Filippo Argenti,
che in arte acquisì lo pseudonimo di Aleardo Kutufà d'Atene (la sua famiglia
aveva origini ateniesi), nacque a Livorno nel 1888 e morì, presumibilmente nella stessa città toscana, nel 1950. Artista eclettico, nella sua vita praticò
molte discipline, tra le quali la musica, la pittura e la poesia. Pubblicò pochi
versi, la maggioranza dei quali si trovano in Elegia delle città morte (1928), in cui dimostrò la sua propensione
alla poetica crepuscolare, anche se molto in ritardo rispetto all'età d'oro
della famosa scuola poetica italiana. I temi e le atmosfere di queste
composizioni molto ricalcano quelli di Sergio Corazzini: domeniche squallide,
giardini abbandonati, vie deserte, musiche malinconiche, fanali, beghine,
suore, malati ecc.
Opere poetiche
"Il Castello della Voluttà", Roma 1919.
"Elegia delle città morte", Tip. Benvenuti e Cavaciocchi, Livorno 1928.
Testi
LA VOCE DELLI
ORGANI
Mi piace talvolta
ascoltare con poesia,
con malinconia,
guardando per le
ciglia socchiuse
la pelle rosea o
bruna
di una bambina
devota
che non conosco;
mi piace talvolta
nelle chiese deserte,
ascoltare con
poesia,
con malinconia,
le lunghe lente
note
di musiche ignote
che organisti
solinghi
suonan su le
tastiere
di vecchissimi
organi
perseguendo i
loro sogni
pieni di
nostalgia
innanzi alli
altari spenti,
mentre nell'aria
è l'odore sottile degl'incensi
un po' svaniti, e
fuori,
su le dolci cose
di primavera,
fuori, su i fiori
dei prati e dei giardini
conclusi,
fuori, su i
calici dei gelsomini schiusi,
su li alberi
della magnolia
carichi di
profumi bianchi,
su li stanchi
sogni dei poeti errabondi,
su le mani un po'
pallide
delle vogliose
adolescenti,
su le chiare
vesti succinte delle amanti
frettolose,
su tutte le cose
dolci che la
primavera accarezza
con le sue dita
ignave
scende una
pioggia soave
come il pianto di
un'ebrezza
sconosciuta, di
un'ebrezza che sia
più acuta di un
dolore
nascosto
e più sottile
della malinconia
di un morto
amore.
Mi piace talvolta
sognare con poesia,
con malinconia,
guardando per le
ciglia socchiuse
la pelle rosea o
bruna
di una bambina
devota
mentre un vecchio
organo piange
in una chiesa remota,
e nell'aria è un
odore
d'aromi
così tenue che a
pena si sente,
e fuori piove
dolcemente
sul sacrato ch'è
verde d'umidore;
mi piace
talvolta, per lunghe ore,
nelle chiese
deserte,
sognare con
poesia,
con malinconia
i grandi
nerissimi occhi
della mia bimba
perduta,
quei neri occhi
d'Oriente
che per la più
acuta
mia carezza
languivano
d'ebrezza
appassionatamente,
come per morire.
(da "Il
Castello della Voluttà")
SILENZIO DELLE
MESTE DOMENICHE
Silenzio, dolce
ristoro
delle meste
domeniche;
tristezza
inesplicabile,
impressione
indefinibile
come della
fragranza
di una ghirlanda
funebre
per un'educanda
morta
prima d'essere
suora;
sensazione
mesta e angelica
d'avere in una
stanza
della propria
dimora
una piccola
sorella
- ah, come
bella!... -
malata
senza speranza,
che nella
mattinata
s'è comunicata.
(da "Elegia
delle città morte")
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