L'abito, soprattutto quello femminile, assume spesso una valenza fortemente simbolica in alcune poesie italiane scritte e pubblicate tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Fondamentale in tal senso è il colore del vestito o del capo d'abbigliamento che, a seconda delle tonalità, può indicare candore (bianco), mistero (nero), passione (rosso), carnalità (rosa), tristezza (grigio, lilla ed altri colori spenti) e così via. Altrettanto centrale è l'erotismo che in molti casi scaturisce da un semplice indumento indossato dalla donna e che può essere un copricapo con veletta, una sciarpa o un abito decoltè.
Poesie sull'argomento
Giovanni Camerana: "Il velo nero" in "Poesie" (1968).
Guelfo Civinini: "L'abito viola" in "L'urna" (1900).
Federico De Maria: "Guardaroba" in "Poesia", novembre 1908.
Francesco Gaeta: "Quando è piovuto su l'estate afosa" in "Soneti voluttuosi e altre poesie" (1906).
Corrado Govoni "Le sete" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "La feluca" in "Dopo il tramonto" (1893).
Fausto Maria Martini: "Elegia del primo abito decoltè" in "Tutte le poesie" (1969).
Marino Moretti: "Strascico" in "Poesie di tutti i giorni" (1911).
Solone Muti: "Vieux chiffon" in «La Settimana», giugno 1902.
Aldo Palazzeschi: "Il manto" in "I cavalli bianchi" (1905).
Aldo Palazzeschi: "Frate Rosso" in "Poemi" (1909).
Enrico Panzacchi: "Una sera a Venezia" in "Poesie" (1908).
Romolo Quaglino: "Le etere strette in vesti di broccato" in "I Modi. Anime e simboli" (1896).
Salvatore Quasimodo: "Cilicio" in "Notturni del re silenzioso" (1989).
Fausto Salvatori: "Fasciata dalla tua veste..." in "In ombra d'amore (1929).
Domenico Tumiati: "Rosea veste" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Testi
QUANDO E' PIOVUTO...
Quando è piovuto su l'estate afosa
e, a spopolar le notti di falene,
vento nevato da le alture viene,
tu t'avviluppi d'uno sciallo rosa.
Come più caldo allor, mia freddolosa,
penso e di forme più fragranti e piene
il nido de 'l tuo petto, ove sì bene
morrei, dove a svernare Amor si posa!
T'affacci a sera, e tra i dormenti fiori
(t'arde a l'orecchia il lume un diamante)
fingon frugar le inanellate mani:
dentro, odo un suon di cembalo; e di fuori,
morendo da 'l piacer d'esserti amante,
te che susurri a 'l mio balcon: «Domani...»
(Da "Sonetti voluttuosi e altre poesie" di Francesco Gaeta)
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