sabato 28 gennaio 2012

Da "Vivere ancora" di Ruth Klüger


Si fece umido, poi molto freddo. Era l'inverno '44-45, che nessuno che fosse ancora in Europa dimenticherà mai. La mattina ci svegliavano con una sirena o un fischietto, e nel buio stavamo in piedi per l'appello. Stare in piedi, stare semplicemente in piedi mi ripugna ancor oggi a tal punto, che a volte esco da una coda e me ne vado quando tocca quasi a me, solo perché non voglio restare in fila un istante di più.




Ruth Klüger nacque a Vienna nel 1931, ed è morta a Irvine, in California, nel 2020. Vivere ancora, che uscì per la prima volta nel 1992, è il primo, struggente romanzo della scrittrice viennese, in cui racconta la sua drammatica vicenda umana, ai tempi in cui fu deportata insieme alla madre, nel 1942, dapprima a Theresienstadt e poi ad Auschwitz; entrambe sopravvissero all’Olocausto e, finita la guerra, si trasferirono negli Stati Uniti, dove Ruth professò l’insegnamento.

Il toccante frammento che ho riportato sopra, proviene dall’edizione italiana di Vivere ancora, pubblicata da Einaudi, in Torino nel 1992 (il frammento si trova nella riedizione del 1995, a pagina 145).



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