venerdì 15 giugno 2012

Il viaggio definitivo

...E me ne andrò. E resteranno gli uccelli
a cantare;
e resterà il mio giardino, col suo verde albero
e col suo pozzo bianco.
Tutte le sere, il cielo sarà azzurro e placido;
e suoneranno, come suonano stasera,
le campane del campanile.
Moriranno quelli che mi amarono;
e il paese rinnoverà di gente ogni anno;
e nell'angolo, là, del mio giardino fiorito e incalcinato,
vagherà, nostalgico, il mio spirito...
E me ne andrò; e sarò solo, senza casa, senz'albero
verde, senza pozzo bianco,
senza cielo azzurro e placido...
E resteranno gli uccelli a cantare.


(Juan Ramon Jiménez)
Da "Poeti del Novecento italiani e stranieri", Einaudi, Torino 1960





È una bellissima poesia di Juan Ramon Jiménez incentrata sulla morte e sulla vita. La morte che sancisce la perdita di tutto ciò che abbiamo: dei nostri luoghi cari, delle persone che ci hanno amato; per questo il poeta s'immagina, avvenuto il trapasso, che il suo spirito vaghi, inconsolabilmente solo, nel suo giardino fiorito, accorgendosi che oramai è morta tutta la gente da lui conosciuta, perché la vita va avanti inesorabilmente, e le generazioni si susseguono. È, in sostanza, un'amara constatazione: ciò che a noi fu più caro e prezioso scomparirà per sempre con la nostra dipartita e nulla rimarrà oltre ai luoghi che ci videro vivere, gioire ed amare. Un altro poeta, Camillo Sbarbaro, ribadisce il medesimo concetto in questi versi tratti da un'altra splendida poesia: «Di ciò che abbiam sofferto / di tutto ciò che in vita ebbimo a cuore / non rimarrà il più piccolo ricordo».




martedì 12 giugno 2012

La poesia di Carlo Michelstaedter



Carlo Michelstaedter (Gorizia 1887 - ivi 1910) è stato un illustre filosofo e anche un ottimo poeta pur non avendo mai pubblicato volumi di versi nella sua breve vita. Le sue poche liriche uscite postume le scrisse per esigenza personale e senza l'intenzione di renderle note al pubblico; si pongono perciò come una sorta di diario intimo, privato, destinato forse ai soli amici più stretti e alle donne amate. Oggi i versi di Michelstaedter è possibile leggerli nel volume "Poesie" della Adelphi (è uscito per la prima volta nel 1987 ed è stato più volte ristampato). Sfogliando il libro citato si capisce che le poesie dello scrittore friulano hanno molta attinenza col suo pensiero filosofico e poca col clima letterario dei suoi tempi. I temi sono spesso riconducibili all'amore e alla morte: due ossessioni, si potrebbe dire, per Michelstaedter, e ciò appare più evidente leggendo la splendida poesia "Il canto delle crisalidi". Si nota poi un'attenzione particolare per gli eventi stagionali che fanno da spunto al poeta per esprimere più chiaramente i suoi stati d'animo e la sua energia interiore. Si trovano anche elementi che ricordano la malinconia e il pessimismo leopardiano, soprattutto quando Michelstaedter medita sul significato della vita. Ricorrenti sono le immagini dei paesaggi marini e del mare, che, come al solito, suggeriscono a Michelstaedter profonde riflessioni sull'esistenza e sul trapasso. Oggi, a più di cento anni dalla scomparsa del filosofo goriziano, è il caso di considerare Michelstaedter come uno dei migliori poeti del XX secolo, poiché i suoi versi posseggono una sincerità, una profondità di sentimenti e una maestria raramente riscontrabili in altri poeti del suo tempo, dai quali si allontana anche e soprattutto perché la sua poesia possiede il requisito essenziale dell'atemporalità, che la rende immortale e estranea a qualunque tipo di moda o tendenza.
 

 
Opere poetiche di Carlo Michelstaedter
"Scritti (volume I)", Formiggini, Roma 1912.
"Poesie", Adelphi, Milano 1987.
 
 
Presenze in antologie
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 286-287).
"Lirica del Novecento. Antologia di poesia italiana", a cura di Luciano Anceschi e di Sergio Antonielli, Vallecchi, Firenze 1953 (pp. 101-106).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 519-522).
"Poeti italiani del XX secolo", a cura di Alberto Frattini e Paolo Tuscano, La Scuola, Brescia 1974 (pp. 106-116).
"Poesia italiana del Novecento", a cura di Piero Gelli e Gina Lagorio, Garzanti, Milano 1980 (vol. I, pp. 245-254).
"Poesia italiana del Novecento", a cura di Elio Pecora, Newton Compton, Roma 1990 (pp. 99-104).
"Poesia del Novecento italiano. Dalle avanguardie storiche alla seconda guerra mondiale", a cura di Niva Lorenzini, Carocci, Roma 2002 (pp. 83-85).
 

 
Testi
IL CANTO DELLE CRISALIDI

Vita, morte,
la vita nella morte;
morte, vita,
la morte nella vita.

Noi col filo
col filo della vita
nostra sorte
filammo a questa morte.

E più forte
è il sogno della vita -
se la morte
a vivere ci aita

ma la vita
la vita non è vita
se la morte
la morte è nella vita

e la morte
morte non è finita
se più forte
per lei vive la vita.

Ma se vita
sarà la nostra morte
nella vita
viviam solo la morte

morte, vita,
la morte nella vita;
vita, morte,
la vita nella morte. -

(da "Poesie")


domenica 10 giugno 2012

Poeti dimenticati: Luigi Donati

Luigi Donati nacque a Lugo di Romagna nel 1870 e vi morì nel 1946. Giornalista, scrittore e bibliotecario, si interessò dell'opera poetica del suo corregionale Giacinto Ricci Signorini, curandone anche l'edizione postuma delle poesie e delle prose. Amico di Gian Pietro Lucini che scrisse una prefazione alla sua opera poetica più significativa: Le Ballate d'Amore e di Dolore (1897), fece parte di un cenacolo di poeti che per primi introdussero in Italia la poetica del simbolismo. I versi di Donati mostrano alcuni elementi neoromantici, pascoliani e decadenti.
 
 
Opere poetiche"Tentativi", Seraglio, Siracusa 1893.
"Le Ballate d'Amore e di Dolore", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1897.
"Poesia di Passione. La Grazia", Zanichelli, Bologna 1928.
 
 
Presenze in antologie"Il Verso Libero", Edizioni di "Poesia", Milano 1908 (pp. 630-632).

"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (Vol. 1, pp. 86-90; vol. 2, pp. 108-109; vol 3, p. 95).
 
 
Testi
DOLOROSA

Come il vento fra i rami di cipresso,
Piange talvolta l'anima nel verso
Ch'io nell'enigma della vita immerso
Plasmo fra i dubbi da cui sono oppresso.

Piange, né ad essa valgono i conforti
Della fede i sorrisi del pensiero
Tuttora illuso da un gentil miraggio...
Ahi, voti onesti un dì ben saldi, or morti
E chiusi in qualche ignoto cimitero,
Unica meta al mio triste viaggio:
Voi siete i fior divelti in pieno maggio
Dall'anima che omai nega ogni cosa
E piange una ballata dolorosa,
Come il vento fra i rami di cipresso.

(Da "Poesia di Passione")

venerdì 8 giugno 2012

Il bambino (o fanciullo) nella poesia italiana decadente e simbolista

La simbologia del fanciullo è spesso collegata ad un concetto di purezza, d'ingenuità, di semplicità e di speranza; non mancano però altri tipi di simboli che fanno riferimento al bambino, il quale, in alcuni casi, viene identificato col mondo (in Onofri per esempio) oppure con "un mondo" ovvero con la realtà tutta personale e straordinaria che riesce a percepire soltanto il fanciullo, sorta di essere dai poteri sensoriali enormemente sviluppati e dotato di un'immaginazione fantastica che gli permette di cogliere e immagazzinare elementi sconosciuti dell'universo, inaccessibili agli adulti. Se però si parla di poesia crepuscolare, il bambino o, meglio, l'infanzia diviene il periodo maggiormente rimpianto del passato, perché privo di tristezza e colmo di spensieratezza.
 

 
Poesie sull'argomento

Paolo Buzzi: "I bimbi" in "Aeroplani" (1909).
Carlo Chiaves: "Inquietudine" in "Sogno e ironia" (1910).
Guelfo Civinini: "Il poeta fanciullo" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Sergio Corazzini: "Il fanciullo" in "Le aureole" (1905).
Federico De Maria: "Il bimbo" in "La Leggenda della Vita" (1909).
Willy Dias: "La bambola e la bimba" in «Poesia», novembre 1908.
Giulio Gianelli: "La fiaba" in «Riviera Ligure», luglio 1911.
Enzo Marcellusi: "I fanciulli" in "Il giardino dei supplizi" (1909).
Nicola Marchese: "Infanzia" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone: "Un fanciullo" in "Liriche" (1904).
Giovanni Pascoli: "Il fanciullo" in "Pensieri e dicorsi" (1907).
Fausto Salvatori, "Il bel putto che stringe fra le bracia" in "In ombra d'amore" (1929).
G. A. Sanguineti: "Vertigine" in "La cicuta" (1911).
Francesco Scaglione: "I fanciulli vecchi" in "Le Litanie" (1911).
Emanuele Sella: "Il Sogno" in "Rudimentum" (1911).
Domenico Tumiati: "L'amorino" e "La Bambina delle spine" in "Musica antica per chitarra" (1897).
 


Testi
 
IL FANCIULLO
di Giovanni Pascoli

Il nome? Il nome? L'anima io semino,
ciò ch'è di bianco dentro il nocciolo,
    che in terra si perde,
        ma nasce il bell'albero verde.

Non lauro e bronzo voglio; ma vivere;
e vita è il sangue, fiume che fluttua
    senz'altro rumore,
        che un battito, appena, del cuore.


Nei cuori, io voglio, resti un mio palpito,
senz'altro vanto che qual d'un brivido
    che trema su l'acque,
        fa il sasso che in fondo vi giacque.

Nell'aria, io voglio, resti un mio gemito:
se l'assiuolo geme voglio essere
    tra i salci del rio
        anch'io, nelle tenebre, anch'io.


Se le campane piangono piangono,
io nelle opache sere invisibile
    voglio essere accanto
        di quella che piange a quel pianto.


Io poco voglio; pur, molto: accendere
io su le tombe mute la lampada
    che irraggi e conforti
        la veglia dei poveri morti.


Io tutto voglio; pur, nulla: aggiungere
un punto ai mondi della Via Lattea,
    nel cielo infinito;
        dar nuova dolcezza al vagito.


Voglio la vita mia lasciar; pendula
ad ogni stelo, sopra ogni petalo,
    come una rugiada
        ch'esali dal sonno, e ricada


nella nostr'alba breve. Con l'iridi
di mille stille sue nel sole unico
    s'annulla e sublima...
        lasciando più vita di prima.


(Da "Pensieri e discorsi")

giovedì 7 giugno 2012

Sotto i colpi

C'è gente che ci passa la vita
che smania di ferire:
dov'è il tallone gridano dov'è il tallone,
quasi con metodo
sordi applicati caparbi.

Sapessero
che disarmato è il cuore
dove più la corazza è alta
tutta borchie e lastre, e come sotto
è tenero l'istrice.



Questa poesia di Nelo Risi fa parte del volumetto "Pensieri elementari" (Mondadori, Milano 1961) ed è una delle più profonde e più belle liriche del poeta milanese. Il testo, nella sua prima parte, parla del gusto, si direbbe sadico, che prova molta gente nel colpire il suo prossimo per farlo soffrire nel modo più crudele possibile; cercano, per tale motivo, di individuare il "tallone d'Achille" sì da poterlo ferire mortalmente. Nella seconda parte Risi invita ad una riflessione riguardo alla fragilità che accomuna più o meno tutti gli esseri umani, malgrado alcuni di loro esibiscano certi comportamenti atti a nascondere, con una palese dimostrazione di forza e di invulnerabilità, la presenza più che mai marcata di debolezza, nascosta strenuamente ostentando una falsa personalità tutta piena di atteggiamenti aggressivi; esattamente come fa l'istrice che per non essere attaccato si chiude entro la sua pungente corazza.
 

mercoledì 6 giugno 2012

Antologie: "Dagli Scapigliati ai Crepuscolari"

"Dagli Scapigliati ai Crepuscolari" è un vero e proprio volume enciclopedico stampato nel 2000 a Roma dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Trattasi di un'antologia poetica realizzata dal critico letterario Gabriella Palli Baroni e dal poeta Attilio Bertolucci che fa parte della collana "Cento libri per Mille anni". Nelle 1082 pagine del volume sono presenti versi scelti di 29 poeti italiani attivi tra il 1861 e il 1924. Un sessantennio che, come fa intendere il titolo dell'opera, parte dalla nascita del movimento letterario definito "Scapigliatura" (nel 1861 uscì la prima raccolta poetica di Emilio Praga, poeta scapigliato per eccellenza), e giunge fino al completo esaurimento della cosiddetta poesia crepuscolare. Se si vanno a leggere i nomi di tutti i poeti compresi dai curatori, certo si noterà l'assenza della triade più importante della poesia italiana, per quel che riguarda il periodo compreso tra il secondo Ottocento e i primi dieci anni del Novecento: Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Gabriele D'Annunzio; ma il motivo è spiegato dal fatto che, almeno ai primi due, è stato dedicato un volume autonomo all'interno della collana stessa. Altra cosa che salta all'occhio è la particolare attenzione riservata a due poeti: Guido Gozzano e Sergio Corazzini; i massimi esponenti della poesia crepuscolare sono infatti qui rappresentati da un largo numero di poesie, decisamente maggiore rispetto a tutti gli altri. Si nota poi con piacere la presenza, in quest'antologia, di poeti che in tempi recenti sono stati sempre ignorati: parlo di Luigi Gualdo, Luisa Giaconi, Ada Negri, Giovanni Cena, Pietro Mastri, Angiolo Silvio Novaro e Nicola Moscardelli. Se è vero che i versi di costoro non rappresentino un sostanziale rinnovamento della poesia italiana, è anche vero che la loro qualità, se non eccelsa, è sicuramente più che buona; per questo è ingiusto, a mio avviso, non considerarli affatto, sia che si parli di lirica del XIX secolo che di quella del Novecento. Riguardo alle esclusioni invece, qualche perplessità può nascere nel non trovare alcuni crepuscolari piuttosto importanti come Carlo Vallini e Giulio Gianelli, così come altri poeti vicini al crepuscolarismo (Guelfo Civinini e Francesco Gaeta per esempio); anche l'assenza di alcuni poeti minori del secondo Ottocento come Domenico Gnoli, Enrico Panzacchi e Adolfo De Bosis in parte dispiace. Non si può discutere sul fatto che, comunque la si pensi circa i nomi selezionati, questa antologia sia tra le migliori pubblicate nell'ultimo ventennio: sia considerando la struttura, sia la scelta delle poesie e sia anche l'aspetto. Un libro insomma molto elegante e raro, da leggere, rileggere e conservare con la massima cura. Ecco i nomi dei poeti presenti in "Dagli Scapigliati ai Crepuscolari".




 



Emilio Praga, Arrigo Boito, Igino Ugo Tarchetti, Giovanni Camerana, Vittorio Betteloni, Luigi Gualdo, Remigio Zena, Contessa Lara, Olindo Guerrini, Pompeo Bettini, Arturo Graf, Sergio Corazzini, Amalia Guglieminetti, Guido Gozzano, Carlo Chiaves, Fausto Maria Martini, Luisa Giaconi, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Ada Negri, Giovanni Cena, Pietro Mastri, Nicola Moscardelli, Angiolo Silvio Novaro, Mario Novaro, Diego Valeri, Nino Oxilia, Marino Moretti, Corrado Govoni, Aldo Palazzeschi.

domenica 3 giugno 2012

Da "L'idiota" di Fjodor Dostojevskij

Davanti a sé vedeva il cielo limpidamente azzurro, sotto di sé il lago, intorno l'orizzonte luminoso, senza principio né fine. Ed egli contemplava tutto ciò con l'anima torturata. Ora si ricordò come tendeva le braccia verso quell'azzurro risplendente e lontano e piangeva. Si sentiva estraneo a quella magnificenza, e ne soffriva. Che cos'era quel banchetto, quella continua festa immensa, che durava eternamente e alla quale si sentiva attratto da gran tempo, fin dalla prima infanzia, senza mai potervi prendere parte in alcun modo? Ogni mattina spunta lo stesso sole luminoso; ogni mattina, sulla cascata, s'incurva l'arcobaleno; ogni sera, laggiù, all'estremo limite del firmamento, si accende di una fiamma purpurea la cima del monte più alto, coperta di neve; ogni «piccolo moscerino che continua a ronzare intorno a lui in un raggio di sole partecipa a quel coro festoso, vi ha il proprio posto, lo ama ed è felice», ogni fuscello cresce ed ha la sua parte di felicità! Ogni essere, ogni cosa ha il suo sentiero ben tracciato, che percorre tra i canti; egli solo non sa nulla, non capisce nulla, è estraneo agli uomini, estraneo ai suoni, a tutto, è un rinnegato della natura.

(Da "L'Idiota" di Fjodor Dostojevskij, Mursia, Milano 1962, pp. 543-544)