giovedì 3 aprile 2014

Da "Racconti di Pietroburgo" di Nikolaj Gogol'

Mio padre era un uomo notevole sotto molti aspetti. Era un artista come ce ne sono pochi, uno di quei fenomeni che solo la Rus' partorisce dal suo grembo inesauribile, un artista autodidatta che da solo, senza maestri e senza scuole, aveva trovato nel suo animo le regole e le leggi, spinto soltanto da un'ansia di perfezionamento, e aveva seguito, per motivi forse ignoti a lui stesso, solo la strada che l'anima gli indicava; uno di quei fenomeni spontanei che spesso i contemporanei bollano con l'offensivo epiteto di "ignorante" e che non si raffreddano per le critiche e gli insuccessi, ma anzi ne traggono nuovo zelo e nuove energie, mentre in cuor loro sono già molto distanti da quelle opere per le quali hanno ricevuto il titolo di ignoranti. Il suo sicuro istinto gli faceva intuire la presenza dell'idea in ogni oggetto; comprese da solo il vero significato del termine "pittura storica"; comprese perché una semplice testolina, un semplice ritratto di Raffaello, Leonardo da Vinci, Tiziano o Correggio si può chiamare pittura storica e perché un enorme quadro di soggetto storico sarà comunque un tableau de genre, nonostante tutte le pretese dell'autore. Tanto il sentimento interiore, quanto le sue personali convinzioni rivolsero il suo pennello ai soggetti religiosi supremo e ultimo giardino del sublime. Non c'era in lui l'ambizione o la suscettibilità così connaturata a molti artisti. Era un carattere fermo, un uomo onesto e retto, perfino rozzo, rivestito all'esterno di una scorza piuttosto ruvida, non privo di una certa fierezza d'animo, che degli uomini dava giudizi indulgenti e aspri insieme. 

(Da "Racconti di Pietroburgo" di Nikolaj Gogol', Rizzoli, Milano 1995)

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