giovedì 31 gennaio 2013

Febbraio in 10 poesie italiane del XX secolo

Dice un famoso proverbio: "Febbraio, febbraietto mese corto e maledetto"; e un altro recita: "Febbraio d'ogni mese è il più corto ed il men cortese"; e non finisce qui, visto che ve ne sono a bizzeffe e quasi tutti in negativo. Ma perchè febbraio si è fatta questa brutta nomina? La spiegazione è semplice e va ricercata nel modo di pensare della società contadina che tanto tempo fa era predominante in Italia: febbraio è l'ultimo mese veramente invernale, e, nei suo ventotto giorni, se faccia freddo o il clima sia mite, il guadagno è poco; infatti un febbraio rigido, magari dopo un gennaio che lo è stato altrettanto, non poteva certo esser gradito dalla popolazione; mentre se a febbraio predominava un clima troppo caldo, forte era il rischio che la natura si risvegliasse in anticipo, cosicchè le eventuali fioriture già avvenute potevano essere facilmente compromesse da una non improbabile gelata marzolina, compromettendo i futuri raccolti. Per ciò che riguarda la poesia, febbraio non è tra i mesi più decantati ma comunque un discreto numero di poeti ha scritto qualcosa sul secondo mese dell'anno.
Francesco Chiesa inizialmente si sofferma a rivelare i primissimi indizi della futura primavera presenti nella piccola valle dove vive, per poi dichiarare la dolente constatazione di assenza, nella sua persona, di qualunque segno di rinascita, contrariamente a quello che succede nella natura che lo circonda. Febbraio fa parte della raccolta L'artefice malcontento, Mondadori, Milano 1950, ma era già uscita nella precedente Fuochi di primavera, Formiggini, Roma 1919.
Una visione positiva è quella raccontata da Diego Valeri in Fine di febbraio, è la certezza di chi ha fede e vede un futuro gioioso che si annunncia con la primavera ormai imminente. Valeri incluse questa poesia nella raccolta Poesie vecchie e nuove, Mondadori , Milano 1930 e quindi in Poesie, dello stesso editore, 1962.
Una meditazione scarna e amara è la poesia Sera di febbraio scritta in età già avanzata da Umberto Saba: in una sera serena di febbraio il poeta guarda il cielo e vede apparire la luna, poi la sua attenzione si sposta sulle persone, in particolare sui giovani che girano per le strade senza avere una precisa meta; questa visione porta lo scrittore triestino ad una conclusione che potrebbe sembrare fosca, ma a leggerla bene, si ha l'impressione che si tratti di una riflessione consolatoria, visto che secondo Saba il pensiero della morte (cosa generalmente ritenuta orrenda) aiuta a vivere. Sera di febbraio uscì per la prima volta nel volume Ultime cose (1935-1938), Collana di Lugano, Lugano 1944; ora si può leggere in Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1994.
Vincenzo Cardarelli, sia nelle sue prose, che, soprattutto, nelle sue poesie, ha sempre dimostrato particolare interesse per gli argomenti inerenti le stagioni e i mesi dell'anno; la lirica intitolata Febbraio ne è una prova: il mese invernale è in questi versi paragonato ad un ragazzo vivace e dispettoso, il quale c'informa che è in arrivo il "pazzerello" marzo. La lirica citata di Cardarelli fu pubblicata nel volume Poesie, Mondadori, Milano 1948; ora si trova in Opere, Mondadori, Milano 1981.
Di impostazione ermetica è la poesia Febbraio di Leonardo Sinisgalli; consiste in soli tre versi in cui si accenna ad un fischio emesso da un muratore nella primissima mattinata (quando evidentemente inizia a lavorare), questo suono, dice Sinisgalli, "risorge" nel mese di febbraio, precede perciò gli alberi, ancora spogli, che si rinfoltiscono a marzo. La poesia fu inserita da Sinisgalli in La vigna vecchia, Edizioni della Meridiana, Milano 1952, raccolta che ora è possibile rileggere nella nuova edizione pubblicata da San Marco dei Giustiniani nel 2005.
I versi di Luigi Fallacara esprimono una serie di sensazioni nate da particolari condizioni climatiche, che si traducono in ricordi piacevoli. Febbraio è tratta dal volume Il frutto del tempo, Vicenza 1962; è poi stata ripubblicata in Tutte le poesie, Longo, Ravenna 1986.
A Roma, in una fredda sera di febbraio, il poeta Giorgio Vigolo, attratto e affascinato dalla visione della luna nuova, trovandosi in un punto particolarmente suggestivo della città eterna, per pochi istanti vive una vita non sua, fuori del tempo, provando sensazioni meravigliose; però l'illusione dura poco e al poeta torna subito la coscienza di sè stesso e della sua vita vera. Luna di febbraio fa parte della raccolta La luce ricorda, Mondadori, Milano 1967; è una delle Nuove poesie, sezione che chiude il libro e che comprende versi scritti dal poeta romano tra il 1957 ed il 1966.
La poesia di Alfonso Gatto è dedicata ai fiori che annunciano la primavera: le violette; è curioso il fatto di ritrovare, nei versi di questa lirica, il riferimento ad un ragazzo vivace, così come lo era quello di Cardarelli, che batte i piedi e ha i capelli arruffati e mossi dal vento. Le violette di febbraio fu inclusa da Gatto nelle Rime di viaggio per la terra dipinta, libro pubblicato dalla Mondadori di Milano nel 1969. Adesso la si legge in Tutte le poesie, Mondadori, Milano.
Febbraio viene definito "traditore" dalla poetessa Maria Luisa Spaziani che descrive un giorno di scirocco col cielo un po' annuvolato e con un'atmosfera decisamente carnevalesca; solo nel finale si precisa la motivazione dell'aggettivo poco edificante riferito al mese di febbraio: si parla infatti dell'Albero di Giuda (l'apostolo che tradì Gesù), nome volgare del Cercis Siliquastrum la cui caratteristica più bizzarra è che i suoi fiori, di colore rosa o lilla, crescono direttamente sulla corteccia dei rami e del tronco. Febbraio traditore è una delle liriche che compongono la raccolta Transito con catene, Mondadori, Milano 1977; oggi si trova in L'opera poetica, Mondadori, Milano 2012.
Agostino Richelmy nei primi versi di Febbraio fa una attenta descrizione dei rari segni che in questo mese testimoniano l'arrivo futuro della primavera, poi enumera altri segni, quelli che annunciano la fine o, come dice il poeta stesso, la "morte" dell'inverno. La poesia citata si trova nel volume La lettrice di Isasca, Garzanti, Milano 1986; è stata poi inserita, col resto dell'opera in versi di Richelmy, in Poesie, Garzanti, Milano 1992.
 


 
 
FEBBRAIO
di Francesco Chiesa

O valletta! che ancora non è primavera,
e tu di sorridere tenti già! lascia

ch'io riveda com'è quel bel verde che quasi
negli occhi l'immagine più non ne trovo.

Rimirarti, o valletta; raccogliere ad una
ad una le piccole dolci tue cose:

ogni battito delle tue vene, ogni fiato
che mandi, ogni muoversi delle tue ciglia;

ogni minima sillaba del chioccolìo
che fai sotto i lugubri strami, o già sveglia!

Quelle prime tue primole uscite a sentire
se il sole è già tiepido, l'aria men bigia;

quel tuo timido verde inesperto che torna
cercando fra gli aridi ciuffi il sentiero...

Oh, se pure nel pallido inverno mio qualche
strisciuola di tenere erbe venisse!

Que' tuoi salici... Oh, bionde fantasime rosa
rimaste de' tremuli salci d'argento!

Simili, oggi, i tuoi salci alle limpide fiamme
vampanti nel cerulo mazzo domani,

quando lieta nei campi la gente dà fuoco,
cantando, alle stridule foglie ammucchiate...

O valletta, io vorrei que' tuoi vaghi colori
di fiamma raccendere nelle mie notti.

O una rama spiccar di nocciuolo, con quelle
nappine che oscillano senza che s'oda;

e quell'auree nappine sospenderle nelle
mie lunghe e difficili notti a oscillare...
 


 
 
FINE DI FEBBRAIO
di Diego Valeri

Un azzurro nel fosco dischiuso
ricomincia gioia ai miei occhi;
tra nubi una nube che si sfiocchi
basta anch'essa al mio amore illuso;

un barlume d'oro che piova
su zolle nerastre grasse,
è come se ricreasse
il mondo, e aprisse una vita nuova.

Stagione benigna e vivace,
che tutto è attesa e annuncio divino,
e il cuore si crede vicino
al suo vero e alla sua pace.

Domani... domani lo vedremo,
caduta la tenda oscura,
il volto della gioia più pura,
il riso del bene supremo.

(Ma domani sarà la solita festa
di sole, di turchino, di verde,
in cui la vita inebriata si perde...
E dell'anima che cosa resta?)
 


 
 
SERA DI FEBBRAIO
di Umberto Saba

Spunta la luna. Nel viale è ancora
giorno, una sera che rapida cala.
Indifferente gioventù s'allaccia;
sbanda a povere mète.
                                   Ed è il pensiero
della morte che, in fine, aiuta a vivere.
 


 
 
FEBBRAIO
di Vincenzo Cardarelli

Febbraio è sbarazzino.
Non ha i riposi del grande inverno,
ha le punzecchiature,
i dispetti
di primavera che nasce.
Dalla bora di febbraio
requie non aspettare.
Questo mese è un ragazzo
fastidioso, irritante
che mette a soqquadro la casa,
rimuove il sangue, annuncia il folle marzo
periglioso e mutante.
 
 


 
FEBBRAIO
di Leonardo Sinisgalli

Prima che spunti il verde dai rami
ogni anno risorge a mattutino
il fischio del muratore.
 
 


 
FEBBRAIO
di Luigi Fallacara

Odorano le stelle di febbraio
se al crudo del rovaio
il calicanto nella notte esala.

Una goccia di miele,
una goccia di cera
sopra ramaglia nera
chiama l'ape fedele.

Ah, quel filo d'aprile
così saldo ed acuto,
quel profumo sottile
dentro il gelo perduto.

Là nel fondo del tempo al coro, all'eco
delle stagioni mi rapisce il senso
che non succede e reca
memoria della nostra ancor più intensa.

Un profumo, un ricordo,
che in sé vive ignorato,
un respiro, un accordo
alla morte affidato.
 


 
 
LUNA DI FEBBRAIO
di Giorgio Vigolo

Sotto la luna nuova di febbraio,
una lunetta velata, gelata,
erma, sopra i fantastici morioni
della Porta del Popolo e i bastioni
sghimbesci del Muro Torto,

La sera d'improvviso senza un perché
mi versa nel torpido sangue
un filtro di ricordi e desideri.
Amore e sogno mescolati fanno
col timore di morte un elisire
diabolico, per cui già vivo un'altra
vita futura in gioventù fremente,
rinata dalle mie ceneri d'oggi,
e quasi vi dischiudo ali di fuoco.

Ma è breve, delirata fantasia;
già mi ritrovo serrato nel bòzzolo
ansioso di questa esistenza,
cui sarebbe gran gioia una parola
che impedisse al mio cuore di gelare

come la luna remota lassù,
la lunetta velata di febbraio.
 
 


 
LE VIOLETTE DI FEBBRAIO
di Alfonso Gatto

D'un biancore di luce fatta neve
- la neve di febbraio - le violette
svegliano al verde la finestra lieve
che disegna sul poggio le casette

ad una ad una azzurre bianche rosa,
tintinnanti vetrine se alla soglia
batte i piedi un ragazzo, la vogliosa
testa arruffata al vento che l'imbroglia.

Si scopre dal suo ridere nei denti
l'acerba primavera che si scuote
e decide i colori: passa, senti,
la prima bicicletta dalle ruote

fruscianti sul ventaglio della neve.
 
 
 
 

FEBBRAIO TRADITORE
di Maria Luisa Spaziani

Non so quale inquietudine posandosi
a scialle sopra i rami,
sopra le altane che nel vuoto sporgono
come pure i porti insabbiati,
non so che maleficio o ammonimento
o bilico dell'anima
gridano i corvi al baluardo dei platani.
Oggi è scirocco giallo di coriandoli,
già verzica la scorza, in capriole
vanno nubi arlecchine. Incombe nera
solo l'ambigua sonnolenza sua,
del fusto tutto spine, enigma al buio
che il suo vermiglio liquame trasuda,
che ultimo esploderà, sigillo infausto
di primavera, l'albero di Giuda.
 
 
 
 

FEBBRAIO
di Agostino Richelmy

Di scorcio nel pendio
della collina pallida sul lago
non fronde non verdezza.
Solo i nocciuoli
tra i fusticelli diramati all'aria
hanno allungato i ciondoli giallini
e ingemmato il rossore degli stimmi.
Forse così d'incerta pubescenza
trasparve nella prima
età la primavera ermafrodita.
Più in là, dimenticato
al margine dell'acqua,
è un rimasuglio delle nevi. È un putto
addormentato che di giorno in giorno
al sole deperisce.
«Ahi, inverno, tu muori!
(il plurimillenario mio lamento
è d'amore) tu eri
così libero e informe!».
 
 
 

martedì 29 gennaio 2013

Poeti dimenticati: Giuseppe Piazza


Nacque a Messina nel 1882 e morì a Roma nel 1969. Dopo il liceo si trasferì prima a Napoli e poi a Roma per frequentare l'università, nella capitale italiana si laureò in lettere nel 1904. A Roma ritrovò vecchi amici e coetanei come Tito Marrone e Federico De Maria, coi quali condivise la passione poetica. Nel 1903 pubblicò il suo unico volume di versi: "Le Eumenidi", nel quale si dimostrò poeta di matrice classica. Nei successivi anni Piazza continuò a scrivere poesie che in parte pubblicò su riviste anche prestigiose quali "Poesia" e "La Riviera Ligure". Abbandonata definitivamente la poesia si mise in mostra come giornalista, lavorando ad importanti testate tra le quali si ricordano: "Il Giornale d'Italia" e "La Stampa".  



Opere poetiche

"Le Eumenidi", Pierro, Napoli 1903.






Presenze in antologie

"Neoidealismo e rinascenza latina tra Ottocento e Novecento", a cura di Angela Ida Villa, LED, Milano 1999 (pp. 752-771).




Testi

RABBI

Ed io mi ritrarrò co 'l mio fardello
in un deserto de la Galilea;
il cuore mi sarà cibo, l'idea
sonno, cuscini i rovi, il cielo ostello.

Tutto dì, sulla sabbia, arso a 'l flagello
de 'l sol, disegnerò con fissa idea
e mirerò, poi disfarò la rea
faccia de l'uom che mi dirà fratello.

La donna non amata e pure amante
m'aspetterà a 'l confine, e tesserà
tutto dì la sua tela, ahi per disfarla;

a chi «Donna di Magdala, che fa
l'uom di là giù?» di dire abbia sembiante,
sua risposta sarà: «S'arma e non parla.»

(Da "Le Eumenidi")

domenica 27 gennaio 2013

Il giorno della memoria


27 gennaio 1945, ore 15 circa: l'Armata Rossa entra nel campo di sterminio di Auschwitz venendo a conoscenza dell'abominio più ignobile che si sia mai verificato nella storia dell'umanità, ovvero dell'uccisione di milioni di esseri umani ad opera del nazifascismo, avvenuta soprattutto all'interno di campi come quello di Auschwitz durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e che oggi è meglio conosciuto come "Shoah". Questi esseri umani trucidati con spietatezza difficilmente raccontabile avevano la colpa, secondo i deliranti pensieri del dittatore tedesco Adolf Hitler e dei suoi ottusi seguaci, di essere ebrei, ovvero di appartenere a quella prescisa razza che, sempre secondo il pazzoide nazista, era inferiore rispetto all'ariana, razza eletta alla quale appartenevano molti di coloro che avevano ben identificabili caratteristiche fisiche e fisionomiche (ad esempio occhi chiari e capelli biondi), primi fra tutti i tedeschi non ebrei. La giornata di oggi, sessantottesimo anniversario di quella data fatidica, è quella della "memoria", stabilita con una legge già dal 2000, vuole essere un modo utile sia a ricordare quel periodo sciagurato e per cercare di dare (se possibile) una spiegazione ai fatti terribili che avvennero, sia per non dimenticare ed onorare le moltissime vittime dello sterminio ebraico, dando voce anche a coloro che sopravvissero all'Olocausto. La Shoah è stata raccontata in varie opere letterarie e in molti film; vorrei qui segnalare un libro ed una pellicola che secondo me sono tra le cose migliori mai pubblicate sull'argomento. Il libro è Se questo è un uomo di Primo Levi: trattasi di un romanzo (scritto tra la fine del 1945 e l'inizio del 1947) in cui l'autore descrive la sua esperienza di prigionia nel campo di Auschwitz, dove fu rinchiuso dal 1943 all'avvenuta liberazione da parte dell'esercito sovietico. È una delle testimonianze dirette più verosimili sull'argomento dello sterminio ebraico. Il film invece è Schindler's list del regista americano Steven Spielberg, è forse inutile dire (perchè moltissimi lo avranno sicuramente già visto) che si tratta di un'opera cinematografica straordinaria, probabilmente unica, la migliore mai ideata sulla Shoah. Per chi non lo sappia il film è incentrato sulla figura di Oskar Schindler, ricco imprenditore e affarista tedesco che nel periodo delle deportazioni e degli stermini ebraici ebbe un comportamento eroico cercando (e a volte riuscendoci) di salvare da morte certa, migliaia di ebrei.
Concludendo ecco una poesia rabbiosa e drammatica che precede l'inizio del romanzo citato di Primo Levi, un brano molto significativo preso dal romanzo di Robert Antelme: "La specie umana" e infine un frammento altrettanto significativo tratto dal "Diario di Anne Frank".


Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

(Da "Se questo è un uomo" di Primo Levi, San Paolo 1997, p. 1)






La maggior parte di noi non conosceva assolutamente nulla della storia del campo, storia che spiegava abbastanza bene le regole che i detenuti erano stati costretti ad imporsi e il tipo di uomo che ne era risultato. Si pensava che questo fosse il peggiore campo di concentramento che potesse esistere, perché Buchenwald era immenso e noi ci eravamo smarriti. Ignorando le basi e le leggi di quella società, la cosa che ci appariva per prima era un mondo furiosamente eretto contro i vivi, tranquillo invece e indifferente di fronte alla morte; mentre in realtà spesso non era che lo sforzo di mantenersi calmi in mezzo all'orrore. Ancora non avevamo avuto il tempo di prendere un serio contatto con una clandestinità di cui i nuovi venuti ignoravano l'esistenza.

(Da "La specie umana" di Robert Antelme, Einaudi, Torino 1976, p. 7)









Mercoledì 29 marzo 1944

Cara Kitty, 

ieri sera a Radio Orange ha parlato il ministro Bolkestein e ha detto che alla fine della guerra sarà fatta una raccolta di diari e lettere di questa guerra. Naturalmente tutti si sono buttati sul mio diario. Pensa quanto sarebbe interessante se pubblicassi un romanzo sull'Alloggio segreto. Già dal titolo, la gente penserebbe che si tratti di un giallo. 
Scherzi a parte, già una decina d'anni dopo la guerra sarà divertente sentire come noi ebrei abbiamo vissuto, mangiato e parlato qui. Anche se ti racconto molte cose di noi, tu non conosci che una piccola parte della nostra vita.

(Da "Diario di Anne Frank", CDE, Milano 1993, p. 217)

sabato 26 gennaio 2013

Antologie: "Poesia italiana del Novecento" (a cura di Elio Gioanola)


"Poesia italiana del Novecento. Testi e commenti" è il titolo di un'antologia curata da Elio Gioanola e pubblicata dall'editore Librex di Milano nel 1986.
Elio Gioanola è un insegnante ed uno studioso di materie letterarie, che ha scritto molti saggi dedicati ai grandi scrittori italiani dell'800 e del '900: da Giacomo Leopardi a Cesare Pavese, da Giovanni Pascoli a Carlo Emilio Gadda, quasi tutti pubblicati dalla casa editrice "Il Melangolo", cofondata dallo stesso Gioanola.
Quest'opera, destinata soprattutto agli studenti, si avvale di una interessante e lucidissima introduzione scritta dal poeta Giorgio Caproni, cui seguono alcune note da parte del curatore; in quest'ultima sezione viene esposto il motivo principale della nascita di quest'antologia poetica; ecco quindi come Gioanola, dopo aver messo in evidenza l'importanza fondamentale della spiegazione e della comprensione di un testo poetico non chiarissimo, giustifica la necessità di un'opera nuova quale è "Poesia italiana del Novecento":

« [...] Di fronte alla poesia del Novecento, in gran parte 'difficile' per l'adozione post-simbolista delle tecniche analogiche, si pone tanto più pressantemente il problema della comprensione dei testi nei loro primi livelli di significazione: questa antologia, la prima del genere in questo campo, è nata per quei lettori di poesia che, come me, hanno bisogno di aiuto per capire meglio quello che leggono, e vogliono perciò, come me, tutte le spiegazioni che è possibile dare, a costo magari di qualche riduzionismo cronachistico e grammaticale [...] ». 

In effetti, sfogliando e leggendo le 990 pagine del libro citato, si può facilmente notare che ciascun testo di ciascun poeta è abbondantemente commentato e, dove necessario, interpretato; tutto ciò avvalendosi, per i soli poeti ancora viventi nell'anno in cui è nata l'antologia, dell'aiuto degli autori stessi, i quali quindi hanno collaborato in prima persona alla costruzione di questa ottima antologia.
Analizzando i lirici presenti, si evince che i grandi nomi della poesia novecentesca italiana ci sono tutti, e viene trovato lo spazio anche per alcuni dialettali. Spicca infine l'enorme spazio dedicato dal curatore ad Eugenio Montale (ben 112 pagine) che, come chiarisce nelle note iniziali Gioanola, è di gran lunga il suo poeta preferito.  
Ecco allora l'elenco completo dei 45 poeti compresi nell'antologia in questione, e delle sezioni in cui sono divisi.





TRA SIMBOLISMO E CREPUSCOLARISMO

Corrado Govoni, Aldo Palazzeschi, Sergio Corazzini




LA SCUOLA DELL'IRONIA

Guido Gozzano, Marino Moretti




POETI FUTURISTI

Filippo Tommaso Marinetti, Luciano Folgore, Ardengo Soffici




L'ESPRESSIONISMO VOCIANO

Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro, Piero Jahier




SIMBOLISMO ORFICO

Arturo Onofri, Dino Campana




LA GRANDE LIRICA NOVECENTESCA

Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale




TRA NUOVO CLASSICISMO ED ERMETISMO

Vincenzo Cardarelli, Salvatore Quasimodo




POETI DIALETTALI

Biagio Marin, Virgilio Giotti, Delio Tessa, Edoardo Firpo, Giacomo Noventa




POETI ERMETICI

Libero De Libero, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto, Piero Bigongiari, Mario Luzi




REALISMO LIRICO

Cesare Pavese, Sandro Penna, Attilio Bertolucci




UNA LINEA ANTI-NOVECENTISTA

Carlo Betocchi, Giorgio Caproni




LA LINEA LOMBARDA

Vittorio Sereni, Luciano Erba, Giovanni Giudici, Giovanni Raboni




IMPEGNO, SPERIMENTALISMO, NEO-AVANGUARDIA

Pier Paolo Pasolini, Franco Fortini, Andrea Zanzotto, Edoardo Sanguineti, Giorgio Bàrberi Squarotti




POETI DIALETTALI DEL DOPOGUERRA

Tonino Guerra, Franco Loi, Raffaello Baldini



martedì 22 gennaio 2013

Da "Gente di Dublino" di James Joyce


Da parecchi anni era cassiere di una banca privata in Baggot Street. Ogni mattina vi si recava da Chapelizod col tram. A mezzogiorno andava da Dan Burke per il suo spuntino: una bottiglia di birra tedesca e un vassoietto di biscotti di fecola. Alle quattro era libero. Pranzava in una trattoria di George Street, dove si sentiva al sicuro dalla presenza della gioventù dorata di Dublino, e dove la lista delle vivande denotava una certa genuinità alla buona. Passava le sere al pianoforte della padrona di casa o gironzolando nei sobborghi della città. La passione per la musica di Mozart lo spingeva talvolta all'opera o a un concerto: queste erano le sole intemperanze della sua vita.
Non aveva né compagni né amici, né chiesa né credo. Viveva la sua vita spirituale senza alcuna comunione con gli altri, limitandosi a far visita ai parenti a Natale e ad acompagnarli al cimitero quando morivano. Compiva questi due doveri sociali per un inveterato senso di dignità, ma era tutto ciò che concedeva alle convenzioni che regolano la vita civica. Si permetteva di pensare che in determinate circostanze avrebbe anche osato sottrarre soldi alla sua banca, ma, dato che queste condizioni non si presentavano mai, la sua vita trascorreva uniformemente, una storia senza avventure.

(Da "Gente di Dublino" di James Joyce, BIT, Milano 1995, p. 99)



sabato 19 gennaio 2013

100 frasi da ricordare

Queste che di seguito riporto sono 100 frasi che mi hanno colpito e con cui sono particolarmente in sintonia. Certo, chissà quante altre potevano esserci e non ci sono, ma, a parte lo spazio che non sarebbe mai stato abbastanza grande per inserirle, con questo post ho voluto fare una selezione imperfetta di alcune tra le più illustri ed avvedute opinioni di personaggi della storia e non solo, cercando di includere più argomenti che fosse possibile, e, ovviamente, basandomi sulle personali convinzioni, da cui non potevo prescindere.


100 FRASI DA RICORDARE


Ascoltami: verso la morte sei spinto dal momento della nascita. Su questo e su pensieri del genere dobbiamo meditare, se vogliamo attendere serenamente quell'ultima ora che ci spaventa e ci rende inquiete tutte le altre. (Lucio Anneo Seneca)
 
 
 
Basta una stilla di male per gettare un'ombra infamante su qualunque virtù. (William Shakespeare)
 
 
 
Che cos'è in fondo l'uomo nella natura? Un nulla rispetto all'infinito, un tutto rispetto al nulla; un qualcosa di mezzo tra il niente e il tutto. Infinitamente lontano dall'abbracciare gli estremi, la fine delle cose e il loro principio gli sono invincibilmente nascosti in un impenetrabile segreto, ed egli è ugualmente incapace di vedere il nulla da cui è stato tratto e l'infinito dal quale è inghiottito. (Blaise Pascal)
 
 
 
Chi è fedele nel poco lo è anche nel molto e chi è disonesto nel poco lo è anche nel molto. (Gesù di Nazaret)
 
 
 
Chi non ama la solitudine non ama nemmeno la libertà, perchè si è liberi unicamente quando si è soli. (Arthur Schopenhauer)
 
 
 
Chi sei? Da dove vieni? Che fai? Che diverrai? sono domande che si devono porre a tutte le creature dell'universo, a cui però nessuna risponde. (Voltaire)
 
 
 
Ciò che nella vita reale mi ha sempre e ovunque ostacolato è stata la mia incapacità, fin negli anni della vecchiaia, di farmi un'idea autentica della meschinità e della bassezza degli uomini. (Arthur Schopenhauer)
 
 
 
Dei giorni felici della nostra vita ci accorgiamo solo quando hanno ormai lasciato il posto ai giorni infelici (Arthur Schopenhauer)
 
 
 
Detesto quello che tu dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo. (Voltaire)
 
 
 
Dicono che la felicità dell'uomo non può consistere fuorchè nella verità. Così parrebbe, perchè qual felicità in una cosa che sia falsa? E come, se il mondo è diretto alla felicità, il vero non deve render felice? Eppure io dico che la felicità consiste nell'ignoranza del vero. (Giacomo Leopardi)
 
 
 
Dinanzi alla legge tutti i cittadini erano uguali, ma non tutti erano, appunto, cittadini. (Robert Musil)
 
 
 
Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo l'universo ho ancora dei dubbi. (Albert Einstein)
 
 
 
È curioso vedere che gli uomini di molto merito hanno sempre le maniere semplici, e che sempre le maniere semplici sono state prese per indizio di poco merito. (Giacomo Leopardi)
 
 
 
È meglio subire un'ingiustizia che farla. (Socrate)
 
 
 
È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. (Gesù di Nazaret)
 
 
 
Ero veramente un uomo troppo onesto per vivere ed essere un politico. (Socrate)
 
 
 
Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria e l'ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici. (Blaise Pascal)
 
 
 
I fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli uomini il niente nel tutto. (Giacomo Leopardi)
 
 
 
I vantaggi della guerra, se ce n'è qualcuno, sono solo per i potenti della nazione vincente. Gli svantaggi ricadono sulla povera gente. (Bertrand Russell)
 
 
 
Il cinismo è semplicemente l'arte di vedere le cose come sono, non quali dovrebbero essere. (Oscar Wilde)
 
 
 
Il compito dell'arte è immenso: l'arte, la vera arte, con l'aiuto della scienza e sotto la guida della religione, deve fare in modo che quella convivenza pacifica degli uomini che ora viene mantenuta con mezzi estremi - tribunali, polizia, istituzioni benefiche, ispezioni del lavoro, eccetera - sia ottenuta mediante la libera e gioiosa attività della gente. L'arte deve sopprimere la violenza. (Lev Tolstoj)
 
 
 
Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa, non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Anzi, considerata la stupidità della maggioranza degli uomini, è più probabile che un'opinione diffusa sia cretina anzichè sensata. (Bertrand Russell)
 
 
 
Il modo migliore per difendersi da un nemico è non comportarsi come lui. (Marco Aurelio)
 
 
 
Il perfetto coraggio sta nel fare senza testimoni ciò che si sarebbe capaci di fare di fronte a tutti. (François La Rochefoucauld)
 
 
 
Il posto di Cristo è veramente tra i poeti. La sua intera concezione dell'umanità scaturisce nettamente dall'immaginazione e solo dall'immaginazione può esser capita. Quanto Dio era per il panteista, l'uomo era per lui. Fu il primo a concepire le razze divise come un unico insieme. (Oscar Wilde)
 
 
 
Il più grande dei crimini, almeno il più distruttivo e di conseguenza il più contrario al fine della natura, è la guerra; ma non vi è alcun aggressore che non colori questo misfatto con il pretesto della giustizia. (Voltaire)
 
 
 
Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l'idea di proclamare: «questo è mio», e trovò altri così ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie, quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pali o colmando il fosso, avesse gridato ai suoi simili: «Guardatevi dall'ascoltare questo impostore; se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!». (Jean-Jacques Rousseau)
 
 
 
Il pubblico uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo, ed esso solo può praticare l'illuminismo tra gli uomini. (Immanuel Kant)
 
 
 
Inferno cristiano: fuoco. Inferno pagano: fuoco. Inferno maomettano: fuoco. Inferno indù: fiamme. A credere alle religioni, Dio è un rosticciere (Victor Hugo)
 
 
 
Io amo e stimo Gesù, ma non sono cristiano. Lo diventerei se solo vedessi un cristiano comportarsi come lui. (Mahatma Gandhi)
 
 
 
Io non domando a che razza appartiene un uomo; basta che sia un essere umano; nessuno può essere qualcosa di peggio. (Mark Twain)
 
 
 
L'amatore di cose belle, a qualunque genere d'arte appartengano, trova una gioia intima e squisita a ricercare, a frugare, a trar fuori ed a mettere in luce dei gioielli fulgentissimi ma umili e discreti. Egli crede, l'amatore, di profittare nel medesimo tempo che a sè stesso, anche a tutto il resto de' suoi amici nel convitarli ad un piacere intellettuale. (Gian Pietro Lucini)
 
 
 
L'arte è l'espressione del pensiero più profondo nel modo più semplice. (Albert Einstein)
 
 
 
L'arte è un'attività umana il cui fine è la trasmissione ad altri dei più eletti e migliori sentimenti a cui gli uomini abbiano saputo assurgere. (Lev Tolstoj)
 
 
 
L'artista è l'ultimo a farsi illusioni a proposito della sua influenza sul destino degli uomini [...]. L'arte non è una forza, è soltanto una consolazione. (Thomas Mann)
 
 
 
L'educazione dovrebbe inculcare l'idea che l'umanità è una sola famiglia con interessi comuni. Che di conseguenza la collaborazione è più importante della competizione. (Bertrand Russell)
 
 
 
L'ignoranza è l'origine di tutti i mali. (Socrate)
 
 
 
L'umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perchè non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui. (Fëdor Dostoevskij)
 
 
 
L'uomo è un animale credulone e deve credere in qualcosa. In assenza di buone basi per le sue convinzioni, si accontenterà di basi cattive. (Bertrand Russell)
 
 
 
La Bellezza è l'unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si succedono l'una sull'altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed un possesso per tutta l'eternità. (Oscar Wilde)
 
 
 
La felicità non sta nell'essere amati: questa è soltanto una soddisfazione di vanità mista a disgusto. La felicità è nell'amare. (Thomas Mann)
 
 
 
La generale idiozia dell'umanità è tale che si possono muovere gli uomini a furia di parole. (Somerset Maughan)
 
 
 
La lunghezza della vita non si misura dai capelli bianchi o dalle rughe: non è un vivere questo, è solo un esistere a lungo. (Lucio Anneo Seneca)
 
 
 
La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perchè il re è il Re, non si rende conto che in realtà il re è il Re perchè essi sono sudditi. (Karl Marx)
 
 
 
La maggior parte di noi vive sguazzando nelle fogne, solo che alcuni lo fanno guardando le stelle. (Oscar Wilde)
 
 
 
La malvagità è sempre più facile della virtù, perchè in tutto prende sempre una scorciatoia. (Samuel Johnson)
 
 
 
La massa ha scarsissima capacità di giudizio e assai poca memoria (Arthur Schopenhauer)
 
 
 
La mia immaginazione, che nella giovinezza andava sempre in avanti ed ora va a ritroso, compensa con quei dolci ricordi la speranza che ho perduto per sempre. Non vedo più nulla nell'avvenire che mi tenti, solo ritorni del passato possono lusingarmi, e quei ritorni così vivi e così veri nel periodo di cui parlo mi fanno spesso vivere felice nonostante le mie sventure. (Jean Jacques Rousseau)
 
 
 
La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive. (Thomas Mann)
 
 
 
La morte non è male: perchè libera l'uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desideri. La vecchiezza è male sommo: perchè priva l'uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte, e desiderano la vecchiezza. (Giacomo Leopardi)
 
 
 
La natura entra placidamente nelle nostre capsule, nelle parole e nei simboli, nelle lettere e nelle cifre. Ci entrano anche i pensieri. Entrano le formule semplicissime che regolano il mondo. Le equazioni di Einstein sono brevi come le formule dell'acqua e del sale. Dio è laconico. (Leonardo Sinisgalli)
 
 
 
La non-violenza è la risposta ai cruciali problemi politici e morali del nostro tempo; la necessità per l'uomo di aver la meglio sull'oppressione e la violenza senza ricorrere all'oppressione e alla violenza. L'uomo deve elaborare per ogni conflitto umano un metodo che rifiuti la vendetta, l'aggressione, la rappresaglia. Il fondamento d'un tale metodo è l'amore. (Martin Luther King)
 
 
 
La non-violenza nella mia concezione significa combattere contro la malvagità in modo più attivo e più reale che con la rappresaglia, la cui vera natura è di aumentare la malvagità. (Mahatma Gandhi)
 
 
 
La pazienza è la più eroica delle virtù, giusto perchè non ha nessuna apparenza d'eroico. (Giacomo Leopardi)
 
 
 
La pietà non è naturale all'uomo: i bambini e i selvaggi sono sempre crudeli. La pietà viene acquisita e migliorata tramite l'esercizio della ragione. Possiamo provare disagio vedendo una creatura che soffre, senza provare pietà: ma non proviamo pietà a meno che desideriamo soccorrerla. (Samuel Johnson)
 
 
 
La povertà dei beni può essere curata facilmente; quella di spirito, è incurabile. (Michel de Montaigne)
 
 
 
La pubblicità è il rumore di un bastone in un secchio di rifiuti. (George Orwell)
 
 
 
La violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna ma soltanto distruggitrice. (Benedetto Croce)
 
 
 
La vita di conoscenza è la vita che è felice nonostante la miseria del mondo. (Ludwig Wittgenstein)
 
 
 
La vita umana è dovunque una condizione in cui c'è molto da sopportare e poco da godere. (Samuel Johnson)
 
 
 
Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra - che già viviamo - e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi. (Cesare Pavese)
 
 
 
Lo stato di pace tra gli uomini, che vivono gli uni accanto degli altri, non è uno stato naturale, il quale è piuttosto uno stato di guerra. (Immanuel Kant)
 
 
 
Lo studio è la migliore previdenza per la vecchiaia. (Aristotele)
 
 
 
Mai pensare che la guerra, anche se giustificata, non sia un crimine. (Ernest Hemingway)
 
 
 
Moriamo ogni giorno: ogni giorno, infatti, ci è tolta una parte della vita; anche quando il nostro organismo cresce, la nostra vita decresce. (Lucio Anneo Seneca)
 
 
 
Nessuno ha più gusto all'ingiuria di colui che è più vulnerabile ad essa; ma questo gusto è contagioso, e domani qualcun altro riderà di colui che oggi si prende gioco di me. (Lucio Anneo Seneca)
 
 
 
Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli s'immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purchè non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo. (Immanuel Kant)
 
 
 
Noi abbiamo, come unica pietra di paragone della verità e della ragione, sempre e solamente le opinioni e le usanze del paese in cui viviamo... chiamiamo barbarie tutto ciò che non rientra nei nostri costumi abituali. (Michel de Montaigne)
 
 
 
Non c'è nessun amico più leale di un libro. (Ernest Hemingway)
 
 
 
Non chi ha poco è povero, ma chi desidera più di quello che ha. (Lucio Anneo Seneca)
 
 
 
Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te. (Franz Kafka)
 
 
 
Non serve tanto il desiderio di credere, quanto quello di scoprire, che è esattamente il suo opposto. (Bertrand Russell)
 
 
 
Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi. (Cesare Pavese)
 
 
 
Non si vive al mondo che di prepotenza. (Giacomo Leopardi)
 
 
 
Nulla può far danno a un uomo buono, né in vita né dopo la morte. (Socrate)
 
 
 
Occhio per occhio... e il mondo diventa cieco (Mahatma Gandhi)
 
 
 
Oligarchia: un governo basato sul valore della proprietà, nel quale i ricchi detengono il potere e i poveri ne sono privati. (Platone)
 
 
 
Padre, perdonali, perchè non sanno quello che fanno. (Gesù di Nazaret)
 
 
 
Paradigma della stupidità - i soldi tramutano la fedeltà in infedeltà, l'amore in odio, la virtù in vizio, il vizio in virtù, la schiavitù in dominio, la stupidità in intelligenza, l'intelligenza in stupidità. (Karl Marx)
 
 
 
Penso tra me e me quanti sono gli uomini che esercitano il corpo e quanto pochi quelli che esercitano la mente; quanta gente accorre a un passatempo inconsistente e vano, e che deserto intorno alle scienze; che animo debole hanno quegli atelti di cui ammiriamo i muscoli e le spalle. (Lucio Anneo Seneca)
 
 
 
Perchè guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: «Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio», mentre tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene. (Gesù di Nazaret)
 
 
 
Poche persone riescono ad essere felici senza odiare qualche altra persona, nazione o credo. (Bertrand Russell)
 
 
 
Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce. (Platone)
 
 
 
Posso impegnarmi ad essere sincero, ma non ad essere imparziale. (Johann Wolfgang von Goethe)
 
 
 
Prima non capivo perchè la mia domanda non ottenesse risposta, oggi non capisco come potessi credere di poter domandare. Ma io non credevo affatto, domandavo soltanto. (Franz Kafka)
 
 
 
Qual è il miglior governo? Quello che ci insegna a governarci da soli. (Johann Wolfgang von Goethe)
 
 
 
Quando pensiamo con orrore alla morte, la consolazione più sicura ed efficace che ci è data è sapere che essa ha almeno questo di buono, che è la fine della vita. (Arthur Schopenhauer)
 
 
 
Quando sono innamorati, certi uomini, anche se vedono l'amo e la lenza e tutto l'apparecchio con cui saranno catturati, inghiottono egualmente l'esca. (William Makepeace Thackeray)
 
 
 
Quanto sarebbero buoni gli uomini, se ogni sera prima di addormentarsi rievocassero gli avvenimenti della giornata e riflettessero a ciò che vi è stato di buono e di cattivo nella loro condotta! (Anna Frank)
 
 
 
Ricordati che l'uomo non vive altra vita che quella che vive in questo momento, nè perde altra vita che quella che perde adesso. (Marco Aurelio)
 
 
 
Se ci fosse nel mondo un numero più cospicuo di persone che desiderano la propria felicità più di quanto desiderino l'infelicità altrui, potremmo avere il paradiso nel giro di qualche anno. (Bertrand Russell)
 
 
 
Se la libertà di stampa significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire. (George Orwell)
 
 
 
Se vuoi diventare un vero cercatore della verità, almeno una volta nella tua vita devi dubitare, il più profondamente possibile di tutte le cose. (René Descartes)
 
 
 
Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. (Johann Wolfgang von Goethe)
 
 
 
Si sappia che le menti scadenti sono la regola, le buone l'eccezione, le eminenti rarissime e il genio un miracolo. (Arthur Schopenhauer)
 
 
 
Tutte le guerre sono combattute per denaro. (Socrate)
 
 
 
Uccidere è proibito, quindi tutti gli assassini vengono puniti, a meno che non si uccida su larga scala e al suono delle trombe. (Voltaire)
 
 
 
Una grandissima parte dei mali dei quali soffre il mondo sono dovuti al fanatismo. (Bertrand Russell)
 
 
 
Uomo, non ti esaltare al di sopra degli animali: essi sono senza peccato, mentre tu, con tutta la tua grandezza, contamini la Terra. (Fëdor Dostoevskij)
 
 
 
Vuoi essere simile agli dei? Sii misericordioso con gli animali: la dolce misericordia è il vero segno della nobiltà. (William Shakespeare)
 

 
 
FINIS

giovedì 17 gennaio 2013

Poeti dimenticati: Vincenzo Fago

Vincenzo Fago nacque a Taranto nel 1875 e morì a Roma nel 1940. Dopo la laurea in lettere e giurisprudenza iniziò a lavorare come bibliotecario sia in Italia che all'estero, ricoprendo, cogli anni, anche importanti incarichi per conto del Ministero degli Esteri. Svolse anche l'attività di critico e di storico, nonché di poeta. In sostanza, il suo unico volume di versi è "Discordanze", pubblicato nel 1905, che dimostra la sua propensione per la poesia decadente e per quella di Gabriele D'Annunzio.
 


 
Opere poetiche

"XV poesie pubblicate", Tip. dei fratelli Martucci, Taranto 1897.
"Discordanze", Forzani, Roma 1905.
 


 
 
Testi
SOPRA L'AVENTINO

Nel purissimo cielo vespertino
sta la luna infantile. L'Abbazia
già s'addormenta sopra l'Aventino.
- Oh! come è tetra questa salmodia,

mentre d'april rinnovasi il divino
incanto, mentre la fiorile Iddia
ritorna, quale rise al Perugino! -
S'accendono le stelle. «Ave, Maria!»

E la preghiera muore... Una soave
donna m'appare (o Dea?) nel claustrale
muto recinto, l'infula a' capelli,

su' labri il riso, il sol ne gli occhi belli.
Estatico, davanti a la regale
visione mi prostro, e a Lei dico: Ave!

(Da "Discordanze")





mercoledì 16 gennaio 2013

La città nella poesia italiana decadente e simbolista

Fondamentale, per comprendere le simbologie riguardanti la città, è il titolo di un'opera poetica del 1895 di Èmile Verhaeren: "Les villes tentaculaires" (Le città tentacolari) a voler indicare agglomerati urbani molto vasti che si espandono in maniera veloce a mo' di tentacoli, in svariate direzioni alla ricerca ed alla soddisfazione di valori negativi come il piacere e il guadagno. Ecco quindi il motivo per cui le città divengono emblema di corruzione, amoralità e, in alcuni casi, male assoluto. Ma le città possono anche rappresentare altro; per esempio, se si tratta di città morte, mitiche o immaginarie hanno a che vedere con un mondo spesso costruito dal poeta, che a volte può avvicinarsi alla perfezione (si pensi all'Utopia di Thomas Moore) o comunque ad una fantasioso luogo che non ha alcuna attinenza con la realtà ma che potrebbe averla coi sogni.
 

 
Poesie sull'argomento

Mario Adobati: "Obliopoli" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "La città di Vita" in "La città di Vita" (1896).
Antonino Anile: "Le due città" in "Poesie" (1921).
Ugo Betti: "La città di ferro" in "Il Re pensieroso" (1922).
Paolo Buzzi: "Notturno veneziano" in "Aeroplani" (1909).
Giovanni Camerana: "Catania" in "Poesie" (1968).
Dino Campana: "Genova" in "Canti Orfici" (1914).
Francesco Cazzamini Mussi: "Piazza della Repubblica a Tolone" in "Il cuore e l'urna" (1923).
Giovanni Alfredo Cesareo: "La città della morte" e "Or che le stelle affogano" in "Poesie" (1912).
Ugo Ghiron: "Riva degli Schiavoni" in "Poesie (1908-1930)" (1932).
Corrado Govoni: "Le città di provincia", "Le capitali" e "Ferrara" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "A Venezia elettrica" in "Poesie elettriche" (1911).
Arturo Graf: "La città dei Titani" in "Le Danaidi" (1905).
Achille Leto: "La città fantastica" e "Il vicoletto" in "Piccole ali" (1914).
Fausto Maria Martini: "L'arco del Trionfo" in "Le piccole morte" (1906).
Arturo Onofri: "Guarda: la notte agguaglia tutte le vanità" in "Canti delle oasi" (1909).
Nino Oxilia: "Dal mio balcone scruto..." in "Canti brevi" (1909).
Ettore Romagnoli: "La città morta" in "Le più belle pagine dei poeti d'oggi" (1929).
Antonio Rubino: "Dacri, la Città del pianto" in «Poesia», ottobre 1908.
Francesco Scaglione: "Le città sommerse" in "Litanie" (1911).
Emanuele Sella: "La morte delle città" in "Monteluce" (1909).
Diego Valeri: "Folla" in "Umana" (1916).
 
 

 
Testi
DACRI, LA CITTA' DEL PIANTO
di Antonio Rubino

Dacri! Le ventimila anguicrinite
vergini nella tua cerchia di pietra,
erte sui cieli che la sera invetra
piangono in sommo delle tue meschite.

E il pianto cola per le illividite
muraglie, onde la tua fronte s'attetra,
cola mettendo in tintinnìo di cetra
verso paludi di pianto nutrite.

Dacri!, e tu per le tue ferree porte
guardi una landa, ove notturno brivido
guida per l'erbe un pullular di vermi,

ed una plebe d'umili e d'infermi
si trascina per entro il fango livido
tra l'erbe attorte come serpi attorte.

(Dalla rivista "Poesia")

lunedì 14 gennaio 2013

10 poesie di 10 poeti italiani sulle maschere di Carnevale

Arlecchino, Pulcinella, Colombina e tante altre maschere di carnevale nacquero circa cinquecento anni fa nella cosiddetta "Commedia dell'arte" che non era precisamente una rappresentazione teatrale ma molto vi assomigliava e molto si basava sull'improvvisazione. Queste maschere carnevalesche divennero sempre più famose nei secoli ed ancora oggi, anche se non come un centinaio di anni fa, sono largamente conosciute. Andando a cercare delle poesie dedicate a loro, ho notato che il personaggio più presente nei versi dei poeti italiani è Arlecchino. Questa maschera nacque in un quartiere di Bergamo ed ebbe il suo periodo d'oro durante il XVII secolo. Il nome deriva dal francese arcaico: "Hellequin" ovvero un diavolo presente in alcune leggende del Medioevo. Arlecchino è raffigurato con un grosso cappello bianco, una maschera nera e un vestito multicolore. Fu Carlo Goldoni a caratterizzare più nettamente questa maschera, rappresentandola nei panni di un uomo del popolo che, malgrado qualche pecca, aveva un comportamento onesto e assennato.
Corrado Govoni in modo irriverente definisce Arlecchino come un "pitocco" che chiede la carità, questo avviene in un sonetto di cui riporto la prima quartina: «Un tempo egli faceva ridere la gente, / ora va in elemosina con la bisaccia, / un tricorno con il codino che si stacca / e sotto il braccio una mandola sofferente».
Più rispettoso di Govoni è Raffaele Carrieri che dedica ad Arlecchino, tra le altre, una poesia in cui lo definisce "principe": «Arlecchino mio buon principe / Delfino primo / Del salto mortale, / Stracca è l'arpa / Per tanto suonare. / Alla fine di ogni vita / Stringe polvere la calamita».
Gianni Rodari nella filastrocca Il vestito di Arlecchino racconta con grande fantasia la nascita del variopinto costume ad opera di vari personaggi, tutti appartenenti alla tradizione popolare delle maschere italiane: «Per fare un vestito ad Arlecchino / ci mise una toppa Meneghino, / / ne mise un'altra Pulcinella, / una Gianduia, una Brighella. / / Pantalone, vecchio pidocchio, / ci mise uno strappo sul ginocchio, / / e Stenterello, largo di mano, / qualche macchia di vino toscano...».
Roberto Mussapi ha scritto una poesia intitolata Il sangue di Arlecchino dove si parla del ritrovamento della maschera vuota di Arlecchino che si affloscia nell'acqua piovana mentre la gente passando guarda attonita quel mistero: «[...] passanti faticosi e attoniti / guardano il suo costume distrutto dalla pioggia, / cercando resti di carne, densità di polpe / tra i brandelli, tra i colori infiniti / confusi dalla morte e dallo stillicidio / in un unico viola attraversato / da trasparenze e cupe o limpide correnti...».
Un'altra maschera popolarissima in Italia è quella di Pulcinella. Col vestito completamente bianco (cappello, camicia e pantaloni larghi), con una maschera nera che copre gli occhi ed il naso, Pulcinella nacque nella città di Napoli nel XVI secolo grazie all'attore Silvio Fiorillo; ossessionato dal cibo, che cerca di procurarsi in tutti i modi, Pulcinella mostra una pancia sproporzionata. Spesso è stato ritratto col mandolino o con un bastone, arma che usa contro i suoi nemici con grande violenza. Remigio Zena scrisse una poesia su Pulcinella dedicandola alla memoria del comico Antonio Petito, divenuto famoso nell'Ottocento quando, interpretando la maschera napoletana, modificò la sua messa in scena, presentandosi davanti al pubblico con un cilindro e una redingote sovrapposta alla camicia bianca. Ecco una strofa della poesia di Zena: «Perchè su quelle tavole / Nell'età tua più bella, / Salisti colla lurida / Veste di Pulcinella? / Era di gloria un sogno, / Cupidigia o bisogno? / Nol so, ma la miseria / T'affisse senza tregua, / Ed il tuo nome in nebbia / Fin d'oggi si dilegua».
Marco Lessona s'inventa una Epistola di Pulcinella a Colombina nella quale la maschera partenopea esorta la bella Colombina a concedersi alle sue avances: «Bella Colombina, vuoi dirmi di sì? / Del fiore, / Che sboccia dentro il tuo cuore, / Vuoi darne anche un petalo a me? / Vuoi darmi / Un poco d'amore? / Vuoi farmi / Assai più contento d'un re?».
Pierrot è una maschera italiana malgrado il nome francese, nacque nel XVI secolo nella Commedia dell'Arte con le caratteristiche del servo astuto (il cosiddetto Zanni) e col nome originario di Predolino; la maschera divenne famosa anche in Francia ma solo nel secolo successivo, prendendo il nome di Pierrot e assumendo quelle peculiarità per cui ancora oggi è conosciuto; Pierrot è infatti un mimo pallido e malinconico attratto dalla luna che indossa una papalina, una casacca e pantaloni di seta lunghi e bianchi. Il poeta Gian Pietro Lucini scrisse un libro intitolato I monologhi di Pierrot in cui dà la parola alla maschera triste con l'intento di polemizzare e criticare aspramente un certo tipo di società; eccone un passo tratto da Luna crescente: «Contano i gentiluomini che non faticano, / o che miglior fatica dicon l'amore, Gentiluomini frolli / a cui l'onore siede sul cordon bleu, o pur nei molti ornati / justacorps à brevet. I Persiani in Francia. / Salamelech, Salamelech; Pierrot e Pierrettes / fan grandi riverenze alle parvenze d'una celebrità, / e tutto appare azzurro ed ingemmato [...] ».
Olindo Guerrini nei due sonetti che portano il titolo di Giovedì grasso, descrive, all'apparir del giorno, l'uscita di Pierrot e di Colombina da un locale dove si sono appena conclusi i festeggiamenti di carnevale; i due, dopo la veglia, sono stravolti dall'eccesso di cibo e di alcol: «Pierrot, disfatto che mettea spavento, / mezzo briaco e mezzo addormentato, il ritratto parea del pentimento / / e Colombina intanto a lui da lato, / balbettando dicea: - Bada... mi sento... - / E con la testa al muro ha vomitato».
Gustavo Botta immagina un convegno di maschere in una notte di luna piena: «Nel bianco lume, radunate a crocchio / certe maschere attorno a Pulcinella / giulivo, che narrando strizza l'occhio, / s'incantano. E Rosaura ricciutella / squadra Arlecchino, dritto, con la mella / sott'il braccio ed al viso la canina / sua nera grinta. / Rosea, Colombina / ride [...] ».
Tito Marrone infine, vede le maschere dimenticate in un luogo buio tra le cose che non servono più a nulla: «Nell'antro dell'inutile ciarpame, / tra Capitan Spaventa / che si addormenta / per non fare il gradasso / e Arlecchino avvizzito / che basisce di fame / e la magra donzella Colombina / che non trovò marito, / Pantalone si esercita sul contrabbasso. / / Una vita da cani! Senza maschera, / son tutti in maschera!».
 



DIECI POESIE SULLE MASCHERE DI CARNEVALE


"Pulcinella" di Remigio Zena, in "Tutte le poesie", Cappelli, Bologna 1974.
"Luna crescente" di Gian Pietro Lucini, in "I monologhi di Pierrot", Lampi di Stampa, Milano 2003.
"Giovedì grasso" di Olindo Guerrini, in "Le Rime di Lorenzo Stecchetti", Zanichelli, Bologna 1903.
"Plenilunio" di Gustavo Botta, in "Alcuni scritti", Ariel, Milano 1952.
"Arlecchino pitocco" di Corrado Govoni, in "Poesie 1903-1958", Mondadori, Milano 2000.
"Troppe maschere" di Tito Marrone, in "Antologia poetica", Guida, Napoli 1974.
"Epistola di Pulcinella a Colombina" di Marco Lessona, in "Poesie", S.E.L.P., Torino 1930.
"Arlecchino mio buon principe" di Raffaele Carrieri, in "Stellacuore", Mondadori, Milano 1970.
"Il vestito di Arlecchino" di Gianni Rodari, in "Filastrocche in cielo e in terra", Einaudi, Torino 1960.
"Il sangue di Arlecchino" di Roberto Mussapi, in "Poesie", I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme 1993.