giovedì 20 ottobre 2016

Versi de l'autunno (parte II)

Certamente non lo amo il mio tempo: un tempo che preferisce di gran lunga Halloween alla festa di Ognissanti e al Giorno dei Morti. Mi aggiro per le strade di questa periferia disfatta, che ben si addice alla mia cronica malinconia e ad una disperazione calma che mi porto dietro da qualche mese. Penso che per me, l'unica consolazione rimanga la natura: lei non muta, è sempre la stessa. Sono tornate le prime nebbie autunnali; continua a piovere quasi tutti i giorni; la luce si è fatta sempre più avara; il terreno è già coperto dalle foglie morte... Lentamente, l'ottobre sta trascorrendo e il novembre è, ormai, a un tiro di schioppo.




AUTUNNO
di Gabriele D'Annunzio

Autunno, che negli occhi suoi specchiasti
e nel mar taciturno il tuo fulvo oro
- tutte le acque un immobile tesoro
parvero, e gli occhi più del mare vasti -,

Autunno, io non sentii mai così forte
la tristezza che tu solo diffondi
- quante di me ne' tuoi boschi profondi
son cose morte tra le foglie morte!

come ieri. Fu ieri la suprema
tristezza e fu l'amor supremo. Ah mai,
ne l'ore più segrete, mai l'amai
come ieri. Ancor l'anima ne trema.

Ella taceva, chiusa ne la nera
tunica dove sparsi erano fiori
pallidi, Autunno, come i tuoi che indori
sul vano stelo; e, china a la ringhiera,

guardava il golfo solitario, china
come colei che un peso immane aggrava.
- Ombra de la sua fronte! - O non guardava
forse dentro di sé la sua ruina?

Forse. Non domandai. Ma così piena-
mente a lei rispondean tutte le cose
visibili, apparenze dolorose
d'anime involte ne la stessa pena,

che io credetti vedere il suo dolore
in quelle forme, vivere in un mondo
espresso intero dal suo cuor profondo,
irradiato da quel solo cuore;

e fu per me ciascuna forma un segno
che svelava un mistero: quasi un muto
verbo; e più nulla fu disconosciuto,
anche per me, ne l'infinito regno.

(Da "Poema paradisiaco", 1893)




AUTUNNO
di Diego Garoglio

Or, grigio autunno, il tedio tuo m'assale
intimamente ed ogni mia tristezza
antica geme: come il virginale
sogno dei fiori sparve e la ricchezza

dei dolci frutti? Più non piove ebbrezza
ai desolati campi il ciel nivale.
Morti, ripenso a voi; l'anima apprezza
or la pace e il silenzio sepolcrale,

però che secche le speranze estreme,
terra, come ogni tua spoglia vana,
né geli o nevi, né morte più teme.

La nebbia avvolga pur l'anima mia,
grigio sudario: suona una campana
lontana, autunno, una lenta agonia.

(Da "Elena", 1901)




SOLITUDINE AUTUNNALE
di Gustavo Botta

La pigra nuvolaglia
distesa all'occidente
sanguinosamente
il sole imbavaglia.

Per l'erma boscaglia
non uno sgriglio si sente:
di tra i fusti agili ardente
il lago da lungi abbarbaglia.

Sterpi e grovigli di vepri
lungo il sentiero che svolta,
né ritenne orma veruna.

Guardinghe, vi andrannno le lepri
quando tu l'ombra folta
mieterai, falce di luna.

(Da "Alcuni scritti", 1952)




GEMON L'ULTIME ROSE...
di Vincenzo Fago

Gemon l'ultime rose nel morente
crepuscolo d'autunno, come smorte
bocche, cui già discesero le lente
lacrime d'una sciagurata sorte.

Rabbrividisce il bosco e un gelo sente
pur l'anima percossa da la forte
angoscia; le canzoni sono spente
tutte, le illusioni tutte  morte!

Così, Donna, è compiuto il mio destino
che d'ogni più gentil riso mi spoglia.
Fosti sera per me senza mattino,

io l'april di tua vita, e tu alla mia
squallido autunno che il mio cor, qual foglia,
inaridisti lungo la tua via.

(Da "Discordanze", 1905)




ANCORA UN AUTUNNO
di Luisa Giaconi

Tu vedi, anima mia, di lieve opale
soffusi i cieli, ed una gran dolcezza
ti vince. Come mai nell' autunnale
malinconia tu senti una carezza?

Oh tu torni nel sogno, anima mia
su l'onda dei lontani anni raminga,
come vela che il mar passi solinga
in un incanto di malinconia!

Dolci cose rivedi, e sì lontane
cose: quell'oro delle ultime foglie
bisbiglianti dei larici, le spoglie
viti sul colle arato, le liane

dei boschi melanconiche, il sorriso
dei mattini fragranti, le soavi
malinconie dei vesperi che amavi,
anima, tanto, e quell'eterno riso

degli astri e della luna. Dolce cosa
errar sull'onda degli anni sereni
e i fiori, i canti di dolcezza pieni
trovar nel sogno, o anima pensosa.

(Da "Tebaide", 1912)




AUTUNNALE
di Giuseppe Casalinuovo

Allo stormir che fecero le foglie
noi taciti guardammo nel frascame.
Fremendo ancòra, dentro le sue brame
il cuore pel ricordo si raccoglie.

Noi guardammo. Da mezzo delle rame
cadevan roteando delle foglie.
Oh come a un tratto delle nostre voglie
stringemmo forte le già strette trame.

E le foglie stanchissime al terreno
caddero come cadon cose morte.
Vennero allora agli occhi in un baleno

l'anime che un timore aveva assorte,
e nello sguardo lucido e sereno
la vita lampeggiò stretta alla morte.

(Da "Dall'ombra", 1907)




BRUMALE
di Mercurino Sappa

Un alito di bimba addormentata
È lieve men de l'aria che ti porta
Da 'l nudo ramo a la famiglia morta,
O fogliolina d'oro accartocciata.

Ti porta in braccio de le tue sorelle
De 'l cespo a 'l piè, con un lamento roco,
De le sorelle in vita e 'n morte unite.
Più lieve soffio ad una ad una svelle
Da 'l mio cor le speranze, ahimè sì poco
Salde, ahimè così presto affievolite!

O fogliolina, o mie speranze, udite
E vi sia di conforto: il mondo intero
Non è di voi men vano e menzognero,
Solamente il suo inganno ha più durata.

Un alito di bimba addormentata.

(Da "Ballatette", 1904)




CADON LE FOGLIE
di Franco Caracci

Dalla finestra piccina
guardo il cader delle foglie
che il vento, a tratti, raccoglie
nella piazzetta vicina.

Foglie già morte, cadute
col freddo, dove n'andate?
Foglie che ancora attardate,
foglie avvizzite, giù mute

forse per lungo tormento,
scendete presto, ch'è l'ora...
- tutto all'intorno scolora -
tutto singhiozza col vento!

Senza rimpianti, scendete:
muore ogni giorno qualcosa:
muore il giacinto e la rosa:
pallide larve, cedete...

E poi, sentite: morire,
non è tristezza infinita:
ed è sì triste la vita
che vede tutto sfiorire...

... un'altra foglia che muore:
piano discende: un accento
tremulo, forse un lamento,
ed è finito il dolore!

(Da "Campane a sera...", 1911)




PIOGGIA D'AUTUNNO
di Vittoria Aganoor Pompilj

Questa mane è piovuto, e alla mia stanza sale
dalle aperte finestre quell'odore autunnale
dei boschi, che risuscita forme e sogni scordati:
abbadie scure e mute; monaci incappucciati;
vecchie selve, dimora favolosa di maghi
dalla bacchetta d'oro; grotte profonde, e laghi
tetri, dal fondo verde d'alighe lunghe e folte,
forse chiome ribelli di naiadi, sepolte
sotto quell'acque...
               A quando a quando il sol percote
la parete di contro, e muta tinte e note
a quel mobile mondo di fantasmi... È fuggita
ogni strana sembianza; ecco il sole, la vita,
la giovinezza, il vero! Che risi seduttori
che inviti, in quel suo bianco raggio d'autunno!
                                       «Fuori! —
(sembra dir) — «l'aria è fresca, i prati sono ancora
verdi, e Cerere amica d'auree messi colora
i campi; oggi risplendo a festa, ma non giuro
d'esser l'ugual, domani; lo sapete, è sicuro
solo l'istante, l'ora fugge e i maligni fati
v'invidiano le feste; dunque fuori! sui prati,
alle colline! Avanti! che l'inverno è alle porte
ed avrò un bel risplendere se le foglie sien morte
e la neve distesa sulle zolle deserte
di vita!»
         E intanto fulgida dalle finestre aperte
entra un'ondata bianca e m'invade la stanza
e spia per ogni dove come un bimbo in vacanza;
fruga tra i libri, scherza sul minuto lavoro
degli stipi; a ogni ninnolo dà una pagliuzza d'oro
e ride...
         Io vorrei correre ai colli alti, al divino
aer libero e fresco, ma... sovra il tavolino
un nero volumone mi guarda, fa il cipiglio,
m'ammonisce, borbotta. Come è ingrato il consiglio
che mi dà quel maestro inflessibile e grave!
il cielo è così bello! l'aria così soave!
forse... è l'ultimo giorno di festa.
                                 O che mi serbi
tu, libro tenebroso? forse dei veri acerbi
e null'altro...
             No! meglio l'istante spensierato,
il sogno, anche se breve, il fantasma, evocato
da un raggio bianco e un ramo di gocciole coperto...
corriamo ai prati, ai colli, all'aperto, all'aperto!

(Da "Leggenda eterna", 1900)




CANTA DI FUORI L'ETERNA PIOGGIA
di Domenico Oliva

Canta di fuori l'eterna pioggia,
La greve pioggia d'autunno canta,
È una canzone di strana foggia,
Barbara e piena che turba e incanta

È un rauco metro senza colore,
È d'un pensiero folle la veste,
È lungo, è scialbo: d'un tessitore
Paion le note stridenti e infeste.

Che mai si tesse, di fuor, pel nero
Immane regno di questa notte?
È forse un liquido manto ch'austero
Scenda ad avvolgere le vane lotte

In cui la gente vive e s'uccide?
Poiché la pace grande e l'oblio
Chi ascolta, afferra, stringe, conquide
Cede il nemico nostro, il desio -

E non umano accento giunge,
Grido di bestia, passo, o fragore
Di carro: solo, vicino o lunge,
V'è il folto murmure che mai non muore.

Oh l'infinito rosario! oh questa
Litania immensa, queta e profonda,
Che dal notturno nume ridesta,
Dice ogni zolla, dice ogni gronda,

Oh la preghiera senza parole,
Oh il paternostro della tenèbra,
Lene carezza l'anime sole,
Pallia dei cori smunti la lebra!

Sii di pazienza, larga armonia,
Consiglio al martire che qui si strugge,
Figlia d'autunno, possente e pia,
Ripeti dunque: la vita fugge:

Dillo, ripetilo a chi l'adora
L'idol di carne, l'idol di sangue,
Dillo: per tutti s'appresta l'ora
Fatale e pallida: la vita langue;

Langue e scompare: oh non levate
L'inno di gioia: le vostre labra
In un istante ecco ha inchiodate
Una man gelida, scarna e macabra:

Non la bestemmia s'innalzi, come
Getto di fiamma: breve è il martiro:
È un vano sogno, è un vano nome,
Inno non merta, rabbia o sospiro!

Canta di fuori l'eterna pioggia,
La greve pioggia d'autunno canta,
È una canzone di strana foggia,
Barbara e piena che turba e incanta.

(Da "Il ritorno", 1896)




AUTUNNALE
di Bruno Vignola

Da due giorni un'acquerugiola che fila
sottile e diritta in una tisica nebbiola
ha inzuppato i campi smossi,
infradicito impiastrato le strade di limaccio,
marcito lungo i viali nudi le foglie morte e le acace.
Attraverso i vetri sprizzolati della finestra
un pàmpino ostinato
su gli stecchi gocciolosi della siepe
ha l'aria sbiadita di reliquia
d'un brandello di vecchia seta gialla
appeso ai rovi...

E annotta: una goccia
che forse cade da una gronda
su una secchia riversa nell'orto,
ha il lento singulto uniforme
d'un pèndolo
che batta in un silenzio sgomento
gli ultimi istanti del mondo...

Annotta: ora entra nelle stanze un buio viscido e diaccio
che odora di sotterra,
come se tutta quanta la casa
affondi nel suolo flàccido poltàceo
adagio - adagio - inesorabilmente
giù in una nera tomba di mollume.

(Da "Gamma", 1918)




LA DIPARTITA
di Gustavo Balsamo Crivelli

Era l'ottobre tardo. A noi d'intorno
grigio, deserto, sconfinava il piano:
all'orizzonte impallidiva il giorno
tra un brulichio di porpora lontano.

Ed io pensando nel crudel ritorno
già disciolta la mia dalla tua mano,
breve sosta di un sogno il mio soggiorno
nella tua casa ed il rimpianto vano,

come quel cielo che tra i pioppi in brume
d'argentee nebbie lento scoloriva,
vaporando un estremo, esile lume,

tutto sentii nel cor mio scolorire:
estasi, fedi, sogni e la mia viva
anima anch'essa come il dì morire.

(Da «Riviera Ligure», 1902)




CREPUSCOLO AUTUNNALE
di Guido Menasci

Di sanguigni riflessi il sol colora
le nuvole con l'ultime faville
e sovra il buio mar guizzano ancora
d'onda in onda fuggevoli scintille.

S'addensa il color grigio ad ora ad ora
su le colline a torno e su le ville:
ridean di luce sino da l'Aurora
e nell'oscurità muoion tranquille.

Da quale novo incanto, ora, da quale
vision mossa dà la fantasia
una tristezza indefinita a 'l core?

Nel silente crepuscolo autunnale
sorge — squallido fior — la Poesia
di tutto ciò che sotto il ciel si muore.

(Da "Il libro dei ricordi", 1895)




IL LAGHETTO D'AUTUNNO
di Teofilo Valenti

È limpido il laghetto, a cui dintorno
ciascun albero giallo si dispoglia:
par l'acqua, se la increspi aurata foglia,
liquido vel, d'erbose frange adorno.

Lento si va discolorando il giorno,
canta pel cielo un'angelica doglia:
di fuggir con le rondini s'invoglia,
l'anima, de l'inverno anzi il ritorno.

I cigni sfioran l'onda tuttavia,
precinti d'una candida magia:
e le imagini lor, lo specchio inverte.

Quale si volge per uscire al secco,
e quale, appena le bell'ale aperte,
rompe il cristallo nitido col becco.

(Da "Le visioni", 1906)




FINE D'OTTOBRE
di Enrico Gerelli

Deboli son le foglie, già tutte son quasi appassite:
se continui, pioggia, tutte cadranno al suolo.

Cadranno, ed il balcone quel riso sereno d'idillio,
quell'incanto giocondo di rusticana pace

perderà. Tu non odi. Dal cielo in lunghissimi fili
luccicanti discendi; batti le foglie assidua.

Domani, a l'alba triste, vedrò il mio balcone sfrondato;
la vite negra e storta piangerà le sue foglie.

Le larghe foglie sue rossiccie, aranciate, staccanti
sul lucido metallo de le turchine sere.

Tutto appassisce e muore. Voi foglie a me care cadete!
stride la pioggia; muto io guardo dai vetri.

Perché, turbata, vede la mente codesta stanzuccia
parata a nero e vedo me su la bara steso?

                                Merate, Ottobre '96.

(Da "Nel metro odiato", 1900)




VERSO IL NOVEMBRE
di Cosimo Giorgieri Contri

Autunno arriva. I morti
fiori ai sentier dolenti
dicono le silenti
malinconie delli orti.

È il ciel tenero, come
tu solo, Autunno, sai;
non è più su' rosai
rosa per le tue chiome.

Odi respir leggero
del Novembre che viene:
qual suo perduto bene
segue egli, il passeggero?

Viene recando in mano
fasci di fior recisi;
pianto di nebbie e risi
di sole alterna al piano;

e le ombre, donzelle
pie dietro sé conduce:
fugge per lor la luce
ma crescono le stelle.

Crescono senza posa
pel trasparente cielo,
come a fiorire il velo
funebre di una sposa:

e alla brezza che scote
i nudi rami, anch'elle
tremano... Argentee stelle,
per che tristezze ignote?

(Da "La donna del velo", 1905)




I GATTICI
di Giovanni Pascoli

E vi rivedo, o gattici d’argento,
brulli in questa giornata sementina:
e pigra ancor la nebbia mattutina
sfuma dorata intorno ogni sarmento.

Gia vi schiudea le gemme questo vento
che queste foglie gialle ora mulina;
e io che al tempo allor gridai, Cammina,
ora gocciare il pianto in cuor mi sento.

Ora, le nevi inerti sopra i monti,
e le squallide pioggie, e le lunghe ire
del rovaio che a notte urta le porte,

e i brevi dì che paiono tramonti.
infiniti, e il vanire e lo sfiorire,
e i crisantemi, il fiore della morte.

(Da "Myricae", 1892)




QUADRO AUTUNNALE
di Giuseppe Urbani

O mesto Autunno, o dolce sognatore
ch'ogni anima riempi ed ogni cuore
di tristezze profonde,
che versi sulla terra i tuoi languori
nei trionfi de l'albe e dei tramonti;
spasimo d'amanti e di poeti,
che ritorni vestito
di tutte le bellezze moriture,
strappa il vento per te le foglie d'oro
e un letto ti compone;
ti cantano gli augelli il dolce sonno
com'io ti canto in flebile canzone.

O mesto Autunno, o dolce sognatore;
dalle tue dita, io veggo,
qual da fiamminghe tavolozze, escire,
superbe tele luminose e strane
e n'intendo d'ognuna la bellezza
che ridirti vorrei, ma non so dire:
Oh, come tutto abbrividisce e muore!
Treman per l'aria effimeri velari
come il flato che l'alba imprime ai frutti
e nuvole d'opale in lunghe striscie
segnan del cielo il violato azzurro,
come il solco degli anni in sulle fronti.
Pallido il sole tra cineree nubi
s'affaccia e si nasconde
come dietro una palpebra si cela
un occhio che non dorme e che non veglia.
A quando a quando un timido sussurro
s'ode per l'aria come un frullo d'ale
poi tutto torna nel silenzio austero.
È tutta triste la campagna, triste
come una giovinezza che si spegne.
Oh, che lento sfacelo floreale!
Crescono solo mesti crisantemi
sopra tutte le tombe
ma i fiori della gioia e della grazia
come bocche anelanti ai baci estremi
piegano scolorati in sullo stelo
non più porgendo i calici
ansiosamente al cielo
pel soave licor de le rugiade.
Oh, come tutto lentamente cade!
Come una sfida i salici
soli, s'ergono al cielo
come per dir che qualche cosa resta
di ciò che vive e muore,
e dalle siepi tra le poche fronde
occhieggiano le rosse ultime more
pendenti a guisa d'ùveri di poppa,
mite ristoro all'arso viatore.
Su per i campi gli alberi sfioriti
in atto di dolor piegano i rami,
mentre cadon le foglie a poco a poco
come un cader di sogni e di speranze.
Han le foglie morendo un riso d'oro
e il turbine le strappa ad una ad una
come ali di farfalle,
e sulle morte gore le raduna,
quasi a formare un albo di tristezza:
pagine d'oro, quelle foglie gialle,
ove l'autuuno scrive
le sue melanconie.

(Da "Il rosario del cuore", 1907)




DIPARTITA D'AUTUNNO
di Vittorio Emanuele Bravetta

Sorge fosco, tra le foglie
dei gialli alberi, il convento
sopra quel colle, lassù;

e sul tetto si raccoglie
tutta quanta a parlamento
una garrula tribù.

Che si dicono?... S'affaccia
ora un monaco canuto
verso quella turba gaia,

e di lunga e nera traccia,
sopra lui che ascolta muto,
si ricopre la grondaia.

Che si dicono?... Ogni madre
certo i piccoli consiglia
con segrete sue parole.

Ecco: già s'ordina a squadre
quella erratica famiglia
mentre cade occiduo il sole;

vanno lungi, ad altri lidi;
e le guarda mestamente
di Francesco il mite alunno...

Un desìo di nuovi nidi
quelle sentono... egli sente
la tristezza de l'autunno.

Mentre cadono le foglie,
mentre piove sul convento
un solare ultimo raggio,

il buon vecchio si raccoglie
col suo cuore a parlamento,
s'apparecchia al gran viaggio.

Ma sorride e benedice
e s'indugia a salutare
quella erratica tribù:

"Oh!... mio cuore", il vecchio dice,
"torneranno esse dal mare";
"noi non torneremo più".

(Da "Odi e canzoni")




FOGLIA SECCA
di Emilio Girardini

Spinta a vortici dal vento,
che a novembre i tralci spoglia,
con un esile lamento
mi perseguita una foglia.

Se talora anco s'arretra,
nuova raffica mi porta
sul cammin la vista tetra
de la foglia arida e morta;

de la foglia che m'insegue
e mi crepita a le spalle
mano a mano, a brevi tregue,
pel sentier che mena a valle.

Sotto grigia aria di neve
e tra strida aspre di corvi,
mentre l'ora de la pieve
batte e ascende i cieli torvi,

va la foglia, mi spaura,
mi rincorre su la traccia
ed un gel di sepoltura,
tutto brividi, mi agghiaccia.

(Da "Liriche varie", 1908)




QUEST'AUTUNNO...
di Girolamo Comi

Quest'autunno che mi canta la fine
dell'Amore e della Bellezza
in quali passati domini
lo rividi con tenerezza?...

La coppa è vuota - languido efèbo
ed il sovrano dio dell'avvenire
m'è parso vederlo morire
presso un vaghissimo Erèbo.
...La madre è triste - il bimbo sopito
sui ginocchi - attende che cosa?...
...Voi, amanti de la migliore rosa
non scrutate mai l'Infinito?

Dagli orizzonti pallidi emerge
un filo d'agonia - pallida morte
d'una sera che apre le porte
alla notte che piano sommerge
il sorriso d'una vittoria.

Addio, amanti chini sul fiore
del vostro sangue - della vostra storia
fiorita sopra singhiozzante aurora
e che vi parve mondiale gloria!...


(Da "Il lampadario", 1912)




Nils Kreuger, "Autumn, Varberg"