Davanti a sé vedeva il cielo limpidamente azzurro, sotto di sé il lago, intorno l'orizzonte luminoso, senza principio né fine. Ed egli contemplava tutto ciò con l'anima torturata. Ora si ricordò come tendeva le braccia verso quell'azzurro risplendente e lontano e piangeva. Si sentiva estraneo a quella magnificenza, e ne soffriva. Che cos'era quel banchetto, quella continua festa immensa, che durava eternamente e alla quale si sentiva attratto da gran tempo, fin dalla prima infanzia, senza mai potervi prendere parte in alcun modo? Ogni mattina spunta lo stesso sole luminoso; ogni mattina, sulla cascata, s'incurva l'arcobaleno; ogni sera, laggiù, all'estremo limite del firmamento, si accende di una fiamma purpurea la cima del monte più alto, coperta di neve; ogni «piccolo moscerino che continua a ronzare intorno a lui in un raggio di sole partecipa a quel coro festoso, vi ha il proprio posto, lo ama ed è felice», ogni fuscello cresce ed ha la sua parte di felicità! Ogni essere, ogni cosa ha il suo sentiero ben tracciato, che percorre tra i canti; egli solo non sa nulla, non capisce nulla, è estraneo agli uomini, estraneo ai suoni, a tutto, è un rinnegato della natura.
(Da "L'Idiota" di Fjodor Dostojevskij, Mursia, Milano 1962, pp. 543-544)
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