Ciò dice la pioggerellina
Scampoli di letteratura dell'Ottocento e del Novecento, poeti dimenticati, vecchie antologie e altro ancora.
martedì 6 marzo 2012
Che dice la pioggerellina di marzo?
Ciò dice la pioggerellina
lunedì 5 marzo 2012
L'anima nella poesia italiana decadente e simbolista
Poesie sull'argomento
Alfredo Catapano: "Anima" in "Dai Canti" (1929).
Giovanni Cena: "Nox" in "In umbra" (1899).
Girolamo Comi: "L'anima esilia, e sopra il rogo esterno" in "Lampadario" (1912).
Sergio Corazzini: "Invito" in "L'amaro calice" (1905).
Sergio Corazzini: "L'anima" in "Le aureole" (1905).
Auro D'Alba: "Pausa" in "Baionette" (1915).
Italo Dalmatico: "Le notti, allor che il lume de le stelle" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio: "Esortazione" in "Poema paradisiaco" (1893).
Guglielmo Felice Damiani: "L'abisso" e "Invito" in "Lira spezzata" (1912).
Adolfo De Bosis: "Poi che solinga l'anima..." e "Anima errante" in "Amori ac Silentio e Le rime sparse" (1914).
Luigi Donati: "L'Anima" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Luisa Giaconi: "L'anima e il sogno" in «L'Idea Liberale», giugno 1895.
Luisa Giaconi: "L'offerta" e "Aneliti" in "Tebaide" (1912).
Alessandro Giribaldi: "L'anima" in "Domenica Letteraria", luglio 1897.
Domenico Gnoli: "La basilica" in "Fra terra e astri" (1903).
Corrado Govoni: "Passeggiata dell'anima convalescente", "Anime sotto vetro" e "Le anime" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "Anima" in "Poesie elettriche" (1911).
Arturo Graf: "Mare interno" e "Pittura interiore" in "Medusa" (1990).
Giorgio Lais: "Canto autunnale" in "Gens Nova", XXIX, 1905.
Giuseppe Lipparini: "Carmen Sylva" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Enzo Marcellusi: "La mia anima è un vecchio muro" in "I canti violetti" (1912).
Marino Marin: "Come l'oceano l'anima..." in "Sonetti secolari" (1896).
Fausto Maria Martini: "Il rosario dell'anima" in "Panem nostrum" (1907).
Marino Moretti: "Dove sei?" in "Poesie scritte col lapis" (1910).
Arturo Onofri: "Dagli scoscendimenti dei tuoi cupi" in "Aprirsi fiore" (1935).
Francesco Pastonchi: "Le tre sorelle" in "Belfonte" (1903).
Guido Pereyra: "Ci sono in fondo all'anima mia degli esseri morti" in "Il Libro del Collare" (1920).
Romolo Quaglino: "Le due anime" in "Dialoghi d'Esteta" (1899).
Raffaele Salustri: "S. Paolo" in "Poesie" (1891).
Emanuele Sella: "Fuor della storia" in "Monteluce" (1909).
Alberto Tarchiani: "Amen" in "Piccolo libro inutile" (1906).
Federigo Tozzi: "Allegoria" in "La zampogna verde" (1911).
Alfredo Tusti: "Invocazione" in "Capitan Fracassa", settembre 1903.
Alessandro Varaldo: "Anima senti. Ne la dubia aurora" in "Marine liguri" (1898).
Mario Zarlatti: "La Vittoria" in "La Gioventù Lucana", marzo 1904.
Remigio Zena: "Non toccarmi: sono Anima..." in "Le Pellegrine" (1894).
Testi
VI. 1
di Marino Marin
Come l'oceano, l'anima è un perenne
alternarsi di calme e di procelle,
di luce e d'ombra: i fulmini e le stelle
solcan la superficie ampia e solenne.
E, come in un oceano, erte le antenne
d'oro, passan ne l'anima le snelle
flotte de' sogni: e contro a i massi e in quelle
onde più d'un naviglio a finir venne.
Una maravigliosa isola ride
lungi: ma non vi ammaina alcuna vela:
umano occhio o pensier mai non la vide;
Invano al mar, che a' verdi lidi anela,
tendon le braccia le fallaci Armide;
il mar non reca che la sua querela.
(da "Sonetti secolari")
domenica 4 marzo 2012
De tranquillitate animi
Anch’io, come un po’ tutti gli esseri umani, ho pensato tante volte al momento del trapasso, a come sarebbe stato quello delle persone che avevo più care e, soprattutto, quale tipo di morte sarebbe toccata a me. Ho letto anche tante poesie su questo tragico argomento (mi piacquero, tra gli altri, alcuni versi di Guido Gozzano e di Cesare Pavese); quindi, in questa prosa poetica, ho provato ad immaginare quale potrebbe essere una mia, personalissima “dolce morte”. In verità, quello che ho sempre sperato e spero tutt’ora, è che, quando giungerà il fatidico momento, io possa essere del tutto incosciente e inconsapevole; ma comprendo che a pochissimi è concesso di perire senza un minimo di sofferenza; ecco, quindi, cosa m’immagino e spero possa succedere poco prima della mia dipartita, magari causata da una malattia incurabile.
[Marzo, che mette nuvole a soqquadro]
e le ammontagna in alpi di broccati,
per poi disfarle in mammole sui prati,
accende all'improvviso, come un ladro,
un'occhiata di sole,
che abbaglia acque e viole.
Con in bocca un fil d'erba primaticcio,
Marzo è un fanciullo in ozio, a cavalcioni
sul vento che sepàra due stagioni;
e, zufolando, fa, per suo capriccio,
con strafottenti audacie,
il tempo che gli piace.
Stanotte, fra i suoi riccioli, spioventi
sul mio sonno a rovesci e a trilli alati,
il flauto di silenzio dei suoi fiati
vegetali svegliava azzurri e argenti
nel mio sognarlo, e fuori
ne son sbocciati i fiori.
La 49° poesia della raccolta "Vincere il drago!" (1928) del poeta romano Arturo Onofri, ritengo sia una delle più belle mai scritte sul mese di marzo. Un mese molto caro ad Onofri, che scrisse un altro bel componimento in versi dedicato a marzo, compreso nella raccolta "Arioso" (1921); lì il mese è descritto come un «fanciullo dal lungo sbadiglio» capriccioso e impertinente, esattamente come in questa poesia, dove Marzo fanciullo sta in ozio «a cavalcioni / sul vento che sepàra due stagioni» (l'inverno e la primavera ovviamente), insomma è dipinto come un giovane dio che ama giocare con le nuvole, col sole e con la pioggia. Possiede un flauto magico che usa per scompigliare le immagini della natura, creando visioni improvvise molto diverse tra loro ma ricche di colori e di fiori.
La poesia rientra in parte nell'ultima fase poetica di Onofri, molto vicina alla dottrina antroposofica di Rudolf Steiner, filosofo austriaco che, partendo da basi risalenti al pensiero indiano e alla teosofia, indicava l'essere umano come fulcro del divenire cosmico.
venerdì 2 marzo 2012
Poeti dimenticati: Alessandro Giribaldi
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Opere poetiche
Presenze in antologie
Testi
Odor di verde

mia infanzia perduta –
quando m'inorgoglivo
dei miei ginocchi segnati–
strappavo inutilmente
i fiori, l'erba in riva ai sentieri,
poi li buttavo –
m'ingombran le mani –
quando si rompono col viso acceso
le ragnatele –
guadando i ruscelli il sasso schizza
il piede affonda
penetra il gelo fin dentro i polsi –
il sole, il sole
sul collo nudo –
la luce che imbiondisce i capelli –
odor di terra,
mia infanzia perduta.
La poesia di Antonia Pozzi sopra riportata uscì per la prima volta nel volumetto "La giovinezza che non trova scampo", edito da Scheiwiller in Milano nel 1995. Della Pozzi, sono qui presenti sette poesie inedite che successivamente sono confluite nel volume che raccoglie l'intero corpus poetico della scrittrice lombarda, intitolato "Parole" ed edito dalla Garzanti. In "Odor di verde" si nota, come s'intuisce già nel titolo, una trascrizione delle sensazioni olfattive provate dalla poetessa in un giorno estivo e che la riportano a vivere l'infanzia perduta, ritrovando, oltre agli odori di allora, anche le immagini care dei luoghi dove aveva vissuto: paesaggi montani incontaminati e di una bellezza rara che si possono osservare nella stagione estiva a Pasturo, in provincia di Lecco. Proprio in questa località, all'interno di un piccolo camposanto, c'è la tomba di Antonia Pozzi.
giovedì 1 marzo 2012
Antologie: "Poeti del riflusso"
