martedì 8 maggio 2012

"Pianissimo" di Camillo Sbarbaro


"Pianissimo" è il titolo di un'opera poetica scritta da Camillo Sbarbaro e pubblicata a Firenze nel 1914. Le poesie che la compongono costituiscono una delle pietre miliari della poesia italiana novecentesca, come hanno più volte affermato critici importanti; a tal riguardo, ecco una scelta di frammenti tratti da alcuni autorevoli saggi letterari e da antologie molto conosciute.


«La scrupolosa unità linguistica, la persistenza rispettata dei nessi sintattici tradizionali, permettono a Sbarbaro una descrizione lucidissima, necessaria, chiara e onesta della sua confessione, come documento fondamentale, in Pianissimo, di una condizione umana, che supera il crepuscolarismo per l'intima crudeltà della rappresentazione e la sincerità interiore del dramma. Sbarbaro raggiunge i suoi risultati stilistici, più abbandonandosi alla felicità del suo istinto, che per una vera e propria coscienza costruttiva: appare, perciò, continuamente impegnato in un estenuante problema di trasformazione dell'autobiografia in autocoscienza e di stimoli sentimentali in ragioni etiche. Ed è appunto per questo rigore, per questo impegno mai abbandonato che il moralismo tipico della sua età letteraria conquista, con lui, il primo importante anche se provvisorio risultato di stile».
(Da "La poesia italiana del Novecento" di Gianni Pozzi)


«Come anche rivela la lingua ("io mi torco in silenzio le mie mani", ecc.) la matrice culturale di Pianissimo è specificamente francese, in particolare baudleriana (ma sempre fittamente coniugata con Leopardi). Al centro vi è il mito negativo della città moderna come deserto o bordello, che come è stato notato rovescia quello positivo del futurismo - ed è significativo che contemporaneamente Campana lo esprimesse nelle forme più tipiche sul medesimo sfondo genovese; e v'è la dialettica di stampo maledettistico, qua e là forzosa, fra il richiamo di puri affetti familiari e l'attrazione della lussuria e del peccato: "storico di cupidige e di brividi" è l'icastica definizione che diede di Sbarbaro il giovane Montale. Incisivamente moderna e influente sulla poesia successiva, in primo luogo su Montale stesso, appare la tematica sbarbariana dell'atonia vitale, dell'aridità e pietrificazione interiore, con la spietata riduzione che ne consegue dell'individuo frantumato a sonnambulo o spettatore inerte della Vita».
(Da "Poeti italiani del Novecento" di Pier Vincenzo Mengaldo)


«Nella sua erranza notturna, Sbarbaro esplora i margini irregolari (i diseredati, gli espulsi: prostitute, ubriachi) del meccanismo economico, sulla scorta di guide "maledette", Baudelaire, e soprattutto Rimbaud. È appunto la ripulsa dell'identità trasmessa dal ceto sociale, che provoca lo svuotamento della propria immagine, e lo sdoppiamento delle componenti in un gioco ambiguo, dove all'io dolente si accosta subito un "altro io" pronto a "ridere frenetico". Il soggetto si ritrova "solo in faccia al nulla", colto nel momento in cui la sua rappresentazione si disintegra nello "smarrimento". Ma il momento qualificante di Sbarbaro è qui, nell'esporsi senza difese precostituite agli urti dell'esterno: se l'espressionismo, in Pianissimo, prevale sull'impressionismo, ciò si deve all'indebolimento degli schemi e delle costruzioni ideologiche che ingigantisce l'impressione, la rende "strana", e l'acutizza fino all'impatto traumatico, nei modi del trasalimento e del brivido».
(Da "La letteratura italiana del primo Novecento (1900-1915)" di Marcello Carlino e Francesco Muzzioli)


«La scrittura di Sbarbaro viene a configurarsi come una scrittura centripeta piuttosto che centrifuga; una scrittura che tenta di coinvolgere nel profondo il lettore piuttosto che sollecitarne l'orecchio superficialmente; una scrittura priva di artifici retorici, che opta per la persuasione; una scrittura che punta esclusivamente sul significato, sull'aspetto referenziale della parola».
(Da "Sbarbaro e Campana" di Ernesto Citro)


Personalmente, posso dire che lessi le prime poesie di "Pianissimo" in alcune antologie scolastiche e non, rimanendone subito entusiasta, e rammaricandomi di non conoscere ancora un poeta così bravo. Mi meravigliai di non trovare nelle librerie (anche le più grandi) un volume di versi di Sbarbaro. Comperai appena uscì la riedizione di "L'opera in verso e in prosa" della Garzanti (Milano 1995), un libro che sostanzialmente raccoglie quasi tutta l'opera poetica di Sbarbaro, escluso il volume d'esordio: "Resine", pubblicato nel 1911 e ristampato dalla Scheiwiller di Milano nel 1988. Ora, fortunatamente, oltre al volume citato è possibile acquistare anche una edizione commentata di "Pianissimo" (Marsilio 2001) e quindi la straordinaria poesia di Camillo Sbarbaro può essere letta, studiata e approfondita in maniera più che esauriente.

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