venerdì 10 febbraio 2012

Da "Memorie di un pazzo" di Gustave Flaubert

Oh! fui davvero un sognatore da fanciullo, un povero folle senza idee chiare, senza opinioni solide! Guardavo l'acqua scorrere tra le macchie arboree che chinano la loro chioma di foglie e lasciano cadere fiori, contemplavo dal mio lettino la luna sul suo fondo azzurro che illuminava la mia camera e profilava strane forme sulle pareti; provavo vere e proprie estasi dinanzi a un bel sole o a un mattino di primavera, con la sua nebbia candida, i suoi alberi fioriti, le sue margherite sbocciate.

(Gustave Flaubert, "Memorie di un pazzo", Newton Compton, Roma 1996, p. 28)

giovedì 9 febbraio 2012

Illusa gioventù

O gioventù, innocenza, illusioni,
tempo senza peccato, secol d'oro!
Poi che trascorsi siete
si costuma rimpiangervi
quale un perduto bene.

Io so che foste un male.
So che non foco, ma ghiaccio eravate,
o mie candide fedi giovanili,
sotto il cui manto vissi
come un tronco sepolto nella neve:
tronco verde, muscoso,
ricco di linfa e sterile.
Ora che, esausto e roso,
sciolto da voi percorsi in un baleno
le mie fiorenti stagioni
e sparso a terra vedo
il poco frutto che han dato,
ora che la mia sorte ho conosciuta,
qual essa sia non chiedo.
Così rapida fugge la vita
che ogni sorte è buona
per tanto breve giornata.
Solo di voi mi dolgo, primi inganni.


(da "Opere" di Vincenzo Cardarelli)
 

La gioventù è considerata come uno dei periodi più belli della vita umana, così ricca di intense e sincere passioni, di facili illusioni, d'entusiasmi e di vigore. Ma soprattutto la gioventù risulta sovente colma di speranze per il futuro; visto che la vita è ancora quasi tutta davanti, càpita spesso in giovane età di pensare che lungo il cammino dell'esistenza ci saranno sorprese meravigliose e impensabili. Vista da lontano, come spiega in questa poesia Cardarelli, ci si mostra nella sua reale fattezza, e può succedere che non ci riconosciamo più in quella persona che eravamo da giovani, o che non ci piacciano più le cose in cui credevamo, quello che facevamo e pensavamo. Constatiamo poi che il tempo è fuggito velocemente e le promesse della giovinezza non sono state mantenute. Rimane però, al di là di tutto, il rimpianto di quell'irripetibile periodo della nostra esistenza.
 

La villa chiusa


LA VILLA CHIUSA

Chiusa è la villa, chiusa immezzo al verde
del giardino diserto, ove traligna
ogni arbusto: tra fior spunta gramigna
folta, e li avvince, soffoca, disperde.

Or, poi che vien con sue dolcezze il Maggio,
poi che la terra tutta è in fiore, è in festa,
nel raggio che lo avvolge e lo ridesta,
anche il giardino si fa più selvaggio.

Mescon le aiuole i fior, gli alberi i rami
intralcian, con sì stretto allacciamento,
che sgiungerli non può forza di vento:
più verde cresce l'erba in su gli strami.

La glicinia s'allunga, con la fronda,
dai cancelli a la casa; e qua s'appiglia
ai balconi, pei muri s'attorciglia
e corona di fior tutta la gronda.

Così la villa del mio sogno, chiusa
fra tanta grazia, in un incanto è avvolta,
e quei che sosta e scruta avido e ascolta,
tutto di sé, del suo mister ricusa.

Io fantastico in un mio sogno intento.
non dorme la fanciulla in tra le mura?
non forse il cavalier senza paura
verrà a destarla da l'incantamento?
 
 
"La villa chiusa" è una delle poesie incluse nell'unica raccolta di versi di Carlo Chiaves (1882-1919) che uscì nel 1910 col titolo di "Sogno e ironia". L'argomento della villa chiusa e abbandonata è costante in certa poesia di gusto decadente e simbolista; per rimanere alla sola Italia, si potrebbero citare a tal proposito i nomi di Luigi Gualdo, Cosimo Giorgieri-Contri, Guelfo Civinini e Corrado Govoni, i quali nelle loro poesie, hanno più di una volta parlato di ville, case, palazzi spesso in rovina o comunque in abbandono, magari circondati da vasti giardini o da parchi, anch'essi in stato di degrado. Il significato intrinseco di questi soggetti va riferito sia al rimpianto di un passato felice (nel caso della poesia sopra riportata è il periodo infantile) sia alla figurazione dell'anima: un'anima disperata o almeno intristita, che l'edificio in rovina ben rappresenta.

mercoledì 8 febbraio 2012

Poeti dimenticati: Valerio Abbondio

Valerio Abbondio nacque ad Ascona nel 1891 e morì a Minusio nel 1958. Poeta ticinese, si laureò in Lettere a Friburgo per poi professare l'insegnamento fino a sessant'anni. Collaborò alla rivista "Pagine nostre" e pubblicò vari volumi di versi in cui si rileva, soprattutto nelle prime poesie, un intimismo nei temi e un classicismo nella forma; nelle opere della maturità la lirica di Abbondio tende maggiormente alla brevità ed alla musicalità.
 
 
Opere poetiche
"Betulle", Libreria Arnold, Lugano 1922.
"L'eterna veglia", Grassi e Co, Lugano 1928.
"Campanule", I. E. T., Bellinzona 1932.
"Il mio sentiero", I. E. T., Bellinzona 1936.
"L'intimo cielo", Tip. Ed. S. A., Lugano 1940.
"Silenzi", Melisa, Lugano 1943.
"Cerchi d'argento", Melisa, Lugano 1944.
"Cuore notturno", Mazzucconi, Lugano 1947.
 





Presenze in antologie
"Adunata della poesia", seconda edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. 17-18).
"Antologia della Poesia Italiana Cattolica del Novecento", UPSCI, Roma 1959 (271-272).
"Cento anni di poesia nella Svizzera italiana", Seconda edizione, a cura di Giovanni Bonalumi, Renato Martinoni e Pier Vincenzo Mengaldo, Arnoldo Dadò, Locarno 1997 (pp. 81-91).

martedì 7 febbraio 2012

L'alba nella poesia decadente e simbolista italiana

Se è vero che, parlando in generale, nell'arte l'alba ha avuto spesso il significato di una rinascita spirituale, nella poesia decadente e simbolista italiana ciò non sempre equivale a realtà; analizzando alcune poesie sull'argomento, ecco per esempio "Alba festiva" di Giovanni Pascoli, dove il poeta descrive il suono di più campane che, a seconda del loro timbro, vogliono simboleggiare la fede, il desiderio e la morte. Piena di simboli oscuri è "La visitazione" di Gabriele D'Annunzio. In "Su l'alba" di Alessandro Giribaldi ci sono messaggi misteriosi e visioni; in una poesia di Italo Dalmatico si parla di uomini che osservano la luce dell'alba con speranza e riverenza. In "Alba d'inverno" di Antonino Anile c'è un paesaggio spettrale che suscita pensieri sinistri e funerei. Triste è infine l'atmosfera di "Un riso nell'alba" di Guelfo Civinini dove i malati agonizzanti, sul fare dell'alba, hanno una illusoria speranza di guarigione.
 
 
Poesie sull'argomento
Antonino Anile: "Alba d'inverno" in "Poesie" (1921).
Enrico Cavacchioli: "All'alba" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Alba lunare" in "Poesie" (1912).
Guelfo Civinini: "Un riso nell'alba" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Gabriele D'Annunzio: "La visitazione" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Italo Dalmatico: "Alba. E si spera..." in "Juvenilia" (1903).
Luisa Giaconi: "L'alba" in "Tebaide" (1909).
Cosimo Giorgieri Contri: "Alba montana" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Alessandro Giribaldi: "Su l'alba" in "I canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Corrado Govoni: "L'alba" e "Alba" in "Gli aborti" (1907).
Tito Marrone: "Alba" in "Cesellature" (1899).
Fausto Maria Martini: "Consiglio dell'alba" in "Poesie provinciali" (1910).
Pietro Mastri: "L'alba, una vasta ondata" in "L'arcobaleno" (1900).
Nino Oxilia: "Alba che sorgi, salute!..." in "Canti brevi" (1909).
Enrico Panzacchi: "Sub galli cantum" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "Alba festiva" in "Myricae" (1900).
Alice Schanzer: "Alba in Valdarno" in "Motivi e canti" (1901).
Diego Valeri: "Alba" in "Crisalide" (1919).
Alessandro Varaldo: "L'alba" in "Marine liguri" (1898).
Giuseppe Villaroel: "Elegia del Risveglio" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).
 
 
Testi
SU L'ALBA

Stanotte – su l'alba – dormivo
una fiorita di sogni...
Un sonno leggero; e sentivo
battere su la finestra.

Chi batte? Chi batte? Sei tu?
Sei tu, mia pensosa?
Sei tu (le tue dita di rosa?)
che vieni a trovarmi quassù?

Discesi - con gli occhi nel sogno –
dal letto, cercando su i vetri
l'amore... e il tuo volto.
Non c'eri. Mi posi in ascolto.

Ancora? Chi batte? Non c'eri...
Ma c'era un verdone, sperduto
anch'esso nell'ombra. – Che cerchi?
Rispose: ti porto un saluto.

Ti porto un sospiro, da lungi,
ti porto una lacrima, un bacio.
La vidi: guardava sul mare...
diceva: non giungi, non giungi?

(Da "I canti del prigioniero e altre liriche" di Alessandro Giribaldi)

lunedì 6 febbraio 2012

Cinque epigrammi sull'inverno

Esorcizzare la stagione invernale con 5 epigrammi spiritosi: questo è un tentativo per rendere meno crudele e maggiormente accattivante questo periodo dell'anno particolarmente difficile per svariati motivi. E che l'inverno possa passare in un baleno!



L'INVERNO
Di Giovanni Gherardo De Rossi

Da quel foco ti scosta, in questa face
assai più dolce troverai calore,
disse all'Inverno Amore.
Ma il vecchio replicò: lasciami in pace,
so quanto all'età mia debile e frale
la tua fiamma è fatale.
 
 


PRESO DAL FREDDO...
di Giacomo Leopardi

Preso dal freddo, Empedocle gittossi
nell'Etna ardente: una simil pazzia
forse in estate fatta non avria.
 


 
LE STAGIONI
di Renato Fucini

Dicea la Primavera: «Io porto amore
e ghirlande di fiori e di speranza».
Dicea l'Estate: «Ed io, col mio tepore,
scaldo il seno fecondo dell'abbondanza».
Dicea l'Autunno: «Io spando a larga mano
frutti dorati alla collina e al piano».
Sonnecchiando, dicea l'Inverno annoso:
«Penso al tanto affannarvi, e mi riposo».
 


 
OGGI CH' È IL SEI
di Ernesto Ragazzoni

Oggi ch'è il sei
Dio degli Dei,
è Santa Brigida,
giornata rigida...
e... vilipendio,
non c'è stipendio!...
 


 
BREVE STORIA
di Leonardo Sinisgalli

Piovve tutto l'inverno quell'anno
di scuola, di chiesa, di cortile.
A quell'età bisognava morire.

domenica 5 febbraio 2012

Le acque ferme nella poesia decadente e simbolista italiana

Le acque ferme, spesso rappresentate nella poesia simbolista dalla palude e, più raramente, dallo stagno, simboleggiano una situazione esistenziale statica, di totale immobilità. Questa situazione di stasi è in genere portatrice di sventura che si materializza soprattutto in malattia (e esistevano ancora, un centinaio di anni fa, in alcune zone palustri della penisola, molti casi di febbre e di malaria), la quale, conseguentemente, è causa di morte. Non trascurabile è anche il riferimento ad una regressione individuale; c'è infine da tener presente anche un altro aspetto: l'acqua ferma può far da specchio a chi si sporge verso di essa, ecco perciò spiegati alcuni rimandi allo specchio e quindi al proprio inconscio.
 
 
Poesie sull'argomento
Alfredo Baccelli: "Palude romana" in "Poesie" (1929).
Giovanni Camerana: "Maremma" in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli: "Il pozzo" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Francesco Cazzamini Mussi: "Lo stagno" in "I Canti dell'adolescenza (1904-1907)" (1908).
Gabriele D'Annunzio: "Nella belletta" in "Alcyone" (1904).
Cosimo Giorgieri Contri: "Argine del Brenta" in "Mirti in ombra" (1913).
Alessandro Giribaldi: "Giglio Solitario" in "Il 1° libro dei trittici" (1897).
Guido Gozzano: "Domani" in "Il Piemonte", dicembre 1904.
Arturo Graf: "All'acqua morta" in "Le Rime della Selva" (1906).
Marco Lessona: "Stagno" in "Versi liberi" (1920).
Giuseppe Lipparini: "Al pozzo" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).
Mario Malfettani: "Lo Stagno" in "Il 1° libro dei trittici" (1897).
Remo Mannoni: "La palude" in «Marforio», luglio 1903.
Marino Marin: "I riflessi de l'acqua" in "Il Marzocco", luglio 1897.
Marino Marin: "Le acque rettili" in «Nuova Antologia», luglio 1903
Pietro Mastri: "L'acqua e la stella" in "L'arcobaleno" (1900).
Nino Oxilia: "Col tremolante ventre al sole..." in "Canti brevi" (1909).
Salvatore Quasimodo: "Acquamorta" in "Notturni del re silenzioso" (1989).
Antonio Rubino: "Accidia palustre" in "Versi e disegni" (1911).
Giovanni Tecchio: "Palude" in "Canti" (1931).
 
 
Testi
PALUDE ROMANA

Su la deserta vetustà degli archi
in rosso foco il vespero s'indugia:
nel piano brullo, interminato, stagna
plumbea palude.

Di fra le canne fischia 'l piviere:
gracchia la rana da le verdi muffe:
di malta e strame, povere capanne
sorgono a ripa.

Lividi aspetti, misere parvenze:
lungi, la mandra di lunate corna
il cavalcante bùttero compone,
pungendo a tergo.

Ultimo un colpo dalla caccia s'ode,
mentre la notte desolata cala.
Batte la Febbre a l'umide capanne:
la Morte passa.

(Da "Poesie" di Alfredo Baccelli)