domenica 12 aprile 2020

Antologie: Poesia del Novecento italiano (a cura di Niva Lorenzini)


Questa antologia, pubblicata da Carocci editore in Roma nel 2002, è tra le più riuscite e complete che si possano trovare in circolazione, riguardanti la poesia italiana del Novecento; anche perché, al contrario di altre, prende in considerazione l'intero XX secolo, inserendo nelle sue pagine anche le ultime generazioni di poeti (ovvero quelli che sono nati dopo la prima metà del Novecento). L'opera è composta da due distinti volumi: il primo ha come sottotitolo Dalle avanguardie storiche alla seconda guerra mondiale, e parte dai crepuscolari per giungere agli ermetici. Il secondo invece, intitolato Dal secondo dopoguerra a oggi, ha come primo poeta antologizzato Vittorio Sereni e, come ultimo, Gabriele Frasca (nato nel 1957). Sono presenti anche i migliori poeti dialettali del secolo preso in considerazione.
La curatrice di questa ottima antologia è Niva Lorenzini (professore ordinario all'Università di Bologna), che ha scritto anche una interessante e assai esplicativa introduzione all'opera antologica, dalla quale riporto qualche frammento che meglio descrive il modus operandi di chi ha effettuato questo lavoro:

[...] chi antologizza non è chiamato a schedare esaustivamente l'esistente - operazione per chiunque improponibile - ma a illustrare un metodo di approccio a testi che più di altri appaiano adatti a tracciare la fisionomia di un'epoca, di una stagione, colta nelle sue relazioni multiple, nella sua complessità. Nei limiti del possibile, vanno privilegiate insomma le ragioni del testo, analizzato, seppure per spaccati, nel suo darsi linguistico, innanzitutto, come risposta a una situazione storica.

E a proposito di testi, c'è da sottolineare il fatto che questa antologia aggiunge, oltre ad un'ampia presentazione di tutti i poeti presenti, una serie di commenti e di note per ogni testo poetico selezionato.
Come succede quasi sempre, si notano delle esclusioni di nomi più o meno noti (fa un certo effetto la completa assenza dei futuristi "puri"), ma ciò viene giustificato in modo convincente dalla stessa Lorenzini nel prosieguo della sua introduzione:

Inutile, d'altro canto, sottolineare che non ci si può esonerare dalle scelte di campo, e che anzi la parzialità è necessaria se si aspira a un minimo di chiarezza e di rigore, sia etico che scientifico. In questo, come in altri territori del conoscere, la parzialità dichiarata è comunque una garanzia, l'imparzialità un abbaglio o una pericolosa finzione. [...]

L'opera si avvale anche della sapiente collaborazione di Vincenzo Bagnoli, Alberto Bertoni, Vitaniello Bonito e Stefano Colangelo.
Chiudo, come la solito, riportando i nomi dei poeti presenti nell'opera antologica di cui ho appena parlato.


POESIA DEL NOVECENTO ITALIANO



Dalle avanguardie storiche alla seconda guerra mondiale
Corrado Govoni, Aldo Palazzeschi, Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Marino Moretti, Gian Pietro Lucini, Carlo Michelstaedter, Piero Jahier, Dino Campana, Clemente Rebora, Riccardo Bacchelli, Camillo Sbarbaro, Ardengo Soffici, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Vincenzo Cardarelli, Eugenio Montale, Giacomo Noventa, Delio Tessa, Sergio Solmi, Carlo Betocchi, Salvatore Quasimodo, Sandro Penna, Cesare Pavese, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Mario Luzi.


Dal secondo dopoguerra a oggi
Vittorio Sereni, Franco Fortini, Andrea Zanzotto, Pier Paolo Pasolini, Roberto Roversi, Paolo Volponi, Nelo Risi, Giorgio Orelli, Luciano Erba, Bartolo Cattafi, Emilio Villa, Giuseppe Guglielmi, Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Antonio Porta, Adriano Spatola, Amelia Rosselli, Giovanni Giudici, Giancarlo Majorino, Giovanni Raboni, Giampiero Neri, Toti Scialoja, Raffaello Baldini, Tolmino Baldassari, Fernando Bandini, Iolanda Insana, Cosimo Ortesta, Ermanno Krumm, Patrizia Vicinelli, Dario Bellezza, Maurizio Cucchi, Vivian Lamarque, Biancamaria Frabotta, Cesare Viviani, Eugenio De Signoribus, Ferruccio Benzoni, Paolo Ruffilli, Emilio Rentocchini, Franco Buffoni, Gianni D'Elia, Patrizia Valduga, Valerio Magrelli, Antonella Anedda, Fabio Pusterla, Gabriele Frasca. 


domenica 5 aprile 2020

La poesia di Vincenzo Cardarelli


In questo blog non poteva mancare un post dedicato a Vincenzo Cardarelli (pseudonimo di Nazareno Caldarelli, Tarquinia 1887 - Roma 1959): un poeta per me fondamentale, che ha scritto versi indelebili e che considero migliore di altri poeti italiani del XX secolo - non faccio i nomi - ben più illustri e pluripremiati. Ma Cardarelli non fu soltanto poeta, anzi, va detto che le sue ottime prose superano, per qualità e quantità, i suoi versi; non sono certamente da trascurare, poi, gli articoli giornalistici e i saggi che scrisse in diverse fasi della sua vita. Importantissime le collaborazioni di Cardarelli a diversi giornali e riviste; in particolare, sono memorabili quelle a La Voce e a La Ronda. Per quanto riguarda le poesie, comparvero già nel suo primo libro: Prologhi (uscito nel 1916) che però comprendeva soprattutto prose; lo stesso discorso vale per le opere successive dello scrittore tarquiniese, come Viaggi nel tempo e Il sole a picco. Soltanto nel 1936, ovvero alla soglia dei cinquant'anni, Cardarelli si decise a pubblicare un volume che raccogliesse i suoi meravigliosi versi. Oggi, fortunatamente, in un volume dei Meridiani Mondadori, è possibile leggere l'intera opera letteraria di Cardarelli. Ma, tornando al poeta, devo dire che già leggendo quelle poche poesie presenti nei miei libri di scuola, rimasi estasiato dal suo linguaggio limpido e convincente, dalla sua rarissima capacità di trasmettere sensazioni, emozioni e riflessioni, facendo uso di parole semplicissime racchiuse in pochi versi. Potrei citare composizioni poetiche brevi e intense come Autunno, Gabbiani, Abbandono... Però, piuttosto che insistere con le mie parole inadeguate, preferisco riportare un frammento scritto da Edoardo Sanguineti - grande poeta e critico letterario scomparso qualche anno fa - tratto dalla prefazione all'antologia da lui stesso curata Poesia italiana del Novecento, poiché mi appare tra i più consoni e precisi nell'individuare le peculiarità del Cardarelli poeta; quest'ultimo viene citato all'interno di un discorso più ampio, riguardante una certa freddezza che appartiene alla poesia dei cosiddetti "Lirici nuovi" (definizione usata da un altro illustre critico: Luciano Anceschi, in un'altra storica antologia):

[...] Non si dice questo per Cardarelli in particolare, per il quale l'etichetta di neoclassicismo è stata poco meno che micidiale. Oggi, si tratta di riscoprirlo nelle sue idiosincrasie più taglienti, quest'uomo così esposto alle stagioni, così chiaramente paziente di fronte al tempo, così angosciato del suo trasecolare, così intimamente legato da sempre alla propria morte. E non è un lavoro semplice, raggiungerlo oggi, che l'epiteto di «rondista» suona quasi esclusivamente come un dotto insulto, e dovrebbe spiegare tutto, nel caso: ma è un lavoro probabile, e può dare il suo frutto¹.

A proposito dell'aggettivo "rondista" che, come dichiarato da Sanguineti, è certamente riduttivo sia per Cardarelli che per altri grandi scrittori che collaborarono alla rivista La Ronda (uno su tutti: Riccardo Bacchelli), voglio ricordare che quest'ultima fu pubblicata mensilmente tra il 1919 ed il 1922 e alla direzione ci fu, per un breve periodo, lo stesso Cardarelli; refrattari ad ogni tipo di avanguardia e di sperimentalismo letterario, gli scrittori della Ronda ebbero Giacomo Leopardi "prosatore" come modello principale di riferimento e pubblicarono, di conseguenza, quasi esclusivamente prose d'arte nelle preziose e interessanti pagine di questa storica rivista; il medesimo discorso, ovviamente, vale anche per Cardarelli che, tra le altre cose, qui pubblicò i suoi bellissimi Argomenti poetici.
Chiudo riportando i titoli delle principali opere poetiche del nostro, seguiti da tre celebri liriche che entrano di diritto nella storia della poesia italiana del Novecento.

NOTE
1) Da Poesia italiana del Novecento, a cura di Edoardo Sanguineti, Einaudi, Torino 1969.





OPERE POETICHE DI VINCENZO CARDARELLI

"Prologhi", Studio Editoriale Lombardo, Milano 1916.
"Viaggi nel tempo", Vallecchi, Firenze 1920.
"Il sole a picco", L'Italiano, Bologna 1929.
"Giorni in piena", Novissima, Roma 1934.
"Poesie", Novissima, Roma 1936.
"Poesie" (nuova edizione), Mondadori, Milano 1942 (1948²).
"Poesie nuove", Neri Pozza, Venezia 1946.
"Poesie", Fiumara, Milano 1949.
"Opere complete", Mondadori, Milano 1962.
"Opere", Mondadori, Milano 1981.




TESTI


AUTUNNO

Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle piogge di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.

(da "Opere", Mondadori, Milano 1993, p. 42)




LARGO SERALE

È l’ora dei crepuscoli estivi,
quando il giorno pellegrino
si ferma e cade estenuato.
Dolcezza e meraviglia di queste ore!
Qualunque volto apparisse in questa luce
sarebbe d’oro.
I riflessi di raso
degli abitati sul lago.
Dolce fermezza di queste chiome
d’alberi sotto i miei occhi.
Alberi della montagna italiana.
Di paese in paese
gli orologi si mandano l’ora
percotendosi a lungo nella valle
come tocchi d’organo gravi.
Poi più tardi, nella quiete notturna,
s’odon solo i rintocchi dolci e lenti.

(da "Opere", Mondadori, Milano 1993, p. 70)




ALLA MORTE

Morire sì,
non essere aggrediti dalla morte.
Morire persuasi
che un siffatto viaggio sia il migliore.
E in quell'ultimo istante essere allegri
come quando si contano i minuti
dell'orologio della stazione
e ognuno vale un secolo.
Poi che la morte è la sposa fedele
che subentra all'amante traditrice,
non vogliamo riceverla da intrusa,
né fuggire con lei.
Troppo volte partimmo
senza commiato!
Sul punto di varcare
in un attimo il tempo,
quando pur la memoria
di noi s'involerà,
lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
concedici ancora un indugio.
L'immane passo non sia
precipitoso.
Al pensier della morte repentina
il sangue mi si gela.
Morte non mi ghermire,
ma da lontano annunciati
e da amica mi prendi
come l'estrema delle mie abitudini.

(da "Opere", Mondadori, Milano 1993, p. 98)



domenica 29 marzo 2020

Poeti dimenticati: Nicola Marchese


Nacque a Trani nel 1858 e morì a Roma nel 1910. Sposatosi in giovane età, ebbe la sfortuna di perdere in breve tempo sia la moglie che il figlio; lasciata la sua terra natale, si stabilì a Roma dove si risposò e lavorò, col ruolo di amministratore, presso il Fondo per il Culto. Morì a 52 anni, mentre stava declamando i suoi versi, a causa di una congestione cerebrale. La sua poesia è variegata, e risulta difficile inserirla in un determinato gruppo o contesto letterario, anche se qualche critico l'ha avvicinata a quel clima estetizzante della Roma dell'ultimo ventennio del XIX secolo, in cui si sviluppò e si consacrò anche la lirica di Gabriele D'Annunzio. Dedicò alla città di Roma un intero poema che ne celebra la storia, i personaggi, i luoghi ed i monumenti.



Opere poetiche

"Crisantemi", Vecchi, Trani 1895.
"Canzoni a ballo", Unione Cooperativa Editrice, Roma 1901.
"Roma. Liriche", Vecchi, Trani 1911.
"Le Liriche", Vecchi, Trani 1911.




Presenze in antologie

"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. IV, pp. 162-169).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. IV, pp. 156-160).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 713-718)
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. III, pp. 108-110).



Testi

BALLATA GRIGIA

Raccogliendo ella va con lenta mano
ogni foglia che da gli alberi cade;
ogni foglia su cui le sue rugiade
versò presago il cielo antelucano.

A lo sguardo de gli occhi di viola
si stempra in un pulviscolo pallente
l'immensità de l'unico zaffiro.
La pensosa, la pia, tacita e sola,
incede in mezzo al vespero silente;
e, ad ogni foglia che aduna, un sospiro,
un sospir lungo esala. Ella un papiro
sa che in ciascuna de le tristi foglie
sempre angusto e non ultimo raccoglie,
a formar l'albo del dolore umano.

(da "Crisantemi")




ORTO CLAUSTRALE

Dorme il vecchio orto claustrale
nel meriggio accidioso;
ma letèo, ma sepolcrale
è del vecchio orto il riposo.

L'edera, su pel muscoso
muro, s'abbarbica e sale:
un arancio, sospiroso,
sogna un sogno nuziale.

In van l'edera la fuga
tenta e vien l'arancio, intanto,
sognando una bianca fronte.

Qual pel solco d'una ruga,
scorre in rivolo di pianto,
per il vecchio orto, una fonte.

(da "Le liriche")

domenica 22 marzo 2020

"Poesie vecchie e nuove" di Diego Valeri





Poesie vecchie e nuove è il titolo di un libro di poesie di Diego Valeri, che fu pubblicato per la prima volta nel 1930 presso la Mondadori di Milano. Il poeta veneto raccolse in questo volume, come si evince dal titolo, sue liriche già presenti in vecchie raccolte insieme ad altre più recenti, magari pubblicate già su riviste ma mai in volume. Sempre Valeri, dopo l'uscita di quest'opera poetica, volle che fosse considerata la sua "prima", quasi a voler rinnegare le altre. Dopo alcune ristampe, nel 1952 vide la luce la quarta e definitiva edizione di questo libro in cui risultano escluse alcune liriche presenti nell'edizione del 1930, a conferma della costante tendenza di Valeri a sfrondare e scremare la sua produzione in versi, anche, secondo me, in maniera troppo severa. Da sottolineare poi il fatto che, molte delle poesie meno recenti "salvate" da Valeri, in questa ristampa non compaiono nella stesura originale, ma risultano tagliate più o meno drasticamente. L'edizione definitiva, appartenente alla collana mondadoriana dello Specchio, è composta di 128 pagine e di 64 poesie; quest'ultime sono divise nelle seguenti due sezioni: PRIMO TEMPO (... - 1919) e SECONDO TEMPO (1920-1930); esiste poi un'altra raccolta di Valeri: Terzo tempo, che uscì nel 1950 grazie alla Mondadori, e, secondo un progetto piuttosto evidente, avrebbe dovuto completare i tempi poetici dello scrittore italiano; sennonché Valeri continuò ancora per molti anni a comporre dei versi, per questo motivo pubblicò altri volumi riepilogativi della sua opera poetica (l'ultimo dei quali è Poesie, la cui definitiva edizione uscì nel 1964). Di liriche belle e interessanti questo libro ne contiene un cospicuo numero, tra le altre citerei per quel che riguarda la prima sezione: Foglie, giù foglie; Solo; Alba; Rondini; Serenata per la bambola; Il piccolo pastore. Per la seconda sezione: Sereno; Ottobre a Venezia e Riva di pena, canale d'oblio. Di quelle che ho appena citato ne riporto di seguito tre.




FOGLIE, GIÙ FOGLIE...

Foglie, giù foglie nella lenta pioggia
di questa dolce disperata sera!
Foglie, giù foglie: grandi pese fracide
foglie d'ippocastano, e verdi e lievi
e trepide fogliette di robinia;
giù, per l'albore freddo dei lampioni,
giù, sul lucido asfalto della via...

E noi due si cammina si cammina,
senza parlare, l'uno accanto all'altra,
portando in cuore faticosamente
la stessa soma di malinconia.

Foglie, giù foglie. E c'è forse qualcosa
che muore intanto nella nostra vita,
che così muore, e non vuole morire.




SOLO

Io non ho fiori da versar sul folto
tappeto di trifoglio e di gramigna
che veste la tua fossa; io non ho quasi
neppur lagrime più da lagrimare
sul tuo povero cuore seppellito
qui, sotto questa terra. Solamente,
io mi guardo, io mi cerco in fondo all'anima,
per veder te, per ritrovare il tuo
viso sfiorito di malata, e il riso
pallido dei tuoi dolci occhi di pianto,
e i tuoi capelli bianchi ancòra sparsi
di qualche ciocca bionda, e le tue mani
di mamma bruciacchiate al focolare.
Invano, mamma. Non ti trovo più
nel mio profondo; e sono tutto solo,
pur così presso a te, con te, nel calmo
cimitero, tra i marmi ed i rosai;
solo nella dolcezza stupefatta
di questo pomeriggio azzurro e bianco;
solo nel gran silenzio, in cui non odo
che un fruscio di lucertola tra l'erba
e il soffio d'una rosa che si sfa.




RIVA DI PENA, CANALE D'OBLIO...

Ora è la grande ombra d'autunno:
la fredda sera improvvisa calata
da tutto il cielo fumido oscuro
sull'acqua spenta, la pietra malata.

Ora è l'angoscia dei lumi radi,
gialli, sperduti per il nebbione,
l'uno dall'altro staccati, lontani,
chiuso ciascuno nel proprio alone.

Riva di pena, canale d'oblio...
Non una voce dentro il cuor morto.
Solo quegli urli straziati d'addio
dei bastimenti che lasciano il porto.


domenica 15 marzo 2020

I mondi nella poesia italiana decadente e simbolista


Possono essere mondi reali o irreali, terreni o ultraterreni, vicini o lontani, tristi o felici, inquietanti o tranquillizzanti; possono essere nati dai sogni, dalle fantasie personali, dalle fiabe, dalle leggende o da una realtà volontariamente modificata dal poeta. I protagonisti che vi si incontrano, maschili o femminili che siano, si dimostrano altamente affascinanti, profondamente misteriosi, immensamente enigmatici. Certamente questi mondi racchiudono simboli a volte occulti: sta al lettore quindi, la capacità di individuarli (in qualche caso l'impresa è ardua) e di analizzarli. Gli autori di queste poesie appartengono alle più varie correnti, scuole o tendenze nate tra la fine dell'Ottocento e il primo ventennio del Novecento. Il tema è più che mai ampio e coinvolgente, a confermare la mia tesi sarà sufficiente leggere alcune della serie di poesie che di seguito elenco.



Poesie dell'argomento

Mario Adobati: "I desolati" e "L'offerta" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Vittoria Aganoor: "Mai!" e "Leggendo Maeterlinck" in "Leggenda eterna" (1900).
Diego Angeli: "La madonna della neve" in «Il Marzocco», ottobre 1897.
Avancinio Avancini: "Pastello" in "Dai nostri poeti viventi" (1903).
Alfredo Baccelli: "Della morte all'ampie foci" in "Poesie" (1929).
Sandro Baganzani: "Buoni morti" in "Senzanome" (1924).
Pier Luigi Baratono: "I santi di ghiaccio" in "Sparvieri" (1900).
Ugo Betti: "I palazzi di smeraldo" in "Il Re pensieroso" (1922).
Gustavo Botta: "Vignetta" in "Alcuni scritti" (1952).
Paolo Buzzi: "Arcobaleni" in "Aeroplani" (1909).
Paolo Buzzi: "Mallarmé" in "Poema dei quarant'anni" (1922).
Giovanni Camerana: "Tempeste" e "Sotto i placidi monti che tu sai" in "Poesie" (1968).
Dino Campana: "La speranza" in "Canti Orfici" (1914).
Giovanni Cavicchioli: "Le trombe de la notte ingemmano" e "Arabeschi" in "Palazzi incantati" (1916).
Girolamo Comi: "Dagli orizzonti ignoti" in "Lampadario" (1912).
Italo Dalmatico: "A i mali de la mia vita passata" e "La coscienza" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio: "Vas spirituale" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Adolfo De Bosis: "Anima errante" in "Amori ac Silentio e Le rime sparse" (1914).
Federico De Maria: "Gl'Invisibili" in "Voci" (1903).
Federico De Maria: "Magia" in "La Leggenda della Vita" (1909).
Arturo Foa: "Inverni di provincia" in "Le vie dell'anima" (1912).
Luisa Giaconi: "Nei muti campi del sogno" in "Tebaide" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "Il tennis" in "Il convegno dei cipressi" (1894).
Cosimo Giorgieri Contri: "Libertà" in «Nuova Antologia», settembre 1907.
Corrado Govoni: "Delizie sconosciute" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni: "Io penso ai numerosi beghinaggi" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni "Ver" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "La colonia del pianto" in "Poesie elettriche" (1911).
Arturo Graf: "Superi" e "Inferi" in "Medusa" (1990).
Arturo Graf: "La caccia disperata" in "Le Danaidi" (1905).
Tito Marrone: "Corinna" in "Liriche" (1904).
Tito Marrone: "Dove andrò" in «La Vita Letteraria», dicembre 1905.
Marino Moretti: "Ascensore" in "Poesie di tutti i giorni" (1911).
Arturo Onofri: "La fola" in "Poemi tragici" (1908).
Angiolo Orvieto: "Invito" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Giovanni Pascoli: "Il miracolo" in "Myricae" (1900).
Luca Pignato: "Laus Mortis" in "Persèfone" (1913).
Francesco Scaglione: "Le città sommerse" in "Litanie" (1911).
Emanuele Sella: "Un'Altra Vita" in "Rudimentum" (1911).
Agostino John Sinadinò: "Ôpora" in "Melodie" (1900).
Domenico Tumiati: "La Grande Acqua" e "Signora de le Nevi" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Domenico Tumiati: "L'infinito" in "Liriche" (1937).
Aurelio Ugolini: "Dittico" in "Viburna" (1905).
Remigio Zena: "Quosque?" in "Le Pellegrine" (1894).
Remigio Zena: "Domino azzurro" in "Olympia" (1905).



Testi


LE TROMBE DELLA NOTTE INGEMMANO
di Giovanni Cavicchioli

   Le trombe de la notte ingemmano
i romantici fuochi del crepuscolo
alluminati sui velari degli orizzonti sconfinati.
Le arpe gemono e le colombe
su le tombe
calaron stanche.
Oltre il bosco su la riva del mare
melanconici cavalieri vestiti a lutto
attorneati a una tavola di pietra come a un'agape fraterna,
quali dormono
e quali, mordendo voraci pesche e poma,
scrutano lentamente
antichissime pergamene;...
e l'infaticabile mare sussurra
e ansa come sospeso
che in lui sta sommerso
il cuor de la notte.
E pallide e smagrite fanciulle
con il volto macero di pianto
e i lugubri occhi sbarrati
là verso, ove il sole moriva
e tuttora del suo sangue
rosseggiano l'acque,
si cullano in una tarlata canoa
e abbrividiscono al freddo serotino
nei loro veli gialli...

   Una verde mestizia è soffusa
su l'invisibile volto romantico,
e le trombe crepuscolari
oh come malinconiche e fioche!

   Solo in un lontano giardino
un fanciullo malato,
seduto a l'orlo d'una fontana,
si lagna sul flauto
ma le taciturne acque sorgive
già occhiute di stelle
tosto assiderano
l'esili note piangenti...

   E le trombe notturne
si tacciono;
e i trombettieri
discendono in fondo al mare ...

     Azzurro.

(da "Palazzi incantati")




LE CITTÀ SOMMERSE
di Francesco Scaglione

Affondano nei mari alti azzurri tranquilli
come grandi meduse le città rovesciate,
e seguono, calando, il filo degli abissi
quasi sotto gli abissi respirate
dal respiro del mondo;
le acque, muraglie di vetro,
rotolano - specchiandolo -
il quieto naufragio luminoso.

Città trasognate come belve affacciate
a deserti colmi di luce e di silenzio,
città inginocchiate su le vette,
candidi anacoreti del mondo,
città aggrappate disperatamente agli abissi;
languide tuniche obliate
negli atri verdissimi de la terra
da leggendarie gigantesse,
città scagliate come rupi,
o emerse come una paziente
vegetazione di muraglie,
città, fiori di pietra curvati nei cieli,
il mondo che muore, gravato di voi, vi sommerge
oggi nei mari alti ed azzurri.

Oh rossi tramonti, incendio di tramonti
raffica di tramonti
su le morte città, su le città bianche silenziose
grandi petriere incantate!
o crosci di fiamme su le vetrate,
enormi polipi di sangue
aggrappati a le mura
come in una carneficina,
o flagellanti pei rossi tentacoli
le piazze, i minareti deserti
erti come scogliere
su la bianca spuma de le città morte!...
perché, tramonto, ridi il tuo riso di sangue
su le morte città
e le illudi di efimera vita?
poi quando cadi, anche tu
stanco naufrago del cielo
tra i lividi rottami de le nubi,
con te trascini negli abissi dei cieli
le morte città,
e le città ti seguono come creature
afferrate ne le capigliature
rosse da le tue rosse mani,
poi fumano ne la notte
come roghi spenti!

No, no, città senza tramonti,
città senza soli, città senza stelle...
voi siete cieche,
o vuote città sognanti
un lungo sogno di pietra, di sabbie di deserti,
siete le carovane pietrificate
nei deserti de la terra,
le vagabonde de la terra
accovacciate su la vostra tomba
coi vostri bianchi cenci
a cogliere, saliente per le vene di granito,
il pianto del mondo!

(da "Le litanie")


Jheronimus Bosch, "Trittico del Giardino delle Delizie"
(da questa pagina Web)