domenica 13 aprile 2014

Da "Francesco d'Assisi" di Pierre Leprohon

Nelle domeniche della quaresima 1212 - alcuni dicono 1211 - Francesco predicò nella chiesa di San Giorgio. Chiara andava ad ascoltarlo e ognuna di quelle omelie era come un invito, un appello che inteneriva l'anima della fanciulla, in mezzo alla folla, più di qualsiasi canzone d'amore. E ogni domenica l'avvicinava sempre di più al santo giorno in cui i due innamorati di Dio avrebbero unito la loro fede per l'eternità. Nella notte della domenica delle Palme si dovevano celebrare le nozze mistiche della fanciulla di Cristo.

(Da "Francesco d'Assisi" di Pierre Leprohon, Lampi di Stampa, Milano 2001)

venerdì 11 aprile 2014

Poeti dimenticati: Pier Ludovico Occhini

Pier Ludovico Occhini nacque ad Arezzo nel 1874 e vi morì nel 1948.  La sua famiglia era di origini nobili; dopo la laurea in legge, conseguita a Siena, si dedicò alla carriera politica seguendo così le orme del padre (già consigliere comunale e provinciale). Ricoprì la carica di senatore e di podestà, dimostrando di avere idee fortemente nazionaliste.
Si interessò alla poesia in giovane età, pubblicando due volumi di versi. Nel secondo: Biscuits de Sèvres (1897), che è decisamente il più notevole, prevalgono, come disse Glauco Viazzi: "uno scriver tutto di pittura" e "una vagheggiata settecentesca galanteria".



Opere poetiche

"Ghirlanda minima", Tip. Landi, Firenze 1896.
"Biscuits de Sèvres", Paggi, Firenze 1897.




Presenze in antologie

"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo primo, pp. 89-94)




Testi


L'ISOLA FELICE

Verdi dame d'incantevole viso
con la bocca di fragola, ma pur
molli e tristi nel tenue sorriso,
in smorti broccatelli Pompadour,

in danza, là ne l'isola lontana,
come dolci si piegano sul cuor
di cavalieri in seta melagrana
su tappeto di petali di fior.

E autunno profuma dolcemente
che que' fiori ne l'isola falciò.
Canta e muore una gavotta dolente
la gavotta di Luigi Rameau.

Quella è l'isola ove ne la danza
sono colte le rose che amore ha.
Languono i cavalieri a la fragranza
e, le verdi dame, di voluttà.

(Da "Biscuits de Sèvres", 1897)

mercoledì 9 aprile 2014

La donna nella poesia italiana simbolista e decadente

La descrizione di figure femminili è uno degli elementi più presenti nella poesia simbolista italiana. Dai versi di Gabriele D'Annunzio a quelli dei poeti crepuscolari e oltre, si susseguono tutta una serie di donne spesso misteriose, a volte sofferenti e non di rado affascinanti, le quali rappresentano più di un simbolo, più di un concetto. Si potrebbero menzionare, tra le idee che scaturiscono dalla lettura di codesti versi, quelle di mistero, di vita e nello stesso tempo di morte, di amore, di bellezza, di dolore, di tristezza, di eternità, di lussuria, di ascetismo, di maternità, di potere, di crudeltà, di forza ecc. Rarissime volte i poeti simbolisti italiani parlano delle donne in senso negativo; quando accade però, spesso la figura femminile è raccontata in modo orrendo: con dettagli che fanno pensare ad una profonda misoginia; esse, in questi precisi versi, divengono la rappresentazione del male assoluto.


Poesie sull'argomento 

Mario Adobati: "La gitana" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "La vedova" in "La città di Vita" (1896).
Diego Angeli: "La donna dell'orto" e "Rosalba" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Libero Altomare: "Per una pallida" in "Procellarie" (1910).
Paolo Buzzi: "La donna dalla corazza d'acciaio" in "I Poeti futuristi" (1912).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Le Madri" e "Elodiana" in "Le consolatrici" (1905).
Edmondo Corradi: " Le amanti" in «Domenica Letteraria», novembre 1897.
Italo Dalmatico: "La immagine di lei che mi sorprese" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio: "L'alunna" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Gabriele D'Annunzio: "Climene" in "Poema paradisiaco" (1893).
Guido Da Verona: "Ballata delle fanciulle povere" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).
Giuliano Donati Pétteni: "La Donna dei Sogni" in "Intimità" (1926).
Luisa Giaconi: "L'afflitta", "L'uccisa" e "Dianora" in "Tebaide" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "La Pensosa" in "Il convegno dei cipressi" (1894).
Corrado Govoni "Sorella", "Le spose della morte" e "La straniera" in "Gli aborti" (1907).
Guido Gozzano: "La preraffaellita" in «Il venerdì della contessa», 1903.
Guido Gozzano: "Le non godute" in «La Riviera Ligure», aprile 1911.
Gian Pietro Lucini: "Le Dame" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Nicola Marchese: "Tarda dea" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone: "Serena" in "Cesellature" (1899).
Mario Morasso: "L'eterna donna" in "Sinfonie luminose" (1893).
Angiolo Orvieto: "La donna delle paludi" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Aldo Palazzeschi: "Comare Coletta" in "Lanterna" (1907).
Aldo Palazzeschi: "La matrigna" in "Poemi" (1909).
Giuseppe Piazza: "Le benevole" e "Le insonni" in "Le eumenidi" (1903).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Le rassegnate" e "Nel viale" in "Il Libro dei Frammenti" (1895).
Federigo Tozzi: "L'imperatrice" in "La zampogna verde" (1911).
Domenico Tumiati: "La dama sola" e "La Dama del Veltro" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Carlo Vallini: "La donna del parco" in "La rinunzia" (1907).



Testi

LA DONNA DEL PARCO
di Carlo Vallini

I.

Tu solitaria ch’entro me t’effigi
quando nel sogno l’anima sconfina,
cupa celando un’ombra sibillina
nella profondità delli occhi grigi,

tu che nel muto parco prediligi
la serena tristezza vespertina
se tra i cipressi il raggio che declina
folgori sopra gli ultimi fastigi,

anima amante ed anima sorella,
abisso ignoto ove l’Amore cinge
brividendo la Morte che l’invita,

non tu rendi l’imagine di quella
che presiede nell’atto d’una sfinge
alle fonti del Sogno e della Vita?


II.

Sola nel parco, a vespero, una fresca
fontana rompe in getti di coralli
e n’emergono i fauni ed i cavalli
snelli, in atti di grazia pittoresca.

Ma sembra che piú languida s’accresca
la tristezza del parco oltre i cristalli
iridescenti, a toni rossi e gialli
della tua vasta casa secentesca.

Vuota è la casa: oscuri i secolari
quadri, come i pensieri che raccoglie
immobilmente la tua fronte china,

mentre guardi con occhi solitari
come nel parco muoiano le foglie
e crolli nel tuo cuore una rovina.


III.

Non piú la fuga delle stanze vuote
gravi di tante e tante cose morte
turbi il rombo feral del pianoforte
che i silenzi dei secoli riscote.

Il sogno è sacro: e qui si ripercote
tra la mollezza delle stoffe smorte
forse troppo improvviso e troppo forte
questo sonoro turbine di note.

Voglio un motivo lento, ove predòmini
la nota alta del pianto, ma con una
potenza che mi vincoli e m’assorba;

come quando, di notte, lungi agli uomini,
un infelice va, sotto la luna,
addolcendo le note alla tiorba.


IV.

E tu, simile all’erma che corrose
il tempo, senza fine ti prepari
a riveder tra i bussi secolari
avvicendarsi i colchici e le rose.

Infinito ritorno delle cose
nel tempo! Solo, in fondo alli occhi chiari
tuoi, come in grembo a laghi solitari,
il tuo mistico sogno si compose.

Ben ti conobbi allora ch’io bambino
di tutto ignaro, presentivo il lento
svolgersi della favola infinita,

quando, fiorendo a maggio il mio giardino
triste, con indicibile sgomento
m’atterrivo a quell’impeto di vita!


(Da "La rinunzia", 1907)

domenica 6 aprile 2014

La lettura (tre frammenti)

1

Da quando ebbi conquistato rigo per rigo il mistero del sillabario - [massicce lettere nere, minuscole ma in grassetto; oneste incisioni in legno; lontane e freddolose serate d'inverno, sotto al lume a petrolio, colla palla tutta dipinta di fiorellini arancioni ed azzurri, accanto alla mamma giovane e sola che cuciva coi capelli neri chinati sotto a' riflessi] - io non ebbi piacere più grande né consolazione più sicura del leggere.

(Da "Un uomo finito" di Giovanni Papini)




2

Avevo letto le ‘Mille e una notte’ e tanti libri là, di vecchie storie, di vecchi viaggi, a sette e otto e nove anni, e la Sicilia era anche questo là, ‘Mille e una notte’ e vecchi paesi, alberi, case, gente di vecchissimi tempi attraverso i libri. Poi avevo dimenticato, nella mia vita d’uomo, ma lo avevo in me, e potevo ricordare, ritrovare. Beato chi ha da ritrovare!
È una fortuna aver letto quando si era ragazzi. E doppia fortuna aver letto libri di vecchi tempi e vecchi paesi, libri di storia, libri di viaggi e le ‘Mille e una notte’ in special modo. Uno può ricordare anche quello che ha letto come se lo avesse in qualche modo vissuto, e uno ha la storia degli uomini e tutto il mondo in sé, con la propria infanzia, Persia a sette anni, Australia a otto, Canadà a nove, Messico a dieci, e gli ebrei della Bibbia con la torre di Babilonia e Davide nell’inverno dei sei anni, califfi e sultane in un febbraio o un settembre, d’estate le grandi guerre con Gustavo Adolfo eccetera per la Sicilia-Europa, in una Terranova, Una Siracusa, mentre ogni notte il treno porta via soldati per una grande guerra che è tutte le guerre.
Io ebbi questa fortuna di leggere molto nella mia infanzia, e a Terranova la Sicilia significava anche Bagdad e Palazzo delle Lagrime e giardino di palmizi per me. Vi lessi le ‘Mille e una notte' e altro, in una casa ch’era piena di sofà e ragazze d’un qualche amico di mio padre, e ne ricordo la nudità della donna, come di sultane e odalische, concreta, certa, cuore e ragione del mondo.

(Da "Conversazione in Sicilia" di Elio Vittorini)





3

C'è nella vita di ciascuno di noi un giorno in cui tutti i libri non sono bastati più, in cui abbiamo guardato agli scaffali della nostra biblioteca con una specie di rattenuta ribellione e d'odio segreto. In cui ci siamo accorti ch'erano stati loro, gli amici pietosi e ingannatori, a distrarre e ad illudere fino a quel giorno la nostra fame. Carte aride come foglie morte, pensieri corrosi e muti, fallaci invenzioni di poeti, dalle pagine inerti si levava un tanfo opprimente di chiuso, un senso di rovina e di desolazione senza riparo. Ci facemmo consapevoli che tutti i libri sono stati scritti, in un modo o nell'altro, per sostituire la vita; che tutti sono simili a specchi che abbiano serbato per qualche misteriosa virtù l'immagine d'una realtà ormai per sempre defunta e introvabile. E ci protendemmo disperatamente fuori, in cerca d'aria...

(Da "Prefazione a un catalogo di libri antichi e rari" di Sergio Solmi)

giovedì 3 aprile 2014

Da "Racconti di Pietroburgo" di Nikolaj Gogol'

Mio padre era un uomo notevole sotto molti aspetti. Era un artista come ce ne sono pochi, uno di quei fenomeni che solo la Rus' partorisce dal suo grembo inesauribile, un artista autodidatta che da solo, senza maestri e senza scuole, aveva trovato nel suo animo le regole e le leggi, spinto soltanto da un'ansia di perfezionamento, e aveva seguito, per motivi forse ignoti a lui stesso, solo la strada che l'anima gli indicava; uno di quei fenomeni spontanei che spesso i contemporanei bollano con l'offensivo epiteto di "ignorante" e che non si raffreddano per le critiche e gli insuccessi, ma anzi ne traggono nuovo zelo e nuove energie, mentre in cuor loro sono già molto distanti da quelle opere per le quali hanno ricevuto il titolo di ignoranti. Il suo sicuro istinto gli faceva intuire la presenza dell'idea in ogni oggetto; comprese da solo il vero significato del termine "pittura storica"; comprese perché una semplice testolina, un semplice ritratto di Raffaello, Leonardo da Vinci, Tiziano o Correggio si può chiamare pittura storica e perché un enorme quadro di soggetto storico sarà comunque un tableau de genre, nonostante tutte le pretese dell'autore. Tanto il sentimento interiore, quanto le sue personali convinzioni rivolsero il suo pennello ai soggetti religiosi supremo e ultimo giardino del sublime. Non c'era in lui l'ambizione o la suscettibilità così connaturata a molti artisti. Era un carattere fermo, un uomo onesto e retto, perfino rozzo, rivestito all'esterno di una scorza piuttosto ruvida, non privo di una certa fierezza d'animo, che degli uomini dava giudizi indulgenti e aspri insieme. 

(Da "Racconti di Pietroburgo" di Nikolaj Gogol', Rizzoli, Milano 1995)

martedì 25 marzo 2014

Poeti dimenticati: Aleardo Kutufà

Filippo Argenti, che in arte acquisì lo pseudonimo di Aleardo Kutufà d'Atene (la sua famiglia aveva origini ateniesi), nacque a Livorno nel 1888 e morì, presumibilmente nella stessa città toscana, nel 1950. Artista eclettico, nella sua vita praticò molte discipline, tra le quali la musica, la pittura e la poesia. Pubblicò pochi versi, la maggioranza dei quali si trovano in Elegia delle città morte (1928), in cui dimostrò la sua propensione alla poetica crepuscolare, anche se molto in ritardo rispetto all'età d'oro della famosa scuola poetica italiana. I temi e le atmosfere di queste composizioni molto ricalcano quelli di Sergio Corazzini: domeniche squallide, giardini abbandonati, vie deserte, musiche malinconiche, fanali, beghine, suore, malati ecc.



Opere poetiche

"Il Castello della Voluttà", Roma 1919.
"Elegia delle città morte", Tip. Benvenuti e Cavaciocchi, Livorno 1928.




Testi

LA VOCE DELLI ORGANI

Mi piace talvolta ascoltare con poesia,
con malinconia,
guardando per le ciglia socchiuse
la pelle rosea o bruna
di una bambina devota
che non conosco;
mi piace talvolta nelle chiese deserte,
ascoltare con poesia,
con malinconia,
le lunghe lente note
di musiche ignote
che organisti solinghi
suonan su le tastiere
di vecchissimi organi
perseguendo i loro sogni
pieni di nostalgia
innanzi alli altari spenti,
mentre nell'aria è l'odore sottile degl'incensi
un po' svaniti, e fuori,
su le dolci cose di primavera,
fuori, su i fiori dei prati e dei giardini
conclusi,
fuori, su i calici dei gelsomini schiusi,
su li alberi della magnolia
carichi di profumi bianchi,
su li stanchi sogni dei poeti errabondi,
su le mani un po' pallide
delle vogliose
adolescenti,
su le chiare vesti succinte delle amanti
frettolose,
su tutte le cose
dolci che la primavera accarezza
con le sue dita ignave
scende una pioggia soave
come il pianto di un'ebrezza
sconosciuta, di un'ebrezza che sia
più acuta di un dolore
nascosto
e più sottile della malinconia
di un morto amore.
Mi piace talvolta sognare con poesia,
con malinconia,
guardando per le ciglia socchiuse
la pelle rosea o bruna
di una bambina devota
mentre un vecchio organo piange
in una chiesa remota,
e nell'aria è un odore
d'aromi
così tenue che a pena si sente,
e fuori piove dolcemente
sul sacrato ch'è verde d'umidore;
mi piace talvolta, per lunghe ore,
nelle chiese deserte,
sognare con poesia,
con malinconia
i grandi nerissimi occhi
della mia bimba perduta,
quei neri occhi d'Oriente
che per la più acuta
mia carezza
languivano d'ebrezza
appassionatamente,
come per morire.

(da "Il Castello della Voluttà")




SILENZIO DELLE MESTE DOMENICHE

Silenzio, dolce ristoro
delle meste domeniche;
tristezza
inesplicabile, impressione
indefinibile
come della fragranza
di una ghirlanda
funebre
per un'educanda
morta
prima d'essere suora;
sensazione
mesta e angelica
d'avere in una stanza
della propria dimora
una piccola sorella
- ah, come bella!... -
malata
senza speranza,
che nella mattinata
s'è comunicata.


(da "Elegia delle città morte")






lunedì 24 marzo 2014

Antologie: "Adunata della poesia"



Tra le antologie dedicate alla lirica italiana uscite durante il ventennio fascista merita qualche parola anche "Adunata della Poesia": opera curata da Arnolfo Santelli e uscita in due edizioni: la 1° da Innocenti e Pieri nel 1928, la 2° da Editoriale Italiana Contemporanea nel 1929. Il titolo, perfettamente adeguato ai tempi, evidenzia in modo un po' ridicolo la genesi del libro, sorto da un appello del curatore (che si definisce adunatore) rivolto a tutti gli scrittori e soprattutto ai poeti d'Italia, affinché spedissero presso la sua redazione i loro scritti, per far sì che, dopo accurata selezione, lo stesso potesse costruire, mattone su mattone, un'opera in grado di porre in risalto i migliori talenti del periodo. Insomma il generale Santelli chiama a forte voce tutti i suoi "soldati-poeti" e sceglie i più valenti per la sua "ardita missione". Nella prefazione all'antologia, ecco, tra le altre cose, quello che scrive (con molta retorica) Santelli:

Lettore!
Quest' «Adunata della Poesia» fatta col solo intento d'una maggiore notorietà dei valori letterari nazionali nuovi e recenti, non vuol dimenticare quelli ignoti o comunque trattenuti per diverse e disparate ragioni, fra le quali, non ultime, la modestia e l'isolamento - e perciò appunto li proietta in primo piano.
Se ne sia valsa la pena è giudizio che darà la storia: il nostro è compito di propulsione e di valorizzazione.

Chiudo riportando i nomi dei poeti (escludendo perciò i prosatori) presenti nell'antologia.


Valerio Abbondio, Garibaldo Alessandrini, Alga Marina, Gino Altoviti, Antonino Anile, Giulio Aromolo, Carlo Baccari, Alfredo Baccelli, Sandro Baganzani, Leopoldo Baroni, Sandra Basilea, Michele Bianco, Federico Binaghi, Giovanni Bizzarri, Bice Bolognesi, Enrico Braccesi, Giuseppe Brancolini, Teodoro Bricos, Enrico Aldo Brizzi, Paolo Buzzi, Pasquale Cafaro, Alessandro Caia, Carmine Calandra, Diego Calcagno, Nella Doria Cambon, Francesco Cangiullo, Giovanni Cardella, Gino Catarzi, Alberto Cavaliere, Pasquale Cavallaro, Francesco Cazzamini Mussi, Aurelio Ceriello, G. Rodolfo Ceriello, G. Alfredo Cesareo, Raffaele Ciampini, Edoardo Cimbali, Delfino Cinelli, Giuseppe Cipparone, Castrense Civello, Ferruccio Coen, Gustavo Brigante Colonna, Carmelo Cordaro, Anton Florio Crimi, Luigi Crociato, Antonio Cuccaro, Gino Cucchetti, Leo D'Alba, Enrico D'Amia, Aleardo D'Atene Kutufà, Torquato Dazzi, Augusto De Benedetti, Angiolo Della Massea, Gino Del Guasta, G. De Logu Solinas, Vincenzo De Simone, Francesco Di Chiara, Tullio Didero, Olinto Dini, Eriberto D'Ippolito, Piero Domenichelli, Tina Doria, Giuseppe Fabris, Lina Ariana Fanno, Agostino Fattori, Lionello Fiumi, Fra' Giocondo, Enrico Fusco, Augusto Garsia, Mario Gastaldi, Giuseppe Cartella Gelardi, Vincenzo Gerace, Enrico Gerelli, Ugo Ghiron, Bruno Geffrè, Giacomo Giardina, Emilio Girardini, Domenico Giuliotti, Giovanni Golinelli, Giulio Gozzi, Ester Guglielmi, Giovanni Guzzardi, Edmondo Lapi, Orazio Lapini, Gerardo Lentini, Celso Augusto Lenzi, Argiro Licudis, Giuseppe Lipparini, Mansueto Lombardo-Lotti, Momo Longarelli, Giuseppe Longo, Salvatore Lo Presti, Marino Marin, Guido Marta, Corrado Martinetti, Pietro Mastri, Armando Mazza, Massimo Mazzanti, Riccardo Melani, Rosolino Melotti, Arturo Moggia, Tullio Murri, Hrand Nazariant, Ada Negri, Giuseppe Nicolosi Scandurra, Angiolo Silvio Novaro, Giovanni Orsini, Aldo Palatini, Vittorio Parisi, Francesco Antonio Perri, Donato Persichetti, Fiorenza Perticucci De Giudici, Edvige Pesci Gorini, Leon Maria Pessina, Renzo Pezzani, Lya Piazza, Pio Piet, Ottavio Profeta, Daniele Prosperi, Aristide Puglia, Margherita Marchis Romano, Pietro Romanelli, Alfonso Ricolfi, Raimondo Raimondi, Giovanni Maria Salvarezza, Giovanni Campus Santinelli, Gaetano Scarlata, Vincenzo Schivo, Saverio Sechini, Niccolò Sigillino, Maria Signorile, Francesco Sofia Alessio, Giovanni Spampinato, Massimo Spiritini, Gino Striuli, Arturo Tafuri, Pietro Conti Tarantino, Giovanni Tassoni, Giovanni Titta Rosa, Pia Tosca, Nicola Valenza, Giuseppe Villaroel, Nando Vitali, Amilcare Zumino.