domenica 14 aprile 2024

La poesia di Simonetta Bardi

 Simonetta Bardi (Roma 1928 – ivi 2007) è stata, oltre che poetessa, autrice di prose, disegnatrice e pittrice. Le maggiori soddisfazioni le ebbe nel campo delle arti figurative, soprattutto nel ristretto settore del disegno monocromatico. Qui, però, vorrei parlare della sua attività poetica, che ho scoperto un po’ alla volta: dapprima leggendo il primo volumetto di versi pubblicato nel 1953, e poi quasi tutti gli altri (non molti) usciti durante la seconda metà del Novecento. Ciò che maggiormente ho notato, nella sua scrittura, è una semplicità assoluta, insieme ad una limpidità di pensiero che mi ha fatto venire in mente Antonia Pozzi: la poetessa più vicina – ritengo – al fare poetico della Bardi. Gli argomenti dei testi, per la quasi totalità, potrebbero essere definiti “intimistici”; spesso la Bardi mette in versi i suoi pensieri, la sua vita, i ricordi d’infanzia, delle persone care e degli animali – in particolare un gatto – da lei intensamente amati. In tutti i volumetti che diede alle stampe, compaiono anche suoi disegni, che hanno sempre stretta attinenza coi testi che li precedono o li seguono. Questi disegni, spesso, mostrano figure di donne che estrinsecano una sofferenza interiore (ve ne sono alcune ripiegate, con la testa bassa o in atteggiamenti malinconici); in molti casi, ben si evince che tali figure rappresentino proprio la poetessa. Raramente, la Bardi scrisse dei versi “impegnati”, ma quando lo fece (per esempio parlando di un ragazzo ebreo - probabilmente da lei conosciuto - che venne deportato in un campo di sterminio, oppure delle violenze subite dai neri d’America negli anni ’50 e ’60 del XX secolo), si dimostrò all’altezza del compito. Io lessi, quasi per caso, per la prima volta poche liriche di Simonetta Bardi, presenti in una vecchia antologia dedicata alla poesia femminile del Novecento; da quel momento in poi, non ho più visto comparire il suo nome in alcun libro di poesia italiana o di critica letteraria; ora che ho scoperto, praticamente per intero, la sua opera poetica, posso affermare con certezza che la Bardi meriterebbe una maggior considerazione. Questo post, spero, sia soltanto un primo passo per una prossima riscoperta. Dopo l’elenco delle raccolte poetiche di Simonetta Bardi, ho selezionato e trascritto quattro sue poesie che a me piacciono in particolar modo.

 

 

 

 

Opere poetiche

 

“Finestra sul fiume”, Bardi, Roma 1953.

“Il cantiere e la luna”, Il Raccoglitore, Parma 1958.

“Domani è il tempo”, Guanda, Parma 1963.

“Una parte di me”, De Luca, Roma 1968.

“Parole fra noi”, Bestetti, Roma 1972.

 

 


 

Testi

 

IN BILICO SUL CARRO

 

Vorrei andarmene,

dietro l'arrancare del carro

della calce viva

insieme a quella marionetta

traballante sul legno,

al passo col cavallo.

 

Vorrei assaggiare la pagnotta di pane

e di spinaci

il sole sulle spalle,

assopirmi, seduta in bilico sul carro,

sognare di non avere amici né casa

e sfogare nel vento

l'amaro della mia vita scontenta.

 

(da "Finestra sul fiume", Bardi Editore, Roma 1953, p. 39)

 

 

 

 

CHE M'IMPORTA?

 

Mi faranno ancora del male.

Che m'importa?

A me

il gatto, mi ama

il tetto d'una casa

l'agave e la morte.

Una canzone popolare

il vento di scirocco

vagabondo.

 

Che m'importa?

 

(da "Il cantiere e la luna", Il Raccoglitore, Parma 1958, p. 34)

 

 

 

 

L'EREMITA FINLANDESE

 

Invidio l'eremita finlandese

la sua casa di neve, la preghiera,

l'aurora boreale e la certezza d'essere santo.

Fra gli abeti, cammina con la sua sagoma d'ombra

e parla agli occhi umani del suo cane,

solo, con una fragile missione,

e ghiaccioli sui peli della barba.

S'apre a ventaglio, il sole,

la fede è una gran fiamma, nel silenzio;

chi toccherà la Luce con le dita,

se non l'eletto, il santo,

il povero eremita finlandese?

 

(da "Domani è il tempo", Guanda, Parma 1963, p. 17)

 

 

 

 

TI STO VICINA...

 

Ti sto vicina, con il mio corpo

proteso. Non mi senti, non mi conosci

non sai. Fra noi non si è aperta

una strada, non si è fatta una luce.

Due cariatidi mute, due esseri

lontani, che neppure si fanno male.

Si annullano a colpi brevi, occhiate

imprecise. Non ti so dire che sarei pronta

a morire, per un'avara carezza.

 

(da "Parole fra noi", Bestetti, Roma 1972, p. 23)

 

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