martedì 24 dicembre 2013

Da "Vigilia" di Piero Chiara

24 dicembre 1950

È la vigilia di Natale. Occorre dire di più per dare l'atmosfera di questo giorno? Da stamattina la gente si mescola per le vie: è come un fiume d'olio che entra ed esce dai negozi. Tutti guardano, tentennano, comperano. Hanno appena il tempo per salutarsi, per scambiarsi gli auguri. Vecchi conoscenti s'incontrano dopo anni, amici di circostanza si scappellano, si complimentano. Agli auguri di Natale tutti aggiungono sempre un «anche alla famiglia». È una festa di famiglia. La gente se ne strabatte della ricorrenza religiosa, ma intanto le famiglie si stringono insieme per un giorno. È il bisogno d'amore a fare il Natale. Chi pensa alla nascita, passione e morte di Gesù Cristo? Questa è una festa e non una commemorazione. Stasera, domani e dopo, fino all'Epifania, si mangia, si sta in casa, si è buoni quanto è possibile.
Ognuno stringe a sé un pacchetto con un regalo da fare. Ma in verità tutti stringono a sé il loro egoismo. È la paura di essere soli che avvicina gli uomini. I bambini sperimentano per la prima volta la gioia di possedere qualche cosa: il Natale è per loro un giorno di regali.

(Da "Vigilia" di Piero Chiara)

lunedì 23 dicembre 2013

Da "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Nelle strade vi era già un po' di movimento: qualche carro con cumuli d'immondizia alti quattro volte l'asinello grigio che li trascinava. Un lungo barroccio scoperto portava accatastati i buoi uccisi poco prima al macello, già fatti a quarti e che esibivano i loro meccanismi più intimi con l'impudicizia della morte. A intervalli una qualche goccia rossa e densa cadeva sul selciato.
Da una viuzza traversa intravide la parte orientale del cielo, al di sopra del mare. Venere stava lì, avvolta nel suo turbante di vapori autunnali. Essa era sempre fedele, aspettava sempre Don Fabrizio alle sue uscite mattutine, a Donnafugata prima della caccia, adesso dopo il ballo.
Quando si sarebbe decisa a dargli un appuntamento meno effimero; lontano dai torsoli e dal sangue nella propria regione di perenne certezza?

(Da "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Feltrinelli, Milano 2005)

lunedì 16 dicembre 2013

Principali protagonisti della poesia italiana del XX secolo




Nella poesia italiana del del XX secolo risiedono una moltitudine di tesori della lirica nazionale; in nessun altro secolo infatti si possono trovare autori e poesie di eccezionale livello in grandissima quantità. Si potrebbe cominciare da due vati come Giovanni Pascoli (1855-1912) e Gabriele D'Annunzio (1863-1938) che vissero e pubblicarono i loro libri di versi a cavallo tra l'Ottocento ed il Novecento, possono quindi essere considerati poeti di entrambi i secoli anche se, viste le importanti innovazioni che portarono nella poesia di quei tempi, a ragion veduta dovrebbero essere trattati come capostipiti della poesia novecentesca. Sia l'uno che l'altro furono anche i principali esponenti italiani del decadentismo e, in parte, del simbolismo: correnti letterarie nate in Francia che influenzarono profondamente molti poeti italiani del '900. Sulla scia di questi due pilastri della poesia italiana si situano alcuni poeti diversi tra di loro che hanno, come comun denominatore, l'influenza che subirono dal duo appena citato; questi sono: Gian Pietro Lucini (1867-1914), Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (1871-1919), Mario Novaro (1868-1944) e Carlo Michelstaedter (1887-1910). Ci sono poi i crepuscolari: gruppo, corrente o tendenza che sia, il crepuscolarismo rappresenta uno degli apici raggiunti dalla poesia italiana di tutti i tempi. Tra i poeti "maggiori" del crepuscolarismo si ricordano: Guido Gozzano (1883-1916), Sergio Corazzini (1886-1907), Marino Moretti (1885-1979) e Fausto Maria Martini (1886-1930); un discorso a parte meritano invece Corrado Govoni (1884-1965) e Aldo Palazzeschi (1885-1974), i quali furono inizialmente crepuscolari ma poi abbracciarono altre esperienze poetiche tra le quali il futurismo. Ed è proprio il futurismo la seconda corrente della poesia novecentesca passata alla storia, è anche uno tra i più innovativi movimenti artistici del XX secolo che si espresse oltre che nella poesia anche nella pittura, nella scultura ed in altre forme d'arte; per quello che concerne la poesia i suoi massimi esponenti furono: l'ideatore Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), Paolo Buzzi (1874-1956), Luciano Folgore (1888-1966), Ardengo Soffici (1879-1964) e Enrico Cavacchioli (1885-1954). Anche la rivista letteraria La Voce ebbe un ruolo fondamentale per il rinnovamento della poesia italiana, in essa pubblicarono i loro versi poeti di indubbio valore e grazie a questa rivista si diffuse il "frammentismo"; tra le personalità di maggior spicco che scrissero sulla Voce si possono citare Giovanni Papini (1881-1956), Clemente Rebora (1885-1957), Camillo Sbarbaro (1888-1967), Piero Jahier (1884-1966) e Giovanni Boine (1887-1917); in un'altra visuale vanno viste invece le opere poetiche di Dino Campana (1885-1932) e Arturo Onofri (1885-1928), due poeti fondamentali per le generazioni che seguirono e che parteciparono al clima vociano ma s'imposero soprattutto perché fautori della "poesia pura". Ma anche altri poeti pubblicarono i loro versi sulla Voce pur rivelandosi col tempo nettamente distinti e distanti rispetto alle principali tematiche dei vociani; questi poeti sono Umberto Saba (1883-1957), Vincenzo Cardarelli (1887-1959) e Giuseppe Ungaretti (1888-1970). I primi due pur nella loro originalità, molto s'ispirarono ad autori del passato, in particolare a Giacomo Leopardi e a Giovanni Pascoli; Ungaretti invece va considerato come uno dei più coraggiosi innovatori della poesia italiana, in particolare per l'uso dei "versicoli". Insieme ad Ungaretti c'è un altro poeta che giganteggia nella storia poetica del Novecento: Eugenio Montale (1896-1980); Le sue opere in versi, dense di un linguaggio "scabro ed essenziale" ma a volte anche ostico, aprirono la strada dell'ermetismo, corrente poetica nata all'inizio degli anni '30 e sviluppatasi per circa un ventennio. Come ben spiega la parola, l'ermetismo si caratterizzò per un linguaggio difficile, in certi casi incomprensibile, che privilegiava il fascino della parola ricercata. Tra gli esponenti di maggior spicco di questa importante corrente ci sono: Salvatore Quasimodo (1901-1968), Alfonso Gatto (1909-1976), Mario Luzi (1914-2005), Leonardo Sinisgalli (1908-1981), Libero De Libero (1906-1981), Alessandro Parronchi (1914-2007) e Piero Bigongiari (1914-1997). Mentre l'ermetismo dava il meglio di sé, altri poeti di valore, dalle svariate personalità, pubblicavano i loro versi. Un critico attento quale fu Luciano Anceschi li inserì nella storica antologia: Lirici nuovi (1943) assieme ad altri poeti, anche del passato, che contribuirono non poco al rinnovamento della poesia italiana. Tra costoro si ricordano: Diego Valeri (1887-1976), Angelo Barile (1888-1967), Giorgio Vigolo (1894-1983), Adriano Grande (1897-1972), Carlo Betocchi (1899-1986), Raffaele Carrieri (1905-1984), Sandro Penna (1906-1977), Attilio Bertolucci (1911-2000), Giorgio Caproni (1912-1990), Antonia Pozzi (1912-1938) e Vittorio Sereni (1913-1983). Dopo la fine della 2° guerra mondiale, esauritasi la corrente ermetica, fu il tempo della poesia impegnata che alcuni critici etichettarono come "neorealismo"; il fautore di questo ritrovato impegno fu Salvatore Quasimodo, ma cronologicamente il primo poeta rivoluzionario in tal senso fu Cesare Pavese (1908-1950); vanno poi inseriti in questo filone anche Franco Fortini (1917-1994), Umberto Bellintani (1914-1999), Pier Paolo Pasolini (1922-1975), Roberto Roversi (1923-2012) e Rocco Scotellaro (1923-1953). Fu ancora Anceschi, in una ulteriore antologia, a tracciare una "linea lombarda" della poesia italiana del dopoguerra, riferendosi ad alcuni poeti nati in Lombardia o nei dintorni che pubblicarono volumi di versi a cominciare dalla quinta decade del '900; tra costoro spiccano i nomi di Nelo Risi (1920), Luciano Erba (1922-2010) e Giorgio Orelli (1921). Questi ultimi, insieme a Andrea Zanzotto (1921-2011) e a Giovanni Giudici (1924-2011), entrano di diritto nella "quarta generazione" poetica del XX secolo, composta da scrittori in parte ancora legati ai modi dell'ermetismo, in parte innovatori. La "neoavanguardia" invece si sviluppò tra il 1956 ed il 1961, in sostanza tra la nascita della rivista il verri (diretta dall'immancabile Luciano Anceschi) e l'uscita dell'antologia I Novissimi. Questi intellettuali, che si riunirono nel cosiddetto Gruppo 63, praticarono una poesia molto sperimentale che si rifaceva parzialmente ad alcuni tentativi (come la poesia visiva) operati dalle avanguardie poetiche italiane di inizio secolo; i nomi più significativi di questo gruppo sono: Elio Pagliarani (1927-2012), Edoardo Sanguineti (1930-2010), Antonio Porta (1935-1989), Alfredo Giuliani  (1924-2007) e Nanni Balestrini (1935). Nel contempo videro la luce altre opere poetiche di indubbio valore i cui autori non possono essere incasellati in nessun gruppo o movimento; tra gli altri si citano: Giovanni Raboni (1932-2004), Alda Merini (1931-2009), Fernando Bandini (1931), Giampiero Neri (1927) e Amelia Rosselli (1930-1996). Furono ancora due antologie a evidenziare i nomi dei poeti più validi di fine Novecento, precisamente: La parola innamorata (1978), a cura di Enzo Di Mauro e Giancarlo Pontiggia, e Nuovi poeti italiani contemporanei (1996), a cura di Roberto Galaverni. Nella prima è giusto ricordare almeno Giuseppe Conte (1945), Maurizio Cucchi (1945), Milo De Angelis (1951), Valerio Magrelli (1957) e Cesare Viviani (1947); nella seconda si ricordano Antonella Anedda (1958), Ferruccio Benzoni (1949-1997), Claudio Damiani (1957), Umberto Fiori (1949), Roberto Mussapi (1952), Fabio Pusterla (1957). Altri nomi di poeti coetanei meritevoli e assenti dalle antologie menzionate sono: Roberto Carifi (1948), Patrizia Cavalli (1947), Vivian Lamarque (1946) e Nico Orengo (1944-2009).




























lunedì 9 dicembre 2013

Il dolore nella poesia italiana simbolista e decadente

Il dolore è un elemento preponderante nelle poesie dei simbolisti e dei decadenti, sia inteso come dolore fisico, sia come dolore morale. A volte è eletto a bandiera del proprio essere quasi con masochismo, oppure a trofeo da conquistare e, cristianamente, a percorso che rende migliori, che santifica; a volte appare con le sembianze di donne ricche di fascino e di mistero; a volte appare improvvisamente in forme bizzarre (ombre di cipressi, guerrieri) e rimane a lungo in compagnia dei malcapitati; a volte è rappresentato da luoghi chiusi e tetri ove il poeta è costretto a vivere isolato da tutto e da tutti; a volte vien percepito come una voce o un ululato lontano o ancora come un lungo e acuto urlo nella notte (che ricorda molto quello del famoso quadro di Munch); a volte è simboleggiato da infinite schiere di viventi che ascendono un monte sul quale si trova la morte; a volte lo si ritrova in volti pallidi e scavati... Ma sempre e comunque il dolore ha un'importanza fondamentale per questi poeti e si trova spesso al centro delle loro composizioni in versi.



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "Il Castigo" in "La città di Vita" (1896).
Antonio Beltramelli: "Il giardino del dolore" in "I Canti di Faunus" (1908).
Enrico Cavacchioli: "Il dolore" in "L'Incubo Velato" (1906).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Consolatrix afflictorum" in "Le consolatrici" (1905).
Sergio Corazzini: "Dolore" in "Dolcezze" (1904).
Italo Dalmatico: "Vespero" in "Juvenilia" (1903).
Guglielmo Felice Damiani: "Ecce homo" in "Lira spezzata" (1912).
Luigi Donati: "Il Pianto" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Riccardo Forster: "Il Dolore" in "La Fiorita" (1905).
Aldo Fumagalli: "Il dolore" in "Arcate" (1913).
Diego Garoglio: "Le due coppe" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Giulio Gianelli: "Alla croce" in "Tutti li angioli piangeranno" (1903).
Cosimo Giorgieri Contri: "Il dolore che supera" in "Il convegno dei cipressi" (1894).
Corrado Govoni: "La suicida" in "Gli aborti" (1907).
Remo Mannoni: "L'eterna lotta" in «Il Trionfo d'Amore», marzo 1905.
Marino Marin: "Dolor, legge del mondo..." in "Sonetti secolari" (1896).
Pietro Mastri: "Grido nella notte" in "Lo specchio e la falce" (1907).
Mario Morasso: "L'ortica umana" in "Profezia" (1902).
Angiolo Orvieto: "Via Crucis" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Angiolo Orvieto: "Il macello" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Enrico Panzacchi: "Vox!" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "Notte dolorosa" in "Myricae" (1900).
Giovanni Pascoli: "Il prigioniero" in "Nuovi poemetti" (1909).
Giuseppe Piazza: "Il servo dolore" in "Le eumenidi" (1903).
Yosto Randaccio: "Ombre di convalescenza" in "Poemetti della convalescenza" (1909).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "I volti dolorosi" in "Il Libro dei Frammenti" (1895).
Guido Ruberti: "Dolore" in "Le fiaccole" (1905).
Domenico Tumiati: "La Dolorosa" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Diego Valeri: "Un attimo" in "Umana" (1916).
Giuseppe Vannicola: "L'errore" in "Poesia", febbraio/marzo 1906.
Remigio Zena: "Sei infermo, lo so; t'hanno ferito" in "Le Pellegrine" (1894).



Testi

I VOLTI DOLOROSI
di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi

Nei volti dolorosi, su le pacate fronti
brilla quietamente effuso, un pallor d'Alba,
e ne gli occhi ristagna la visione scialba
dei paesi che sognano a l'ombra dei tramonti.

Sotto, l'occhiaie incavansi come un vecchio sentiere
cui rosero infinite pioggie silenziose;
e i labbri che un oscuro poter, come le rose
morte nei libri, strazia, parlano di chimere.

Talor la fronte sfiora una carezza d'ale: 
la morte? - E, come un breve spiraglio d'opale
che si svolge tra nuvole misteriose,gli occhi 

intravegon lo scorcio d'un paese fiorito
meravigliosamente. Trema il cuore e i ginocchi 
tremano. E il labbro esangue mormora: oh, l'infinito!

(Da "Il libro dei frammenti")

mercoledì 4 dicembre 2013

Poeti dimenticati: Mario Adobati

Per certi aspetti la storia artistica e letteraria di Mario Adobati (Bergamo, 1889 - ivi, 1919) può ricordare molto quella di Sergio Corazzini; sia per il fatto che morì precocemente (a soli trent'anni), sia perché scrisse poesie dense di sentimenti malinconici. Adobati nacque, visse e morì a Bergamo, e pubblicò soltanto un volume poetico: "I cipressi e le sorgenti", proprio lo stesso anno in cui morì. Sfogliando l'unico volumetto di Adobati ci si accorge ben presto del suo animo "crepuscolare", vi si trovano infatti immagini di disfacimento e di morte: paesaggi autunnali e piovosi; strade in cui si susseguono senza sosta convogli che portano bare; selve su cui, dal cielo torbido, cade una pioggia simile al pianto; fiumi dalle cui rive scolan rifiuti; gotiche cattedrali in piazze silenziose; città illuminate da un sole malato; sale da ballo in cui s'ode una musica blanda e malinconica e così via. Anche i personaggi delle sue poesie trasmettono le medesime sensazioni: carogne bieche che gemono nella belletta; infermi stanchi che guardano la notte; fanciulli attoniti che vedono le loro primavere sfiorire; un vecchio che sente intorno a lui la "tristizie" umana andare con un passo muto ecc. Il repertorio di oggetti e animali che spesso ritorna nei versi di Adobati è formato da cigni, pavoni, fontane, rose, ninfee, cattedrali, cimiteri, specchi... Insomma l'armamentario tanto caro ai poeti simbolisti e a quelli crepuscolari. È certo che Adobati, nella stesura dei suoi versi, ebbe ben presente la poesia di Sergio Corazzini, Corrado Govoni, Giovanni Pascoli e Gabriele D'Annunzio, oltre a quella dei simbolisti francesi e di qualche altro italiano minore; la sua bravura fu quella di rielaborare i temi di quei poeti in modo originale, palesando una schiettezza di sentimenti che lo rende vero poeta. Mi pare ingiusto infine che, sia il suo nome, sia quello di Giuliano Donati Pétteni (1894-1930) - altro poeta bergamasco che pubblicò liriche in riviste e volumi tra il 1910 ed il 1930 -, siano stati sempre e totalmente ignorati dai critici; se è vero che essi vanno considerati quali epigoni del crepuscolarismo, ciò non toglie nulla alla loro grande capacità di scrivere versi molto belli, che fa piacere leggere ancora oggi.


Opere poetiche

"I cipressi e le sorgenti", Tip. C. Conti e C., Bergamo 1919.




Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 300-301).



Testi

PASSEGGIATA NEI SOBBORGHI

L'autunno, ecco, riviene.
Scioglie le sue cascate
di mammole velate
pei cieli e le sue pene.

Godo la pace in lente
sorsate di mollezza.
La pace ha la freschezza
della pioggia recente.

A zonzo nei sobborghi.
Chi ha raso pei sentieri
l'erba? Lungo i cantieri
le cloache hanno ingorghi.

Tra pioppo e pioppo stanno
penduli a un filo ragni
enormi. Su gli stagni
veloci insetti vanno.

L'autunno impallidisce
i luoghi del mio bene.
L'autunno fa serene
le cose che intristisce.

Pissidi di devoti
assai delusi e stanchi
i lor dischetti bianchi
sperdono in cieli ignoti.

La nevicata scende
su le case e le siepi.
Appaiono presepi
tra le varie vicende.

Gotiche cattedrali
in piazze silenziose.
Già l'erba si dispose
tra i palagi e i portali.

Sul marmo dei palagi,
sul marmo delle statue
si formano le fatue
luci in tremule ambagi.

I fanciulli perversi
scagliano pietre ai nidi
delle rondini. Stridi
nell'alto son dispersi.

La pietra che giù piomba
dà un tonfo che risuona
stranamente. Rintrona
nel vacuo d'una tomba.

L'anima mia s'arretra.
Un poco intorpidita
ritorna nella vita
al tonfo della pietra.

Riprende la sua via
tralasciata da poco.
È un assai triste gioco
la sua melanconia!

Il sole a cui m'affido
come sangue s'aggruma.
Trema a pena una piuma
nella creta d'un nido.

(Da "I cipressi e le sorgenti")

martedì 3 dicembre 2013

Antologie: "L'incanto del Natale"

"L'incanto del Natale", Paoline Editoriale libri, Milano 1996, è un'antologia poetica che ha come argomento principe la festa di Natale. In verità, come spiega meglio il sottotitolo: "nella poesia e nell'arte", il libro non contene soltanto versi, ma anche alcuni esempi di arte figurativa incentrata sull'evento natalizio. Le poesie, i quadri e i disegni qui presenti partono dall'epoca di San Francesco d'Assisi ed arrivano fino ai giorni nostri, né si limitano ad una specifica nazionalità, ma spaziano dall'arte e dai canti popolari alle opere più famose di artisti celebri in tutto il mondo. Per ciò che concerne la struttura dell'opera, ecco cosa dice nella prefazione Giuseppe Gamberini, il curatore della stessa:

«Per dare respiro alla pubblicazione, si è ritenuto necessario suddividere il materiale in cinque sezioni, ciascuna delle quali ponesse l'accento su un aspetto particolare della ricorrenza: la narrazione dell'evento, la sottolineatura del messaggio, la magica atmosfera dell'infanzia, la nostalgia della festa e, infine, l'attesa universale di un nuovo incontro con la divinità. In tutto cento poesie di ogni tempo e paese, raccolti in gruppi di venti, non per ragioni di simmetria numerica, ma per sottolineare che ogni aspetto del Natale è parte coessenziale di un'antica sinfonia dello spirito».

Chiudo affermando che, tra le antologie settoriali, a me sembra che questa sia tra le migliori e per tale motivo va ricordata.



lunedì 2 dicembre 2013

La poesia simbolista in Italia

Il primo letterato italiano che cercò di trasferire in Italia quella corrente nata in Francia nella seconda metà del XX secolo che fu definita "Simbolismo" e che attraversò non solo la letteratura ma anche la pittura, fu Luigi Gualdo; se si leggono Le Nostalgie, poesie che il Gualdo pubblicò nel 1883, si notano nei suoi versi, le somiglianze con quelli dei "poeti maledetti" e in particolare con quelli di Charles Baudelaire, fautore del Simbolismo soprattutto nella sua opera più famosa: I fiori del male. Ma l'esempio del Gualdo fu all'epoca assai poco seguito e occorse un decennio perché qualcun altro tornasse a tentare una seconda volta di far maturare nella nostra nazione, poco incline alle nuove suggestioni letterarie, questa tendenza che ormai si era radicata non solo in Francia ma anche in altri paesi europei; mi riferisco a Gian Pietro Lucini ed al suo cenacolo di poeti (Romolo Quaglino, Luigi Donati, Giovanni Tecchio ecc.) che verso la fine del XX secolo proposero delle opere poetiche alquanto innovative e sperimentali, alcune delle quasi in verità anche molto ostiche. Se vogliamo puntualizzare, qualche anno prima di Lucini, Gabriele D'Annunzio in alcuni suoi libri come La Chimera e Poema paradisiaco, aveva trasposto le atmosfere e le tematiche dei simbolisti nei suoi versi che tra l'altro ebbero grande risalto, vista l'indiscussa fama di cui all'epoca godeva il poeta abruzzese in patria; nelle poesie di queste opere dannunziane non si tiene presente soltanto l'esempio dei grandi come Baudelaire, Verlaine e Mallarmé, ma anche di scrittori meno noti come per esempio Maurice Maeterlinck, che in futuro avrebbe influenzato anche i versi dei poeti crepuscolari. A proposito di crepuscolari, furono proprio loro a proseguire la strada tracciata dai colleghi che ho menzionato ed a far conoscere, coi loro versi e con le loro traduzioni, altri poeti che col Simbolismo ebbero molto a che vedere (si potrebbero citare Francis Jammes, Georges Rodenbach e Albert Samain). Infine è giusto ricordare un poeta come Dino Campana, la cui opera fu paragonata (con le debite differenze) a quella di Arthur Rimbaud, e che rimane, a tutt'oggi, il più visionario tra i poeti italiani. Anche se è stato già fatto, mi pare opportuno ricordare che il critico letterario più attento all'argomento è stato Glauco Viazzi: autore di saggi e di antologie che a tutt'oggi sono le cose migliori scritte e pubblicate sui poeti simbolisti italiani. Viazzi ha curato anche un'antologia dedicata ai poeti simbolisti francesi, come si può osservare dalla foto sottostante che conclude questo post.