domenica 25 agosto 2019

Una generazione straordinaria di poeti toscani


A proposito di poesia italiana, parlando della terza generazione di poeti novecenteschi, è esistito un gruppo di scrittori toscani che, a partire dalla metà degli anni '30 e per tutti i restanti decenni del secolo, hanno pubblicato molti volumi di versi di buono o ottimo valore. Alcuni di essi furono meritatamente elogiati e divennero celebri; altri lo furono per un periodo soltanto, finendo, dopo qualche lustro, nel dimenticatoio. Questo mio post intende ricordarli tutti, se pur brevemente, sperando, in seguito, di dedicare a ognuno ulteriori e più approfonditi post. Ecco, per cominciare, l'elenco dei poeti: Piero Bigongiari (Navacchio 1914 - Firenze 1997), Aldo Borlenghi (Firenze 1913 - Milano 1976), Luca Ghiselli (Viareggio 1910 - Capo Caccia 1939), Mario Luzi (Firenze 1914 - ivi 2005), Alessandro Parronchi (Firenze 1914 - ivi 2007), Guglielmo Petroni (Lucca 1911 - Roma 1993), Mario Tobino (Viareggio 1910 - Agrigento 1991). Come si noterà dai luoghi e dagli anni di nascita che, per ciascuno ho riportato tra parentesi, tutti nacquero tra il 1910 e il 1914, all'interno della regione Toscana. Come già anticipato, vi furono quelli che conobbero la gloria, venendo inseriti nella famosa antologia di Luciano Anceschi: Lirici nuovi, per poi rientrare di diritto tra i cosiddetti "poeti ermetici". Gli altri, non ebbero la medesima sorte, anche se furono a loro volta, seppure in tempi diversi, considerati ed elogiati. Qualcuno perse accidentalmente la vita in giovane età; qualche altro, cogli anni, trascurò la poesia per dedicarsi con maggior intensità alla prosa; qualche altro ancora si allontanò alquanto da quell'ermetismo che lo aveva fatto conoscere. Ciò che mi pare sicuro è il fatto che tutti possedessero delle qualità poetiche non indifferenti; per tale motivo ho voluto ricordarli, ciascuno con una poesia, come se fossero un vero e proprio gruppo.


FIABA
di Piero Bigongiari

Una fiaba di cenere, se resta
la primavera, liberi sul clivo
che Venere riassale lacrimosa,
il tuo viso dimenticato al nero

riaccendersi d'un lampo si riposa.
I muri veri, la strada in una nube
d'echi, il fiume repe ai vani
disastri d'una lacrima furtiva,

nelle crepe gli scarabei, a domani
il messaggio della tua lenta deriva.
Restano i passi ch'io conto, e i fichi
gocciano olio di fuoco dentro i cortili,

le tue mani purissime deterse
nei rivi, e che scrivi sulle vecchie mura
dove un croco s'infiamma? Questa
è la natura? E come il dramma? Dove la tempesta?

(da "Stato di cose", Mondadori, Milano 1968)

 
Piero Bigongiari (ritratto)

QUESTI ANNI
di Aldo Borlenghi

Questi anni nel muover del sole
mobile ombra ovunque di un giorno,
perdano in me il loro senso: le lunghe
memorie, il loro passato - quel che lasciai;
ch'han lo stesso urto leggero
che l'uccello dal ramo sulla zolla,
o il moto corto dei sogni.
E tanto in breve seguiterò: per me
nell'occhieggiare, nel trasparir dell'ombre
su questo giorno, da loro
anche, lo accolgo.

(da "Poesie", Mondadori, Milano 1952)




PARTIRE
di Luca Ghiselli

Forse nel desiderio di partire
c'è già tutta la gioia del ritorno.
Andare, andare attorno
per strade di paesi ben lontani
vuol dir trovare, domani,
la voce del paese che sappiamo.
E sempre questa brama?
Questa brama d'andare oltre i confini
del nostro umano amore
a cercare le voci più profonde
di quel che abbiamo in cuore?

(da "Prose e versi", Pananti, Firenze 1985)

 
Luca Ghiselli


CIMITERO DELLE FANCIULLE
di Mario Luzi

Eravate:
le taciturne selve aprono al piano
e al sole il vasto seno:
questo è il campo di fieno ove correste.
E dai profondi borghi alta la torre
suona ancora le feste
onde animava ognuna alle finestre
di gioia umana il volto inesistente.
Ma le mani chimeriche e le ciglia deserte
chi solleva più al suo nome
nelle vie silenziose e l'aria come
quando la luna le celesti chiome
odorava di rose fiorentine?
Ma l'amore? e i balconi della sera?
le braccia abbandonate
dal sole alla profonda luce nera
negli orti ove dirada
impallidendo ignota la contrada
chi preme più, chi bacia? Dallo spazio
lontano un vento vuoto
s'alza e parla coi tetti di voi morte.
Ma io sono: ho natura e fede e il tempo
mio umano intercede
per me dalle sostanze eterne amore
ancora, e grave d'esistenze il giorno
s'aggira qui d'intorno mentre tace
il mare delle vostre ombre al mio piede
con un triste e mirifico soggiorno.
L'ora langue sui colli e il cielo fa
di me il limitare dei suoi mondi,
de' miei sguardi infecondi
l'intenta umanità delle sue stelle:
si spengono le celle
delle pievi montane e il sole e i campi,
lunge l'erba infinita
spazia sui vostri inceneriti lampi,
fanciulle morte; passano su voi
epoche e donne poi come su un'onda
i successivi venti senza sponda
di mare in mare e io tremo innanzi a voi
di questa mia solenne irta esistenza.

(da "Tutte le poesie", Garzanti, Milano 1993)

 
Mario Luzi


TRAPIANTO
di Alessandro Parronchi

Felice zingaro che parte e non saluta
la terra che l'ha ospitato una notte!
Felice rondine nel vento spinta a caso
da un desiderio che sempre devia!
Ero l'albero più bello del giardino,
quello dai frutti teneri e dorati
che nel giugno trafitti dalle api
colavano un umore così limpido!
M'hanno strappato alle radici, tolto
alla terra che per me era più cara
di tavole oscillanti al pescatore
che ripensa la sua vita sospesa
alla danza d'un sughero sull'acqua.

Era bello invecchiare
succhiando con difficoltà le linfe
del mio terreno, accogliere con lui
fino alla morte il barrito dei venti.
E nei venti spogliarsi e rivestirsi
a ogni nuova stagione, fino a tardi,
fino all'ultima stanca foglia... Invece

dovrò assorbire terra sconosciuta
aggrinzito nel rimpianto a poco a poco...
Felice non chi porta i suoi ricordi
senza timore che il tempo li consumi,
ma chi non ne possiede, chi non beve
due volte l'acqua dalla stessa fonte.

(da "Le poesie", Polistampa, Firenze 2000)

 
Alessandro Parronchi


L'AMORE
di Guglielmo Petroni

Io non pensavo a seduzioni e forme
che nella notte tornano a svegliare
e la prim'aria che caccia le stelle
vien lenta e inesorabile a vedere
e trova gli occhi della notte bianca.
Uscivan l'incertezze mie lontano
verso ogni spazio i colli e le fontane
alle case solitarie e sgomente.
Mi fu vicina un'anima eccitata
persi la fanciullezza ebbi la sorte
di veder chiaro come un mezzogiorno.
Il primo amore mette nella mente
un pensiero sincero per la morte
che in certi giorni stiamo a riascoltare.

[da "Poesie (1928-1978)", Guanda, Milano 1978]




LE ONDE SONO LE ROSE
di Mario Tobino

Girar per le strade
cullate di notte dal rumore del mare,
entrar nelle case di allegre ragazze
svelte a picchiare sulle mani lunghe;
in darsena l'ascia tenere come una penna
sicura a disegnar bastimenti;
navigare fino alle fredde gole
che versano il vento del Nord,
e presto tornare a Viareggio;
essere uno che quando muore
gli fanno uno spontaneo trasporto
dolce di fiori e popolo.
Questa è la gloria dei viareggini.
Le onde sono le rose,
i bastimenti sono le vigne.

(da "L'asso di picche. Veleno e Amore secondo", Mondadori, Milano 1974)


domenica 18 agosto 2019

Antologie: "I poeti della Scuola romana dell'Ottocento"


Tempo fa pubblicai un post che parlava di un'antologia dedicata ai cosiddetti poeti della "Scuola romana"; il curatore di quel libro, Domenico Gnoli, è stato anche il primo a concepire un'opera che potesse ricordare in modo adeguato questa scuola o tendenza poetica, di cui lui stesso fece parte. I poeti della Scuola romana pubblicarono i loro versi all'incirca tra il 1850 ed il 1870, e si rifecero al Petrarca, all'Arcadia, e in parte al Leopardi più idillico. Nel 1964, ben 51 anni dopo l'antologia dello Gnoli, presso l'editore Cappelli di Bologna ne uscì un'altra simile, a cura di Ferruccio Ulivi, che s'intitola: I poeti della Scuola romana dell'Ottocento; quest'ultima si differenzia alquanto rispetto alla precedente, soprattutto perché riduce fortemente il numero di poeti selezionati, limitandosi quindi ad inserire i nomi più significativi della scuola; nello stesso tempo, si nota l'inserimento di una maggiore quantità di testi; in tal modo, Ulivi riuscì a presentare e approfondire l'opera poetica dei pochi presenti in maniera più esauriente. Ovviamente, un numero considerevole di pagine è occupato dai due fratelli: Giambattista e Giuseppe Maccari, che, si può ben dire, vadano considerati i più spiccati talenti del gruppo, e meritevoli quindi di uno spazio maggiore rispetto agli altri. Non rimangono esclusi altri cinque poeti di discreto valore: Paolo Emilio Castagnola, Luigi Celli, Pietro Cossa, Augusto Caroselli e lo stesso Domenico Gnoli (quest'ultimo fece parte del gruppo soltanto in età giovanile). Assenti tutti gli altri nomi che figuravano nell'antologia del 1913. Sebbene possa apparire troppo severa, la scelta di Ulivi è dettata dalla necessità di restringere all'essenziale, una produzione poetica degna di essere ricordata, di un gruppo che fu troppo spesso considerato poco importante, se non insignificante (tra coloro che lo ritennero tale ci fu anche Benedetto Croce). Se si considera che questa antologia fu pubblicata alla metà degli anni '60 del XX secolo, sarà facile capire che già in quegli anni l'interesse per questa scuola era scemato notevolmente, e soltanto il fatto di mettere in piedi un'opera che aiutasse a far tornare un certo interesse verso questi pochi, meritevoli poeti di un secolo prima, fu un'iniziativa encomiabile.



I POETI DELLA SCUOLA ROMANA DELL'OTTOCENTO

Paolo Emilio Castagnola, Luigi Celli, Pietro Cossa, Giambattista Maccari, Augusto Caroselli, Domenico Gnoli, Giuseppe Maccari

domenica 11 agosto 2019

Da "Conversazione in Sicilia" di Elio Vittorini


Riporto di seguito l'incipit del bellissimo romanzo Conversazione in Sicilia, di Elio Vittorini (Siracusa 1908 - Milano 1966). Il libro da cui ho tratto questo frammento fu pubblicato per la prima volta quando in Italia imperversava una dittatura. La storia raccontata dallo scrittore siciliano può essere sintetizzata in un viaggio che fa il protagonista verso la terra natale, in cui incontra una serie di personaggi simbolici e reali, coi quali dialoga e discute; giunto in Sicilia, trova la madre che si è separata dal marito, e con lei soggiorna per un periodo, seguendola nei suoi spostamenti per lavoro e ragionandovi su vari argomenti, fino al momento della partenza, preceduta da un'altra serie d'incontri e di eventi enigmatici.
In questo frammento, viene messo in primo piano lo stato d'animo del protagonista, che sta vivendo all'interno di un paese dove si è installata da tempo una dittatura per lui insopportabile; col passare degli anni, la sua ribellione verso la tirannia presente si è mutata in totale non-speranza, che ha trasformato i suoi comportamenti sociali, portandolo ad un mutismo forzato, dovuto alla impossibilità di dichiarare le proprie opinioni, evidentemente non gradite al potere. La sua vita si è ridotta così in una triste serie di azioni quotidiane, automatiche, e alla rinuncia di qualsiasi slancio vitale, a favore di un'apatia obbligatoria, per chi, come lui, amava sentirsi libero di proclamare pubblicamente le sue idee, sebbene minoritarie e avverse ai più.
Mi pare opportuno rileggere questo brano letterario, poiché ho la sensazione di essere in un periodo che anticipi nuove dittature; questo sovranismo, così anacronistico, basato su un egoismo senza confini e su un razzismo che non ha precedenti, spietato e dietro al quale si nasconde il più sinistro nazionalismo (causa dell'ultima sanguinosa guerra che ha coinvolto l'Europa intera) sta dilagando, e non so sinceramente dove ci porterà. Naturalmente spero di avere una sensazione sbagliata, e che le mie elucubrazioni siano dettate, una volta di più, soltanto da un pessimismo spiccato.



Io ero, quell'inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi son messo a raccontare. Ma bisogna dica ch'erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un'ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo. Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l'acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.
Questo era il terribile: la quiete nella non speranza. Credere il genere umano perduto e non aver febbre di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con lui. Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo voglia di nulla.

(da "Conversazione in Sicilia" di Elio Vittorini, Rizzoli, Milano 1994)

sabato 10 agosto 2019

Le stelle in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo


Oggi è il 10 agosto, e quella che presto verrà, sarà la famosa notte di San Lorenzo, ovvero la notte in cui, secondo una leggenda, coloro che vedono una stella cadente nel cielo, hanno il potere di far avverare un loro desiderio. In questa giornata in cui le stelle sono così osservate - malgrado i nostri cinici e spietati tempi - ho deciso di pubblicare un post che contenga 10 poesie italiane dedicate alle stelle; le ho selezionate tra le tantissime scritte da poeti italiani del Novecento. Certo, non sono io la persona più adatta per parlare di astri, visto che mai mi sono fermato per almeno un minuto ad osservare attentamente la sfera celeste, e visto che, se dovessi dire dove si trova una determinata stella, non saprei minimamente indicare un qualsiasi punto. Fatto sta, però, che ho letto tantissime poesie dedicate alle stelle, notando un interesse particolare dei poeti verso questo argomento; ecco allora 10 componimenti in versi tra gli infiniti che potevo aggiungere, in cui le stelle sono al centro dell'attenzione: siano esse ben identificabili con un nome preciso, siano più genericamente chiamate e invocate.



STELLA D'INVERNO
di Francesco Arcangeli (1915-1974)

Tu non conosci l'astro, tu non sai
come splende nel buio di febbraio.
Astro lontano e desolato, torcia
che agita sorti squallide nel cielo
- chi lo volge alla guerra, chi lo spera
segno di pace - io guardo la sua fiamma
gelarsi fredda come a un freddo polo.

Tu non conosci l'astro e lenta, a un lume
breve e tranquillo, bruna la tua mano
tormenta silenziosa fogli pallidi
su cui piovono immagini, frusciando
come rugiada, e destano nei grembi
della notte segrete primavere.
«Bright star» lo chiameresti: a te risponde
dal cielo d'alte notti, dal suo cuore
che duole eterno ai tremiti di maggio,
John Keats; da un tempo che non fu di guerre,
non fu di sangue, o lo lavò col canto
dei poeti. Ora, terra dolce, nulla
di loro vive; o un germoglio solingo
in qualche vita.
                       Ma nell'astro bianco
di queste notti io ti cerco, ignara
come sei del dolore d'oggi, stanca
solo di veglie, d'esili tormenti,
pura nel cerchio dei tuoi giorni soli.
Gli chiedo del mio tempo vuoto, amore,
che la notte in te cali, che un'alta ombra
ti allontani gli sguardi in una plaga
dove io ti trovi, sconosciuta stella.

(da "Stella sola", Bertoncello, Cittadella 1996)




LA STELLA DEL MATTINO E DELLA SERA
di Riccardo Bacchelli (1891-1985)

La stella del mattino e della sera
Sorge per prima ed ultima tramonta
La più bella di tutte e la più viva,
Ma annuncia col suo nascere la notte,
Annuncia il giorno, ma col suo morire.

Sorga alla sera o tramonti nell'alba,
La stella in ciel più bella è la più vera
Significando ai terrestri una sorte
Al di là della vita oltre la morte,
La stella della sera e del mattino.

(da "Versi e Rime. La stella del mattino", Mondadori, Milano 1971)




ANTARES
di Piero Bigongiari (1914-1997)

Rosei fulmini impolveran l'infanzia.
Nulla ti manca, nulla ti tradisce,
stella di cupe strisce che abbandoni
nel transitato oblio larve di fuochi
per noi: stella che giuochi con le navi
alla fonda i tuoi fuchi. I bei verzieri
funesti irraggiano pei monti,
colmi di balli. I ponti lungamente
abbandonano il fianco turbinato
nelle valli. S'apre uno spazio: e al lato
degli uccelli notturni vi entrerai.
Un pavone celeste s'addormenta.

(da "Stato di cose", Mondadori, Milano 1968)




SIRIO
di Libero De Libero (1906-1981)

Questa è l'ora piena di sera
e comincia lenta la luna
al chiaro odore d'autunno,
e quella di Sirio è una grazia
di sguardo sulla collina.
Il tonfo delle gazze nella vigna
è un palpito di braccia
che fa premura alla terra,
e il canneto non fiata
e tu nella mia mente hai casa.

(da "Romanzo", All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1965)




MARIS STELLA
di Augusto Garsia (1889-1956)

Dal mare nel cielo fiorisce
la stella che dicon del mare,
nell'ora che il giorno finisce:

nell'ora che tacita appare
la notte vestita delle ombre
più cupe, più grevi, più amare.

Oh come son le anime ingombre
d'un inconscio funereo terrore!
Ma subito, fattele sgombre,

le colmi tu, stella, d'amore.

Dal mare mitissima stella,
tu, fiore di malinconia!
Ogni anima in te si fa bella,

ritrova una sua dolce via:
dolcezza, ma non della terra;
dolcezza, ma pur nostalgia

dei liberi cieli, dov'erra,
o stella, il tuo primo chiarore
lontano, su questa mia guerra,

sul palpito nostro d'amore!

(da "Voci del mio silenzio", Campitelli, Foligno 1927)




ALTAIR
di Margherita Guidacci (1921-1997)

Anche tu resterai fra i miei tesori
più diletti, da quando in un notturno
giardino silenzioso (dolce l'erba
ai miei passi come dolce la mano
che mi guidava e sosteneva) a un tratto
in uno squarcio fra le prime nubi
d'autunno, sopra un lungo stelo
di tenebre, ai miei occhi
stupefatti ti apristi,
fiore di luce, Altair.

(da "Le poesie", Le Lettere, Firenze 1999)




BETELGEUSE
di Elpidio Jenco (1892-1959)

Compenso a una pena d’alberi nudi,
il primo dolce soffio dal mare.
Sulla fronte delle paludi,
si fanno vive ombre di perla i frulli in ondoso migrare.

Le montagne si risvegliano su un bisbiglio
d’imminenti vite
e scintillano di gemme insolite al levare dell’oradirosa.
Attesa di verdi alpeggi le consola dell’erbe contrite,
caldezza sognata, di soli, delle ghiacce le riposa.

Questo succedersi di luci e d’ombre, d’estati e d’inverni,
è larga vicenda di cosmi: la legge dei mondi in cammino;
e l’uomo, il labile specchio di terra, misura di eterni,
si modula, oscuro, a questo dei cieli fraterno destino.

Conforto all’ardente strazio dei solleoni
a me giunge il crepuscolo, aurora delle notti assorte:
cala in cuore una pace siderea, una calma bianca di costellazioni,
assaggio furtivo d’una quasi dolcezza di morte.

Morte, quiete d’astri. Del vivere stento che dura,
mi ripaghi tu, al colmo delle illuni notti sospesa,
o ferma vegliante promessa, mia patria futura,
fulgida Betelgesa...

(da "Marsilvana", Maia, Siena 1959)




ÈSPERO
di Pietro Mastri (1868-1932)

Nella sera, d'un verde viola
così tenero come a marzo
le mammolette, una scheggia di quarzo
è comparsa, lucente: ed è sola.

Èspero! Oh stella deserta,
la più bella di tutte, che adduci 
le prime ombre come le prime luci
su per la medesima erta;

più bella or che, sul tuo sentiero
d'ombra, ti segue il presagio divino
d'infinite altre stelle in cammino...
e par che il tuo nome sia: «Spero»!

Come ardi!... A chi vai messaggera?...
Si gonfia il mio cuor, come il mare
tenebroso al primo albeggiare
del novilunio di primavera.

Come ardi!... Dov'è la riviera
di luce, onde muovi pe 'l terso
cristallo dell'universo,
goccia che anela alla fonte primiera?

Come ardi, tremante e leggera!...
Tutto il Creato è dunque speranza?...
Ti guardo. Non v'è più distanza
fra 'l cuor dell'uomo e l'immensa tua sfera.

              Gli dici: «E tu spera!»

(da "La via delle stelle", Alpes, Milano 1927)




LA MIA STELLA
di Francesco Pastonchi (1874-1953)

Gli altri bimbi solo essi eran bimbi;
io no. Io ero un bimbo che guardava
vivere gli altri, capitato a caso
tra gli altri sulla terra: certo un bimbo
caduto da una stella, ecco. E la notte
scivolavo dal letto per cercarla
di là dai vetri, al buio, la mia stella.

(da "Endecasillabi", Mondadori, Milano 1949)




STELLA
di Giuseppe Ungaretti (1888-1970)

Stella, mia unica stella,
Nella povertà della notte sola,
Per me, solo, rifulgi,
Nella mia solitudine rifulgi;
Ma, per me, stella
Che mai non finirai d’illuminare,
Un tempo ti è concesso troppo breve,
Mi elargisci una luce
Che la disperazione in me
Non fa che acuire.

(da "Vita d'un uomo. Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1996)



Vincent Van Gogh, "Starry Night Over the Rhône"
(da questa pagina web)