giovedì 28 luglio 2016

Antologie: "Nuovi poeti italiani contemporanei" a cura di Roberto Galaverni

Questa antologia, uscita da ormai venti anni (fu pubblicata a Rimini da Guaraldi/Gu.Fo Edizioni nel 1996), è stata per me basilare. Pur avendo già approfondito la personale conoscenza della poesia italiana novecentesca, avevo deciso di escludere, dai miei interessi, gli ultimi venti anni del secolo. Il motivo risiedeva nel fatto che ero convinto di non trovare alcun talento tra i giovani poeti attivi in quegli anni. Il mio disinteresse nasceva soprattutto dall'aver letto qualche altra antologia recente senza avervi trovato (a parte qualche rara eccezione) niente di entusiasmante o interessante. Fu leggendo questa antologia che mi accorsi, con grande sorpresa, della presenza di alcuni validi poeti, fino ad allora a me del tutto sconosciuti. Nuovi poeti italiani contemporanei comprende diciotto poeti italiani relativamente giovani (i più anziani non arrivavano a cinquant'anni e i più giovani avevano appena superato i trenta). Vi è un solo poeta dialettale, mentre, per quel che concerne le aree geografiche, le più rappresentate (con tre poeti ciascuna) sono l'Emilia Romagna, le Marche ed il Lazio (anche se, per quest'ultima, si parla di poeti prettamente romani). Complessivamente poco presente il sud (soltanto due poeti), completamente assenti le isole. Tutto questo discorso vale soltanto come statistica, poiché mi sembra ovvio che chiunque voglia selezionare i migliori poeti di un determinato periodo storico di una determinata nazione, non deve mai preoccuparsi della loro appartenenza geografica. Ritornando al discorso iniziale, la lettura di questa antologia mi fece scoprire alcuni talenti poetici; in particolare ne cito quattro: Antonella Anedda, Claudio Damiani, Umberto Fiori e Valerio Magrelli; in verità, di Magrelli avevo già letto qualcosa (se pur non approfonditamente), avendo lo scrittore romano già alle spalle una quindicina di anni di attività poetica (si rivelò giovanissimo nella famosa antologia del 1978: La parola innamorata). Non posso comunque dire che il resto dei poeti selezionati da Galaverni sia da buttare, tutt'altro... Penso infine che questa fondamentale antologia si ponga come limite estremo per ciò che riguarda la poesia italiana del Novecento; di conseguenza, ritengo che, tutte le generazioni seguenti di poeti (ovvero coloro che nell'anno di uscita del volume in questione non avevano ancora compiuto trent'anni) appartengano già al primo secolo del nuovo millennio. Ecco infine l'elenco dei poeti che figurano in questa ottima antologia.    



NUOVI POETI ITALIANI CONTEMPORANEI



Ferruccio Benzoni, Gianni D'Elia, Valerio Magrelli, Roberto Mussapi, Remo Pagnanelli, Alessandro Ceni, Francesco Scarabicchi, Patrizia Valduga, Beppe Salvia, Fabio Pusterla, Davide Rondoni, Umberto Fiori, Claudio Damiani, Gian Mario Villalta, Edoardo Albinati, Antonella Anedda, Andrea Gibellini, Antonio Riccardi.

lunedì 25 luglio 2016

Poeti dimenticati: Giosuè Borsi

Nacque a Livorno nel 1888 e morì a Zagora nel 1915. Dopo gli studi classici, ancora diciannovenne, cominciò a pubblicare i suoi versi. Si laureò in Giurisprudenza nel 1913. Dopo alcuni importanti lutti familiari si convertì al cattolicesimo e quindi partì volontario per la Grande Guerra, dove trovò la morte a soli ventisette anni. Le sue liriche, nel solco della tradizione, ebbero un discreto, momentaneo successo. Fu, in sostanza, un seguace del Carducci.




Opere poetiche

"Versi", Gazzetta Livornese, Livorno 1905.
"Primus fons", Zanichelli, Bologna 1907.
"Scruta obsoleta", Zanichelli, Bologna 1910.
"Versi 1905-1912", Le Monnier, Firenze 1922.





Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 288-290).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. I, pp. 151-163).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 190-192).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (p. 312).




Testi

NEBBIA

Lodo la nebbia: sia ch'essa vapori
d'una bianca corona i monti oscuri
e li ricuopra di velami puri,
di virginali impenetrati albori;

sia che pènetri grigia e trascolori
le città grige nelle vie, tra i muri,
e in fantasmi silenti trasfiguri
i frettolosi incerti viatori;

sia che col ciel si fonda in una densa
bianchezza, come un velo, sopra le onte
della misera Terra triste immensa,

e, coi candori immacolati e belli,
limitando d'intorno l'orizzonte,
impiccolisca il Mondo e lo cancelli.


(Da "Poesie 1905-1912")

sabato 23 luglio 2016

La giovinezza nella poesia italiana decadente e simbolista

La gioventù è stata simboleggiata in vari modi, ad esempio, per ciò che riguarda la flora, con i fiori di primula e con gli alberi sempreverdi (soprattutto se si parlava di eterna giovinezza); mentre tra gli animali è il cavallo quello maggiormente utilizzato quale emblema di gioventù. Da notare che spesso, i poeti simbolisti italiani tendono a personificare la giovinezza, a volte con le sembianze di donna (vedi Cosimo Giorgieri Contri), altre volte con una musica suadente (quella dell'oboe nella poesia di Graf) e, in rari casi (come in una poesia di Carlo Chiaves) si attua una sorta di dialogo con essa. Comunque il simbolo principale della gioventù è senz'altro il ritratto, anche se talvolta, come nel caso della lirica di Guido Gozzano, è sostituito da una foto.



Poesie sull'argomento

Enrico Cavacchioli: "La serenata" in "L'Incubo Velato" (1906).
Francesco Cazzamini Mussi: "Alla giovinezza" in "Le amare voluttà" (1910).
Carlo Chiaves: "Richiamo" in "Sogno e ironia" (1910).
Guglielmo Felice Damiani: "Nel bosco d'un tempo" in "Lira spezzata" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "O Giovinezza!" in "Poema paradisiaco" (1893).
Adolfo De Bosis, "Ultimamente..." in "Amori ac silentio e Le rime sparse" (1914).
Giulio Gianelli: "Carità" in «Gazzetta del Popolo della Domenica», gennaio 1907.
Cosimo Giorgieri Contri: "Bianca passeggiatrice" e "Ombra di giovinezza" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Corrado Govoni: "Giovinezze sfiorite" in "Gli aborti" (1907).
Guido Gozzano: "I colloqui" e "In casa del sopravvissuto" in "I colloqui" (1911).
Arturo Graf: "Vaneggiamento notturno" in "Le Danaidi" (1905).
Luigi Gualdo: "Semper et ubique" in "Le Nostalgie" (1883).
Virgilio La Scola: "Primo incontro" in "La placida fonte" (1907).
Giuseppe Lipparini: "La Chimera" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Enzo Marcellusi: "Morta! È morta la primavera" in "Il giardino dei supplizi" (1909).
Enzo Marcellusi: "Epigramma redibitorio" in "I canti violetti" (1912).
Enrico Panzacchi: "Nella calma" in "Poesie" (1908).
Romolo Quaglino: "O profili diafani squisiti" in "I Modi. Anime e simboli" (1896).
Emanuele Sella: "Perfluens sonitus" in "L'Ospite della Sera" (1922).



Testi

RICHIAMO
di Carlo Chiaves

La gioventù declina: pure, arrivata a l'estremo
passo, si volge e dice: — Oh! non lasciarmi morire!
tendimi ancora la mano, ch'io possa teco venire!
vedrai quant'altra strada insieme percorreremo! —

Chiama con voce lenta, con voce triste, profonda,
prega con fissi gli occhi e con le mani protese:
Io penso: «Quale amante, quale altra un giorno mi chiese
mercé con simil voce, che vela l'oblio e circonda?

Mia gioventù — rispondo — non fosti buona e non sei;
non è dunque ventura che tu per sempre scompaia?
forse con altro lume sarà la vita più gaia,
forse: per quale insano amore ti richiamerei?».

Tacqui: ed a poco a poco reclinò il capo, smarrita,
ella, e s'avviò piangendo verso la soglia fatale.
Allora, dentro al cuore, mi sorse un terribile male,
una tristezza immensa, più vasta di tutta la vita.

Pensai: «Dunque più fosca sarà la vita domani?
più incerto ancora il fato che mi sovrasta e minaccia?»
Ell'era su la soglia, ed io le tesi le braccia,
io la chiamai tremando: «Mia giovinezza, rimani!».

Pronta tornommi a canto. «Tu dunque ancora mi vuoi?»
«Sì! sì! ti voglio, intendi? Oh! non lasciamoci ancora!
Meglio il tuo lume torbo, lo sguardo che mi addolora,
ma ch'io conosco bene. Rimani ancora, se puoi!

Fin che potrai! poi, quando l'ora verrà, che a le porte
il mio destin mi tragga, senza mercé di ritorno,
fuggi, ma ch'io non senta, ch'io non lo sappia, e d'attorno
al cor duri il bagliore dei sogni, fino a la morte!».

(Da "Sogno e ironia")




PERFLUENS SONITUS
di Emanuele Sella

Chi sei? fluita e trema
nel vespero il tuo volto;
tu parli e invan t'ascolto,
dirti chi sei non so.

Sei forse tu lo mnéma
d'una consunta vita,
o d'un'età fuggita
sei tu il ricordo, no?

Perché, nel sogno mio,
sboccia la tua parola?
non sai ch' il tempo vola
e non ritorna più?

Ah, ti ravviso: addio!
io non ho più speranza:
tu sei la rimembranza

della mia gioventù.

(Da "L'ospite della sera")



Albert Lynch, "A Young Woman"

domenica 17 luglio 2016

Poeti dimenticati: Costantino Nigra

Non si vuole qui parlare del Costantino Nigra diplomatico e ambasciatore, poiché da questo punto di vista, il personaggio è già molto noto. Lo è meno il traduttore dal latino, il glottologo, lo studioso delle tradizioni popolari piemontesi e, soprattutto, il poeta. In vero, anche in questo campo Nigra ebbe una certa notorietà, grazie al lungo poema patriottico La Rassegna di Novara. Ma, a mio avviso, questo poeta oggi dimenticato diede il meglio di sé negli Idilli: pubblicati in età molto avanzata, questi pochi componimenti in versi mostrano un uomo legato alla propria terra, ai paesaggi di campagna e agli affetti familiari. Perspicace fu Benedetto Croce, che leggendo queste liriche le paragonò a quelle dell'Astichello di Giacomo Zanella: nelle une e nelle altre si respira un'aria genuina, si descrivono sentimenti, emozioni, malinconie, luoghi e anime in modo semplice e piacevole.




Opere poetiche

"La Rassegna di Novara", Barbera, Roma 1875.
"Idilli", Tipografia della Camera, Roma 1893.
"Poesie originali e tradotte", Sansoni, Firenze 1914.
"Le poesie", Zanichelli, Bologna 1961.





Presenze in antologie

"Fiori della poesia italiana antica e moderna", a cura di Carolina Michaelis, Loescher, Roma-Torino-Firenze 1871 (pp. 374-375).
"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 277-280).
"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (pp. 888-895).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 182-183).
"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (pp. 103-106).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. II, pp. 371-380).
"Poeti minori dell'Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Ricciardi, Napoli 1958 (pp. 747-763).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 357-362).
"Poesia dell'Ottocento", a cura di Carlo Muscetta ed Elsa Sormani, Einaudi, Torino 1968 (volume secondo, pp. 1518-1531).
"Poesia italiana dell'Ottocento", a cura di Maurizio Cucchi, Garzanti, Milano 1978 (pp. 274-279).




Testi

NELL'ORTO

Sotto la torre cadente, nitido
splendeva l'orto al sole;
tra l'erbe e l'umili piante domestiche
olezzavano all'ombra le viole,

nell'aria mite fresche olezzavano
dentro ai cespugli ascose;
rovi e stellate pervinche cerule
faceano siepe alle crescenti rose.

E la mia giovine madre, nel vespero
versava su gli steli
l'acqua, e benigni su lei versavano
la bionda luce del tramonto i cieli.

Acri del tenue fior di basilico
si diffondean gli aromi,
con lieve crepito qua e là sbocciavano
i bottoncini dei non nati pomi;

pendean le ciocche delle robinie
gravi di miele, e scosse
dal vespertino soffio di zeffiro
lucean precoci le ciliege rosse;

ad ora ad ora gli ultimi petali
sul capo dell'amata
innaffiatrice lenti cadevano
come fiocchi di neve immacolata.

Mia madre è morta... da un pezzo. Crebbero
gli arbusti in tronchi enormi.
Madre, da tanto tempo si chiusero
gli occhi tuoi buoni e nella tomba dormi.

Ed io ti vedo sempre, nel vespero,
chinata su gli steli
Versar nell'orto l'acqua, e a te versano,
madre, la luce del tramonto i cieli.


(Da "Le poesie")

giovedì 14 luglio 2016

Antologie: L'Albero (a cui tendevi la pargoletta mano)

Questa è un'antologia dedicata ai "vecchi" bambini, ovvero a coloro che frequentarono la scuola elementare e quella media molti anni or sono. Si tratta infatti, di un corposo numero di poesie italiane che moltissimi alunni ebbero modo di leggere o imparare a memoria sui banchi scolastici o a casa. Per quel che concerne gli autori selezionati dai due anonimi che hanno curato questa interessante antologia, si parte da Vincenzo Monti e si arriva a Guido Gozzano: dall'alba del diciannovesimo secolo all'alba del ventesimo. Il libro uscì più di trentacinque anni fa, ma, come ho già spiegato, risulta attuale per i vecchi studenti (me compreso). Chi volesse consultarlo, noterà che, accanto ai nomi illustri di Foscolo, Manzoni, Leopardi, Carducci, Pascoli e D'Annunzio, compaiono quelli dei cosiddetti poeti minori (Berchet, Grossi, Zanella, Stecchetti, Cena ecc.) con poesie che oggi sono totalmente ignorate, ma che per noi furono in qualche modo importanti, se non per il fatto che rimangono nei nostri migliori ricordi, perlomeno per quello di averle dovute ripetere a memoria. Personalmente sono molto legato ad alcune poesie di Giacomo Leopardi e di Giovanni Pascoli, ma apprezzo ancora i canti patriottici di Arnaldo Fusinato e di Luigi Mercantini, così come le semplici e forse ingenue strofe di Angiolo Silvio Novaro della sua Che dice la pioggerellina di marzo? Ecco infine l'elenco dei poeti qui presenti.




L'ALBERO 


Vincenzo Monti, Ugo Foscolo, Giovanni Berchet, Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Niccolò Tommaseo, Giuseppe Giusti, Aleardo Aleardi, Giovanni Prati, Arnaldo Fusinato, Giacomo Zanella, Luigi Mercantini, Giovanni Visconti Venosta, Giosue Carducci, Emilio Praga, Enrico Panzacchi, Lorenzo Stecchetti, Edmondo De Amicis, Giuseppe Giacosa, Arturo Graf, Giovanni Pascoli, Gabriele D'Annunzio, Angiolo Silvio Novaro, Giovanni Bertacchi, Giovanni Cena, Guido Gozzano.

domenica 10 luglio 2016

Poeti dimenticati: Emilio Cecchi

Nacque a Firenze nel 1884 e morì a Roma nel 1966. Fu collaboratore di importanti riviste e giornali come Il Leonardo, Hermes, La Voce, La Riviera Ligure, La Ronda, La Tribuna, Il Corriere della Sera. Notevolissima la sua attività di critico letterario che gli valse dapprima la nomina di accademico d'Italia (1940) e quindi il diritto a far parte dell'Accademia dei Lincei (1947). Lavorò anche all'estero: in Inghilterra come inviato del Manchester Guardian; Negli Stati Uniti come insegnante di cultura italiana presso l'Università di Berkley. La sua non abbondante attività poetica appare oggi totalmente dimenticata. Eppure, se si escludono i versi che Cecchi scrisse giovanissimo (decisamente legati al passato e senza alcuna attrattiva) e leggendo attentamente gli altri, pubblicati quasi tutti sulla Riviera Ligure tra il 1913 ed il 1916, ci si accorge di quanto siano sorprendentemente innovativi e si nota pure come ben s'inseriscano nell'ambito del cosiddetto "frammentismo lirico" nato dopo il primo decennio del XX secolo; queste si potrebbero definire "poesie sperimentali", in quanto posseggono delle peculiarità non riscontrabili in autori di versi della sua generazione e, tanto meno, in coloro che lo hanno preceduto. Se c'è un poeta che può in qualche modo somigliargli è certamente Riccardo Bacchelli: in particolare l'autore dei Poemi lirici; ad unirli è una non rara sentenziosità ed una tendenza a ricordare particolari eventi della vita. Per certi aspetti, le liriche di Cecchi posseggono ulteriori elementi che si avvicinano a correnti artistiche come il surrealismo e l'ermetismo; riguardo a quest'ultimo, a mio modo di vedere, potrebbe benissimo esserne considerato l'anticipatore.




Opere poetiche

"Inno primo", Ciardelli, Firenze 1908.
"Inno", Carabba, Lanciano 1910.
"L'uva acerba", Garzanti, Milano 1947.




Presenze in antologie

"Poeti d'oggi: 1900-1925", a cura di Giovanni Papini e Pietro Pancrazi, Vallecchi, Firenze 1925 (pp. 492-496).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 2, pp. 48-58).
"Antologia della poesia italiana 1909-1949", a cura di Giacinto Spagnoletti, Guanda, Bologna 1952 (pp. 155-161).




Testi

PRIMAVERA

L'amore è questione di spazio.
Essere occupati. Occupare.
E però tristezza, infelicità.
Tristezza calma come viaggiare
mettendo in valore le stagioni.
Nell’animo infatti a chi viaggia,
le donne dischiudono il paesaggio,
emblemi più puri.

E ora l'acquate di primavera
trapungono con frizzore d'aghi
scritture di celeste e d'oro
sopra le arene vaghe
a' termini della vuota città.
Le bimbe di gambe virili
sedute agli uscioli
si cuciono le vesti leggere
e il limpido capriccioso mattino
oscilla e cade a' loro piedi.

Per gli ariosi archi rosati
e il verde spessore sotto gli alberi
mi segue un pensiero di te.
E porto i tuoi occhi
come un urto nel cuore,
per pena di quando
non ti vedevo e eri accanto.

Oh essere un paese tuo!
Nutrizione dei destini inferiori.
E a' crocevia dove la materia
s'ingolfa in me fresca e polverosa
ritrovo i primi sapori.
Una regione amorosa
si crea del mio transito a te
nel mio corpo più fino.
Il gelo dei tuoi bracci carnosi
m'invera i silenzi
delle case attente sui colli
a' giochi del viziato mattino.

(Dalla rivista «La Riviera Ligure», anno XXII, n. 60, 1916)


I gioielli nella poesia italiana decadente e simbolista

Naturalmente, per gioielli s'intendono tutti gli oggetti ornamentali usati da donne o da uomini; possono essere pietre o metalli, ma quello che li unisce è la preziosità, la bellezza e la raffinatezza. I poeti decadenti e simbolisti ne citano e ne descrivono molti, quasi sempre indossati da donne affascinanti, sì da rappresentare il plus ultra dell'eleganza. Govoni in alcuni suoi versi parla di un luogo in cui abbondano questi oggetti preziosi, quasi a voler sottolineare la presenza di sconosciuti paradisi creati dagli umani per il loro bisogno di ricercatezza estrema. Gualdo nomina un tesoro celato nei più reconditi abissi; Lipparini racconta di "nobili forzieri" da cui escono "lucide gemme in aurei monili"; Tumiati e Adobati si soffermano ad esprimere concetti alti relativi ad alcune pietre preziose come smeraldi, rubini, zaffiri ecc. Un discorso a parte merita la simbologia dell'anello, che in alcuni casi viene trovato dal poeta in modo casuale, e da tale ritrovamento scaturiscono delle congetture sui proprietari di questo oggetto, e sui sentimenti che ha suscitato in costoro. Ma, come già detto, nella maggior parte dei versi, pietre e metalli sono indossati da personaggi femminili il cui fascino suscita pensieri estremamente passionali.




Poesie sull'argomento

Mario Adobati: "Rubino", "Zaffiro", "Topazio", "Giacinto", "Lapislazzuli", "Turchese" e "Smeraldo" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Guelfo Civinini: "La spilla di turchine" in "L'urna" (1900).
Sergio Corazzini: "L'anello" in «Marforio», febbraio 1904.
Cosimo Giorgieri Contri: "La turchese morta" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Corrado Govoni: "Piazza Spagna", "Pietre" e "Crisoprassi d'amore" in "Le Fiale" (1903).
Luigi Gualdo: "In fondo ai chiari abissi" in "Le Nostalgie" (1883).
Amalia Guglielminetti: "La meraviglia" e "Le gemme" in "Le Seduzioni" (1909).
Giuseppe Lipparini: "Il tesoro" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Gian Pietro Lucini: "L'anello di smeraldi" in "Poesia", luglio/agosto/settembre 1906.
Fausto Maria Martini: "L'anello" in "Le piccole morte" (1906).
Fausto Maria Martini: "I gioielli" in "Poesie provinciali" (1910).
Nicola Moscardelli: "Orecchini" in "La Veglia" (1913).
Francesco Pastonchi: "Gioielli" in "I versetti" (1930).
Giuseppe Rino: "L'incorruttibile" in "Poesia", agosto/settembre/ottobre 1909.
Giovanni Tecchio: "L'anello" in "Canti" (1931).
Domenico Tumiati: "Diadema" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Domenico Tumiati: "Lo smeraldo" in "Liriche" (1937).




Testi 

LA SPILLA DI TURCHINE
di Guelfo Civinini

Era il primo appuntamento.
Dalla piazza Barberini
io la vidi, ben rammento,
sul canton dei Cappuccini:

ella venne ai primi inviti
quel mattin di primavera
(eran gli olmi rinverditi
su la vecchia croce nera)

con la spilla di turchine
fatta a foggia d'un falcetto,
sottil arma che le trine
odorose del corsetto

custodìa gelosamente.
Sussurravan gli olmi a tratti
sovra noi, curiosamente:
noi tacemmo un po' distratti

come siam soliti spesso,
quando l'anima è lontana:
con un murmure sommesso
si frangea su la fontana

il bel getto di diamanti:
e nel lor vagabondaggio
proseguian l'anime amanti
che avvincea Calendimaggio.

Ed a tratti, or sì or no,
se tacea tra gli olmi il vento,
con un tempo di rondò
s'udian giunger dal convento,

in quell'ora delle dieci,
voci tremule di frati
salmodianti antiche preci:
come voci di malati.

Quanto tempo è già passato
da quel nostro dolce amore!
Ecco, maggio è ritornato,
ma che gelo ho dentro al cuore!

Su le amiche voci buone
che ascoltammo, il viver lento
d'una fioca sua canzone
stende il ritmo sonnolento;

su le buone amate cose
stende mille impurità
bianche mani dolorose...
or chi mai le toglierà

quella spilla di turchine
fatta a foggia d'un falcetto,
che sovente fra le trine
odorose del corsetto

io cercava impaziente,
mentre tutto il miglior sangue
mi suggeva ella morente
con la bella bocca esangue?


(Da "L'urna")



Jean Renoir, "Gabrielle aux bijoux"

venerdì 8 luglio 2016

La campagna in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Per chi desidera trascorrere una vacanza in completo relax, c'è la campagna, che permette, a chi voglia visitarla da ospite, una meravigliosa pace, un'alimentazione sana e appetitosa, la presenza di animali e piante in gran quantità ecc. I versi dei dieci poeti che ho selezionato spesso indicano la campagna come "rifugio" dalla confusione cittadina (e quante città sono circondate da zone di campagna!); molti si soffermano su alcuni paesaggi, oppure su determinati oggetti, piante, animali o varia e semplice umanità. Ne scaturisce un mondo che invita alla distensione, una realtà fuori dalla realtà i cui tempi sono estremamente lenti ma altamente produttivi. Praticamente ci si trova davanti al ritorno di un lontano passato, quando l'Italia era prevalentemente un paese agricolo, e poteva dirsi, è vero, molto più povero economicamente, ma molto più ricco interiormente.  




CAMPAGNA
di Sandro Baganzani (1889-1950)

Fuggire stamattina
la polvere dei «camions» fragorosi
che dà una mano di bianco
agli alberi stremenziti
dei giardinetti pubblici
per seguire un fresco viottolo erboso
odoroso di sambuchi amarognoli
spruzzato di gocciole rosse
(la villanella che conduce le oche
a pascolare
si è punto il piede nudo?)
La gioia delle fattorie
pitturate di rosa e di celestino
con il maiale che grufola nel cortile
e le pezze del bucato sbandieranti
per la festa delle prime cicale!
Sotto l'oleandro il cane
sbadiglia alle mosche.
La vecchia vigila la teglia
per la sua gente alla campagna.
Dolcezza di avemarie
d'un viandante cieco
nel pulviscolo d'oro!...
Gli alberi cantano
ronzano vibrano frullano:
chioccolio di merli:
ticchettio di picchi spaccalegna:
pigolio di implumi:
le api si ubbriacano nei calici
rosa, nei calici bianchi
fino all'ultima stilla.
Quando suona l'Angelus
il viandante cieco si segna
per la gioia di vivere.

(Da "Arie paesane", Taddei, Ferrara 1920)





CAMPAGNA
di Giulio Gianelli (1879-1914)

Non più con poco sole aria maligna,
non più la via tumultuosa e stretta,
ma l'alto, d'onde la città soggetta
apparisce una grande orma sanguigna;

ma il mio libero cielo e la mia vigna
che al sole i succolenti acini affretta,
dove ogni zolla sempre un germe aspetta
che subito fiorisce e non traligna!

Tornare a'i cieli eterni e della terra
a'i frutti eterni, nuda erger la testa
a l'aquilone purificatore.

E, riscattato d'ogni intima guerra,
sorgere a l'alba ad offerire, in festa
alla natura e a Dio tutto il mio cuore.

(Da "Mentre l'esilio dura", Streglio, Veraria Reale-Torino 1904)





IN CAMPAGNA
di Corrado Govoni (1884-1965)

Per le fessure della finestretta
s’inserisce una luce scialba scialba.
Il campanile di Saletta
è il primo a suonare l’alba.

Le faraone ed i galli
schiammazzano dentro il pollaio.
Nitriscon nella corte dei cavalli.
Il vento scuote l’uscio del granaio.

Le rondini non ànno ancor parlato
nei loro nidi sopra il forno...
Rabbrividiscono i pioppi del prato.
Chissà se sarà un bel giorno!

La scopa or su e giù per la scala
fruscia ed ora è in cucina;
e, al pian terreno, il merlo nella sala
canta indomenicando la mattina.

(Da "Fuochi d'artifizio", Gianguzza Lajosa, Palermo 1905)





CAMPAGNA
di Arturo Onofri (1885-1928)

  Sul pendìo verdolino, aggraziato di margheritine, il bifolco affiena il carro da buoi con la forcina d'acciaio che brilla al sole, ingigantita dai lampi, come una pala d'argento sull'erba ancora tutt'intrisa d'alba.

(Da "Orchestrine", Libreria della Diana, Napoli 1917)





LA MIA CAMPAGNA
di Guglielmo Petroni (1911-1993)

O casa di campagna
riluttante nel tuo fondo scendo
al tuo disagio ed al tuo pane duro.

Nelle tue notti l'alte luci accendo
delle cortesi stelle dell'estate
e senza sonno alla finestra attendo
al grillo, che tagliente fischia, amico
e vibra come vibrano le stelle
e come l'alte punte dei cipressi.
Un lume solo nel tuo mondo mostri
alto, lontano e desolato;
richiamo delle case in fondo ai monti
opache, spente, quasi sommerse nella terra.

Nel mezzo della stanza
il letto mio biancheggia
semplice, di legno indecorato,
dentro la stanza spenta.

[Da "Poesie (1928-1978)", Guanda, Milano 1978]





PÀNICO
di Luigi Pirandello (1867-1936)

Pe ’l remoto viale di campagna,
tra fitte macchie, in sul cader del giorno:
io solo. È tal silenzio tutto intorno
che a un ragno sentirei tesser la ragna.

Come si tien così sospesa tanta
vita di foglie? Il cuore anch'io mi sento
sospeso, oppresso da strano sgomento;
stupito or questa guato or quella pianta.

L'anima quasi al limitar dei sensi
scende ansiosa, ma alcun lieve moto
non coglie, alcun rumore, e come un vuoto
mi s'apre dentro. Penetra fra i densi

rami del sol l'ultimo raggio intanto
e accende in alto lumi d'oro strani
nella macchia dei bigi ippocastani
che un tempio sembra ed opera d'incanto.

Di questa intimità con la natura
solitaria, del tutto inconsueta,
l'anima mia divien tanto inquieta,
quanto sarebbe forse per paura.

De' suoi sacri silenzii ancor non degno
dunque son io. Ma di notturne brine
tanto mi bagnerò che, puro alfine,
ella accoglier mi possa in questo regno.

(Da "Zampogna", Alighieri, Roma 1901) 





IN CAMPAGNA
di Agostino Richelmy (1900-1991)

Giugno adagio procede profumato
dai tigli, effusamente;
né mi disturba di scontrare a lato
i lasciti del fieno sul passaggio
delle carra di maggio.

Penetrare si può nella callaia
e trovare sul margine del prato
un anarchico fiore incoltivato;
là sta la vigna con filari in gaia
schiera guerresca a infiorescenze ritte
sui palmiti, tra breve con migliaia
d'acini penzolanti.

Intanto al campo appaiono già fitte
le spighe e l'orfane goccette rosse
dei papaveri, e sparsi azzurreggianti,
i fiordalisi teneri tra il grano.

Vanno grondoni al pascolo le grosse
mucche tranquille, e un vecchio mandriano
si sdraia all'ombre nuove
del noce or ora roseo di foglie.

Un uccelletto incomincia a cantare
in pace. Mi fa lieto e mi commuove
d'esser ben «lungi dal subdolo mare»
che sempre rumoreggia all'orizzonte.

(Da "La lettrice di Isasca", Garzanti, Milano 1986)





MONOLOGO AL MARGINE DI UN CAMPO
di Roberto Roversi (1923-2012)

Meglio dar fuoco al cumulo di fieno
che l’acqua gonfia e il sole non asciuga.
Lo stendo, lo raduno: nebbia, caldo
ci cadono all’estate
come giovani amanti.
Molto galante è il sole nell’amore.
La mia schiena si squama poi s’incurva.
Ricordo il gelo dell’89.
L’Ersilia è morta. Le fragole maturano
mentre vespe affondano nei fiori.
Non le raccolgo, lasciale appassire;
chi mangia più le dolci
fragole primaticce,
così stupide, soffici?
decrepiti, affondiamo nella terra,
stringiamo i lombrichi con le dita.
Sono stanco di stendere, adunare,
guardare in alto al gelo e all’acqua intento.
Fugge il sole? non lo chiamerò;
marcisce l’erba? anch’io cadrò
così, fra pochi mesi.
Un mare di pena è la mia carne.
Le fragole anneriscono sul campo,
gli anni frustano le spalle,
sporchi uccelli volano i ricordi.
Ombra di un’ala sopra l’acqua scende
adagio questa voce
nel pomeriggio fantastico.

(Da "La raccolta del fieno", Einaudi, Torino 1960)




CAMPAGNA
di Rocco Scotellaro (1923-1953)

Passeggiano i cieli sulla terra e
le nostre curve ombre
una nube lontano ci trascina.
Allora la morte è vicina
il vento tuona giù per le vallate
il pastore sente le annate
precipitare nel tramonto
e il belato rotondo nelle frasche.

(Da "È fatto giorno", Mondadori, Milano 1954)





MI RICORDERÒ DI QUESTO AUTUNNO
di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)

Mi ricorderò di questo autunno
Splendido e fuggitivo dalla luce migrante,
Curva al vento sul dorso delle canne.
La piena dei canali è salita alla cintura
E mi ci sono immerso disseccato dalla siccità.
Quando sarò con gli amici nelle notti di città
Farò la storia di questi giorni di ventura,
Di mio padre che a pestar l'uva
S'era fatto i piedi rossi,
Di mia madre timorosa
Che porta un uovo caldo nella mano
Ed è più felice d'una sposa.
Mio padre parlava di quel ciliegio
Piantato il giorno delle nozze, mi diceva,
Quest'anno non ha avuto fioritura,
E sognava di farne il letto nuziale a me primogenito.
Il vento di tramontana apriva il cielo
Al quarto di luna. La luna coi corni
Rosei, appena spuntati, di una vitella!
Domani si potrà seminare, diceva mio padre.
Sul palmo aperto della mano guardavo
I solchi chiari contro il fuoco, io sentivo
Scoppiare il seme nel suo cuore,
Io vedevo nei suoi occhi fiammeggiare
La conca spigata.

(Da "Vidi le muse", Mondadori, Milano 1943)



Giovanni Fattori, "Riposo in Maremma"