giovedì 26 gennaio 2012

Presagio

Come oggi parto verso l'alpe, o amici,
presto m'involerò per altra via,
eternamente. Così vuol che sia
l'anima, se da lei tolgo gli auspici.

Mi evocherete lungo le pendici
dove un giorno cantai la madre mia,
e, sposa eletta, la malinconia
mi soccorreva d'attimi felici.

Non piangerete; favola è la morte
per me, come la vita, che non ebbi
suddita al verbo d'un'ignobil sorte.

Non so per qual prodigio di natura,
io che tra voi, fraternamente, crebbi,
un'immagine fui, non creatura.
 





È questa una delle poesie più belle di Giulio Gianelli (1879-1914) contenute nella raccolta "Intimi vangeli", del 1908. A questo proposito è bene ricordare le parole del critico Carlo Calcaterra, che nel suo saggio "Con Guido Gozzano e altri poeti", ricorda così Gianelli: «Oggi la terzina che meglio lo richiama agli amici è quella che chiude il sonetto Presagio». In effetti Giulio Gianelli fu una figura singolare e sicuramente speciale per il suo impegno sociale a favore dei diseredati della Terra, fu infatti molto attivo per gran parte della sua breve vita, aiutando come poteva i più poveri e i più sfortunati. Malato di tisi già a vent'anni, cercò di reagire coraggiosamente alla grave malattia, ma quest'ultima ebbe il sopravvento quando il poeta piemontese aveva soli trentacinque anni. La poesia sopra riportata ben sintetizza il "presagio" del poeta, che certo si attendeva di dover lasciare la terra prima del tempo, rappresenta perciò una specie di testamento spirituale e un addio agli amici più cari. La foto che segue il testo poetico è tratta dall'antologia "Gozzano e i crepuscolari", a cura di Cecilia Ghelli, Garzanti, Milano 1983.

Alcuni desideri

Non chiedo la grazia divina
del sogno, né la scintilla
del genio: una vita tranquilla
mi basta, una vita meschina.
Per questa manía solitaria
m'occorrerebbe un'onesta
casa, assai vecchia e modesta,
con molta luce e buon'aria,
con alberi verdi e da frutti
d'intorno, sepolta tra un folto
di pergole ombrose; ma molto,
ma molto lontana da tutti.
Un'assai vecchia dimora,
linda, ospitale ed ammodo,
un po' rozza e semplice al modo
delle massaie d'allora;
e in questo rifugio all'antica,
vorrei, nell'oblío secolare,
illudermi di riposare
da un'immaginaria fatica.
Che sonni, che sonni tranquilli
da bimbo nella sua cuna,
le notti col lume di luna,
le notti col canto dei grilli!
Vorrei pure scrivere, senza
fatica, dei versi: ma sparsi
a spizzico, da giudicarsi
con una bonaria indulgenza:
dei versi bizzarri, rimati
secondo la mia prosodía,
con molta malinconía
e quasi niente grammatica:
e il lusso da milionario
vorrei per un mese, d'avere
a nolo per cameriere
un dottore universitario
per mettere in bella copia
le mie bislacche parole
e dirmi dove ci vuole
la lettera semplice o doppia.
O gioia di essere solo!
non l'ombra d'un conosciuto
vicino, toltone il muto
dottore che avrei preso a nolo.
Non ascolterei che la sola
Natura, l'unica amica;
non compirei piú la fatica
di dire una mezza parola.
Avrei con me qualche rado
libro, assai fuori di mano;
andrei per i campi pian piano
senza saper dove vado;
nella mia testa i pensieri
andrebbero com'io li lascio
andare, tutti a rifascio,
i piú pazzi con i piú seri:
e a sera, sull'imbrunire,
un letto fresco e profondo
mi smemorerebbe del mondo
con la voluttà di dormire.
Se un semplice regime uguale
bastasse a guarirmi dal tedio!
Ma in simile caso il rimedio
sarebbe peggiore del male.
Non guarirei, ne son certo,
da tutte queste torture
imaginarie, neppure
se andassi in mezzo al deserto;
il male, purtroppo, non sta
di fuori, ma nel mio interno,
ed è un prodotto moderno
come l'elettricità:
è come un tarlo che roda
addentro, senza mai posa,
ed era in addietro una posa
ormai passata di moda.
Oh come darei le parole
inutili e l'opere vane
dell'uomo, per essere un cane
che dorma placido al sole!
Per esser la foglia o l'insetto
o l'albero o il gufo o il leone,
per non aver la ragione,
per non aver l'intelletto,
per essere (questo conforto
concedi, o Natura, a chi è stanco
già troppo), per esser pur anco
un uomo, ma essere morto!





 
"Alcuni desideri" è il titolo del nono paragrafo del poemetto "Un giorno" di Carlo Vallini (1885-1920). L'opera fu pubblicata nel 1907 ed è considerata la migliore di Vallini. Si tratta di versi ineguali strutturati in paragrafi, similmente a quelli di un altro celebre poemetto: "Laus vitae" di Gabriele D'Annunzio; molto diversi sono però gli argomenti trattati, visto che nell'opera del poeta pescarese si parla di esperienze esaltanti e di azioni eroiche, mentre in quella del Vallini si medita sulla vita e sulla morte in modi che, per certi versi, ricordano il buddismo. Ma poi prevale nettamente l'animo crepuscolare dell'autore, come si può evincere anche dai versi di cui sopra, così pieni di modestia, così permeati di pensieri semplici, vuoti di ambizioni e di eroismi. La parabola poetica di Carlo Vallini fu intensa e pur brevissima, si svolse tutta nel 1907, quando il poeta milanese diede alle stampe le sue uniche opere in versi: "La rinunzia" e "Un giorno"; breve fu anche la sua vita, infatti Vallini morì a soli trentacinque anni per le gravi ferite riportate nella Grande Guerra. La foto che segue il testo poetico è tratta dall'antologia "Poesia italiana del Novecento", a cura di Edoardo Sanguineti, Einaudi, Torino 1969. 


mercoledì 25 gennaio 2012

Poeti dimenticati: Gustavo Brigante Colonna

Gustavo Brigante Colonna nacque a Fano nel 1878 e morì a Roma nel 1956. Dopo la laurea in legge partì per la Grande Guerra dove si distinse per coraggio. Si dedicò al giornalismo e scrisse su varie testate tra cui anche il "Giornale d'Italia". Scrisse versi in italiano e in dialetto romanesco; tra i primi spiccano i versi della gioventù, che denotano atteggiamenti e atmosfere molto vicine al crepuscolarismo.
 
 
Opere poetiche


"Gli ulivi e le ginestre", M. Carra & C., Roma 1912.
"L'offerta", F.lli Druker, Padova 1919.
"Le melangole", Le Monnier, Firenze 1927.
"Filastrocche", REDA, Roma 1945.
 
 
Presenze in antologie


"Cenacolo. Antologia di poeti d'oggi", a cura di F. Addonizio e F. Giovinazzo, «Luce intelletual», Palermo 1931 (pp. 64-67).
 
 
Testi


Dal tedio che mi opprime
Torno pe' molli clivi
Al rezzo degli ulivi
Ove fiorian le rime:
Più d'un capello bianco
Dice che il cuore è stanco.

Salgo al paese antico
Col cuor gonfio di pianto,
Guardo di tanto in tanto
Se scorga un volto amico:
Dicono gli occhi intorno
Che inutile è il ritorno.

Con l'anima pervasa
Del sogno già sognato,
Come un allucinato
Torno a la vecchia casa.
Batto a la porta. Tu
non mi rispondi più.

(Da "Gli ulivi e le ginestre")

Poeti dimenticati: Luisa Anzoletti

Luisa Anzoletti nacque a Trento nel 1863 e vi morì nel 1925. Scrisse poesie, prose, saggi e fu particolarmente attiva nel campo sociale, divenedo una femminista convinta e perseguendo quei valori e quegli ideali cattolici ai quali si ispirò anche nella sua opera poetica, molto lodata dai critici di fine Ottocento. Si interessò anche di musica e, dopo la morte prematura del marito, seguì assiduamente nel lavoro e nella carriera il fratello, divenuto famoso violinista.
 
 
Opere poetiche



"Vita", L. F. Cogliati, Milano 1898.
"Alba", L. F. Cogliati, Milano 1904.
"Vita. Nuove liriche", Zanichelli, Bologna 1904.
"Canti dell'ora", Treves, Milano 1914.
"Sera", «L'Eroica», Milano 1927.
 
 
 
Presenze in antologie



"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 20-21).
"Poeti italiani d'oltre i confini", a cura di Giuseppe Picciòla, Sansoni, Firenze 1914 (pp. 188-195).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 314-315).
"La fiorita francescana", a cura di Tommaso Nediani, Ist. It. d'Arti Grafiche, Bergamo 1926 (pp. 105-106; pp. 286-287).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (volume quarto, pp. 199-205).
 
 
 
Testi


APATIA

Stagioni, che l'acqua con sùbite scosse
su l'alida terra vapora e non bagna.
Stagioni, che 'l sole gli è come non fosse
per l'irta nel gelo marmata campagna.

Stagioni, che l'aria non giova d'alena,
ma torpe nel cavo a gl' inerti polmoni;
e 'l sangue che affredda entro l'arida vena
scaldare non posson gli ardenti carboni.

Stagioni, in cui tacita prende l'avvio
colei che di nulla non sente bisogno:
l'Ignota, che semina in terra l'oblio,
e miete anco i fior tenerelli del sogno.

Stagioni, ove qualche gran cosa finisce,
o forse al nativo suo mondo trasvola:
si parla si parla, e nessuno capisce;
si soffre si soffre, e niente consola.


(Da "Canti dell'ora")

Antologie: Dal simbolismo al déco

"Dal simbolismo al déco" è il titolo di un'antologia curata dal critico letterario Glauco Viazzi, che uscì nel 1981 per Einaudi editore. È la seconda, più completa e dettagliata, selezione di poeti italiani simbolisti (e non solo) dopo "Poeti italiani simbolisti e liberty", opera realizzata dallo stesso Viazzi e dall'editore Vanni Scheiwiller tra il 1967 ed il 1972, e di cui ho già parlato. Questa antologia, pur essendo realizzata in due tomi, è da considerarsi quale opera unica (al contrario della precedente). Si tratta (come viene specificato nel retro della copertina del primo tomo) di una indagine, una selezione e quindi una rilettura della poesia italiana sorta tra l'ultimo decennio del XIX secolo ed il primo ventennio del XX secolo. Il tutto avviene escludendo consapevolmente dei pilastri della poesia italiana primo-novecentesca non per scelta di merito, ma perché non inseriti nel contesto delle mode e dei movimenti letterari che più hanno influenzato durante quel preciso trentennio la lirica italiana ed anche quella europea.
Si nota che in questa sua opera Viazzi a sorpresa decide di porre i poeti antologizzati all'interno di gruppi che, quasi sempre, sono ridefiniti da lui stesso, secondo una sua personale visione della poesia italiana di quegli anni. Ecco, per capire meglio, i raggruppamenti creati da Viazzi e i nomi di chi ne fa parte:


IDEOSIMBOLISTI, ESTETI, SIMBOLISTI

Gian Pietro Lucini; Mario Morasso; Gino Borzaghi; Ceccardo Roccatagliata Ceccardi; Adolfo De Bosis; Romolo Quaglino; Luisa Giaconi; Domenico Tumiati; Pier Ludovico Occhini; Diego Angeli; Alessandro Giribaldi; Mario Malfettani; Alessandro Varaldo; Gustavo Botta; Ricciotto Canudo; Giuseppe Lipparini; Tito Marrone; Agostino J. Sinadinò; Angelo Toscano; Pier Angelo Baratono; Umberto Saffiotti; Giuseppe Rino; Teofilo Valenti.
 
 
VERSO IL LIBERTY

Corrado Govoni; Aldo Palazzeschi; Paolo Buzzi; Giovanni Cavicchioli.
 
 
MISTICI, ORFICI, ESOTERICI

Giuseppe Vannicola; Emanuele Sella; Luca Pignato; Raoul Dal Molin Ferenzona; Guido Pereyra; Enrico Cardile; Girolamo Comi; Arturo Onofri; Mornor Yadolphe.
 
 
ELEGIACI E INTIMISTI

Alberto Sormani; Giovanni Tecchio; Cosimo Giorgieri-Contri; Pietro Mastri; Marino Marin; Adelchi Baratono; Italo Dalmatico; Guelfo Civinini; Sergio Corazzini; Fausto Maria Martini; Alberto Tarchiani; Yosto Randaccio; Auro D'Alba; Marino Moretti; Carlo Chiaves; Francesco Cazzamini Mussi; Diego Valeri.
 
 
DAL LIBERTY ALL'ART DÉCO

Guido Da Verona; Federico De Maria; Gesualdo Manzella Frontini; Enrico Cavacchioli; Guido Gozzano; Amalia Guglielminetti; Carlo Vallini; Antonio Rubino; Francesco Scaglione; Libero Altomare; Enzo Marcellusi; Luigi Crociato; Fausto Valsecchi; Alberto Viviani; Nicola Moscardelli; Nino Oxilia; Mario Venditti; Fausto M. Bongioanni; Alceo Folicaldi.
 


Ora, volendo fare un confronto con la precedente "Poeti italiani simbolisti e liberty", è facile notare la massiccia esclusione di poeti secondo-ottocenteschi, probabilmente perché l'antologia voleva mettere in luce i poeti veramente "nuovi". È poi evidente un inserimento di molti poeti crepuscolari, sparpagliati in vari gruppi. Giusta è anche l'inclusione di nomi a torto trascurati nella antologia di Viazzi-Scheiwiller, come quelli dei fratelli Baratono, di Mario Morasso, di Giovanni Tecchio ecc.
Ogni poeta è posto, all'interno del gruppo di appartenenza, seguendo l'ordine cronologico dei suoi scritti: ovvero seguendo l'ordine di uscita dei suoi volumi o delle sue poesie pubblicate in riviste.
Infine colpisce la presentazione dedicata da Viazzi a ciascun poeta preso in esame: trattasi di una analisi assai particolareggiata, che molto si occupa dell'aspetto più psicologico dell'opera poetica di ciascun autore, e che usa, a volte, un linguaggio decisamente ostico.

Da "Il lupo della steppa" di Hermann Hesse


Egli faceva parte della categoria dei suicidi. A questo punto dobbiamo osservare che è errato definire suicidi solamente coloro che si uccidono davvero. Tra questi ci sono anzi molti che diventano suicidi quasi per caso e il suicidio non fa necessariamente parte della loro natura. Tra gli uomini senza personalità, senza un'impronta marcata, senza un forte destino, tra gli uomini da dozzina e da branco ce ne sono parecchi che commettono suicidio senza per questo appartenere per carattere al tipo dei suicidi, mentre viceversa moltissimi di coloro che vanno annoverati per natura fra i suicidi, anche forse la maggior parte, effettivamente non attentano alla propria vita. Il «suicida» (Harry era uno di questi) non occorre che abbia uno stretto rapporto con la morte: lo si può avere anche senza essere suicidi. Ma il suicida ha questo di caratteristico: egli sente il suo io, indifferente se a ragione o a torto, come un germe della natura particolarmente pericoloso, ambiguo e minacciato, si reputa sempre molto esposto e in pericolo, come stesse sopra una punta di roccia sottilissima dove basta una piccola spinta esterna o una minima debolezza interna per farlo precipitare nel vuoto. Di questa sorta di uomini si può dire che il suicidio è per loro la qualità di morte più probabile, per lo meno nella loro immaginazione.





Il lupo della steppa (titolo originale: Der Steppenwolf, 1927) è uno dei migliori romanzi di Hermann Hesse (1877-1962). Io lo lessi qualche decennio fa, soprattutto perché m’intrigava la situazione di profonda crisi spirituale del protagonista Harry. Costui, come spiega bene il frammento che ho riportato, possiede una personalità assai complicata e tormentata; spesso pensa al suicidio come unica via d’uscita per tutti i problemi che lo affliggono, ma mai vi ricorre. Questa crisi, con caratteristiche certamente diverse e decisamente meno cervellotiche, ritengo di averla avuta anch’io, in età adolescenziale. Fu in quel periodo che, come Harry, cominciai a pensare al suicidio, pur non avendo né l’intenzione, né il coraggio di praticarlo. Sicuramente fui influenzato, nella mia ossessione suicida, da una notizia che avevo appreso di recente, riguardante un mio coetaneo che si era tolto la vita impiccandosi in casa, molto probabilmente a causa dell’insopportabile dolore provato in seguito alla morte del nonno, a cui, evidentemente, era affezionatissimo. Eppure io non avevo subito un lutto del genere, però avvertivo un disagio esistenziale, che si spiega soltanto con l’età adolescenziale: così difficile a volte, e dolorosa.

Il frammento che ho trascritto fa parte del volume: Hermann Hesse, Il lupo della steppa, Mondadori, Milano 1976 (la prima edizione italiana pubblicata dalla casa editrice milanese, risale però al 1946). Più precisamente, si trova all’interno della Dissertazione: una sorta di prologo piuttosto lungo, che precede il romanzo vero e proprio.

martedì 24 gennaio 2012

Antologie: Poeti simbolisti e liberty in Italia





"Poeti simbolisti e liberty in Italia" è il titolo di un'antologia curata dal critico letterario Glauco Viazzi e dall'editore Vanni Scheiwiller, il cui primo volume uscì nel 1967. Al termine di suddetto volume, una "nota degli editori" chiariva il motivo della nascita di una antologia poetica decisamente inconsueta:

«La nostra curiosità è stata mossa dal fatto che nel suo Il verso libero G. P. Lucini parlasse di una corrente simbolista, e ne tracciasse una sorta di profilo. Abbiamo verificato i suoi autori, ed esplorato un poco il periodo: abbiamo riscontrato effettivamente l'esistenza nel ventennio che va dal '95 al '15 circa, di un'aera simbolista e liberty, nata come fase differenziata di sviluppo della Scapigliatura, e caratterizzata da una sua evoluzione caratteristica».

Secondo gli editori, l'evoluzione della poesia scapigliata giunge inizialmente ad un simbolismo rigoroso che si rifà principalmente a Mallarmè ed a Verlaine, si dirama quindi in più versanti: da quello crepuscolare a quello futurista e frammentista; il tutto comporta un graduale e costante abbandono delle forme chiuse per abbracciare quel verso libero di cui proprio il Lucini (figura fondamentale da noi per quel che concerne la poesia simbolista) fu, con l'opera citata in precedenza, l'esaltatore principale.
Nel primo volume di questa atipica e preziosa antologia figurano, oltre al Lucini, alcuni intellettuali che proprio al poeta lombardo furono molto vicini, tanto da creare un cenacolo (intorno al 1894) che aveva come punto di riferimento la poesia simbolista francese, all'epoca pressoché sconosciuta in Italia, e che comprendeva i nomi di Italo Dalmatico, Luigi Donati, Cosimo Giorgieri Contri, Romolo Quaglino, Silvio Pagani, Alberto Sormani e Giovanni Tecchio. Ci sono poi altri poeti che avevano come punto di riferimento un personaggio bizzarro quale fu Agostino John Sinadinò, scrittore bilingue nato in Egitto e autore di opere poetiche certamente rivoluzionarie, soprattutto dal versante della forma poetica e del linguaggio; questi poeti, provenienti dalla Sicilia, sono: Enrico Cardile, Federico De Maria, Tito Marrone, Giuseppe Rino, Umberto Saffiotti, Emilio e Francesco Scaglione e Angelo Toscano. Meno rappresentata risulta invece (sempre parlando del primo volume) la compagine che si stringeva attorno al poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, anch'egli lettore e traduttore di poeti simbolisti (Rimbaud e Verlaine su tutti); quest'ultima era rappresentata da scrittori liguri come Adelchi e Pier Angelo Baratono, Alessandro Giribaldi, Mario Malfettani, Alessandro Varaldo.
Passando ad una fase più evoluta del simbolismo nostrano, si può ben dire che i poeti crepuscolari ne siano chiaramente all'interno; non a caso qui figurano i nomi di Carlo Chiaves, Sergio Corazzini, Guelfo Civinini, Corrado Govoni, Guido Gozzano, Fausto Maria Martini e Carlo Vallini. Proseguendo in linea temporale ad analizzare le nuove tendenze poetiche del primissimo Novecento, ecco spuntare il futurismo teorizzato da Filippo Tommaso Marinetti che, pur avendo caratteristiche in gran parte innovative, mantiene, se si parla di molti suoi rappresentanti poetici, aspetti che si rifanno ad un passato recente ed in modo particolare proprio al simbolismo, lo stanno a dimostrare le poesie di Libero Altomare, Antonio Bruno, Paolo Buzzi, Francesco Cangiullo, Enrico Cavacchioli e di Auro D'Alba.
Per quanto riguarda quegli scrittori che portarono in auge il cosiddetto frammentismo e che si radunavano intorno alla celebre rivista letteraria "La Voce", in questa prima parte antologica c'è ben poco (a parte Arturo Onofri di cui però vengono scelti i versi della fase crepuscolare).
Da non dimenticare poi la presenza di poeti che, pur non essendo stati mai inseriti in scuole o gruppi, dimostrarono di interpretare in modo lucido ed efficace la nuova poesia nata in Francia pochi anni prima; è questo il caso di Ricciotto Canudo (altro intellettuale sui generis), Girolamo Comi, Luisa Giaconi, Amalia Guglielminetti, Antonio Rubino (anche ottimo disegnatore), Domenico Tumiati, Guido da Verona e Remigio Zena. Quest'ultimo è, stranamente, l'unico poeta compreso in questa prima selezione, la cui opera sia interamente riconducibile al secondo Ottocento.
Vi sono, infine, delle scelte singolari; non voglio tanto riferirmi a quella di un musicista quale sostanzialmente fu Giuseppe Vannicola, che pure scrisse dei versi ed attraversò il simbolismo anche e soprattutto con le sue prose, quanto invece a Julius Evola, certo non famoso per aver scritto dei versi simbolisti.
Ecco di seguito i nomi dei poeti presenti nel primo volume, tra parentesi, per ognuno di essi, c'è l'anno di nascita e di morte (ove siano conosciuti).
 

VOLUME PRIMO (1967)

Gian Pietro Lucini (1867-1914); Libero Altomare (1883-1969); Gustavo Botta (1880-1948); Antonio Bruno (1893-1932); Paolo Buzzi (1874-1956); Francesco Cangiullo (1888-1977); Ricciotto Canudo (1877-1923); Enrico Cardile (1883-1951); Enrico Cavacchioli (1885-1954); Carlo Chiaves (1883-1919); Guelfo Civinini (1873-1954); Girolamo Comi (1890-1968); Sergio Corazzini (1886-1907); Giovanni Croce (1889-1911); Auro D'Alba (1888-1965); Italo Dalmatico (1868-?); Federico De Maria (1883-1954); Luigi Donati (1870-1946); Julius Evola (1898-1974); Enrico Fondi (1881-1953); Eugenio Gara (1888-1985); Luisa Giaconi (1870-1908); Corrado Govoni (1884-1965); Guido Gozzano (1883-1916); Amalia Guglielminetti (1881-1941); F. T. Marinetti (1876-1944); Fausto M. Martini (1886-1931); Arturo Onofri (1885-1928); Aldo Palazzeschi (1885-1974); Guido Pereyra (1881-1968); Romolo Quaglino (1871-1938); Giuseppe Rino (1886-1963); Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (1871-1919); Antonio Rubino (1880-1964); Umberto Saffiotti (1882-1927); G. A. Sanguineti (?-?); Agostino J. Sinadinò (1876-1956); Alberto Sormani (1866-1893); Angelo Toscano (1879-1908); Federigo Tozzi (1883-1920); Domenico Tumiati (1874-1943); Carlo Vallini (1885-1920); Giuseppe Vannicola (1877-1915); Mario Venditti (1889-1964); Guido da Verona (1881-1939); Mornor Yadolfe (1881-1962); Remigio Zena (1850-1917).


***
 
 
Il secondo volume di "Poeti italiani simbolisti e liberty in Italia" uscì nel 1971 (ben quattro anni dopo il primo). Aprendolo si nota un netto aumento di pagine e di poeti inclusi, a questo proposito non figurano certo come maggioranza i "riconfermati", mentre compaiono in folta schiera poeti molto attivi nella seconda metà dell'Ottocento che nel volume precedente erano stati sicuramente trascurati; ecco allora la presenza (gradita) di Vittoria Aganoor, Pompeo Bettini, Gabriele D'Annunzio, Adolfo De Bosis, Augusto Ferrero, Arturo Graf, Luigi Gualdo, Enrico Nencioni e Giovanni Pascoli. Troviamo anche qualche altro nome ingiustamente dimenticato dai curatori del primo volume, come quello di Cosimo Giorgieri-Contri, Tito Marrone, Francesco Scaglione, Diego Valeri, Fausto Valsecchi e, soprattutto, Alessandro Giribaldi: punto di riferimento (insieme al Ceccardi) per molti poeti liguri tra i quali anche Mario Malfettani e Alessandro Varaldo anch'essi presenti in questo volume. C'è poi Dino Campana, definito da alcuni critici come il poeta italiano maggiormente vicino alla figura e all'opera di Arthur Rimbaud. Altri inserimenti sono, in verità, rappresentati da poeti piuttosto marginali. C'è anche qui una sorprendente inclusione: quella del critico Vittorio Pica che compare con una traduzione di un brano di Mallarmé. Sorprende infine la doppia presenza di Edmondo Corradi, scrittore emiliano che pubblicò alcune raccolte di versi col suo vero nome e una con lo pseudonimo di Ermanno Orlandi; quest'ultimo è qui considerato come poeta "reale".

 
VOLUME SECONDO (1971)

Gian Pietro Lucini; Vittoria Aganoor Pompilj (1855-1970); Libero Altomare; Pompeo Bettini (1862-1896); Fausto M. Bongioanni (1902-1979); Gustavo Botta; E. A. Butti (1868-1912); Paolo Buzzi; Dino Campana (1885-1932); Carlo Chiaves; Giovanni Cavicchioli (1894-1964); Decio Cinti (1879-1954); Guelfo Civinini; Sergio Corazzini; Edmondo Corradi (1873-1931); Auro D'Alba; Italo Dalmatico; Lucio D'Ambra (1877-1939); Gabriele D'Annunzio (1863-1938); Guido da Verona; Adolfo De Bosis (1863-1924); Gino Del Guasta (1875-1940); Federico De Maria; Willy Dias (1872-1956); Luigi Donati; Augusto Ferrero (1866-1924); Enrico Fondi; Aldo Fumagalli (?-?); Diego Garoglio (1866-1933); Luisa Giaconi; Cosimo Giorgieri-Contri (1870-1943); Alessandro Giribaldi (1874-1928); Corrado Govoni; Guido Gozzano; Arturo Graf (1848-1913); Luigi Gualdo (1847-1898); Amalia Guglielminetti; Virgilio La Scola (1869-1927); Marino Marin (1860-1951); Mario Malfettani (1875-1911); Mario Mariani (1883-1951); F. T. Marinetti; Tito Marrone (1882-1967); Fausto M. Martini; Enrico Nencioni (1837-1896); Ermanno Orlandi; Giovanni Pascoli (1855-1912); Vittorio Pica (1865-1930); Romolo Quaglino; Ceccardo Roccatagliata Ceccardi; Antonio Rubino; G. A. Sanguineti; Emilio Scaglione (1891-1946); Francesco Scaglione (1889-?); Agostino J. Sinadinò; Alberto Sormani; Térésah (1877-1964); Domenico Tumiati; Aurelio Ugolini (1875-1907); Teofilo Valenti (1884-?); Diego Valeri (1887-1976); Fausto Valsecchi (1891-1914); Giuseppe Vannicola; Alessandro Varaldo (1876-1953); Mario Venditti; Remigio Zena.
 

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Il terzo ed ultimo volume di "Poeti simbolisti e liberty in Italia" uscì un anno dopo il secondo, nel 1972. Pur inserendo altri nomi nuovi, tra i quali gli eccellenti Giovanni Alfredo Cesareo, Pietro Mastri ed Enrico Panzacchi, non si distingue, come il secondo, per un simile motivo, ma, semmai, per porre in evidenza l'importanza delle scuole e dei cenacoli creatisi nella penisola italiana tra fine Ottocento e inizio Novecento e che avevano la precisa intenzione di ringiovanire la poesia nostrana, facendole acquisire quelle caratteristiche così innovative già esaltate e assimilate dalla poesia d'oltralpe, e che, naturalmente, faceva riferimento all'area simbolista.
Concludo ricordando l'importanza di questa antologia: il tentativo di ricerca e di selezione fatto tra i nostri poeti più vicini al movimento simbolista portò ad un risultato che non aveva precedenti nella nostra letteratura, e, se si eccettua un'altra antologia curata anch'essa da Glauco Viazzi: "Dal simbolismo al decò" del 1981, si può ben dire che un esperimento di tal genere non sia stato più realizzato in Italia fino ad oggi. Per questo e per altri motivi tale opera è da ritenersi preziosissima.
 

VOLUME TERZO (1972)

Gian Pietro Lucini; Antonino Anile (1869-1943); Antonio Beltramelli (1879-1930); Francesco Biondolillo (1887-1974); Gustavo Botta; Enrico Annibale Butti; Giovanni Camerana (1845-1905); Dino Campana; Ricciotto Canudo; Luigi Capuana (1839-1915); Emanuele Castelbarco (1884-1964); Enrico Cavacchioli; Giovanni Cavicchioli; G. A. Cesareo (1860-1937); Carlo Chiaves; Arturo Colautti (1851-1914); Sergio Corazzini; Raoul Dal Molin Ferenzona (1879-1946); Gabriele D'Annunzio; Guido da Verona; Federico De Maria; Luigi Donati; Enrico Fondi; Alessandro Giribaldi; Corrado Govoni; Arturo Graf; Luigi Gualdo; Mario Malfettani; Nicola Marchese (1858-1910); F. T. Marinetti; Tito Marrone; Fausto Maria Martini; Pietro Mastri (1868-1932); Arturo Onofri; Silvio Pagani (1867-?); Giovanni Pascoli; Enrico Panzacchi (1840-1904); Luca Pignato (1891-1955); Francesco Polese (1860-?); Romolo Quaglino; Giuseppe Rino; Ceccardo Roccatagliata Ceccardi; Antonio Rubino; Umberto Saffiotti; Francesco Scaglione; Agostino J. Sinadinò; Alberto Tarchiani (1885-1964); Angelo Toscano; Federigo Tozzi; Aurelio Ugolini; Giorgio Umani (1892-1965); Teofilo Valenti; Giuseppe Vannicola; Alessandro Varaldo.


lunedì 23 gennaio 2012

Poeti dimenticati: Italo Dalmatico


Italo Dalmatico (il cui vero nome era Gerolamo Italo Boxich) nacque a Spalato nel 1868 e morì a Zagabria nel 1940. Poche e non sicure sono le notizie riguardanti la sua vita; è sicuro comunque che ad un certo punto decise di mutare il suo cognome (da Boxich a Dalmatico) a voler sottolineare (come ha scritto anche il critico Glauco Viazzi) una scelta di campo; era infatti, quello che racchiude i primi anni del XX secolo, un periodo di fermenti sociali e politici, soprattutto in una regione come la Dalmazia, dove gli irredentisti continuavano ad aumentare in modo impressionante. Ma dopo la fine della Grande Guerra Italo Dalmatico tornò ad assumere il suo nome d'origine e smise di scrivere in italiano. La sua unica opera nella nostra lingua è una raccolta di versi pubblicata nel 1903 e intitolata "Juvenilia". Qui si leggono versi che spaziano su molti argomenti: da quello bucolico a quello domestico, dal tema amoroso alla rievocazione di ricordi personali. La parte migliore dell'opera è però rappresentata da alcune poesie che si avvicinano ai modi dei simbolisti, e, tra queste, si nota una costante e ossessionante idea della morte, che attraversa un po' tutto il libro del Dalmatico.
 
 

Opere poetiche

"Juvenilia", Enrico De Schönfeld, Zara 1903.
 
 
Piatto anteriore di "Juvenilia"





















Presenze in antologie

"Poeti italiani d'oltre i confini", a cura di Giuseppe Picciòla, Sansoni, Firenze 1914 (col nome di Gerolamo Italo Boxis, pp. 208-212).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (Vol. primo: pp. 74-78; Vol. secondo: pp. 78-80).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 357-362).

 
 
Testi

Questo, Morte, darai tu? Pace a noi
che fummo, ne la vita, anime in pene,
cercando nostro durevole bene,
dilacerati da' martiri suoi?

Se questo fosse! E tu ne le serene
ombre, nel freddo de i riposi tuoi,
tu avessi quella che cercammo noi
quassù, ma invano, fonte d'ogni bene

durevole e più dolci sogni; e sogni
dolci così che fosser medicina
a l'acre piaga in ogni mite cuore

aperta, sanguinosamente in ogni
cuor di poeta e cuor di sognatore,
mirabile rosetta porporina!

(Da "Juvenilia")

Poeti dimenticati: Olinto Dini

Piatto anteriore di "Natura e anima"

Olinto Dini nacque a Castelnuovo di Garfagnana nel 1873 e vi morì nel 1951. Di nobili origini, studiò dapprima a Lucca, poi a Pisa, dove si laureò in Lettere. Professò l'insegnamento in svariati istituti scolastici prima di ritirarsi, a soli 47 anni, nella sua terra natale. Pubblicò molti volumi di poesie, a cominciare dal 1900, fino all'anno della sua morte. Sebbene le sue liriche, spesso in forma epigrammatica, posseggano molte qualità e si leggano volentieri, fu sempre ignorato dai più, e fu conosciuto soltanto dai pochi (avveduti) suoi estimatori.
 
 
Opere poetiche
"Alcune poesie", Mariotti, Pisa 1900.
"Poesie", Bemporad, Firenze 1902.
"Nuove Poesie", Rosa, Castelnuovo Garfagnana 1903.
"Sonetti apuani", Rosa, Castelnuovo Garfagnana 1905.
"Fremiti e sogni", Lapi, Città di Castello 1909.
"Due Vite", Lapi, Città di Castello 1914.
"Vita e Sogno", «L'Eroica», Milano 1920.
"Natura e anima", «L'Eroica», Milano 1926.
"Epigrammi lirici", «L'Eroica», Milano 1928.
"Ombre e Fulgori", «L'Eroica», Milano 1929.
"Dal mio Romitaggio", «L'Eroica», Milano 1932.
"Biancofiore", «L'Eroica», Milano 1933.
"Tormenti e Consolazioni", «L'Eroica», Milano 1934.
"Voci della mia Sera", «L'Eroica», Milano 1937.
"Fervori e Raccoglimenti", «L'Eroica», Milano 1938.
"Fonte Vivo", «L'Eroica», Milano 1942.
"Contrasti e Armonie", «L'Eroica», Milano 1948.
"Dal Villino dei Sogni", «L'Eroica», Milano 1950.
"Quattro Poemetti", «L'Eroica», Milano 1951.
"Poesie", Edizioni d'Arte, Bergamo 1971.
 
 
Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 356-357).
"Adunata della poesia", seconda edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. 236-238).
 
 
Testi

DOPO IL NEMBO

Spiovve; e col nembo dileguò la mia
malinconia.
Ho lieto il cuore, ho fresche le pupille,
e novello m'appar questo che tante
volte ho percorso silvano cammino.
Guardo e sorrido; e all'anima sognante
mi son le stille della pioggia stille
di rugiada, e m'è il vespero un mattino.

(Da "Dal mio romitaggio")


Poeti dimenticati: Cosimo Giorgieri-Contri


Piatto anteriore de "Il convegno dei cipressi e altre poesie"
Cosimo Giorgieri-Contri nacque a Lucca nel 1870 e morì a Viareggio nel 1943. Poeta, prosatore e drammaturgo, ebbe un discreto successo di pubblico per i suoi romanzi e per le sue poesie crepuscolari ante litteram. I suoi versi mostrano, oltre alle ricorrenti atmosfere malinconiche che lo avvicinano molto alla poetica di Gozzano e Corazzini, degli elementi riconducibili ad ambienti particolarmente raffinati ed eleganti; si notano inoltre chiare derivazioni dalla poesia di Gabriele D'Annunzio e dei poeti simbolisti franco-belgi. Il suo nome è oggi completamente ignorato, pur essendo evidente il peso che ebbe la sua poesia nella nascita del crepuscolarismo.
 
 
Opere poetiche

"Versi tristi", Fratelli Pozzo, Torino 1887.
"Il convegno dei cipressi", Galli di C. Chiesa e F. Guindani, Milano 1894.
"Primavere del desiderio e dell'oblio", Lattes, Torino 1903.
"La donna del velo", Lattes, Torino 1905.
"Mirti in ombra", Casanova, Torino 1913.
"Il convegno dei cipressi e altre poesie", Zanichelli, Bologna 1922.
 
 
Presenze in antologie

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 191-193).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (p. 377).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. III, pp. 155-163).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 2, pp. 119-124).
"La Riviera Ligure", a cura di Edoardo Villa e Pino Boero, Canova, Treviso 1975 (pp. 49-51).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 333-339).
"Torino Art Nouveau e Crepuscolare", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Crocetti, Milano 2006 (pp. 54-59).
"Poeti per Torino", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Viennepierre, Milano 2008 (pp.45-53).
 
 
Testi 

UN NATALE

Penso un Natale della fanciullezza:
per che virtù dall'ombre dissepolto?
Vedo tra i cari visi uno più molto
caro: una mano a carezzarmi avvezza.

Dove, in qual colle, i bei rami d'ulivo
del presepio ricrebbero? Mi pare
ch'io li rivedo penduli sul mare
da lor clivi nativi. Il clivo è vivo

nel mio pensiero, come le persone
di quel tempo e le cose e le parole:
un ricordo così pieno di sole
che l'alta loggia se ne fa corone.

Sol di decembre sul mare velato:
un angelico mar come d'argento:
treman li agrumi nei giardini, al vento,
l'aroma ha il ritmo tepido d'un fiato.

Quel giorno è morto: come li altri è morto
e ancor sul colle ondeggiano li ulivi,
e ancor li agrumi odorano, nei vivi
soffi del vento, in questo orto, in quell'orto:

ancora il sole di decembre tepe
sull'angelico mare : e in mente ancora
il dolce viso mi si ricolora,
mi riodora l'antico presèpe.

(Da "Primavere del desiderio e dell'oblio")

domenica 22 gennaio 2012

Da "Bruges la morta" di Georges Rodenbach


Ah! quella Bruges d'inverno, la sera!
L'influsso della città su di lui riprendeva: lezione di silenzio che gli veniva dai canali immobili, che con la loro calma meritavano di essere frequentati dai nobili cigni; esempio di rassegnazione offerto dai quais taciturni; soprattutto esortazioni di pietà e di austerità che cadevano dagli alti campanili di Notre-Dame e di San Salvatore, sempre emergenti dal fondo delle prospettive.







Breve, perfetto frammento che ho tratto dal X capitolo di Bruges la morta: romanzo più famoso del poeta belga Georges Rodenbach. In poche parole viene magistralmente descritta una città straordinaria come Bruges nella stagione invernale. Poche parole bastano, a Rodenbach, per trasmettere al lettore tutta la bellezza di questo luogo, e le atmosfere misticheggianti che si respirano sulle strade della città belga: unica al mondo per determinate caratteristiche. Il frammento che si legge qui, fa parte del libro pubblicato dalla Rizzoli di Milano nel 1955 (pp. 63-64).


Da "Martin Eden" di Jack London

Improvvisamente si accorse di quanto fosse disperata la sua situazione. Con occhi limpidi vide che era entrato nella Valle delle Ombre. Tutta la vita che ancora gli restava svaniva, si dileguava, lo avviava verso la morte. S'accorse di quanto a lungo dormisse ormai, del bisogno che aveva di dormire. Una volta odiava il sonno, perché lo derubava di preziosi momenti, in cui avrebbe potuto vivere. Dormire quattro ore su ventiquattro voleva dire essere derubato di quattro ore di vita. Com'era rammaricato per quel sonno! Adesso invece era la vita che non gli andava più. La vita non era più buona, e gli lasciava in bocca un gusto amaro. Ecco il suo pericolo. La vita che non tendeva verso la vita era sul punto di estinguersi.

(Jack London - Martin Eden, Einaudi 1977, pp. 389-390)

Dallo "Zibaldone" di Giacomo Leopardi

"Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente, ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl'individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi.
Entrate in un giardino di piante, d'erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagion dell'anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in stato di souffrance, qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un'ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce miele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell'albero è infestato da un formicaio, quell'altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e bruciato dall'aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco o nelle radici; quell'altro ha più foglie secche; quest'altro è róso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido troppo secco. L'una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; l'altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella sola in istato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal suo proprio peso; là un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co' tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie, col ferro".

(Bologna, 19 aprile 1826)

lunedì 16 gennaio 2012

Poesia

La poesia è qualcosa di eccezionalmente grande ed inarrivabile perchè in grado di suscitare emozioni ed immagini con la sola forza della parola scritta. Grazie alla poesia è possibile sentirsi in sintonia con persone vissute anche parecchi secoli prima di noi, scoprirsi in perfetta simbiosi coi loro pensieri, i loro sentimenti e la loro spiritualità. Esiste però una piccola imperfezione, anche in questa stupenda forma d'arte, ed è la lingua: per capire la straordinaria bellezza di una poesia non scritta nella nostra lingua, occorre una buona (o meglio ottima) traduzione e la cosa non è affatto trascurabile poichè a mio avviso chi traduce una poesia deve essere a sua volta un bravo poeta. Ecco, infine, una poesia che ho scritto rivolgendomi alla Poesia come se fosse un essere vivente, o, forse, un dio invisibile ma ben presente.
 
 
Poesia
sii l'anima mia
sii la vita
e l'armonia.
Rimani
insieme a me
per il resto
dei miei poveri
anni.
Non mi abbandonare
non rendere inutile
questa poca
miserevole
stanca
esistenza.
Ti prego
non andare
via.
Rimani
e fammi
compagnia.

 
 
 

venerdì 13 gennaio 2012

Simbolo

Nel senso attribuito dalla poesia (e dal simbolismo in particolare), la parola non si pone soltanto come equivalente di «segno», come un termine che indica un'altra realtà, ma diviene oscura e misteriosa interpretazione di una realtà assoluta e remota. Nell'allegoria il simbolo era la cosa significata nel suo valore letterale, che naturalmente rinviava a un significato allegorico; ma i termini rimanevano intatti, perché si trattava di un rapporto intellettualistico ed esteriore, mentre per le recenti correnti poetiche il simbolo istituisce rapporti essenziali fra le cose e fra queste e l'Assoluto. Tutte le cose contingenti, anche le minime, sono simboli che conducono l'uomo a comprendere un'Idea, sostiene Baudelaire, e aggiunge: «Tutto è geroglifico e noi sappiamo che i simboli sono oscuri soltanto in senso relativo, in proporzione, cioè, alla purezza, alla buona volontà e alla perspicacia nativa delle anime. Che cos'è ora un poeta... se non un traduttore, un decifratore?». Per i simbolisti la poesia è tutta un simbolo, una «magia evocatrice».

(Dal "Dizionarietto" presente all'interno del volume curato da Giorgio Barberi Squarotti e Stefano Jacomuzzi: "La poesia italiana contemporanea dal Carducci ai giorni nostri", D'Anna, Messina-Firenze 1963)

martedì 3 gennaio 2012

L'abito nella poesia italiana decadente e simbolista

L'abito, soprattutto quello femminile, assume spesso una valenza fortemente simbolica in alcune poesie italiane scritte e pubblicate tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Fondamentale in tal senso è il colore del vestito o del capo d'abbigliamento che, a seconda delle tonalità, può indicare candore (bianco), mistero (nero), passione (rosso), carnalità (rosa), tristezza (grigio, lilla ed altri colori spenti) e così via. Altrettanto centrale è l'erotismo che in molti casi scaturisce da un semplice indumento indossato dalla donna e che può essere un copricapo con veletta, una sciarpa o un abito decoltè.
 

Poesie sull'argomento
Giovanni Camerana: "Il velo nero" in "Poesie" (1968).
Guelfo Civinini: "L'abito viola" in "L'urna" (1900).
Federico De Maria: "Guardaroba" in "Poesia", novembre 1908.
Francesco Gaeta: "Quando è piovuto su l'estate afosa" in "Soneti voluttuosi e altre poesie" (1906).
Corrado Govoni "Le sete" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "La feluca" in "Dopo il tramonto" (1893).
Fausto Maria Martini: "Elegia del primo abito decoltè" in "Tutte le poesie" (1969).
Marino Moretti: "Strascico" in "Poesie di tutti i giorni" (1911).
Solone Muti: "Vieux chiffon" in «La Settimana», giugno 1902.
Aldo Palazzeschi: "Il manto" in "I cavalli bianchi" (1905).
Aldo Palazzeschi: "Frate Rosso" in "Poemi" (1909).
Enrico Panzacchi: "Una sera a Venezia" in "Poesie" (1908).
Romolo Quaglino: "Le etere strette in vesti di broccato" in "I Modi. Anime e simboli" (1896).
Salvatore Quasimodo: "Cilicio" in "Notturni del re silenzioso" (1989).
Fausto Salvatori: "Fasciata dalla tua veste..." in "In ombra d'amore (1929).
Domenico Tumiati: "Rosea veste" in "Musica antica per chitarra" (1897).
 

Testi
QUANDO E' PIOVUTO...

Quando è piovuto su l'estate afosa
e, a spopolar le notti di falene,
vento nevato da le alture viene,
tu t'avviluppi d'uno sciallo rosa.

Come più caldo allor, mia freddolosa,
penso e di forme più fragranti e piene
il nido de 'l tuo petto, ove sì bene
morrei, dove a svernare Amor si posa!

T'affacci a sera, e tra i dormenti fiori
(t'arde a l'orecchia il lume un diamante)
fingon frugar le inanellate mani:

dentro, odo un suon di cembalo; e di fuori,
morendo da 'l piacer d'esserti amante,
te che susurri a 'l mio balcon: «Domani...»

(Da "Sonetti voluttuosi e altre poesie" di Francesco Gaeta)