venerdì 8 giugno 2012

Il bambino (o fanciullo) nella poesia italiana decadente e simbolista

La simbologia del fanciullo è spesso collegata ad un concetto di purezza, d'ingenuità, di semplicità e di speranza; non mancano però altri tipi di simboli che fanno riferimento al bambino, il quale, in alcuni casi, viene identificato col mondo (in Onofri per esempio) oppure con "un mondo" ovvero con la realtà tutta personale e straordinaria che riesce a percepire soltanto il fanciullo, sorta di essere dai poteri sensoriali enormemente sviluppati e dotato di un'immaginazione fantastica che gli permette di cogliere e immagazzinare elementi sconosciuti dell'universo, inaccessibili agli adulti. Se però si parla di poesia crepuscolare, il bambino o, meglio, l'infanzia diviene il periodo maggiormente rimpianto del passato, perché privo di tristezza e colmo di spensieratezza.
 

 
Poesie sull'argomento

Paolo Buzzi: "I bimbi" in "Aeroplani" (1909).
Carlo Chiaves: "Inquietudine" in "Sogno e ironia" (1910).
Guelfo Civinini: "Il poeta fanciullo" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Sergio Corazzini: "Il fanciullo" in "Le aureole" (1905).
Federico De Maria: "Il bimbo" in "La Leggenda della Vita" (1909).
Willy Dias: "La bambola e la bimba" in «Poesia», novembre 1908.
Giulio Gianelli: "La fiaba" in «Riviera Ligure», luglio 1911.
Enzo Marcellusi: "I fanciulli" in "Il giardino dei supplizi" (1909).
Nicola Marchese: "Infanzia" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone: "Un fanciullo" in "Liriche" (1904).
Giovanni Pascoli: "Il fanciullo" in "Pensieri e dicorsi" (1907).
Fausto Salvatori, "Il bel putto che stringe fra le bracia" in "In ombra d'amore" (1929).
G. A. Sanguineti: "Vertigine" in "La cicuta" (1911).
Francesco Scaglione: "I fanciulli vecchi" in "Le Litanie" (1911).
Emanuele Sella: "Il Sogno" in "Rudimentum" (1911).
Domenico Tumiati: "L'amorino" e "La Bambina delle spine" in "Musica antica per chitarra" (1897).
 


Testi
 
IL FANCIULLO
di Giovanni Pascoli

Il nome? Il nome? L'anima io semino,
ciò ch'è di bianco dentro il nocciolo,
    che in terra si perde,
        ma nasce il bell'albero verde.

Non lauro e bronzo voglio; ma vivere;
e vita è il sangue, fiume che fluttua
    senz'altro rumore,
        che un battito, appena, del cuore.


Nei cuori, io voglio, resti un mio palpito,
senz'altro vanto che qual d'un brivido
    che trema su l'acque,
        fa il sasso che in fondo vi giacque.

Nell'aria, io voglio, resti un mio gemito:
se l'assiuolo geme voglio essere
    tra i salci del rio
        anch'io, nelle tenebre, anch'io.


Se le campane piangono piangono,
io nelle opache sere invisibile
    voglio essere accanto
        di quella che piange a quel pianto.


Io poco voglio; pur, molto: accendere
io su le tombe mute la lampada
    che irraggi e conforti
        la veglia dei poveri morti.


Io tutto voglio; pur, nulla: aggiungere
un punto ai mondi della Via Lattea,
    nel cielo infinito;
        dar nuova dolcezza al vagito.


Voglio la vita mia lasciar; pendula
ad ogni stelo, sopra ogni petalo,
    come una rugiada
        ch'esali dal sonno, e ricada


nella nostr'alba breve. Con l'iridi
di mille stille sue nel sole unico
    s'annulla e sublima...
        lasciando più vita di prima.


(Da "Pensieri e discorsi")

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