta celeste
sfuma la dolce stanchezza
della sera
diffusa in questa convalescenza azzurra
di tutta la primavera.

(Da "La tavolozza e l'oboe")

mercoledì 6 febbraio 2013

Un ricordo di Sergio Corazzini


Sergio Corazzini è considerato il poeta principe, insieme a Guido Gozzano, della corrente poetica denominata "crepuscolarismo"; La sua figura, unica e imparagonabile, è stata a volte mitizzata per motivi che sono riconducibili alla sua brevissima esistenza (morì a soli ventuno anni di tisi) e al suo immenso talento poetico che gli permise di ottenere risultati straordinari nei pochi anni in cui potè dedicarsi intensamente alla scrittura di versi che lo pongono al vertice di tutta la poesia italiana novecentesca e non solo. Le prime poesie di Corazzini, alcune delle quali in dialetto romano, apparvero su riviste come "Pasquino", "Rugantino", "Marforio" e "Capitan Fracassa". La sua prima raccolta poetica uscì nel 1904 col titolo "Dolcezze", chiaro riferimento ad una sezione delle "Myricae" di Giovanni Pascoli; seguirono "L'amaro calice" (datato 1904 ma pubblicato nel 1905), "Le aureole" (1905), "Piccolo libro inutile" (comprende poesie di Alberto Tarchiani, 1906), "Elegia" (frammento, senza data ma 1906), "Libro per la sera della domenica" (1906). Tutti questi libriccini ebbero come editore la Tipografia cooperativa operaia romana. La malattia che colpì Corazzini già dall'adolescenza peggiorò velocemente e il poeta, prima di morire nel giugno del 1907, fece in tempo a pubblicare qualche altra poesia su rivista. Un primo volume che raccoglie gran parte della sua opera in versi uscì postuma nel 1908 ("Liriche", Ricciardi, Napoli); soltanto nel 1968 venne stampato da Einaudi, in Torino, un libro con le "Poesie edite e inedite".
Per quello che riguarda i poeti che più influenzarono Corazzini, oltre al già citato Giovanni Pascoli si possono aggiungere anche gli italiani Gabriele D'Annunzio (ma solo quello del "Poema paradisiaco"), Domenico Gnoli (alias Giulio Orsini), Cosimo Giorgieri Contri, Corrado Govoni e Tito Marrone. Tra i poeti stranieri molta importanza ricoprirono per lui i tardo simbolisti franco-belgi come Maurice Maeterlinck, Francis Jammes, Jules Lafourge, Georges Rodenbach, Albert Samain, nonchè un poeta fondamentale che fu riferimento per generazioni di poeti: Paul Verlaine.
Corazzini influenzò anche altri poeti romani che ebbe come amici, coi quali organizzò un vero e proprio cenacolo in Roma, dove avvenivano incontri e declamazioni di versi che sono stati ricordati in alcuni saggi dagli stessi protagonisti di questi eventi. Tra i poeti che fecero parte di questo cenacolo, molti dei quali non pubblicarono mai libri di poesie, si possono citare: Alessandro Benedetti, Umberto Bottone, Antonello Caprino, Giuseppe Caruso, Stefano Cesare Chiappa, Giorgio Lais, Remo Mannoni, Guido Milelli, Guido Ruberti, Alberto Tarchiani, Alfredo Tusti, Donatello Zarlatti, Mario Zarlatti. Accanto a questi si ricordano i nomi più importanti di Fausto Maria Martini, Corrado Govoni e Tito Marrone; senza tralasciare il fatto che Corazzini fu amico di poeti che non vivevano a Roma come Aldo Palazzeschi e Marino Moretti, coi quali stabilì dei rapporti epistolari recensendo anche qualche loro opera poetica (mi riferisco a "I cavalli bianchi" di Aldo Palazzeschi). Voglio concludere questo ricordo di Sergio Corazzini trascrivendo la sua poesia più famosa, la sublime "Desolazione del povero poeta sentimentale", capolavoro assoluto che contiene dei versi non paragonabili ad altri per sincerità e bellezza.


Sergio Corazzini (1886-1907)


DESOLAZIONE DEL POVERO POETA SENTIMENTALE


I

Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?



II

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te
arrossirei.
Oggi io penso a morire.



III

Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle catedrali
mi fanno tremare d’amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.


Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.



IV

Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l’aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.



V

Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.



VI

Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.



VII

Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.



VIII

Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.



lunedì 4 febbraio 2013

Da "Meditazioni e ricordi" di Sergio Solmi

Penso a volte che l'inclinazione alle lettere, la malaugurata e pur consolatrice disposizione per il pensiero o la poesia cominci sempre a manifestarsi con una sorta d'infantile amore, quasi direi fisico, per la carta stampata, e magari per il formato dei libri e la loro rilegatura, e fino per il colore e la grana della loro carta. Per questo nella malinconica passione dei collezionisti mi sembra sempre d'intravvedere qualcosa come un lontano principio di poesia. Credo anch'io che si tratti d'anime delicate e modeste, che forse un tempo vagheggiarono la creazione letteraria, ma un rassegnato pessimismo convinse invece ad ascoltare in silenzio le voci musicali e fievoli che si levano dalle vecchie carte.

(Da "Meditazioni e ricordi", tomo secondo dell'opera "Poesie, meditazioni e ricordi" di Sergio Solmi, Adelphi, Milano 1984)