domenica 4 ottobre 2015

Poeti dimenticati: Beniamino De Ritis

Nacque ad Ortona a Mare (Chieti) il 1° maggio del 1888 e morì a Roma il 12 agosto del 1956. Scrisse poesie soltanto nella prima gioventù, dapprima pubblicandole in riviste letterarie e poi in un volumetto intitolato "Nell'orto degli ulivi" in cui prevale decisamente la tematica francescana. Proprio nel periodo in cui compose questi versi (soprattutto sonetti), De Ritis frequentò il cenacolo letterario romano di poeti vicini a Sergio Corazzini, partecipando anche ad incontri memorabili tenutisi al Caffè Argano.



Opere poetiche

"Nell'orto degli ulivi", Officine Grafiche di Ortona a Mare, 1908.



Presenze in antologie

"La fiorita francescana", a cura di Tommaso Nediani, Istituto italiano d'arti grafiche, Bergamo 1926 (p. 159).
"Neoidealismo e rinascenza latina tra Ottocento e Novecento", a cura di Angela Ida Villa, LED, Milano 1999 (pp. 498-517).



Testi

SAN FRANCESCO DEI MONTI

O San Francesco, contro la minaccia
dei venti ed il furor delle tempeste,
propizio sopra le montane creste
veglia il magro profil della tua faccia;

mentre d'antiche visioni in traccia,
dischiudi gli occhi a un'estasi celeste,
e tra un largo respiro di foreste
apri, lodando, al tuo Signor le braccia.

Talor, salendo dalla valle lieta,
lungo le rupi scintillanti al sole,
del bianco polverio delle cascate,

un vol d'uccelli, innanzi a te s'acqueta
come se fosse per le vie nevate
persuaso da tue dolci parole.

(Da "Nell'orto degli ulivi", 1908)



giovedì 24 settembre 2015

Antologie: Il canto strozzato

Il canto strozzato. Poesia italiana del Novecento (saggi critici e antologia di testi a cura di Giuseppe Langella e Enrico Elli, nuova edizione accresciuta, Interlinea, Novara 1997) è un'opera particolare, nel suo genere. Si potrebbe definire metà saggio e metà antologia, visto che la parte dedicata ai saggi critici occupa più della metà del volume (378 pagine su 616). Sebbene la prima parte sia indubbiamente interessante, l'antologia ne esce assai penalizzata. Molti poeti sono infatti mal rappresentati, visto che gli viene concessa appena una pagina o due (e si tratta di nomi importanti come Fortini, Gatto, Govoni, Jahier, Moretti, Onofri, Parronchi, Penna, Sinisgalli e Solmi); ad altri invece (Gozzano e Ungaretti) viene riservato uno spazio ben più cospicuo. Alla fine si riscontra che i poeti, ristretti in poche pagine, sono tanti (ben 96, dialettali compresi), troppo spesso rappresentati da una sola composizione in versi (e alle volte questa è anche breve). Decisamente migliore è la parte bibliografica ma non quella biografica, ridotta all'osso. Ho parlato della seconda edizione di questa antologia; per quanto riguarda la prima (uscita nel 1995), direi che si differenzia soltanto per il minor numero di poeti antologizzati. Ecco l'elenco dei poeti presenti nella parte antologica della 2° edizione.





IL CANTO STROZZATO


Riccardo Bacchelli,  Raffaello Baldini, Nanni Balestrini,  Fernando Bandini, Giorgio Barberi Squarotti, Angelo Barile, Dario Bellezza, Attilio Bertolucci, Carlo Betocchi, Piero Bigongiari,  Giovanni Boine, Gian Piero Bona, Franco Buffoni, Dino Campana, Cristina Campo, Giorgio Caproni, Vincenzo Cardarelli, Bartolo Cattafi, Girolamo Comi, Sergio Corazzini, Maurizio Cucchi, Gabriele D'Annunzio, Milo De Angelis, Libero De Libero, Luciano Erba, Luigi Fallacara, Elio Fiore, Franco Fortini, Alfonso Gatto, Virgilio Giotti, Giovanni Giudici, Alfredo Giuliani, Corrado Govoni, Guido Gozzano, Adriano Grande, Tonino Guerra, Margherita Guidacci, Piero Jahier, Franco Loi, Gian Pietro Lucini, Mario Luzi, Valerio Magrelli, Giancarlo Majorino, Biagio Marin, Filippo Tommaso Marinetti, Alda Merini, Eugenio Montale, Marino Moretti, Roberto Mussapi, Giampiero Neri, Mario Novaro, Giacomo Noventa, Arturo Onofri, Giorgio Orelli, Elio Pagliarani, Aldo Palazzeschi, Alessandro Parronchi, Giovanni Pascoli, Pier Paolo Pasolini, Cesare Pavese, Elio Pecora, Sandro Penna, Albino Pierro, Antonio Porta, Antonia Pozzi, Salvatore Quasimodo, Giovanni Raboni, Silvio Ramat, Clemente Rebora, Angelo Maria Ripellino, Nelo Risi, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Amelia Rosselli, Roberto Roversi, Umberto Saba, Edoardo Sanguineti, Camillo Sbarbaro, Gregorio Scalise, Franco Scataglini, Rocco Scotellaro, Vittorio Sereni, Sandro Sinigaglia, Leonardo Sinisgalli, Ardengo Soffici, Sergio Solmi, Maria Luisa Spaziani, Delio Tessa, David Maria Turoldo, Giuseppe Ungaretti, Patrizia Valduga, Diego Valeri, Giorgio Vigolo, Cesare Viviani, Rodolfo Wilcock, Andrea Zanzotto, Valentino Zeichen, 

domenica 20 settembre 2015

Poeti dimenticati: Alfredo Galletti

Nacque a Cremona nel 1872 e morì a Milano nel 1962. Critico letterario e docente di letteratura italiana in varie università, scrisse anche delle poesie che raccolse in un volume pubblicato nel 1903. Leggendolo si nota una stretta osservanza da parte dell'autore ai temi dei classici ma anche a quelli di Carducci e di Pascoli; d'altronde Galletti fu un fervente ammiratore e studioso di questi due poeti, a cui dedicò importanti saggi.



Opere poetiche

"Odi ed elegie", Zanichelli, Bologna 1903.



Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (p. 368).
"Antología della poesia italiana dei secoli XVIII e XIX", a cura di Ernesto Lamma, Neri, Bologna 1917 (pp. 297-300).



Testi

TRENO NOTTURNO

Mentre ansimando va per l'alta notte
Il ferreo treno, e a l'urlo, impaurito
Balza il cuore a un gentil sogno rapito,
E balenano l'ombre intorno rotte,

Le stelle in alto scintillando a frotte.
Navigli d'or del pelago infinito,
Vogan concordi ad un arcano lito,
Da ignoto cenno a ignoto porto addotte.

Così l'uomo e il suo sogno infermo e frale,
E il luminoso e puro astro remoto
Errano senza tregua in lor cammino:

Voler non rompe il gran cerchio fatale,
E tutto muove ad un destino ignoto
Del ciel sotto l'immenso arco divino.

(Da "Odi ed elegie")




LONTANANZA

Come pacato è il mare! ne 'l sole si stendono l'onde:
per le sue vie profonde non una vela appare.

Cupo è l'azzurro e uguale; il solco dov'è che segnava
la prua che ti recava lungi al terren natale?

solco, che gli occhi intenti seguian verso il cielo lontano,
molli e velati invano di lacrime cocenti,

Come la Vita, o solco, lieve tu segni l'abisso,
e a pena il flutto è scisso la nuova trama è ordita;

Vita, così tu fuggi, e l'onda ti copre d'oblio,
e d'immortal desio invan dentro ti struggi!

O Amor dolente, tale baleni su 'l nostro cammino,
ma il flutto del Destino copre il tuo solco frale.

(Da "Odi ed elegie")

domenica 13 settembre 2015

I fiori nella poesia italiana decadente e simbolista

A parte i crisantemi, i gigli e le rose per i quali ho predisposto capitoli a sé stanti, sono qui riassunte delle poesie in cui compaiono dei fiori. I poeti simbolisti hanno privilegiato alcuni di essi: gli asfodeli, le ninfee e le tuberose infatti prevalgono su tutti gli altri. Ogni fiore ha una sua simbologia, e occorrerebbe troppo tempo per specificare quali siano per ognuno di essi. Per tornare ai soli fiori citati in precedenza, gli asfodeli sono una specie di gigli che, secondo un'antica leggenda, servivano a consolare gli spiriti eletti dagli dei, che avrebbero dovuto entrare nei Campi Elisi; rappresentano, quindi, un simbolo funebre, dell'oltretomba. Le ninfee sono fiori che si trovano negli stagni, e, pur vivendo in un luogo tutt'altro che lindo, non hanno mai i petali sporchi; posseggono inoltre un profumo particolarmente intenso; tali elementi determinarono la loro simbologia: la purezza e la verginità. Infine le tuberose sono sempre associate alla sensualità, tanto è che, quando nelle poesie qui sotto elencate, sono presenti questi fiori, vi è anche descritto il fascino femminile.  



Poesie sull'argomento

Rosario Altomonte: "Poema floreale. Le tuberose" in «Il Trionfo d'Amore», febbraio 1904.
Rosario Altomonte: "Poema floreale. Le ninfee" in «Il Trionfo d'Amore», giugno 1904.
Diego Angeli: "L'elleboro" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Sandro Baganzani: "Fiori di Pasqua" in "Senzanome" (1924).
Gustavo Botta: "I doni" in "Alcuni scritti" (1952).
Sergio Corazzini: "Asfodeli" in "Dolcezze" (1904).
Giuliano Donati Pétteni: "Motivo di primavera" in "Intimità" (1926).
Vincenzo Fago: "Fior di mistero" in "Discordanze" (1905).
Enrico Fondi: "I papaveri" in «Poesia», agosto 1905.
Giulio Gianelli: "Battesimo" in "Intimi vangeli" (1908).
Cosimo Giorgieri Contri: "I fiori del colchico" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Cosimo Giorgieri Contri: "Un fiore" in «Nuova Antologia», giugno 1908.
Domenico Gnoli: "Fiori secchi" in "I canti del Palatino. Nuove solitudini" (1923).
Corrado Govoni: "Il garofano" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni "Le violette", "I giaggioli", " Le tuberose", "Edelweiss", "Magnolie", "Le azalee", "Le peonie", "I ciclami" e "Gli aster" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "Fiori" in "Poesie elettriche" (1911).
Gesualdo Manzella Frontini: "Ninfea" in "Novissima" (1904).
Tito Marrone: "Ne la pace del sol le rose sognano" in "Cesellature" (1899).
Pietro Mastri: "Fior di bella notte" e "Viola del pensiero" in "Lo specchio e la falce" (1907).
Pietro Mastri: "Il rosolaccio" e "Il girasole" in "La fronda oscillante" (1923).
Enrico Panzacchi: "Sinfoniale di maggio" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "Pervinca" in "Myricae" (1900).
Romolo Quaglino: "Circonfusa di gigli e tuberose" in "I Modi. Anime e Simboli" (1896).
Romolo Quaglino: "Fior d'anima" in "Fior' brumali" (1897).
Giacinto Ricci Signorini: "Fior di gardenia" in "Poesie e prose" (1903).
Antonio Rubino: "Ninfea" in "versi e disegni" (1911).
Francesco ed Emilio Scaglione: "L'asfodelo" in "Limen" (1910).
Alice Schanzer: "Primi ciclami" in "Motivi e canti" (1901).
Domenico Tumiati: "La ghirlanda", "Violaciocche" e "La donna dei tuberosi" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Domenico Tumiati: "Anemoni" e "Il rosaio" in "Liriche" (1937).
Mario Venditti, "Similitudine" in "Il terzetto" (1911)



Testi

ASFODELI
di Sergio Corazzini

Madonna, se il cuore v’offersi,
il cuore giovine e scarlatto,
e se voi, con un magnifico atto,
lo accettaste insieme a’ miei versi

di fanciullo poeta, e se voi
con l’olio del vostro amore
teneste vivo il suo splendore
e lo appagaste de’ suoi

capricci assiduamente,
perché ieri lo faceste
sanguinare, lo faceste
lagrimare dolorosamente?

Tutte le sue gocce rosse
caddero a terra, mute,
e poi che furono cadute
il cuore più non si mosse

e come per incantamento
in ognuna fiorì un asfodelo,
il triste giglio del cielo
da l’eterno ammonimento.

(Da "Dolcezze")





NINFEA
di Antonio Rubino

Sui cieli di piropo un volo d'ibi
s'allunga verso la fumante duna:
riprende il costellato èpos Varùna,
chinando il corso agli orizzonti libi.

E tu, che di tristizia ti cibi,
Ninfea, serpentello di laguna,
che cangi il limo in un pallor di luna,
cullando i pigri amori degli anfibi,

guardi alla duplicata inquietudine
delle stelle, che van pei cieli a torme,
riflesse dalle iridee paludi,

né più senti la breve onda, che scivola,
e il contatto d'un vermo, che s'addorme
nella coppa del tuo fiore lascivo.

(Da "Versi e disegni")





LA DONNA DEI TUBEROSI
di Domenico Tumiati

Dal candelabro pendono
cinque lampade accese:
in un buio paese
come fiaccole splendono.

O splendore notturno!
o profumo improvviso!
Ella mi guarda fiso,
e piega il collo eburno.

Le sue iridi splendono
(i giardini vaporano,
i tuberosi odorano)
e le chiome ampie scendono.

Il martirio è sottile,
e la donna lontana.
Dai cinque sensi, ostile
torbida fiamma emana.

Che desiderio fiero
del giorno! ma l'odore
dei tuberosi! e l'ore
sono a mezzo sentiero.

Le cinque fiamme splendono,
né si flettono mai:
sembrano i cinque rai
spade che un crine fendono.


(Da "Musica antica per chitarra")



Odilon Redon, "Bouquet of flowers in a green vase"

domenica 6 settembre 2015

La finestra nella poesia italiana decadente e simbolista

La finestra rappresenta la possibilità di osservare l'esterno, ovvero di guardare ed interpretare la realtà. Se la finestra è chiusa, ovviamente vuole significare una mancanza di interesse per ciò che accade "al di fuori", oppure può palesare una rinuncia alla vita, o, ancora, rappresentare una perdita, la fine di qualcosa. Quando la finestra è aperta, le immagini, gli odori e i rumori provenienti dall'esterno possono trasmettere il trionfo della vita o, al contrario, della morte. Spesso, soprattutto nei poeti crepuscolari, chi sta alla finestra osserva paesaggi piovosi, che stanno a indicare una interpretazione della realtà e della vita assolutamente negative, poiché dominate dalla tetraggine e dalla noia. Vista dall'esterno, la finestra può avere altre simbologie, spesso legate al mistero e all'amore (quest'ultimo rappresentato da giovani e belle donne affacciate).



Poesie sull'argomento

Italo Mario Angeloni: "Neve rossa" in "Il conquistatore" (1910).
Antonino Anile: "Lontananza" in "Poesie" (1921).
Francesco Cazzamini Mussi: "Convalescenza in settembre" in "Fogline d'assenzio" (1913).
Sergio Corazzini: "La finestra aperta sul mare" in "Le aureole" (1905).
Giuseppe Deabate: "Finestra" in "Il canzoniere del villaggio" (1897).
Federico De Maria: "La sua finestra" in "La leggenda della vita" (1909).
Lionello Fiumi: "Due prigionieri" in "Polline" (1914).
Domenico Gnoli: "Veglia" in "Eros" (1896).
Corrado Govoni: "Su la mia finestra, la pioggia" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni: "Le finestre" in "Poesie elettriche" (1911).
Olindo Malagodi: "La fronda alla finestra" in "Un libro di versi" (1908).
Guido Marta: "La finestra aperta", "Finestra sul canale" e "Finestra sul giardino" in "La neve in giardino" (1922).
Pietro Mastri: "Spesso, in qualche viucola sperduta" in "La Meridiana" (1920).
Nicola Moscardelli: "Finestra chiusa" in "La Veglia" (1913).
Nino Oxilia: "Alla finestra mentre piove" in "Gli orti" (1918).
Aldo Palazzeschi: "Le finestre di Borgo Tramontano" e "La finestra terrena" in "Poemi" (1909).
Teresah: "Mistero" in "Il libro di Titania" (1909).



Testi

LONTANANZA
di Antonino Anile

Son chiuse le finestre de la nota
tua casa. Io passo solo per la via,
con chiusa dentro l'anima l'ombria,
che più m'invade, d'una angoscia ignota.

Non un tempio deserto, a cui non resta
un solo nume, un solo altare, è triste
come ora la tua casa. Non esiste
una tristezza al mondo eguale a questa!

Tu sei lontana. Piovono dolore
le finestre del tuo vedovo lare;
io passo per la via solo: e mi pare
che intorno pianga in ogni cosa un cuore

umano, pianga un'esistenza vinta,
pianga una parte dell'anima mia,
Tu sei lontana. Io passo per la via
solo e vivente d'una vita estinta!

(Da "Poesie")





ALLA FINESTRA MENTRE PIOVE
di Nino Oxilia

Piove e la pioggia lascia andare al vento
le sue chiome leggere;
torce il vento i capelli d'acqua; sento
l'anima a fili torcersi e cadere.

I fili del telegrafo, sottili
tagliano il muro in faccia;
vanno le gocce d'acqua sopra i fili
ad una ad una e l'una e l'altra caccia.

Sono le vene dell'abisso umano
questi fili; imprecisi
nervi del sogno, recano lontano
i pensieri degli uomini divisi.

Che passa ora? Che passa ora, nell'attimo,
sui fili paralleli?
Ecco il mio cuore, umanità che batti
diversa in questo stesso attimo i cieli!

Ecco il mio cuore! Piove e l'acqua striscia
grigia nell'aria scialba:
pensieri in corsa, io vi darei la liscia
cava anima a riparo fino all'alba.

Fino all'alba che rida il sole. Andare
è bello, al sol, sui ponti
sonori di ferrati archi; passare
dalla gioia dei liberi orizzonti

a città tumultuose ove divine
parole e gesti iniqui
s'alternano nei sottosuoli obliqui,
dentro ai palazzi e dentro alle officine;

poi nel fumo oleoso di bitume,
vomitato da gole
profonde, ritrovare un altro fiume
e ribalzare nello stesso sole...

andare è bello! andare è bello! Ma
piove e i pensieri vanno
sotto la pioggia nell'oscurità
silenziosi verso un nuovo affanno:

vanno, e le vene del dolore umano
recano sotto i venti
i pensieri degli uomini lontano,
i pensieri degli uomini piangenti.

Che passa, ora, che passa, ora, nell'attimo,
sui fili paralleli?
Ecco il mio cuore, Umanità che batti
diversa in questo stesso attimo i cieli.

Ecco il mio cuore! Dà la pioggia al vento
le sue chiome leggere;
torce il vento i capelli d'acqua; sento
l'anima a fili torcersi e cadere.


(Da "Gli orti")  


Carl Vilhelm Holsøe, "Waiting by the window"

domenica 30 agosto 2015

Enrico Panzacchi: poeta tra il vecchio e il nuovo

Alcuni poeti italiani della seconda metà del XIX secolo, pur avendo doti non indifferenti,  non hanno avuto adeguati riconoscimenti dalla critica, e  oggi sono appena ricordati. Uno di questi è Enrico Panzacchi (Ozzano dell'Emilia, 1840 - Bologna, 1904), un letterato e un uomo di cultura a tutto tondo, che, oltre alla poesie, scrisse anche saggi critici relativi alla musica e all'arte in generale. Come poeta attraversò varie tendenze dell'epoca: fu in parte carducciano, risentì del clima decadente che già in Italia proponeva la poesia di D'Annunzio, fu influenzato dagli ultimi strascichi del romanticismo, e, infine, ispirò alcuni versi di Giovanni Pascoli (soprattutto quelli di Myricae). A mio avviso, la parte migliore della sua cospicua opera poetica, si trova in certi componimenti decadenti, che a volte mostrano dei toni melanconici, altre volte sensuali. Insomma il Panzacchi migliore va ricercato nelle liriche maggiormente tese verso la poesia emergente, il cui arrivo, sia lui che altri suoi coetanei, in modo indiretto e inconsapevole, favoriranno (mi riferisco, ovviamente, alla poesia dei crepuscolari). Seguendo quest'ultimo ragionamento ho selezionato tre componimenti in versi del letterato emiliano, tutti rintracciabili alla sezione intitolata Fantasie del volume ricapitolativo delle sue Poesie, edito da Zanichelli nel 1908.





Opere poetiche
"Piccolo romanziere", Ricordi, Milano 1872.
"Funeralia", Zanichelli, Bologna 1873.
"Lyrica", Zanichelli, Bologna 1877.
"Vecchio ideale", F.lli David, Ravenna 1879.
"Nuove liriche", Treves, 1888.
"Visioni e immagini", Zanichelli, Bologna 1894.
"Alma natura", Zanichelli, Bologna 1894.
"Rime novelle", Zanichelli, Bologna 1898.
"Cor sincerum", Treves, Milano 1902.
"Poesie", Zanichelli, Bologna 1908.





Presenze in antologie
"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 294-302).
"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (pp. 1201-1206).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 212-213).
"La fiorita francescana", a cura di Tommaso Nediani, Istituto italiano d'arti grafiche, Bergamo 1926 (pp. 72-74; 104)
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 107-108).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 60-63).
"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (pp. 178-179).
"Un secolo di poesia", a cura di Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Petrini, Torino 1957 (pp. 119-122).
"Poeti minori dell'Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Ricciardi, Napoli 1958 (pp.1045-1055).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 549-555).
"Poesia dell'Ottocento", a cura di Carlo Muscetta ed Elsa Sormani, Einaudi, Torino 1968 (volume secondo, pp. 2200-2222).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 3, p. 188).
"Poesia italiana dell'Ottocento", a cura di Maurizio Cucchi, Garzanti, Milano 1978 (pp. 335-338).
"L'albero a cui tendevi la pargoletta mano", a cura di due anonimi, Mursia 1979 (p. 218).
"Bizantini e decadenti nell'Italia umbertina", a cura di Elsa Sormani, Laterza, Bari 1981 (pp. 72-78).
"Antologia illustrata della poesia", a cura di Elvira Marinelli, Giunti, Firenze 2001 (p. 353).




Testi
SOGNANDO

Nell'aria era un effluvio 
di morte rose; ed io 
camminava sui margini 
del fiume dell'Oblio, 

che con l'onda profonda 
ripetea senza velo 
gli alberi della sponda 
e i puri astri del cielo. 

A notte, in gran silenzio 
dormian tutte le cose; 
passavano, passavano 
l'acque silenziose. 

Ma dall'alta corrente 
che le portava al mare 
udia soavemente 
una voce cantare 

(era la bionda Ofelia 
natante, addormentata 
in mezzo al fiume, d'alighe 
e fior campestri ornata): 

«Sul flutto che mi porta 
non splende mai l'aurora; 
vo come foglia morta 
verso ignota dimora. 

Come la nebbia tenue 
che mi lambe le chiome, 
ondeggiando m'inseguono 
fantasmi senza nome. 

Dolce l'oblio; di Lete 
alle dolcissim'onde 
la stanca ala volgete, 
anime vagabonde. 

Quante la vita ha glorie, 
quanti ha sogni l'amore, 
la voluttà non valgono 
del mio divin sopore». 

Così sonava il canto 
per la liquida via; 
e, fascinato, intanto 
col cuore io lo seguia. 

Nell'aria era un effluvio 
dolce di morte rose; 
passavano, passavano 
l'acque silenziose. 

(Da "Poesie")




NELL'HOTEL NON C'È PIÙ ALCUNO

Nell'hotel non c'è più alcuno: 
per le loggie, sulle scale, 
sulle porte numerate 

cala il vespro algido e bruno; 
e quiete sepolcrale 
tien le stanze inabitate. 

Nelle stanze i bianchi letti, 
ove il popol dei bagnanti 
sognò il mare e l'allegria, 

paion tanti cataletti 
tristi, immobili, aspettanti 
che il becchin li porti via. 

Io, postremo abitatore 
e novissimo cliente 
dell'albergo abbandonato. 

guardo all'ultimo chiarore 
che dilegua in occidente; 
guardo al mare ottenebrato. 

Odo errar per le pareti 
un sommesso favellio 
che racconta arcane istorie; 

e dai bianchi sepolcreti 
del silenzio e dell'obblio 
sorgon, sorgon le memorie. 

Le memorie in lunghe schiere 
passan, languide, il crin sciolto, 
l'alma empiendo di sconforti; 

e mi par di rimanere 
freddo, esamine, sepolto 
sotto un mucchio di fior morti. 

(Da "Poesie")




TERRIBIL SIRENA INVERNALE

Par dentro alla neve, tra gli alberi, 
la piccola casa sepolta. 
Tu canti; e non sai nella tenebra 
chi fuori, pensoso, t'ascolta; 

t'ascolta cantare, cantare 
in mesti volubili metri. 
Rosseggian riflesse nei vetri 
le fiamme del tuo focolare. 

Ho freddo. Nei sensi, nell'anima 
mi filtra un affanno mortale. 
Tu evochi le care memorie, 
terribil sirena invernale! 

Danno echi d'angoscia e di pianti 
gli avori del tuo pianoforte; 
un tetro pensiero di morte 
esala ne' dolci tuoi canti.

(Da "Poesie")

martedì 25 agosto 2015

Il padre, il figlio e il somarello

Andavano al mercato un povero padre con un povero figlio, e un somarello poledro; e, o fosse per ricreazione, o per far esercizio, o qualunque fosse la cagione,andavano a piedi. I passeggeri, che in quel giorno di mercato battevano in gran numero quella strada, in veder padre e figlio a piedi, dicevano: «Vedete là coloro: hanno la cavalcatura scarica e pagata, e si straccano, e rompon le scarpe fuor di proposito. Eh sciocchi! servitevi dell'occasione». Allora il padre disse al figlio: «Figlio, il mondo parla; monta a cavallo». Il figlio ubbidisce, e va a cavallo. Erano avanzati pochi passi; ed ecco alcuni altri con volto da beffe, «Vedete colui, giovane, forte, e ben'in gambe starsene comodamente a cavallo; e 'l suo povero padre fargli lo staffiere, e andar' a piedi: che bella creanza! Giù di lì!, dappoco». Allora il padre: «Figlio, vien giù, non facciamo dir' il mondo, e lascia che cavalchi io». Montato a cavallo il padre, sopravvennero altri passeggeri; e ancor qui trovarono a dire. «Oh bella cosa! colui che ha le ossa dure, e assuefatte alla fatica, farsi portare con tutta comodità; e quel povero garzoncello strascinarsi dietro. Che discrezione!». «Il mondo non è ancor contento; senti che brontolano del tuo stancarti? Monta a cavallo ancor tu, e faccianci portar tutti due». E così fecero. Credete voi perciò i passeggeri tacettero? Anche su questo trovarono a dire. «Mira quel povero somarello, ancor polledro, farlo crepar sotto il peso per strade erte e sassose, come son queste! Giù di lì, uomini più asini del vostro asino». «Torniam giù», disse il padre, «perché ci ridono addietro. Qui non resta altro che portiam noi quest'asinello ambedue su le nostre spalle». Così fecero. Ma, sentendosi trattar da matti, conchiusero finalmente, che non bisognava prendersi fastidio del dir degli uomini, e proseguirono il lor viaggio come a lor piacque.


NOTA. Questo testo fa parte del volume 1 delle opere di padre Carlo Ambrogio Cattaneo (1645-1705). Seppure non specificato in tale volume, si tratta di una trasposizione in italiano di un racconto in versi del favolista francese Jean de la Fontaine (1621-1695), presente in: "Favole, Libro terzo, I" col titolo: "Il Mugnaio, suo Figlio e l'Asino". A sua volta, La Fontaine, traspose in lingua francese il testo del favolista dell'antica Grecia Esopo (620 a.C.-564 a.C.) intitolata, probabilmente: "Il contadino, il figlio e l'asino".
Al di là delle origini di questo raccontino, mi piace sottolineare la grande saggezza e la incontrovertibile verità che esso racchiude. Chiunque abbia vissuto un po' in società, sa che i comportamenti degli esseri umani sono molto simili a quelli qui descritti: le critiche arrivano a chiunque, fosse anche la perfezione in persona. Giusto quindi l'apologo, in cui si consiglia di non badare mai alle dicerie della folla, comportandosi secondo la propria coscienza e secondo la propria volontà.
Col titolo medesimo del post, io l'ho ritrovato in un vecchio libro di scuola (foto in basso): "Nuova guida al comporre" di Angelo Bernardini, con il testo leggermente mutato rispetto a quello che ho riportato qui sopra.