domenica 29 ottobre 2017

10 santi in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Appropinquandosi il giorno di Ognissanti, mi pare opportuno pubblicare un post in cui dieci poeti italiani del Novecento parlano di dieci santi più o meno famosi. Come si noterà, ci sono degli apostoli come Giovanni e Pietro; delle sante molto popolari come Chiara d'Assisi e Caterina da Siena; c'è (e non poteva mancare) San Francesco d'Assisi e, infine, vi figurano anche alcuni santi tutt'ora molto presenti nell'immaginario popolare, soprattutto per gli aneddoti quasi leggendari riguardanti la loro vita, che, attraverso i secoli si sono diffusi tra la gente di tutte le classi sociali. Alcuni santi sono qui descritti per un episodio particolarmente significativo della loro esistenza: Agostino, per esempio, lo si vede nel momento in cui incontra un angelo in forma di bambino; Stefano invece, è colto nel momento terribile del martirio (morì in seguito a lapidazione). Martino e Rocco sono raffigurati in modo classico: il primo durante uno dei suoi molti pellegrinaggi; il secondo, sempre in cammino, in compagnia del suo immancabile, fedelissimo cane. Buona lettura.



L'APOSTOLO GIOVANNI
di Antonino Anile (1869-1943)

O di Gesù discepolo diretto
se nelle soste dell'andare amavi
piegare il capo sul divino petto
di Lui, dimmi ora tu quel che ascoltavi.

Certo gli occulti a noi moti soavi
onde accestisce il grano dal costretto
germe in ombra e 'l pulsar dei tronchi gravi
ad urger linfe al fiore in cima eretto;

e come ai nidi, a tessere leggiadre
piume, si seguan premurose l'ore
e nasce l'ala; e come l'aria gode

cullare il canto ancor prima che s'oda.
Tu ascoltavi in quel cuore d'ogni cuore
il ritmo: la profonda ansia del Padre.

(da "Nuovi sonetti religiosi", L'Eroica, Milano 1931)




CHIARA DI ASSISI
di Renzo Barsacchi (1924-1996)

Era un fresco mattino
colmo di uccelli nuovi e sopra il nitido
filo dei monti camminava l'aria
nei suoi veli purissimi.

                                Leggevo
di Chiara, gli occhi a stella
aspri di luce come la fece Simone,
curva quel tanto come piega il vento
l'esilità del giglio.

                               E rivedevo
quando impose a fratel Bentivenga
di andar per olio per le sue sorelle
e le lampade asciutte.
Ripensavo alla sua casa di pietra
semplice e nuda come l'acqua che brilla
di se stessa, all'immane
gioia che vi stava
                         e alle mie stanze ingombre
d'inutile e di troppo, alla mia vita
sonora dei campani dei lebbrosi.

(da "Marinaio di Dio", Nardini, Firenze 1985)




MARTIRIO DI SANTO STEFANO
di Elena Bono (1921-2014)

Non più difende col gomito
il gracile viso.
Giace nel sangue
prega e piange piano.

(da "Alzati Orfeo", Garzanti, Milano 1958)




SAN MARTINO (DA UN ALBUM)
di Vincenzo Cardarelli (1887-1959)

Sempre ti vedo e penso, San Martino
solo soletto e di notte in cammino
Ed è la notte dei tempi, un piovoso
Medioevo remoto e pauroso.
Sei così rustico, sei così antico,
e così serio in volto e così amico!
Vai per terre e per borghi a passi eguali,
buon pellegrino, e liberi i mortali
d'ogni male, fai piovere e ristare,
della campagna nume tutelare.
Magno Martino, santo parrocchiano,
tutto tu puoi sul popolo cristiano.
A un tuo cenno è sconfitto anche il demonio
che tentò nel deserto Sant'Antonio.

(da "Opere", Mondadori, Milano 1981)




SANT’AGOSTINO
di Giovanni Cena (1870-1917)

Sant'Agostino assorto in suoi austeri
problemi andando un giorno in riva al mare,
vide un fanciullo intento a singolare
trastullo; ond'egli uscito di pensieri,

rise e disse: "Che fai, bambolo, speri
il mare in questi cerchi imprigionare?
E quei: "Meglio" rispose "che indagare
come tu fai terribili misteri!"

Così, tratte da facili miraggi
l'ingenue menti e gl'intelletti chiari
s'affaticano ancora in opre vane.

E ritentano ancor, pargoli e saggi,
in piccoletto cerchio accoglier mari
e l'universo in brevi menti umane.

(da "Poesie", Bemporad, Firenze 1922)




SAN FRANCESCO
di Luigi Fallacara (1890-1963)

San Francesco sente che l'anima
dell'universo è in lui solo una voce,
s'apre a donarla allargando le braccia,
perché suo strumento è la croce.

I piedi azzurrati s'affiggono,
metton radici nel profondo,
radici di chiodi turgidi
per cui sale il dolore del mondo.

Protese le mani sorreggono,
impeto di raggi, il cielo:
cala sulla faccia madida
lo splendore, come un velo.

Dalla ferita del fianco vivida,
sorga la musica ascosa,
profondo, profondo è il cantico,
il cantico dell'eterna rosa.

[da "Poesie (1914-1963)", Longo, Ravenna 1985]




MISSIONE DI PIETRO
di Alda Merini (1931-2009)

Quando il Signore, desolato e grigio,
ombra della Sua ombra incespicava
dentro il Suo verbo colmo di incertezza,
Pietro comparve, forte nella braccia
e nelle membra a reggerLo nel mondo...

Quando Pietro fu solo nel peccato,
quando già rinnegava il Suo Signore
e Lo vendeva a tutti nella frode,
Dio non comparve (si era già velato
per la notte più oscura profetata),
ma gli fece suonare dentro il cuore
le campane più vive del riscatto.
PIETRO FU IL PRIMO A IMMEGERSI NEL SANGUE!

(da "Fiore di poesia 1951-1997", Einaudi, Torino 1998)




SAN ROCCO
di Renzo Pezzani (1898-1951)

San Rocco è quel mendico
che ha un cane per amico,

un cane spelato, bastardo
ma di bellissimo sguardo.

Un cagnolino che va zoppo
col cacciator senza schioppo

perché di anime è cacciatore
san Rocco del Signore.

Van da piazza a casolare
che tutti li han visti passare,

dormire ai cantoni, chiedere un tozzo
di pane e un sorso d'acqua del pozzo,

e San Rocco parlare alla bestiola
come ai bimbi il maestro di scuola.

È un cagnino di pelo bruno
che a vedrlo non lo vorrebbe nessuno,

né per la greggia, né per l'aia,
ché non ringhia e non abbaia.

Ma San Rocco ne è contento:
ha il cane e non ha l'armento;

ha il guardiano e non ha la cascina;
ha un compagno quando cammina;

quando mangia ha un invitato,
quando ha freddo ne è scaldato.

Il cane zoppo, il saio liso
quattro passi dal Paradiso.

(da "Innocenza", S.E.I., Torino 1950)




SAN CLEMENTE
di Clemente Rebora (1885-1958)

A te apparve, San Clemente mio,
posto a morir coi martiri in esilio,
vita in prodigio, l'Agnello di Dio.
Non m'avviene così; a morte anch'io,
null'altro appare a me, mentre m'umilio.
che il corpo mio che si disfa vivo.
T'avvii tu al mare che t'ammanta
mentre invocano tutti il Ciel ti salvi:
e, suo Vicario, dolce lagrimando,
l'invocazion di Cristo tu ripeti:
- Accogli, Padre, lo spirito mio -
e l'ansito del mar fa coro immenso.
Non m'avviene così, che pur m'avvio,
senza far pianto né sentir consenso,
in un mar di miseria a sprofondare.

(da "Le poesie", Garzanti, Milano 1988)




LA VERGINE DI SIENA
di Giulio Salvadori (1862-1928)

Odo i cori degli Angeli inneggianti
te, Caterina, vergine potente.
Cantano il lume dell'accesa mente
onde ridean quaggiù gli occhi stellanti;

Cantano il cuore aperto agli altrui pianti,
la regal fronte inchina a ogni umil gente,
le braccia che accogliean maternamente
l'umiliata fronte degli erranti.

Cantano l'ineffabile dolore
onde morivi qui senza morire
pel gregge del Pastore abbandonato;

Cantan l'ardir magnanimo del core
onde tu, sola e povera, tra l'ire,
richiamasti il Pastor dal suo peccato.

(da "Ricordi dell'umile Italia", Libreria Editrice Internazionale, Torino 1918)


Annibale Carracci, "La lapidazione di Santo Stefano"



lunedì 23 ottobre 2017

I fiori autunnali in 10 poesie di 10 poeti italiani

Difficile o per lo meno non facilissimo è stato per me trovare dieci fiori che sbocciassero nella stagione autunnale, visto che il massimo della fioritura, ovviamente, si ha all'inizio della primavera; l'autunno, al contrario, vede un generale appassimento dei fiori delle piante, e la caduta sempre più fitta delle foglie secche dagli alberi. Non essendo un esperto di giardinaggio, ho attinto qualche informazione al riguardo dalla rete, scoprendo che, seppure non siano in numero elevato, esistono dei fiori che è facile osservare anche in autunno, e alcuni di questi sono anche molto belli. Qualche pianta, nei versi sottostanti, si nasconde dietro nomi prettamente scientifici; è il caso della Hydrangea, meglio conosciuta come "ortensia". Non poteva mancare, rappresentato da una prosa poetica di Arturo Onofri, il crisantemo: fiore autunnale per eccellenza, che abbonda nei camposanti da secoli e secoli, soprattutto  tra la fine di ottobre e la prima metà di novembre.



COLCHICUM AUTUNNALE
di Giuseppe Cerrina (1882-1959)

Povero fior solitario
che vedi l'erbe d'intorno
e della vita, nel giorno
svolgersi il dolce velario,

ricomparire al mattino
quello che l'ombra sognò,
e su nel cielo il cammino
largo di nube che andò

pei larghi campi, per valli
d'una infinita tristezza,
dolce d'autunno carezza
pei larghi campi, per valli,

eccoti chino alla terra,
ché l'ora passa per te
e la pia madre ti serra
nel grave seno con sé.

Vedesti gli ultimi insetti
pur dondolarsi sui fili
de l'erbe, e i taciti asili
cercar tra i muschi diletti,

come l'uom che il passato
piangeva per la città,
ed or ritrova nel prato
tutta la felicità.

Vita nell'opere nuove,
come pensieri devoti
sentisti, palpiti ignoti
sorgere in cellule nuove.

Poscia le nozze compiute
aperti i tepali su,
le speranze conosciute
non ritrovasti mai più.

Ed or la morte discese
come un sereno avvenire,
al bulbo, che per fiorire
il mite Autunno attese,

e già dalla primavera
le verdi foglie gittò
per foschi prati, e la sera
i fior lontani sognò.

(da "I gigli sono fioriti", Lobetti-Bodoni, Saluzzo 1909)




IL RONDÒ DEI NARCISI
di Lucio D'Ambra (1880-1939)

Io vi rivedo ancòra
sepolta fra i narcisi,
o strana mia signora,
avara di solrisi,

Il ricordo mi sfiora
l'anima; ed improvvisi
si risvegliano ancòra
i falli che commisi

per l'amore d'un'ora
che voi, senza sorrisi
mi deste. Un dì vi misi
(ricordo) fra i narcisi
novi, ne l'ultima ora.

(da "Le sottili pene", Tip. De Andreis, Alatri 1896)




ROSA IN AUTUNNO
di Olinto Dini (1873-1951)

Levo lo sguardo da caduta foglia,
e lo rivolgo a intempestiva rosa,
che a soavi pensieri il cuor m'invoglia.

Sembra ridoni alla selva che muore
quel fiore un senso di rinato aprile;
sì che l'autunno mi sorride in cuore
come serenità primaverile.
Forse così una donna gentile
rifiorirebbe di gioia amorosa
la tarda vita che mi si dispoglia.

(da "Ombre e fulgori", L'Eroica, Milano 1929)




GLI ASTER
di Corrado Govoni (1884-1965)

Dei febbricolosi aster sbiancati
dentro l'acqua colore di tisana
hanno l'aria di pallidi malati
afflitti d'una malattia strana:

strana e vaga malattia
simile ad una domenica calma
ombrata di malinconia
- festa di nozze con piccola salma. -

(da "Gli aborti", Taddei, Ferrara 1907)




HYDRANGEA
di Margherita Guidacci (1921-1992)

I fiori che hai disposto nel vaso greco
(ultimi del giardino) avevano all'inizio
un tenue color malva e un delicato rosa
dell'autunno. Hanno assunto adesso il pallido
oro che indugia in cielo dopo il tramonto,
e in esso preme un ricordo di verde,
quasi il ritorno a un'infanzia di foglie,
completando l'arcobaleno agonico
prima che logora e terrea si sgretoli
la dolce forma del fiore.

                          Li osserviamo
ed intanto qualcuno osserva noi,
come noi siamo sentiti dai fiori;
e forse nota come stia per chiudersi
il cerchio della nostra iridescenza,
l'impalpabile bolla più cangiante
e splendente sul punto di dissolversi...

Ma non siamo turbati. Siamo quieti
come i fiori nel vaso greco: paghi
essi dei loro giorni e noi dei brevi anni,
e sicuri che nulla andrà perduto.

Noi siamo tutti (uomini e fiori) effimeri.
Ma il nostro vivere ed amare
fu non effimera bellezza.

(da "Le poesie", Le Lettere, Firenze 1999)




VIOLA DEL PENSIERO
di Pietro Mastri (1868-1932)

Tu che simuli quasi una grottesca
effigie umana, smorfia di dolore
e di riso convulso, e che da fresca
hai troppe tinte e non hai punto odore;

sai tu dirmi com'è che ti s'accresca
tanta soavità, quando, nel cuore
d'un libro chiusa, al par d'una giottesca
figura t'ombri di sottil giallore?...

L'apro, quel libro: dov'io so, ti trovo...
Mi guardi... Io solo intendo il tuo linguaggio,
che non oblia ciò che sta in te sepolto.

D'onde ti venne questo odor tuo nuovo,
fievole come un fievole messaggio
d'oltretomba?... E tu parlami: t'ascolto.

(da "Lo specchio e la falce", Treves, Milano 1907)




CRISANTEMI
di Arturo Onofri (1885-1928)

   Un bambino vestito di rosso tocca timidamente il ganascino paffuto d'un fiore sull'aiuola; e i crisantemi bianchi, inzuppati di celestino, s'imbevono della sorsata ultima del giorno che già socchiude il suo occhio dorato.
   Un fumo violetto s'è messo a dormire fra gli alberi sul piccolo lago, dove nel taglio freddo dei riflessi l'acciaio tremola un lamellìo finofino fra i tronchi nerastri e brulli.
   E prima di sparire, il giorno depone lontano un tòcco di gioielli sul davanzale riverniciato d'un chiosco.

(da "Orchestrine", Libreria della Diana, Napoli 1917)




PERVINCA
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

So perché sempre ad un pensier di cielo
misterïoso il tuo pensier s’avvinca,
sì come stelo tu confondi a stelo,
               vinca pervinca;

io ti coglieva sotto i vecchi tronchi
nella foresta d’un convento oscura,
o presso l’arche, tra vilucchi e bronchi,
               lungo la mura.

Solo tra l’arche errava un cappuccino;
pareva spettro da quell’arche uscito,
bianco la barba e gli occhi d’un turchino
               vuoto, infinito;

come il tuo fiore: e io credea vedere
occhi di cielo, dallo sguardo fiso,
più d’anacoreti, allo svoltar, tra nere
               ombre, improvviso;

e il bosco alzava, al palpito del vento,
una confusa e morta salmodia,
mentre squillava, grave, dal convento
               l’avemaria.

(da "Myricae", Giusti, Livorno 1903)




L'ERICA
di Antonia Pozzi (1912-1938)

Nel prato troppo verde
si dibatte
la nostra inanità convulsa
e si affanna in diastole e sistole di spasimo
incrociando
stormi di monachelle bianche e nere.

Nel bosco
alla mia animalesca irrequietudine
che mordicchia nocciole
tu offri l'erica livida dei morti
e il mio offuscato amore
lustra
lavato d'acido pianto.

(da "Parole", Garzanti, Milano 1998)




PRIMI CICLAMI
di Alice Schanzer (1873-1936)

Che mi narrate, ciclami pallidi;
che ricordate, corolle rosee?
qual fervido sogno d'autunno
rievocate, là di Spoleto?

Dolce un colore tingea la macchia
ne' chiari vespri, ne l'albe candide;
e tremulo il vostro sorriso
attendevami a pie' degli abeti.

Per l'umil folto vagavo tacita
di giovinetti carri e di frassini:
la mente perduta ne' sogni
e le labbra anelanti alla strofe.

Niun suono intorno. Lente nell'anima
salìen melodi, salien fantasimi;
ed ecco le piante regali
ebbi innanzi, dall'agile tronco.

Al primo sole s'ergeano vergini
per l'ardue cime, di tersa roride
rugiada; e nell'ombra, soave,
mi chiamava la vostra bellezza.


(da "Motivi e canti", Zanichelli, Bologna 1901)



Emil Nolde, "Yellow and Violet Zinnias"