martedì 30 giugno 2015

Le fate nella poesia italiana decadente e simbolista

Sorta di semidee, estremamente affascinanti, misteriose, spesso ricoperte di gemme, di ori e di pietre preziose, le fate si mostrano ai poeti nelle ore notturne e probabilmente sono il simbolo dell'arcano. In alcuni casi però, questi personaggi sono identici o quasi a quelli delle classiche favole, e in tali contesti potrebbero rappresentare sia la maternità (ovvero madri che, viste con gli occhi dell'infante, posseggono dei poteri speciali), sia la donna intesa come essere sovrannaturale (e qui, in parte, si ritorna ad una deificazione della figura femminile).




Poesie sull'argomento

Ugo Betti: "La fata Fiorediselva e il principe Risodisole" in "Il re penserioso" (1922).
Bino Binazzi: "La protettrice" in "Turbini primaverili" (1910).
Gustavo Botta: "Le gemme delle fate" e "Le fate" in "Alcuni scritti" (1952).
Lucio D'Ambra: "La Chimera" in "Le Sottili Pene" (1896).
Gabriele D'Annunzio: "Melusina" e "Morgana" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Corrado Govoni: "La regina Mab" in "Poesie elettriche" (1911).
Arturo Graf: "La fata" in "Le Rime della Selva" (1906).
Gian Pietro Lucini: "La Fata" e "I Sonetti di Gloriana" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Olindo Malagodi: "Apparizione" in "Poesie vecchie e nuove (1890-1915)" (1928).
Tito Marrone: "Il palagio delle fate" in "Cesellature" (1899).
Giacinto Ricci Signorini: "Egli pensava, nella notte azzurra" in "Rime" (1888).
Domenico Tumiati: "Canapaiole al lume di luna" in "Liriche" (1937)
Alessandro Varaldo: "E mentre inseguo folle ed anelante" in "Marine liguri" (1898).




Testi 

LA PROTETTRICE
di Bino Binazzi

Al tempo che le profondità
della notte, inesplorate,
era un mistero, un soggiorno di fate
dagli occhi di stelle,
(il coprifuoco cantava le belle
ninne nanne in lontananza
alla mia tranquilla stanza)

e il soave tremolio
de' grilli era un coro pio
d'invisibili gnomi
sussurranti piacevoli nomi
come per giuoco,
al novenne che assopiasi a poco a poco,

al tempo dell'età mia nova,
mentre le tende dell'alcova
ne' rabeschi prendevan forme umane
che parlavano a me d'una dimane
avventurosa, e, dall'urna
piccola uscite al confine
della vita, mi parlavan del breve
passato le morte sorelline,
palpitando la lampada notturna,
Ella venne con passo lieve lieve.

Ella venne: nella quiete
eran muti i sensi della veglia,
regnati dal senso divino
dei sogni. La parete
si divaricò silenziosa
come chiusa corolla in sul mattino
alla prima carezza rugiadosa
del giorno che si risveglia.

Spuntò l'alba del mio intelletto
d'amore. Il ritorno
della luce cantavan gli araldi del giorno
e il cielo albeggiante
spiava il candor del mio letto
per la fessura dell'imposta chiusa:
ed io, anima chiusa
a una letizia nova,
cantai quel giorno con gli uccelli a prova.

Ella vegliò la mia puerizia
con quell'amor che s'ode
simboleggiar nell'angelo custode:
e ogni raggio di stella ed ogni fiore,
ogni tronco, ogni pietra
ebbero un'armonia di blanda cetra.

Tu sai che letizia,
lettore che fosti poeta,
lettore che fosti fanciullo.

(Da "Poesie")





LA FATA
di Gian Pietro Lucini

Io son la bella Oriana e il seggio mio,
materiato in rubini e diamanti,
scintilla nell'azzurro, in contro a Dio,
tra il nimbo delli incensi fumiganti.
I miei baci son filtri e dan l'Oblio,
brillan nelli occhi miei fascini erranti,
e il mio corpo è una Coppa che il Disio,
abbevera di vini estasianti.

Facile e avventurosa è la mia strada:
invitan l'acque d'or del mio verziere,
e sulle rame i bei frutti di giada.
A me i Baron' sulla gaietta alfana,
e al tintinnìo d'argentee sonagliere,
vengan le Dame in lunga carovana.

(Da "Il libro delle Figurazioni Ideali")





EGLI PENSAVA, NELLA NOTTE AZZURRA
di Giacinto Ricci Signorini

Egli pensava, nella notte azzurra,
Sull'acque intentamente fiso:
L'acacia arguta strepita e sussurra
Del maggio nell'amor, nel riso.

Quando una donna dalle vesti bianche
Sull'onda gorgogliante apparve;
Dice: Deh vieni, e le tue membra stanche
Riposa giù in quell'acque chiare!

Sopra quell'erbe molli di rugiada
Eterna un letto io t'apprestai,
Vieni, o diletto, nella mia contrada
Si sogna e non si pensa mai.

E là vi è pace e più tranquillo scende
Di luna un raggio a salutarmi,
E violato il ciel più dolce splende,
E vibra l'armonia dei carmi.

Vedrai le ninfe, che hanno il piè d'argento,
In caccia sui fioriti prati,
Ed ondeggiare gli asfodeli al vento,
E correre i cavalli alati.

E sempre al fianco ti sarò, pensosa
Il bacio ti darò d'amore;
Vieni al mio amplesso, sul mio seno posa
O senti come batte il core.

Così cantava nella notte azzurra
La fata bella e sparve giù:
L'arancia arguta strepita e sussurra,
Ma il giovin non fu visto più.

(Da "Rime")





E MENTRE INSEGUO FOLLE ED ANELANTE
di Alessandro Varaldo

E mentre inseguo folle ed alenante
un canto pieno d'armonie divine
di tra li effluvi d'alighe marine
sale al verso un profumo inebriante.

Forse le bianche fate oceanine
scherzando giù nel mare azzurreggiante
traggono quel profumo inebbriante
di tra li effluvi d'alighe marine.

La nave è ferma. Ne la calma sera
io mi tuffo ne l'onde appassionate
de i ricordi con acre voluttà.

E quel profumo de la primavera
mi sale a raccontare de le fate
leggende piene di soavità.


(Da "Marine liguri")



Sophie Anderson, "A portrait of a fairy"

domenica 14 giugno 2015

Poeti dimenticati: Giuseppe Zucca

Nacque a Messina nel 1887 e morì a Roma nel 1959. Si dedicò alla poesia nella prima fase della sua eclettica attività artistica. In seguito, oltre a fondare una casa editrice: «Il Fauno» e una casa cinematografica: «Fauno Film», scrisse soprattutto prose e romanzi che hanno alla base l'elemento principe dello scrittore siciliano: l'umorismo. Stessa cosa si può dire dei suoi versi, che contengono inoltre una sfumata malinconia, la quale, assieme ad una non comune fantasia e ad una intelligente ironia, lo pone come prosecutore della poetica crepuscolare.




Opere poetiche

"La lucerna", Nalato", Roma 1913.
"Vincere, vincere, vincere", Bemporad, Firenze 1918.
"Io", Formiggini, Roma  1919.
"Italia chiamò",  Bemporad, Firenze 1919.
"Poesie 1912-1922", Sansoni, Firenze 1923.






Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 478-479).

"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. VIII, pp. 85-98).




Testi

LA COMMEDIA

In programma si annunzia «brillantissima».
Il titolo: «La Vita». È in un sol atto.
Gli attori, cani. E si fa un rider matto,
più assai non promettessero gli affissi.

E su la scena il brio cresce... D'un tratto
taccion tutti; e all'interno han gli occhi fissi:
negli occhi è la vertigin degli abissi.
Che c'è? Il suggeritore s'è distratto?

No. Entra, zitta zitta, avvoltolata
in uno scialle sbrendolato e nero,
una vecchia, tutt'ossa, alta, scalvata:

l'ho vista in certe stampe del Durero.
Non parla: ride. E al riso solitario
piangon comici e pubblico. — Sipario.

(Dalla rivista «Nuova Antologia», giugno 1913)