La descrizione di
figure femminili è uno degli elementi più presenti nella poesia simbolista
italiana. Dai versi di Gabriele D'Annunzio a quelli dei poeti crepuscolari e
oltre, si susseguono tutta una serie di donne spesso misteriose, a volte
sofferenti e non di rado affascinanti, le quali rappresentano più di un
simbolo, più di un concetto. Si potrebbero menzionare, tra le idee che
scaturiscono dalla lettura di codesti versi, quelle di mistero, di vita e nello
stesso tempo di morte, di amore, di bellezza, di dolore, di tristezza, di
eternità, di lussuria, di ascetismo, di maternità, di potere, di crudeltà, di
forza ecc. Rarissime volte i poeti simbolisti italiani parlano delle donne in
senso negativo; quando accade però, spesso la figura femminile è raccontata in
modo orrendo: con dettagli che fanno pensare ad una profonda misoginia; esse,
in questi precisi versi, divengono la rappresentazione del male assoluto.
Poesie sull'argomento
Mario Adobati:
"La gitana" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli:
"La vedova" in "La città di Vita" (1896).
Diego Angeli:
"La donna dell'orto" e "Rosalba" in "L'Oratorio
d'Amore. 1893-1903" (1904).
Libero Altomare:
"Per una pallida" in "Procellarie" (1910).
Paolo Buzzi: "La
donna dalla corazza d'acciaio" in "I Poeti futuristi" (1912).
Giovanni Alfredo
Cesareo: "Le Madri" e "Elodiana" in "Le
consolatrici" (1905).
Edmondo Corradi:
" Le amanti" in «Domenica Letteraria», novembre 1897.
Italo Dalmatico:
"La immagine di lei che mi sorprese" in "Juvenilia"
(1903).
Gabriele D'Annunzio:
"L'alunna" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Gabriele D'Annunzio:
"Climene" in "Poema paradisiaco" (1893).
Guido Da Verona:
"Ballata delle fanciulle povere" in "Il libro del mio sogno
errante" (1919).
Giuliano Donati
Pétteni: "La Donna dei Sogni" in "Intimità" (1926).
Luisa Giaconi:
"L'afflitta", "L'uccisa" e "Dianora" in
"Tebaide" (1912).
Cosimo Giorgieri
Contri: "La Pensosa" in "Il convegno dei cipressi" (1894).
Corrado Govoni
"Sorella", "Le spose della morte" e "La
straniera" in "Gli aborti" (1907).
Guido Gozzano:
"La preraffaellita" in «Il venerdì della contessa», 1903.
Guido Gozzano:
"Le non godute" in «La Riviera Ligure», aprile 1911.
Gian Pietro Lucini:
"Le Dame" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Nicola Marchese:
"Tarda dea" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone:
"Serena" in "Cesellature" (1899).
Mario Morasso:
"L'eterna donna" in "Sinfonie luminose" (1893).
Angiolo Orvieto:
"La donna delle paludi" in "La Sposa Mistica. Il Velo di
Maya" (1898).
Aldo Palazzeschi:
"Comare Coletta" in "Lanterna" (1907).
Aldo Palazzeschi:
"La matrigna" in "Poemi" (1909).
Giuseppe Piazza:
"Le benevole" e "Le insonni" in "Le eumenidi"
(1903).
Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi: "Le rassegnate" e "Nel viale" in
"Il Libro dei Frammenti" (1895).
Federigo Tozzi:
"L'imperatrice" in "La zampogna verde" (1911).
Domenico Tumiati:
"La dama sola" e "La Dama del Veltro" in "Musica
antica per chitarra" (1897).
Carlo Vallini:
"La donna del parco" in "La rinunzia" (1907).
Testi
LA DONNA DEL PARCO
di Carlo Vallini
I.
Tu solitaria ch’entro
me t’effigi
quando nel sogno
l’anima sconfina,
cupa celando un’ombra
sibillina
nella profondità
delli occhi grigi,
tu che nel muto parco
prediligi
la serena tristezza
vespertina
se tra i cipressi il
raggio che declina
folgori sopra gli
ultimi fastigi,
anima amante ed anima
sorella,
abisso ignoto ove
l’Amore cinge
brividendo la Morte
che l’invita,
non tu rendi
l’imagine di quella
che presiede
nell’atto d’una sfinge
alle fonti del Sogno
e della Vita?
II.
Sola nel parco, a
vespero, una fresca
fontana rompe in
getti di coralli
e n’emergono i fauni
ed i cavalli
snelli, in atti di
grazia pittoresca.
Ma sembra che piú
languida s’accresca
la tristezza del
parco oltre i cristalli
iridescenti, a toni
rossi e gialli
della tua vasta casa
secentesca.
Vuota è la casa:
oscuri i secolari
quadri, come i
pensieri che raccoglie
immobilmente la tua
fronte china,
mentre guardi con
occhi solitari
come nel parco
muoiano le foglie
e crolli nel tuo
cuore una rovina.
III.
Non piú la fuga delle
stanze vuote
gravi di tante e
tante cose morte
turbi il rombo feral
del pianoforte
che i silenzi dei
secoli riscote.
Il sogno è sacro: e
qui si ripercote
tra la mollezza delle
stoffe smorte
forse troppo
improvviso e troppo forte
questo sonoro turbine
di note.
Voglio un motivo
lento, ove predòmini
la nota alta del
pianto, ma con una
potenza che mi
vincoli e m’assorba;
come quando, di
notte, lungi agli uomini,
un infelice va, sotto
la luna,
addolcendo le note
alla tiorba.
IV.
E tu, simile all’erma
che corrose
il tempo, senza fine
ti prepari
a riveder tra i bussi
secolari
avvicendarsi i
colchici e le rose.
Infinito ritorno
delle cose
nel tempo! Solo, in
fondo alli occhi chiari
tuoi, come in grembo
a laghi solitari,
il tuo mistico sogno
si compose.
Ben ti conobbi allora
ch’io bambino
di tutto ignaro,
presentivo il lento
svolgersi della
favola infinita,
quando, fiorendo a
maggio il mio giardino
triste, con
indicibile sgomento
m’atterrivo a
quell’impeto di vita!
(Da "La
rinunzia", 1907)
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