UN GIORNO D'INVERNO
Sempre sul farsi della tacit'ora
Crepuscolar, m'invade una tranquilla
Malinconia, che dolcemente irrora
Questi occhi del dolor che da lei stilla.
Guardo il foco morente; e m'innamora
Tenervi intenta e fisa la pupilla;
Insìn che appena qualche brace ancora
Tra la commossa cenere scintilla.
Il crepitar di quella ultima vita,
L'ombra addensata e la cadente neve
Di più cupa tristezza il cor mi serra.
E prorompo dall'anima atterrita:
Mio Dio, che sogno è questo viver breve!
Mio Dio, che solitudine è la terra!
INVERNO
Nuda gli alberi il vento
di loro ultime foglie;
sul focolar s'accoglie
con un tristo lamento
il can di casa; e l'ava, al suo pennecchio,
ricorda il tempo vecchio.
Venuto è il verno. Addio,
gaie corse tra i fiori!
addio, de' volatori
diverso pigolio,
alla sera e al mattin, sotto le fronde
o su per l'ardue gronde.
Giove, al divin concilio,
sente il rovaio anch'esso;
e, tolti dal cipresso
i libri di Virgilio,
scalda le mani, a castigar la bruma,
sul grande Ilio che fuma.
Qua, qua la mia poltrona,
qua la mia rossa vesta:
un buon berretto in testa
val più d'una corona.
Accendete i sarmenti; e col falerno
diamo la baia al verno.
Le due poesie sopra riportate sono di Giovanni Prati (Lomaso 1814 - Roma 1884), poeta italiano che rappresentò, insieme ad Aleardo Aleardi, uno dei momenti più alti del secondo romanticismo. Entrambe le composizioni appartengono all'antologia "Poesie varie": opera facente parte della collana "Scrittori d'Italia" che consta di due volumi curati da un altro poeta: Olindo Malagodi, e fu pubblicata nel 1916 presso l'editore Laterza. Per la precisione, la prima poesia fa parte del primo volume (p. 144) ed era già uscita in "Memorie e lacrime"; la seconda invece appartiene al volume secondo (pp. 308-309) e fu pubblicata in precedenza nel volume "Iside". Entrambe parlano della stagione invernale in maniera malinconica e, più raramente, ironica.
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