giovedì 21 giugno 2012

Ricordo di Enrico Fracassi


Di Enrico Fracassi ci rimangono soltanto dodici poesie scritte nel 1924, pochi mesi prima di uccidersi. Questi pochi versi rimasero a lungo inediti, fino a quando, nel 1948 Enrico Falqui decise di pubblicarle in un volumetto edito dalla Scheiwiller di Milano. Poeta stimato da Ungaretti, incluso da critici autorevoli nelle migliori antologie poetiche del Novecento, Fracassi ancora oggi non è stato del tutto dimenticato, visto che di recente è stata ripubblicata la sua esigua opera poetica. Il perché è spiegato bene da Giacinto Spagnoletti in "Poesia italiana 1909 - 1949", nella prefazione alla scelta antologica di suoi versi:
«Le poesie di chi muore in giovane età - e nel caso di Fracassi, suicida - lasciano sempre alla parola del critico una misura di pietà, che talvolta supera o elude il giudizio stesso, quasi che questo non abbia alcun valore o solo un valore marginale. Si scopre nella poesia di chi è morto il senso della sua tragedia e la amara ricerca della morte; situazione che ha già in sé qualcosa di poetico, di fatale, che inesorabilmente, però, ci trascina altrove, fuori del giudizio critico. Le poesie di Fracassi, quelle poche che egli ci ha lasciato prima di morire, non temono, invece, il nostro giudizio: esse si sono collocate intrepidamente tra le tante immagini di disperazione che ci ha lasciato il Novecento, per una loro assolutezza, cui bisogna legare il nome e il segreto di un uomo eccezionale».
Le liriche di Fracassi nascono dalla sua lettura dei classici greci e latini, ma, come afferma lo stesso Spagnoletti, si percepisce anche una certa somiglianza con la poesia di Vincenzo Cardarelli e (aggiungo io) dei frammentisti della "Voce", come dimostra anche l'uso del verso in prosa. Oggi i versi di Fracassi sono entrati nella storia del Novecento poetico italiano insieme a quelli di Carlo Michelstaedter, di Cesare Pavese, di Antonia Pozzi, di Eros Alesi e di tanti altri poeti non conosciutissimi ma che certo avrebbero meritato di esserlo perché la loro poesia nacque esclusivamente da una necessità disperata di esternare i loro sentimenti e il loro profondo dolore.
 

 

Opere poetiche di Enrico Fracassi


"Congedo", Scheiwiller, Milano 1948.
"Passione e oblio", Il Labirinto, Roma 1998.
 

 

Presenze in antologie


"Antologia della poesia italiana (1909-1949)" a cura di Giacinto Spagnoletti, Guanda, Parma 1952 (pp. 201-205).
"Lirica del Novecento. Antologia di poesia italiana", a cura di Luciano Anceschi e di Sergio Antonielli, Vallecchi, Firenze 1953 (pp. 587-591).
"Poesia italiana contemporanea (1909-1959)" a cura di Giacinto Spagnoletti, Guanda, Parma 1964 (pp. 417-419).
 

 

Testi


Il veleno più sottile è questa bellezza diffusa.
Come uno scolaro in vacanza, aspiri voluttuosamente, gridi di piacere, ti getti supino sull'erba, faccia a faccia contro il cielo.
Quanto più limpida è l'aria, tanto più s'aduggia il mio spirito.
È la Natura un quadro senza figure, che noi non sapremmo animare.

(Da "Passione e oblio")


mercoledì 20 giugno 2012

Due romanzi ritrovati

Due romanzi ormai dimenticati: "Il maestro di Vigevano" di Lucio Mastronardi (1930-1979) e "La vita agra" di Luciano Bianciardi (1922-1971), insieme ai film ispirati a tali romanzi e che portano i medesimi titoli, sarebbero da recuperare al più presto. Il loro merito principale fu quello di individuare le occulte e diaboliche trappole che ormai da qualche anno erano state abilmente inserite dai capitalisti che allora detenevano il potere, nella vita e nel modo di pensare del popolo italiano durante il famoso periodo del "boom economico", ovvero all'inizio degli anni '60. Questi meccanismi che avrebbero portato a una serie di aberrazioni collettive come il consumismo sfrenato, l'invidia sociale, l'esibizionismo senza limiti, la corruzione dilagante e tanto altro ancora, oggi si sono moltiplicati, anche se una crisi economica senza precedenti sembra che stia mettendo in seria crisi un sistema che però, probabilmente, continuerà a dominare il mondo ancora per un bel po'.

 
LIBRI

Lucio Mastronardi, "Il maestro di Vigevano", Einaudi, Torino 1962.
Luciano Bianciardi, "La vita agra", Rizzoli, Milano 1962.
 

 
FILM

"Il maestro di Vigevano", di Elio Petri, con Alberto Sordi e Claire Bloom, Italia 1963.
"La vita agra", di Carlo Lizzani, con Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli, Italia 1964.

domenica 17 giugno 2012

Roma d'estate

"Io ho sempre avuto una profonda compassione di tutta quella gente che dalla propria dignità e dalla consuetudine è costretta a star lontana da Roma nei mesi d’estate. E la mia compassione, in verità, è anche più profonda per tutta quella gente che, pur rimanendo a Roma, si vergogna di mostrarsi per le vie e passa le lunghe ore del giorno in un sopore affannoso, esalando l'intera angoscia in lamentazioni e querele, gonfiandosi di acque tinte, facendosi vento con un ventaglio giapponese o tergendosi il sudore dall'orribil fronte... Oh, povera gente, a cui sono ignoti e saranno forse ignoti per sempre gl’infiniti diletti che Roma, anche d’estate, può dare ai suoi fedeli!
Roma è sovranamente bella e grande e dilettevole in tutte le stagioni. Ma non la Roma invernale tutta color d'oro sotto il pallido cielo di gennaio, come una città dell'Estremo Oriente; né la Roma primaverile, tutta fiorita di rose e di viole come un verziere, ridente nell'azzurro con le sue fontane serene e con le sue chiese argentee; né la Roma d'autunno, immersa nella pura dolcezza della taciturna pace che le piovono i cieli sparsi di nuvole bianche, può venire al paragone con l'ignea Roma estiva che arde solitaria e grandiosa in mezzo alla sua campagna".

(Da: Gabriele D'Annunzio, "Roma fine Ottocento", a cura di Paola Sorge, Newton Compton, Roma 1995, p. 57)


venerdì 15 giugno 2012

Il viaggio definitivo

...E me ne andrò. E resteranno gli uccelli
a cantare;
e resterà il mio giardino, col suo verde albero
e col suo pozzo bianco.
Tutte le sere, il cielo sarà azzurro e placido;
e suoneranno, come suonano stasera,
le campane del campanile.
Moriranno quelli che mi amarono;
e il paese rinnoverà di gente ogni anno;
e nell'angolo, là, del mio giardino fiorito e incalcinato,
vagherà, nostalgico, il mio spirito...
E me ne andrò; e sarò solo, senza casa, senz'albero
verde, senza pozzo bianco,
senza cielo azzurro e placido...
E resteranno gli uccelli a cantare.


(Juan Ramon Jiménez)
Da "Poeti del Novecento italiani e stranieri", Einaudi, Torino 1960





È una bellissima poesia di Juan Ramon Jiménez incentrata sulla morte e sulla vita. La morte che sancisce la perdita di tutto ciò che abbiamo: dei nostri luoghi cari, delle persone che ci hanno amato; per questo il poeta s'immagina, avvenuto il trapasso, che il suo spirito vaghi, inconsolabilmente solo, nel suo giardino fiorito, accorgendosi che oramai è morta tutta la gente da lui conosciuta, perché la vita va avanti inesorabilmente, e le generazioni si susseguono. È, in sostanza, un'amara constatazione: ciò che a noi fu più caro e prezioso scomparirà per sempre con la nostra dipartita e nulla rimarrà oltre ai luoghi che ci videro vivere, gioire ed amare. Un altro poeta, Camillo Sbarbaro, ribadisce il medesimo concetto in questi versi tratti da un'altra splendida poesia: «Di ciò che abbiam sofferto / di tutto ciò che in vita ebbimo a cuore / non rimarrà il più piccolo ricordo».




martedì 12 giugno 2012

La poesia di Carlo Michelstaedter



Carlo Michelstaedter (Gorizia 1887 - ivi 1910) è stato un illustre filosofo e anche un ottimo poeta pur non avendo mai pubblicato volumi di versi nella sua breve vita. Le sue poche liriche uscite postume le scrisse per esigenza personale e senza l'intenzione di renderle note al pubblico; si pongono perciò come una sorta di diario intimo, privato, destinato forse ai soli amici più stretti e alle donne amate. Oggi i versi di Michelstaedter è possibile leggerli nel volume "Poesie" della Adelphi (è uscito per la prima volta nel 1987 ed è stato più volte ristampato). Sfogliando il libro citato si capisce che le poesie dello scrittore friulano hanno molta attinenza col suo pensiero filosofico e poca col clima letterario dei suoi tempi. I temi sono spesso riconducibili all'amore e alla morte: due ossessioni, si potrebbe dire, per Michelstaedter, e ciò appare più evidente leggendo la splendida poesia "Il canto delle crisalidi". Si nota poi un'attenzione particolare per gli eventi stagionali che fanno da spunto al poeta per esprimere più chiaramente i suoi stati d'animo e la sua energia interiore. Si trovano anche elementi che ricordano la malinconia e il pessimismo leopardiano, soprattutto quando Michelstaedter medita sul significato della vita. Ricorrenti sono le immagini dei paesaggi marini e del mare, che, come al solito, suggeriscono a Michelstaedter profonde riflessioni sull'esistenza e sul trapasso. Oggi, a più di cento anni dalla scomparsa del filosofo goriziano, è il caso di considerare Michelstaedter come uno dei migliori poeti del XX secolo, poiché i suoi versi posseggono una sincerità, una profondità di sentimenti e una maestria raramente riscontrabili in altri poeti del suo tempo, dai quali si allontana anche e soprattutto perché la sua poesia possiede il requisito essenziale dell'atemporalità, che la rende immortale e estranea a qualunque tipo di moda o tendenza.
 

 
Opere poetiche di Carlo Michelstaedter
"Scritti (volume I)", Formiggini, Roma 1912.
"Poesie", Adelphi, Milano 1987.
 
 
Presenze in antologie
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 286-287).
"Lirica del Novecento. Antologia di poesia italiana", a cura di Luciano Anceschi e di Sergio Antonielli, Vallecchi, Firenze 1953 (pp. 101-106).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 519-522).
"Poeti italiani del XX secolo", a cura di Alberto Frattini e Paolo Tuscano, La Scuola, Brescia 1974 (pp. 106-116).
"Poesia italiana del Novecento", a cura di Piero Gelli e Gina Lagorio, Garzanti, Milano 1980 (vol. I, pp. 245-254).
"Poesia italiana del Novecento", a cura di Elio Pecora, Newton Compton, Roma 1990 (pp. 99-104).
"Poesia del Novecento italiano. Dalle avanguardie storiche alla seconda guerra mondiale", a cura di Niva Lorenzini, Carocci, Roma 2002 (pp. 83-85).
 

 
Testi
IL CANTO DELLE CRISALIDI

Vita, morte,
la vita nella morte;
morte, vita,
la morte nella vita.

Noi col filo
col filo della vita
nostra sorte
filammo a questa morte.

E più forte
è il sogno della vita -
se la morte
a vivere ci aita

ma la vita
la vita non è vita
se la morte
la morte è nella vita

e la morte
morte non è finita
se più forte
per lei vive la vita.

Ma se vita
sarà la nostra morte
nella vita
viviam solo la morte

morte, vita,
la morte nella vita;
vita, morte,
la vita nella morte. -

(da "Poesie")


domenica 10 giugno 2012

Poeti dimenticati: Luigi Donati

Luigi Donati nacque a Lugo di Romagna nel 1870 e vi morì nel 1946. Giornalista, scrittore e bibliotecario, si interessò dell'opera poetica del suo corregionale Giacinto Ricci Signorini, curandone anche l'edizione postuma delle poesie e delle prose. Amico di Gian Pietro Lucini che scrisse una prefazione alla sua opera poetica più significativa: Le Ballate d'Amore e di Dolore (1897), fece parte di un cenacolo di poeti che per primi introdussero in Italia la poetica del simbolismo. I versi di Donati mostrano alcuni elementi neoromantici, pascoliani e decadenti.
 
 
Opere poetiche"Tentativi", Seraglio, Siracusa 1893.
"Le Ballate d'Amore e di Dolore", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1897.
"Poesia di Passione. La Grazia", Zanichelli, Bologna 1928.
 
 
Presenze in antologie"Il Verso Libero", Edizioni di "Poesia", Milano 1908 (pp. 630-632).

"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (Vol. 1, pp. 86-90; vol. 2, pp. 108-109; vol 3, p. 95).
 
 
Testi
DOLOROSA

Come il vento fra i rami di cipresso,
Piange talvolta l'anima nel verso
Ch'io nell'enigma della vita immerso
Plasmo fra i dubbi da cui sono oppresso.

Piange, né ad essa valgono i conforti
Della fede i sorrisi del pensiero
Tuttora illuso da un gentil miraggio...
Ahi, voti onesti un dì ben saldi, or morti
E chiusi in qualche ignoto cimitero,
Unica meta al mio triste viaggio:
Voi siete i fior divelti in pieno maggio
Dall'anima che omai nega ogni cosa
E piange una ballata dolorosa,
Come il vento fra i rami di cipresso.

(Da "Poesia di Passione")

venerdì 8 giugno 2012

Il bambino (o fanciullo) nella poesia italiana decadente e simbolista

La simbologia del fanciullo è spesso collegata ad un concetto di purezza, d'ingenuità, di semplicità e di speranza; non mancano però altri tipi di simboli che fanno riferimento al bambino, il quale, in alcuni casi, viene identificato col mondo (in Onofri per esempio) oppure con "un mondo" ovvero con la realtà tutta personale e straordinaria che riesce a percepire soltanto il fanciullo, sorta di essere dai poteri sensoriali enormemente sviluppati e dotato di un'immaginazione fantastica che gli permette di cogliere e immagazzinare elementi sconosciuti dell'universo, inaccessibili agli adulti. Se però si parla di poesia crepuscolare, il bambino o, meglio, l'infanzia diviene il periodo maggiormente rimpianto del passato, perché privo di tristezza e colmo di spensieratezza.
 

 
Poesie sull'argomento

Paolo Buzzi: "I bimbi" in "Aeroplani" (1909).
Carlo Chiaves: "Inquietudine" in "Sogno e ironia" (1910).
Guelfo Civinini: "Il poeta fanciullo" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Sergio Corazzini: "Il fanciullo" in "Le aureole" (1905).
Federico De Maria: "Il bimbo" in "La Leggenda della Vita" (1909).
Willy Dias: "La bambola e la bimba" in «Poesia», novembre 1908.
Giulio Gianelli: "La fiaba" in «Riviera Ligure», luglio 1911.
Enzo Marcellusi: "I fanciulli" in "Il giardino dei supplizi" (1909).
Nicola Marchese: "Infanzia" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone: "Un fanciullo" in "Liriche" (1904).
Giovanni Pascoli: "Il fanciullo" in "Pensieri e dicorsi" (1907).
Fausto Salvatori, "Il bel putto che stringe fra le bracia" in "In ombra d'amore" (1929).
G. A. Sanguineti: "Vertigine" in "La cicuta" (1911).
Francesco Scaglione: "I fanciulli vecchi" in "Le Litanie" (1911).
Emanuele Sella: "Il Sogno" in "Rudimentum" (1911).
Domenico Tumiati: "L'amorino" e "La Bambina delle spine" in "Musica antica per chitarra" (1897).
 


Testi
 
IL FANCIULLO
di Giovanni Pascoli

Il nome? Il nome? L'anima io semino,
ciò ch'è di bianco dentro il nocciolo,
    che in terra si perde,
        ma nasce il bell'albero verde.

Non lauro e bronzo voglio; ma vivere;
e vita è il sangue, fiume che fluttua
    senz'altro rumore,
        che un battito, appena, del cuore.


Nei cuori, io voglio, resti un mio palpito,
senz'altro vanto che qual d'un brivido
    che trema su l'acque,
        fa il sasso che in fondo vi giacque.

Nell'aria, io voglio, resti un mio gemito:
se l'assiuolo geme voglio essere
    tra i salci del rio
        anch'io, nelle tenebre, anch'io.


Se le campane piangono piangono,
io nelle opache sere invisibile
    voglio essere accanto
        di quella che piange a quel pianto.


Io poco voglio; pur, molto: accendere
io su le tombe mute la lampada
    che irraggi e conforti
        la veglia dei poveri morti.


Io tutto voglio; pur, nulla: aggiungere
un punto ai mondi della Via Lattea,
    nel cielo infinito;
        dar nuova dolcezza al vagito.


Voglio la vita mia lasciar; pendula
ad ogni stelo, sopra ogni petalo,
    come una rugiada
        ch'esali dal sonno, e ricada


nella nostr'alba breve. Con l'iridi
di mille stille sue nel sole unico
    s'annulla e sublima...
        lasciando più vita di prima.


(Da "Pensieri e discorsi")