domenica 17 giugno 2012

Roma d'estate

In un volumetto della collana "Roma Tascabile", pubblicato dall'editore Newton Compton nel 1995 (da me trovato chissà dove, probabilmente una decina di anni dopo), lessi un frammento di Gabriele d'Annunzio (1863-1938), che originariamente faceva parte di un articolo pubblicato nella rivista «La Tribuna» del 20 luglio 1887 (il titolo era "L'estate di Roma"). In questo frammento si parla della ineguagliabile bellezza della capitale italiana durante la stagione estiva. Le parole del D'Annunzio mi piacquero molto, perché ripensando alle mie frequenti sortite nelle strade e nelle piazze del centro di Roma, durante le estati di circa trent'anni fa, vi ritrovai le medesime sensazioni (è pur vero che la città descritta dallo scrittore abruzzese, di un secolo e mezzo fa, era assai diversa). In quegli anni, il capoluogo laziale si svuotava quasi completamente nei mesi più caldi dell'anno: luglio e agosto. Era quindi possibile, per chi come me rimaneva in città (anche se in periferia), godere appieno la magnificenza di Roma: passeggiare per i vicoli assolati deserti; fermarsi a bere l'acqua fresca di una delle tante fontane che ci sono al centro; riposare un po' su una panchina di qualche piccola piazza e guardare con ammirazione e stupore il paesaggio circostante… Purtroppo, ho saputo che oggi Roma non è già più come era in quegli anni: ho saputo - non per esperienza diretta - che la città non si svuota più come accadeva allora, ed è quindi impossibile ritrovare quell'atmosfera tutta particolare, che si poteva vivere soltanto nei mesi estivi più caldi, passando nelle strade del centro storico di una tra le più belle città del mondo. Restano i ricordi, per chi li ha, e restano le parole veritiere di D'annunzio, che visse a Roma più di cento anni or sono. 


  Io ho sempre avuto una profonda compassione di tutta quella gente che dalla propria dignità e dalla consuetudine è costretta a star lontana da Roma nei mesi d’estate. E la mia compassione, in verità, è anche più profonda per tutta quella gente che, pur rimanendo a Roma, si vergogna di mostrarsi per le vie e passa le lunghe ore del giorno in un sopore affannoso, esalando l'intera angoscia in lamentazioni e querele, gonfiandosi di acque tinte, facendosi vento con un ventaglio giapponese o tergendosi il sudore dall'orribil fronte... Oh, povera gente, a cui sono ignoti e saranno forse ignoti per sempre gl’infiniti diletti che Roma, anche d’estate, può dare ai suoi fedeli!
  Roma è sovranamente bella e grande e dilettevole in tutte le stagioni. Ma non la Roma invernale tutta color d'oro sotto il pallido cielo di gennaio, come una città dell'Estremo Oriente; né la Roma primaverile, tutta fiorita di rose e di viole come un verziere, ridente nell'azzurro con le sue fontane serene e con le sue chiese argentee; né la Roma d'autunno, immersa nella pura dolcezza della taciturna pace che le piovono i cieli sparsi di nuvole bianche, può venire al paragone con l'ignea Roma estiva che arde solitaria e grandiosa in mezzo alla sua campagna.

(da: Gabriele D'Annunzio, "Roma fine Ottocento", a cura di Paola Sorge, Newton Compton, Roma 1995, p. 57)



Nessun commento:

Posta un commento