«La mia immaginazione, che nella giovinezza andava sempre in avanti ed ora va a ritroso, compensa con quei dolci ricordi la speranza che ho perduto per sempre. Non vedo più nulla nell'avvenire che mi tenti, solo ritorni del passato possono lusingarmi, e quei ritorni così vivi e così veri nel periodo di cui parlo mi fanno spesso vivere felice nonostante le mie sventure». Questa frase fa parte delle Confessioni di Jean-Jacques Rousseau e ben rispecchia un preciso pensiero e una particolare visione della vita. Il passato può diventare, per chi non ha un presente particolarmente entusiasmante e per chi non vede nel futuro nulla di positivo, un'ancora di salvezza, il luogo dei ricordi cari, dei bei tempi, dell'inconsapevolezza infantile in cui tornare con l'immaginazione, unica possibile via praticabile, poichè è chiara la coscienza di non poter più rivivere ciò che è indietro nel tempo. Certo, insieme alla nostalgia del passato è facile che ci sia anche del rimpianto, soprattutto perchè chi riconosce i propri errori è pronto anche a confessare che, se potesse tornare indietro nel tempo, in alcune occasioni si sarebbe comportato in maniera diversa, oppure avrebbe fatto delle cose che non fece mai; a questo proposito c'è un passo della poesia Cocotte di Guido Gozzano che rende perfettamente l'idea: «Non amo che le rose / che non colsi. Non amo che le cose / che potevano essere e non sono / state...». Se si riflette su queste parole, si ha la chiara impressione di una deviazione mentale che induce una persona a preferire tutto ciò che riguarda il passato, compreso quello che non è mai esistito, ma che con l'immaginazione si può comunque inventare. Sempre Gozzano, nella famosa poesia L'amica di nonna Speranza, fa un elenco di vecchi oggetti che passeranno alla storia come le "buone cose di pessimo gusto", anche in questo caso c'è un evidente tendenza a ricordare, elencare e rimpiangere una serie di elementi appartenenti al passato che acquistano un valore spropositato nella mente di chi prova immenso piacere nel rievocarli: «Loreto impagliato ed il busto d'Alfieri, di Napoleone, / i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto), / il caminetto un po' tetro, le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro...». Ma quali sono i periodi della vita più rimpianti?, quali sono gli anni che ricordiamo con più nostalgia? Senz'altro il periodo dell'infanzia e quello della gioventù sono ai primi due posti; l'infanzia è certamente un periodo irripetibile della vita, se è possibile per qualcuno vivere una seconda gioventù, è sicuro che nessuno vivrà mai una seconda infanzia. Tra i poeti che spesso nei loro versi rievocano il periodo infantile c'è Giovanni Pascoli, assertore, fra l'altro, della poetica del fanciullino; in Le ciaramelle, poesia appartenente alla raccolta I Canti di Castelvecchio, il poeta emiliano ha la sensazione di rivivere momenti della fanciullezza sentendo suonare da alcuni zampognari, in giorni vicini alle feste natalizie, le ciaramelle, antichi strumenti popolari a fiato, usati soprattutto in occasione del Natale quando, con le ciaramelle e con le zampogne, venivano eseguite le classiche canzoni natalizie: «O ciaramelle degli anni primi, / d'avanti il giorno, d'avanti il vero, / or che le stelle son là sublimi, / conscie del nostro breve mistero; / / che non ancora si pensa al pane, / che non ancora s'accende il fuoco; / prima del grido delle campane / fateci dunque piangere un poco». Anche Giuseppe Ungaretti e Leonardo Sinisgalli in due brevi poesie rimpiangono il periodo infantile: Ungaretti nella poesia Tutto ho perduto dichiara la propria amara consapevolezza di aver perso per sempre l'età più bella e di vivere in un presente assai doloroso: «L'infanzia ho sotterrato / nel fondo delle notti / e ora, spada invisibile, mi separa da tutto. [...] La vita non mi è più, / arrestata in fondo alla gola, / che una roccia di gridi». Non lontana da quest'ultima è la poesia di Sinisgalli, che con poche, bellissime immagini rievoca quell'imparagonabile periodo della vita: «La luce era gridata a perdifiato / le sere che il sole basso / arrossava il petto delle rondini rase». Nell'ultimo verso, indimenticabile per originalità e bellezza, il poeta lucano confessa un quotidiano, nostalgico ritorno con la mente in quell'età lontana: «Ogni sera mi vado incontro a ritroso». Anche Giosue Carducci mostra tutto il suo rimpianto per l'età della puerizia nella sua celebre lirica Davanti San Guido dove, tornato in un luogo molto caro della sua infanzia, il viale alberato tra l'oratorio di San Guido e Bolgheri, s'immagina che i "cipressetti" posti intorno alla strada lo chiamino perchè torni, come usava fare da bambino, a giocare con loro; e il poeta gli risponde che non può più tornare ma lo farebbe molto volentieri, se solo potesse, per rivivere quel tempo meraviglioso: « - Bei cipressetti, cipressetti miei, / fedeli amici d'un tempo migliore, / oh di che cuor con voi mi resterei - / guardando io rispondeva - oh di che cuore! / / Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire: / or non è più quel tempo e quell'età. / Se voi sapeste!... via, non fo per dire, / ma oggi sono una celebrità». Un rimpianto molto sincero e doloroso è quello descritto da Salvatore Quasimodo nella poesia Vento a Tindari che parla della sua infanzia trascorsa in Sicilia come di un tempo mitico, fuori dal tempo, quasi fosse un sogno e non sia invece stato vissuto veramente dal poeta: «Tindari, mite ti so / fra larghi colli pensile sull'acque / dell'isole dolci del dio / oggi m'assali / e ti chini in cuore». Marino Moretti nella poesia Poggiolini rimpiange il periodo passato sui banchi di scuola e in particolare il suo compagno di banco Poggiolini, ma non solo, perchè nel componimento riesce a ricordare con nostalgia l'elenco dei cognomi di molti ex compagni di scuola: «Il registro a cui tutti eran diretti / quando ci interrogavano gli sguardi, / io lo sapevo in mente: Leonardi, / Massari, Mauri, Mengoli, Moretti... / / Il registro coi voti piccolini / nelle caselle dietro i nomi grandi / tu lo sapevi a mente: Nolli, Orlandi, / Ostiglia, Paggi, Poggi, Poggiolini...». Per ricordare un momento o una stagione del passato spesso può essere sufficiente ascoltare una vecchia canzone o, come nel caso della poesia di Guelfo Civinini Una romanza dimenticata, note ormai sbiadite dal tempo che però posseggono un fascino unico per chi, riascoltandole, torna a rivivere un'epoca felice come la gioventù: «una canzone dolce e bizzarra, / parole e musica di primavera, / che accompagnavo con la chitarra / vagabondando con la guerriera / dei miei verd'anni giovin tribù / lungo le siepi della speranza». Voglio chiudere con la poesia più importante: Le ricordanze di Giacomo Leopardi, i cui versi iniziali sono semplicemente grandiosi: «Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea / tornare ancor per uso a contemplarvi / sul paterno giardino scintillanti / e ragionar con voi dalle finestre / di questo albergo ove abitai fanciullo, / e delle gioie mie vidi la fine». Il poeta torna, dopo un'assenza di tre anni, nella casa paterna, a guardare e a parlare con le stelle, così ritornano tutti i ricordi, le speranze, le illusioni e le gioie vissute nell'età infantile e giovanile; ma tutte queste cose oggi non sono più e malinconicamente Leopardi si rende conto di aver perso, con quel periodo felice, la parte migliore della sua vita: «Ahi, ma qualvolta / a voi ripenso, o mie speranze antiche, / ed a quel caro immaginar mio primo; / indi riguardo il viver mio sì vile /e sì dolente, e che la morte è quello / che di cotanta speme oggi m'avanza; / sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto / consolarmi non so del mio destino».
IL RIMPIANTO DEL PASSATO IN DIECI CAPOLAVORI DELLA POESIA ITALIANA
"Le ricordanze" di Giacomo Leopardi, in "Canti" (1831).
"Davanti San Guido" di Giosue Carducci, in "Rime nuove" (1887).
"Le ciaramelle" di Giovanni Pascoli, in "Canti di Castelvecchio" (1903).
"Poggiolini" di Marino Moretti in "Poesie scritte col lapis" (1910).
"L'amica di nonna Speranza" di Guido Gozzano in "I colloqui" (1911).
"Cocotte" di Guido Gozzano, da "I colloqui" (1911).
"Una romanza dimenticata" di Guelfo Civinini, in "I sentieri e le nuvole" (1911).
"Vento a Tindari" di Salvatore Quasimodo in "Acque e terre" (1930).
"La luce era gridata a perdifiato" di Leonardo Sinisgalli, in "Vidi le muse" (1943).
"Tutto ho perduto" di Giuseppe Ungaretti, in "Vita d'un uomo: Il Dolore" (1947).
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