Marzo, che mette nuvole a soqquadro
e le ammontagna in alpi di broccati,
per poi disfarle in mammole sui prati,
accende all'improvviso, come un ladro,
un'occhiata di sole,
che abbaglia acque e viole.
Con in bocca un fil d'erba primaticcio,
Marzo è un fanciullo in ozio, a cavalcioni
sul vento che sepàra due stagioni;
e, zufolando, fa, per suo capriccio,
con strafottenti audacie,
il tempo che gli piace.
Stanotte, fra i suoi riccioli, spioventi
sul mio sonno a rovesci e a trilli alati,
il flauto di silenzio dei suoi fiati
vegetali svegliava azzurri e argenti
nel mio sognarlo, e fuori
ne son sbocciati i fiori.
La 49° poesia della raccolta "Vincere il drago!" (1928) del poeta romano Arturo Onofri, ritengo sia una delle più belle mai scritte sul mese di marzo. Un mese molto caro ad Onofri, che scrisse un altro bel componimento in versi dedicato a marzo, compreso nella raccolta "Arioso" (1921); lì il mese è descritto come un «fanciullo dal lungo sbadiglio» capriccioso e impertinente, esattamente come in questa poesia, dove Marzo fanciullo sta in ozio «a cavalcioni / sul vento che sepàra due stagioni» (l'inverno e la primavera ovviamente), insomma è dipinto come un giovane dio che ama giocare con le nuvole, col sole e con la pioggia. Possiede un flauto magico che usa per scompigliare le immagini della natura, creando visioni improvvise molto diverse tra loro ma ricche di colori e di fiori.
La poesia rientra in parte nell'ultima fase poetica di Onofri, molto vicina alla dottrina antroposofica di Rudolf Steiner, filosofo austriaco che, partendo da basi risalenti al pensiero indiano e alla teosofia, indicava l'essere umano come fulcro del divenire cosmico.
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