domenica 21 aprile 2024

"Limen" di Francesco ed Emilio Scaglione

 Limen è il titolo di una raccolta poetica scritta “a quattro mani”, visto che gli autori sono i due fratelli Francesco ed Emilio Scaglione. La sua eccezionalità non sta nel fatto che fosse più di uno l’autore della raccolta, ma che le poesie non siano firmate, lasciando intendere che ogni componimento ivi presente, sia nato da un lavoro di coppia, e che quindi tutti i versi siano da attribuire ad entrambi i poeti. Limen fu pubblicato a Catania, da Noiccolò Giannotta Editore nel 1910. Le 143 pagine di questo volume, che vide l’esordio letterario di entrambi i due giovanissimi autori (Francesco probabilmente aveva ventuno anni, e presumibilmente era il maggiore dei due fratelli), contengono una Prefazione dedicata a Francesco Scaglione: zio dei due poeti e Ispettore Scolastico di Palermo, a cui i giovani si rivolgono con sentita riconoscenza, per l’incoraggiamento che il parente gli diede affinché potessero giungere alla pubblicazione del loro primo libro; seguono una sessantina di poesie più o meno lunghe nelle quali, come detto in precedenza, non viene specificato chi dei due ne sia l’autore. L’ispirazione di questi versi nasce dalle tante letture dei giovani fratelli siciliani, ma si concentra maggiormente nelle suggestioni e nelle influenze che evidentemente ebbero, dai poeti italiani e francesi di fine Ottocento e d’inizio Novecento; in particolare si notano parecchie somiglianze con alcuni versi di Domenico Gnoli, Arturo Graf, Enrico Panzacchi, Tommaso Cannizzaro, Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio (a proposito di quest’ultimo, si legga la poesia intitolata Orto chiuso). Se per Emilio, a parte un altro libriccino scarsamente significativo, questo volume rappresenta l’unica sua opera in versi, per Francesco fu soltanto un punto di partenza per creare la sua raccolta più importante: Le Litanie (Bideri, Napoli 1911), che però fu anche l’ultima, visto che entrambi, a partire dal 1911, non pubblicarono più opere poetiche. Chiudo riportando tre liriche tratte da Limen.

 

 

 


 

 

L'ASFODELO

 

Lascia ch'esali in tenui ansie d'amore

l'asfodelo la sua vitrea bellezza,

ché se lo cogli ti si frange e muore

solo pe 'l soffio de la tua carezza.

 

Anche l'anima mia, fanciulla, hai colto,

ed ogni giorno un petalo ne hai tolto.

 

Solo ora che di cogliere hai finito,

mi getti come asfodelo appassito.

 

(da Limen, p. 30)

 

 

 

 

L'ULTIMA RIVA

 

Vengon l'uomo e la donna, ebri di vita,

a la riviera, il limite d'amore:

v'è picciol trave a un sol corpo: l'orrore

vampa ne la pupilla isbigottita.

 

Chi prima? "Or va gentil cor del mio core,

ramo de l'alber mio" - l'uom è che invita -

io son la china, tu sei la salita

tu il fonte, io il rivo; il prato tu, io lil fiore!"

 

Guarda la donna e ride nel sereno

occhio, e col piè dei precipizi a guerra

sospinge il legno, forte contro forte.

 

Stendesi intorno lugubre nel pieno

agonizzar dei secoli la terra,

ed abbracciati quei van ne la morte!

 

(da Limen, p. 49)

 

 

 

 

CH'È STATO?

 

Perché mai tremo? Ch'è stato?

Son queste notti sì chete!...

pur qualche cosa ha girato

da l'una a l'altra parete.

 

Leggevo in questo volume

placide istorie d'amore,

allor che intesi sul lume,

non so se un soffio o un rumore.

 

Dunque? Negli angoli bui

là, chi si desta che sogna?

Un po' di quello che fui

forse rivivere agogna?

 

Ma no, son pazzo! Chi muore

sta troppo bene laggiù

per ritentare l'errore...!

Via non pensiamoci più!

 

Torno a l'istoria lasciata,

son queste notti sì chete!

Pur... qualche cosa è passata

da l'una a l'altra parete.

 

(da Limen, pp. 89-90)

 

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