martedì 12 febbraio 2013

Poeti italiani dimenticati tra il XIX ed il XX secolo


Vi è un folto gruppo di poeti italiani che pubblicò libri di versi tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, e che rimane sempre (o quasi) escluso dalle antologie della poesia italiana, sia che riguardino il XIX secolo, sia il XX secolo. Eppure questi scrittori ebbero, ai loro tempi, un vasto pubblico di lettori e non gli mancarono neppure i consensi e i giudizi favorevoli di critici insigni; a qualcuno di loro non fu perdonato l'appoggio (in alcuni casi quasi velato) al regime fascista, altri caddero ben presto nel dimenticatoio o furono ritenuti dagli addetti ai lavori, una sorta di emulatori della poesia ottocentesca quando questa era ormai fuori tempo massimo. Al di là di questi discorsi e delle ragioni, probabilmente anche giuste, per cui questi poeti sono stati e sono tutt'ora esclusi da qualsiasi repertorio poetico recente riguardante i due secoli appena trascorsi, è a mio avviso doveroso ricordarli, per lo meno in quanto "meteore" o "lampi" di un'epoca (quella a cavallo dei due secoli prima citati) forse poco ricordata in generale dai testi di storia letteraria italiana. Rammenterei poi un aneddoto interessante: quando Giovanni Papini e Pietro Pancrazi nel 1920 fecero uscire la famosa antologia da loro curata Poeti d'oggi, molti furono i critici autorevoli che lamentarono l'assenza nella suddetta selezione antologica di alcuni poeti e scrittori, tra questi vi erano letterati come Giovanni Bertacchi, Giovanni Cena, Francesco Gaeta, Pietro Mastri, che, a grande richiesta, trovarono poi spazio nella seconda edizione (1925) dell'antologia suddetta. Ecco infine l'elenco, comprendente una breve biobibliografia, dei poeti in questione.



GIOVANNI BERTACCHI (Chiavenna 1869 - Milano 1943). Dal 1916 al 1938 fu docente di letteratura italiana nell'Università di Padova, scrisse vari studi tra i quali spiccano quelli su Leopardi e su Dante Alighieri. I suoi libri di poesie sono: Il canzoniere delle Alpi (1895), Poemetti lirici (1898), Liriche umane (1903), Alle sorgenti (1906), A fior di silenzio (1912), Riflessi di orizzonti (1921), Il perenne domani (1929).

GIOVANNI CENA (Montanaro 1870 - Roma 1917). Fu giornalista, narratore e poeta; ricoprì per lungo tempo l'incarico dei Redattore-Capo nella rivista letteraria "Nuova Antologia". Pubblicò i seguenti volumi di versi: Madre (1897), In umbra (1899) e Homo (1907); postumo uscì il libro delle sue Poesie complete (1922).

GIOVANNI ALFREDO CESAREO (Messina 1860 - Palermo 1937). Poeta, drammaturgo, critico letterario e docente universitario, fu tra l'altro socio dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo e socio corrispondente dell'Accademia della Crusca. Opere poetiche: Sotto gli aranci (1881), Le Occidentali (1887), Gl'inni (1895), Le consolatrici (1895), Poesie (1912), I canti di Pan (1920), Poemi dell'ombra (1923), Colloqui con Dio (1928).

ADOLFO DE BOSIS (Ancona 1863 - Pietralacroce 1924). Diresse la rivista "Il Convito", tradusse l'opera di Shelley e compose versi raccolti nei seguenti volumi: Amori ac silentio sacrum (1900), Amori ac silentio e Le Rime sparse (1914).

FRANCESCO GAETA (Napoli 1879 - ivi 1927). Giornalista e poeta oltre che critico (si occupò dell'opera di Salvatore Di Giacomo), fu direttore della rivista "I Mattaccini". Pubblicò le seguenti opere poetiche: Il libro della giovinezza (1895), Reviviscenze (1900), Sonetti voluttuosi e altre poesie (1906), Poesie d'amore (1920); fu Bendetto Croce a curare in edizione postuma le sue Poesie (1928).

DIEGO GAROGLIO (Montafia 1866 - Asti 1933). Letterato e insegnante, fu collaboratore delle riviste "Vita Nuova" e " Il Marzocco"; poeta dalla vena facile, pubblicò numerose raccolte, tra le quali: Poesie (1892), Poesie sorrentine (1893), Due anime (1898), Elena (1901), Canti sociali (1904), Sul bel fiume d'Arno (1912), Umanità (1922), Canti di Pietramala (1930), Canti delle Dolomiti (1930), La villa, il Parco, il podere (1930).

COSIMO GIORGIERI CONTRI (Lucca 1870 - Viareggio 1943). Fu poeta, narratore e drammaturgo; collaborò a molte riviste tra le quali "Nuova Antologia", "Hermes", "La Riviera Ligure", "La Lettura". Le sue poesie si trovano nei volumi: Versi tristi (1888), Il convegno dei cipressi (1895), Primavere del desiderio e dell'obio (1903), La donna del velo (1905), Mirti in ombra (1913), Il convegno dei cipressi e altre poesie (1922).

MARINO MARIN (Corcrevà di Bottrighe 1860 - Adria 1951). Ebbe un incarico importante nel comune di Adria che ricoprì per lungo tempo; collaborò al "Marzocco" ed a "Nuova Antologia". Pubblicò i seguenti volumi di versi: Humus (1892), Sonetti secolari (1896), Voci lontane (1898), Luci e ombre (1904), Narciso (1907), Le Opere e i Giorni (1920), Espiazione (1923), Rassegnazione (1927), La voce della gran Madre Antica (1933).

PIETRO MASTRI (Pirro Masetti, Firenze 1868 - ivi 1932). Poeta ed avvocato, collaborò alle riviste "Il Marzocco", "Nuova Antologia" e "Vita Nuova". Opere poetiche: Frammenti poetici (1893), L'arcobaleno (1900¹, 1920²), Lo specchio e la falce (1907), La meridiana (1920), La fronda oscillante (1923), La via delle stelle (1927), Ultimi canti (postumo, 1933).

ADA NEGRI (Lodi 1870 - Milano 1945). Inizialmente maestra elementare, trovò la fama dopo le prime opere poetiche: Fatalità (1892) e Tempeste (1895), cui seguirono: Maternità (1904), Dal profondo (1910), Esilio (1914), Il libro di Mara (1919), I canti dell'isola (1924), Vespertina (1930), Il dono (1935); postumo uscì un volume che raccoglie la sua intera opera in versi: Poesie (1948).

ANGIOLO ORVIETO (Firenze 1869 - ivi 1968). Poeta, saggista, librettista e drammaturgo, fu cofondatore della "Vita Nuova" e del "Marzocco"; scrisse molti versi raccolti nei volumi: La sposa mistica (1893), Sposa mistica. Il velo di Maya (1898), Verso l'Oriente (1902), Le sette leggende (1912), Primavere della cornamusa (1925), Il vento di Sion (1928), Il gonfalon selvaggio (1934).

FRANCESCO PASTONCHI (Riva Ligure 1874 - Torino 1953). Poeta, narratore e drammaturgo, dopo la laurea insegnò letteratura all'università di Torino. Opere poetiche: Saffiche (1892), Aurei distici (1895), La giostra d'amore e Le canzoni (1898), Italiche (1903), Belfonte (1903), Sul limite dell'ombra (1905), Il pilota dorme (1913), Il randagio (1921), Italiche. Nuove poesie (1923), Versetti (1930), Rime dell'amicizia (1943), Endecasillabi (1949).

DOMENICO TUMIATI (Firenze 1874 - Bordighera 1943). Poeta e drammaturgo, collaboratore del "Marzocco" della "Lettura" e di "Nuova Antologia", pubblicò i seguenti volumi di versi: Iris Florentina (1895), Musica antica per chitarra (1897), Poemi lirici (1902), Musiche perdute (1923) e il riassuntivo Liriche (1937).

domenica 10 febbraio 2013

Antologie: "Poesia italiana dell'Ottocento" (Muscetta-Sormani)


Prima di tutto bisogna dire che "Poesia italiana dell'Ottocento", a cura di Carlo Muscetta ed Elsa Sormani (Einaudi, Torino 1968), è un'opera molto bella a vedersi: due tomi di 14 x 21,5 cm., di oltre mille pagine ciascuno, con copertine in tela e una custodia in cartoncino e con, all'interno dei tomi, vari disegni di famosi artisti italiani. È, cronologicamente parlando, l'ultima prestigiosa antologia dedicata ai poeti italiani dell'Ottocento che si aggiunge a quelle di Ferruccio Ulivi,  Angelo Romanò, Ettore Janni, Luigi Baldacci e Giuseppe Petronio. Vi compaiono i testi di un po' tutti i grandi poeti ottocenteschi, anche se non mancano alcune clamorose esclusioni. Ecco, di seguito a questo breve commento, l'elenco dei poeti presenti nell'antologia "Poesia italiana dell'Ottocento".





I. FRA NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO
Vincenzo Monti, Ugo Foscolo.


II.
Carlo Porta


III. MANZONI E I ROMANTICI CATTOLICO-LIBERALI
Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Bartolomeo Sestini, Andrea Maffei, Luigi Carrer, Saverio Baldacchini, Pietro Paolo Parzanese, Giovanni Prati.  


IV. 
Giuseppe Gioacchino Belli.


V.
Niccolò Tommaseo


VI. BERCHET E LA SCUOLA DEMOCRATICA
Giovanni Berchet, Gabriele Rossetti, Giovita Scalvini, Alessio Poerio, Goffredo Mameli, Domenico Carbone, Luigi Mercantini, Francesco Dall'Ongaro, Ippolito Nievo.


VII. GIUSTI E LA POESIA GIOCOSA E SATIRICA
Giuseppe Giusti, Filippo Pananti, Giulio Perticari, Giovanni Giraud, Antonio Guadagnoli, Arnaldo Fusinato, Francesco Proto, Antonio Baratta, Giovanni Visconti-Venosta, Vincenzo Riccardi di Lantosca, Edmondo De Amicis, Ettore Novelli.


VIII. TRAMONTO DEL CLASSICISMO
Paolo Emilio Castagnola, Giambattista Maccari, Giuseppe Maccari, Diego Vitrioli, Gioacchino Pecci (Leone XIII), Giacomo Zanella, Alinda Bonacci Brunamonti, Giuseppe Revere, Costantino Nigra, Vittorio Betteloni.


IX. TARDO ROMANTICI, SCAPIGLIATI E VERISTI
Vincenzo Padula, Aleardo Aleardi, Giuseppe Giacosa, Antonio Fogazzaro, Mario Rapisardi, Giuseppe Aurelio Costanzo, Bernardino Zendrini, Emilio Praga, Iginio Ugo Tarchetti, Arrigo Boito, Ferdinando Fontana, Contessa Lara, Domenico Milelli, Olindo Guerrini, Renato Fucini, Cesare Pascarella, Ferdinando Russo, Pompeo Bettini.


X.
Salvatore Di Giacomo.


XI.
Giosue Carducci.


XII. CARDUCCIANI E BIZANTINI
Vittorio Imbriani, Giovanni Rizzi, Felice Cavallotti, Giuseppe Chiarini, Giacinto Ricci-Signorini, Guido Mazzoni, Giovanni Marradi, Severino Ferrari, Enrico Nencioni, Enrico Panzacchi, Giulio Salvadori, Luigi Gualdo, Remigio Zena.


XIII. INNI STORICI
Goffredo Mameli, Luigi Mercantini, Filippo Turati.


venerdì 8 febbraio 2013

I colori nella poesia italiana decadente e simbolista

Fondamentale è l'importanza dei colori, soprattutto pensando alla psicologia per la quale la percezione di un colore da parte dell'occhio umano rappresenta un fatto rivelatore, che nasce da una profonda elaborazione delle nostre emozioni. Secondo il pensiero di alcuni pittori il colore è un mezzo col quale è possibile stimolare in modo diretto l'anima; cosicchè, un assemblaggio armonico di colori, così come è avvenuto e tutt'ora avviene nella creazione di molte tele famose, assume un concentrato di alta spiritualità in grado di stimolare l'anima dell'uomo, permettendole di raggiungere una sorta di estasi ultraterrena. Per ciò che concerne la poesia simbolista, è bene ricordare che ogni colore fa riferimento a simboli precisi e che, soprattutto alcuni come il bianco ed il rosso sono stati preferiti rispetto agli altri da questi poeti. Per tale motivo si elencano di seguito le sole poesie che non comprendono i colori citati, ai quali dedicherò un capitolo a parte.
 
 


Poesie sull'argomento
Mario Adobati: "I colori dell'esilio" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Fausto M. Bongioanni: "Lampada verde" in "Venti poesie" (1924).
Luigi Fallacara: "Azzurro" in «Lacerba», febbraio 1915.
Corrado Govoni: "I registri del verde" e "Oro e violetto" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni: "Sinfonia di grigio" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni "Il verde", "Il giallo", "L'azzurro" e "Il nero" in "Gli aborti" (1907).
Tito Marrone: "Sonetto grigio" in "Cesellature" (1899).
Pietro Mastri: "L'acacia rosa" in "La fronda oscillante" (1923).
Arturo Onofri: "Dalla zuffa fra i gialli e fra gli azzurri" in "Simili a melodie rapprese in mondo" (1929).
Nino Oxilia: "Studio di bianco e nero" in "Gli orti" (1918).
Aldo Palazzeschi: "Festa grigia" in "Lanterna" (1907).
Aldo Palazzeschi: "Mar Giallo" in "Poemi" (1909).
Alice Schanzer: "Canto grigio" in "Motivi e canti" (1901).
Domenico Tumiati: "Canepa verde" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Mario Venditti, "Nero e blu" in "Il cuore al trapezio" (1921).
Giuseppe Villaroel: "Sfumatura" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).
 
 


Testi
SFUMATURA
di Giuseppe Villaroel

Cancello di stagno.
Dal muro nerognolo
penzola sulla strada
la chioma bruna e scarmigliata
dell'edera
che gronda ancora le lacrime
della tempesta
passata.
Brivido rosso e carnale
di rose lungo il verde viale
della Candida villa
aperta al tramonto lilla
tutto fresco e lavato;
ma lievemente venato
di giallo.
E sulla veranda di cristallo,
il tremore della tua veste
leggera
di seta celeste
sfuma la dolce stanchezza
della sera
diffusa in questa convalescenza azzurra
di tutta la primavera.

(Da "La tavolozza e l'oboe")

mercoledì 6 febbraio 2013

Un ricordo di Sergio Corazzini


Sergio Corazzini è considerato il poeta principe, insieme a Guido Gozzano, della corrente poetica denominata "crepuscolarismo"; La sua figura, unica e imparagonabile, è stata a volte mitizzata per motivi che sono riconducibili alla sua brevissima esistenza (morì a soli ventuno anni di tisi) e al suo immenso talento poetico che gli permise di ottenere risultati straordinari nei pochi anni in cui potè dedicarsi intensamente alla scrittura di versi che lo pongono al vertice di tutta la poesia italiana novecentesca e non solo. Le prime poesie di Corazzini, alcune delle quali in dialetto romano, apparvero su riviste come "Pasquino", "Rugantino", "Marforio" e "Capitan Fracassa". La sua prima raccolta poetica uscì nel 1904 col titolo "Dolcezze", chiaro riferimento ad una sezione delle "Myricae" di Giovanni Pascoli; seguirono "L'amaro calice" (datato 1904 ma pubblicato nel 1905), "Le aureole" (1905), "Piccolo libro inutile" (comprende poesie di Alberto Tarchiani, 1906), "Elegia" (frammento, senza data ma 1906), "Libro per la sera della domenica" (1906). Tutti questi libriccini ebbero come editore la Tipografia cooperativa operaia romana. La malattia che colpì Corazzini già dall'adolescenza peggiorò velocemente e il poeta, prima di morire nel giugno del 1907, fece in tempo a pubblicare qualche altra poesia su rivista. Un primo volume che raccoglie gran parte della sua opera in versi uscì postuma nel 1908 ("Liriche", Ricciardi, Napoli); soltanto nel 1968 venne stampato da Einaudi, in Torino, un libro con le "Poesie edite e inedite".
Per quello che riguarda i poeti che più influenzarono Corazzini, oltre al già citato Giovanni Pascoli si possono aggiungere anche gli italiani Gabriele D'Annunzio (ma solo quello del "Poema paradisiaco"), Domenico Gnoli (alias Giulio Orsini), Cosimo Giorgieri Contri, Corrado Govoni e Tito Marrone. Tra i poeti stranieri molta importanza ricoprirono per lui i tardo simbolisti franco-belgi come Maurice Maeterlinck, Francis Jammes, Jules Lafourge, Georges Rodenbach, Albert Samain, nonchè un poeta fondamentale che fu riferimento per generazioni di poeti: Paul Verlaine.
Corazzini influenzò anche altri poeti romani che ebbe come amici, coi quali organizzò un vero e proprio cenacolo in Roma, dove avvenivano incontri e declamazioni di versi che sono stati ricordati in alcuni saggi dagli stessi protagonisti di questi eventi. Tra i poeti che fecero parte di questo cenacolo, molti dei quali non pubblicarono mai libri di poesie, si possono citare: Alessandro Benedetti, Umberto Bottone, Antonello Caprino, Giuseppe Caruso, Stefano Cesare Chiappa, Giorgio Lais, Remo Mannoni, Guido Milelli, Guido Ruberti, Alberto Tarchiani, Alfredo Tusti, Donatello Zarlatti, Mario Zarlatti. Accanto a questi si ricordano i nomi più importanti di Fausto Maria Martini, Corrado Govoni e Tito Marrone; senza tralasciare il fatto che Corazzini fu amico di poeti che non vivevano a Roma come Aldo Palazzeschi e Marino Moretti, coi quali stabilì dei rapporti epistolari recensendo anche qualche loro opera poetica (mi riferisco a "I cavalli bianchi" di Aldo Palazzeschi). Voglio concludere questo ricordo di Sergio Corazzini trascrivendo la sua poesia più famosa, la sublime "Desolazione del povero poeta sentimentale", capolavoro assoluto che contiene dei versi non paragonabili ad altri per sincerità e bellezza.


Sergio Corazzini (1886-1907)


DESOLAZIONE DEL POVERO POETA SENTIMENTALE


I

Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?



II

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te
arrossirei.
Oggi io penso a morire.



III

Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle catedrali
mi fanno tremare d’amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.


Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.



IV

Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l’aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.



V

Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.



VI

Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.



VII

Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.



VIII

Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.



lunedì 4 febbraio 2013

Da "Meditazioni e ricordi" di Sergio Solmi

Penso a volte che l'inclinazione alle lettere, la malaugurata e pur consolatrice disposizione per il pensiero o la poesia cominci sempre a manifestarsi con una sorta d'infantile amore, quasi direi fisico, per la carta stampata, e magari per il formato dei libri e la loro rilegatura, e fino per il colore e la grana della loro carta. Per questo nella malinconica passione dei collezionisti mi sembra sempre d'intravvedere qualcosa come un lontano principio di poesia. Credo anch'io che si tratti d'anime delicate e modeste, che forse un tempo vagheggiarono la creazione letteraria, ma un rassegnato pessimismo convinse invece ad ascoltare in silenzio le voci musicali e fievoli che si levano dalle vecchie carte.

(Da "Meditazioni e ricordi", tomo secondo dell'opera "Poesie, meditazioni e ricordi" di Sergio Solmi, Adelphi, Milano 1984)



giovedì 31 gennaio 2013

Febbraio in 10 poesie italiane del XX secolo

Dice un famoso proverbio: "Febbraio, febbraietto mese corto e maledetto"; e un altro recita: "Febbraio d'ogni mese è il più corto ed il men cortese"; e non finisce qui, visto che ve ne sono a bizzeffe e quasi tutti in negativo. Ma perchè febbraio si è fatta questa brutta nomina? La spiegazione è semplice e va ricercata nel modo di pensare della società contadina che tanto tempo fa era predominante in Italia: febbraio è l'ultimo mese veramente invernale, e, nei suo ventotto giorni, se faccia freddo o il clima sia mite, il guadagno è poco; infatti un febbraio rigido, magari dopo un gennaio che lo è stato altrettanto, non poteva certo esser gradito dalla popolazione; mentre se a febbraio predominava un clima troppo caldo, forte era il rischio che la natura si risvegliasse in anticipo, cosicchè le eventuali fioriture già avvenute potevano essere facilmente compromesse da una non improbabile gelata marzolina, compromettendo i futuri raccolti. Per ciò che riguarda la poesia, febbraio non è tra i mesi più decantati ma comunque un discreto numero di poeti ha scritto qualcosa sul secondo mese dell'anno.
Francesco Chiesa inizialmente si sofferma a rivelare i primissimi indizi della futura primavera presenti nella piccola valle dove vive, per poi dichiarare la dolente constatazione di assenza, nella sua persona, di qualunque segno di rinascita, contrariamente a quello che succede nella natura che lo circonda. Febbraio fa parte della raccolta L'artefice malcontento, Mondadori, Milano 1950, ma era già uscita nella precedente Fuochi di primavera, Formiggini, Roma 1919.
Una visione positiva è quella raccontata da Diego Valeri in Fine di febbraio, è la certezza di chi ha fede e vede un futuro gioioso che si annunncia con la primavera ormai imminente. Valeri incluse questa poesia nella raccolta Poesie vecchie e nuove, Mondadori , Milano 1930 e quindi in Poesie, dello stesso editore, 1962.
Una meditazione scarna e amara è la poesia Sera di febbraio scritta in età già avanzata da Umberto Saba: in una sera serena di febbraio il poeta guarda il cielo e vede apparire la luna, poi la sua attenzione si sposta sulle persone, in particolare sui giovani che girano per le strade senza avere una precisa meta; questa visione porta lo scrittore triestino ad una conclusione che potrebbe sembrare fosca, ma a leggerla bene, si ha l'impressione che si tratti di una riflessione consolatoria, visto che secondo Saba il pensiero della morte (cosa generalmente ritenuta orrenda) aiuta a vivere. Sera di febbraio uscì per la prima volta nel volume Ultime cose (1935-1938), Collana di Lugano, Lugano 1944; ora si può leggere in Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1994.
Vincenzo Cardarelli, sia nelle sue prose, che, soprattutto, nelle sue poesie, ha sempre dimostrato particolare interesse per gli argomenti inerenti le stagioni e i mesi dell'anno; la lirica intitolata Febbraio ne è una prova: il mese invernale è in questi versi paragonato ad un ragazzo vivace e dispettoso, il quale c'informa che è in arrivo il "pazzerello" marzo. La lirica citata di Cardarelli fu pubblicata nel volume Poesie, Mondadori, Milano 1948; ora si trova in Opere, Mondadori, Milano 1981.
Di impostazione ermetica è la poesia Febbraio di Leonardo Sinisgalli; consiste in soli tre versi in cui si accenna ad un fischio emesso da un muratore nella primissima mattinata (quando evidentemente inizia a lavorare), questo suono, dice Sinisgalli, "risorge" nel mese di febbraio, precede perciò gli alberi, ancora spogli, che si rinfoltiscono a marzo. La poesia fu inserita da Sinisgalli in La vigna vecchia, Edizioni della Meridiana, Milano 1952, raccolta che ora è possibile rileggere nella nuova edizione pubblicata da San Marco dei Giustiniani nel 2005.
I versi di Luigi Fallacara esprimono una serie di sensazioni nate da particolari condizioni climatiche, che si traducono in ricordi piacevoli. Febbraio è tratta dal volume Il frutto del tempo, Vicenza 1962; è poi stata ripubblicata in Tutte le poesie, Longo, Ravenna 1986.
A Roma, in una fredda sera di febbraio, il poeta Giorgio Vigolo, attratto e affascinato dalla visione della luna nuova, trovandosi in un punto particolarmente suggestivo della città eterna, per pochi istanti vive una vita non sua, fuori del tempo, provando sensazioni meravigliose; però l'illusione dura poco e al poeta torna subito la coscienza di sè stesso e della sua vita vera. Luna di febbraio fa parte della raccolta La luce ricorda, Mondadori, Milano 1967; è una delle Nuove poesie, sezione che chiude il libro e che comprende versi scritti dal poeta romano tra il 1957 ed il 1966.
La poesia di Alfonso Gatto è dedicata ai fiori che annunciano la primavera: le violette; è curioso il fatto di ritrovare, nei versi di questa lirica, il riferimento ad un ragazzo vivace, così come lo era quello di Cardarelli, che batte i piedi e ha i capelli arruffati e mossi dal vento. Le violette di febbraio fu inclusa da Gatto nelle Rime di viaggio per la terra dipinta, libro pubblicato dalla Mondadori di Milano nel 1969. Adesso la si legge in Tutte le poesie, Mondadori, Milano.
Febbraio viene definito "traditore" dalla poetessa Maria Luisa Spaziani che descrive un giorno di scirocco col cielo un po' annuvolato e con un'atmosfera decisamente carnevalesca; solo nel finale si precisa la motivazione dell'aggettivo poco edificante riferito al mese di febbraio: si parla infatti dell'Albero di Giuda (l'apostolo che tradì Gesù), nome volgare del Cercis Siliquastrum la cui caratteristica più bizzarra è che i suoi fiori, di colore rosa o lilla, crescono direttamente sulla corteccia dei rami e del tronco. Febbraio traditore è una delle liriche che compongono la raccolta Transito con catene, Mondadori, Milano 1977; oggi si trova in L'opera poetica, Mondadori, Milano 2012.
Agostino Richelmy nei primi versi di Febbraio fa una attenta descrizione dei rari segni che in questo mese testimoniano l'arrivo futuro della primavera, poi enumera altri segni, quelli che annunciano la fine o, come dice il poeta stesso, la "morte" dell'inverno. La poesia citata si trova nel volume La lettrice di Isasca, Garzanti, Milano 1986; è stata poi inserita, col resto dell'opera in versi di Richelmy, in Poesie, Garzanti, Milano 1992.
 


 
 
FEBBRAIO
di Francesco Chiesa

O valletta! che ancora non è primavera,
e tu di sorridere tenti già! lascia

ch'io riveda com'è quel bel verde che quasi
negli occhi l'immagine più non ne trovo.

Rimirarti, o valletta; raccogliere ad una
ad una le piccole dolci tue cose:

ogni battito delle tue vene, ogni fiato
che mandi, ogni muoversi delle tue ciglia;

ogni minima sillaba del chioccolìo
che fai sotto i lugubri strami, o già sveglia!

Quelle prime tue primole uscite a sentire
se il sole è già tiepido, l'aria men bigia;

quel tuo timido verde inesperto che torna
cercando fra gli aridi ciuffi il sentiero...

Oh, se pure nel pallido inverno mio qualche
strisciuola di tenere erbe venisse!

Que' tuoi salici... Oh, bionde fantasime rosa
rimaste de' tremuli salci d'argento!

Simili, oggi, i tuoi salci alle limpide fiamme
vampanti nel cerulo mazzo domani,

quando lieta nei campi la gente dà fuoco,
cantando, alle stridule foglie ammucchiate...

O valletta, io vorrei que' tuoi vaghi colori
di fiamma raccendere nelle mie notti.

O una rama spiccar di nocciuolo, con quelle
nappine che oscillano senza che s'oda;

e quell'auree nappine sospenderle nelle
mie lunghe e difficili notti a oscillare...
 


 
 
FINE DI FEBBRAIO
di Diego Valeri

Un azzurro nel fosco dischiuso
ricomincia gioia ai miei occhi;
tra nubi una nube che si sfiocchi
basta anch'essa al mio amore illuso;

un barlume d'oro che piova
su zolle nerastre grasse,
è come se ricreasse
il mondo, e aprisse una vita nuova.

Stagione benigna e vivace,
che tutto è attesa e annuncio divino,
e il cuore si crede vicino
al suo vero e alla sua pace.

Domani... domani lo vedremo,
caduta la tenda oscura,
il volto della gioia più pura,
il riso del bene supremo.

(Ma domani sarà la solita festa
di sole, di turchino, di verde,
in cui la vita inebriata si perde...
E dell'anima che cosa resta?)
 


 
 
SERA DI FEBBRAIO
di Umberto Saba

Spunta la luna. Nel viale è ancora
giorno, una sera che rapida cala.
Indifferente gioventù s'allaccia;
sbanda a povere mète.
                                   Ed è il pensiero
della morte che, in fine, aiuta a vivere.
 


 
 
FEBBRAIO
di Vincenzo Cardarelli

Febbraio è sbarazzino.
Non ha i riposi del grande inverno,
ha le punzecchiature,
i dispetti
di primavera che nasce.
Dalla bora di febbraio
requie non aspettare.
Questo mese è un ragazzo
fastidioso, irritante
che mette a soqquadro la casa,
rimuove il sangue, annuncia il folle marzo
periglioso e mutante.
 
 


 
FEBBRAIO
di Leonardo Sinisgalli

Prima che spunti il verde dai rami
ogni anno risorge a mattutino
il fischio del muratore.
 
 


 
FEBBRAIO
di Luigi Fallacara

Odorano le stelle di febbraio
se al crudo del rovaio
il calicanto nella notte esala.

Una goccia di miele,
una goccia di cera
sopra ramaglia nera
chiama l'ape fedele.

Ah, quel filo d'aprile
così saldo ed acuto,
quel profumo sottile
dentro il gelo perduto.

Là nel fondo del tempo al coro, all'eco
delle stagioni mi rapisce il senso
che non succede e reca
memoria della nostra ancor più intensa.

Un profumo, un ricordo,
che in sé vive ignorato,
un respiro, un accordo
alla morte affidato.
 


 
 
LUNA DI FEBBRAIO
di Giorgio Vigolo

Sotto la luna nuova di febbraio,
una lunetta velata, gelata,
erma, sopra i fantastici morioni
della Porta del Popolo e i bastioni
sghimbesci del Muro Torto,

La sera d'improvviso senza un perché
mi versa nel torpido sangue
un filtro di ricordi e desideri.
Amore e sogno mescolati fanno
col timore di morte un elisire
diabolico, per cui già vivo un'altra
vita futura in gioventù fremente,
rinata dalle mie ceneri d'oggi,
e quasi vi dischiudo ali di fuoco.

Ma è breve, delirata fantasia;
già mi ritrovo serrato nel bòzzolo
ansioso di questa esistenza,
cui sarebbe gran gioia una parola
che impedisse al mio cuore di gelare

come la luna remota lassù,
la lunetta velata di febbraio.
 
 


 
LE VIOLETTE DI FEBBRAIO
di Alfonso Gatto

D'un biancore di luce fatta neve
- la neve di febbraio - le violette
svegliano al verde la finestra lieve
che disegna sul poggio le casette

ad una ad una azzurre bianche rosa,
tintinnanti vetrine se alla soglia
batte i piedi un ragazzo, la vogliosa
testa arruffata al vento che l'imbroglia.

Si scopre dal suo ridere nei denti
l'acerba primavera che si scuote
e decide i colori: passa, senti,
la prima bicicletta dalle ruote

fruscianti sul ventaglio della neve.
 
 
 
 

FEBBRAIO TRADITORE
di Maria Luisa Spaziani

Non so quale inquietudine posandosi
a scialle sopra i rami,
sopra le altane che nel vuoto sporgono
come pure i porti insabbiati,
non so che maleficio o ammonimento
o bilico dell'anima
gridano i corvi al baluardo dei platani.
Oggi è scirocco giallo di coriandoli,
già verzica la scorza, in capriole
vanno nubi arlecchine. Incombe nera
solo l'ambigua sonnolenza sua,
del fusto tutto spine, enigma al buio
che il suo vermiglio liquame trasuda,
che ultimo esploderà, sigillo infausto
di primavera, l'albero di Giuda.
 
 
 
 

FEBBRAIO
di Agostino Richelmy

Di scorcio nel pendio
della collina pallida sul lago
non fronde non verdezza.
Solo i nocciuoli
tra i fusticelli diramati all'aria
hanno allungato i ciondoli giallini
e ingemmato il rossore degli stimmi.
Forse così d'incerta pubescenza
trasparve nella prima
età la primavera ermafrodita.
Più in là, dimenticato
al margine dell'acqua,
è un rimasuglio delle nevi. È un putto
addormentato che di giorno in giorno
al sole deperisce.
«Ahi, inverno, tu muori!
(il plurimillenario mio lamento
è d'amore) tu eri
così libero e informe!».
 
 
 

martedì 29 gennaio 2013

Poeti dimenticati: Giuseppe Piazza


Nacque a Messina nel 1882 e morì a Roma nel 1969. Dopo il liceo si trasferì prima a Napoli e poi a Roma per frequentare l'università, nella capitale italiana si laureò in lettere nel 1904. A Roma ritrovò vecchi amici e coetanei come Tito Marrone e Federico De Maria, coi quali condivise la passione poetica. Nel 1903 pubblicò il suo unico volume di versi: "Le Eumenidi", nel quale si dimostrò poeta di matrice classica. Nei successivi anni Piazza continuò a scrivere poesie che in parte pubblicò su riviste anche prestigiose quali "Poesia" e "La Riviera Ligure". Abbandonata definitivamente la poesia si mise in mostra come giornalista, lavorando ad importanti testate tra le quali si ricordano: "Il Giornale d'Italia" e "La Stampa".  



Opere poetiche

"Le Eumenidi", Pierro, Napoli 1903.






Presenze in antologie

"Neoidealismo e rinascenza latina tra Ottocento e Novecento", a cura di Angela Ida Villa, LED, Milano 1999 (pp. 752-771).




Testi

RABBI

Ed io mi ritrarrò co 'l mio fardello
in un deserto de la Galilea;
il cuore mi sarà cibo, l'idea
sonno, cuscini i rovi, il cielo ostello.

Tutto dì, sulla sabbia, arso a 'l flagello
de 'l sol, disegnerò con fissa idea
e mirerò, poi disfarò la rea
faccia de l'uom che mi dirà fratello.

La donna non amata e pure amante
m'aspetterà a 'l confine, e tesserà
tutto dì la sua tela, ahi per disfarla;

a chi «Donna di Magdala, che fa
l'uom di là giù?» di dire abbia sembiante,
sua risposta sarà: «S'arma e non parla.»

(Da "Le Eumenidi")