Il morire è
nulla: è il non vivere
che riesce orribile.
V.
HUGO
I
Suonano a festa:
olezzan di viole
Le morte zolle e
si rallegra la terra;
Cantano gli
augelli, sfogliansi le aiuole...
Tacciono i morti
e dormono sotterra.
Inverno riede;
Autunno, come suole,
L’ultime gemme
dei fiori disserra,
Ronzano insetti e
volteggiano al sole...
Tacciono i morti
e dormono sotterra.
Dormono stesi,
immobili, stecchiti
Nell’umido, che
stilla entro la fossa,
Col lenzuol roso
e co’ stinchi imbianchiti.
O padre mio, una
voce mi dice
E mi suona
nell’anima commossa
Che tu sei morto
e non fosti felice!
II
Che felice non
fosti! È questo ingrato
Rimembrar che la
mia vita addolora,
È il rimembrar
che de’ tuoi cari il fato
Non allietò la
tua fredda dimora;
Ma dimmi, per le
lacrime, che dato
Mi fia versar su
la tua fossa ancora,
D’un’altra vita,
in forme altri rinato,
Vedesti o vedi
una più lieta aurora?
Dimmi: pel duolo
ond’è l’anima oppressa
Per il negro
avvenir, che m’impaura,
È una mercede
alla virtú concessa?
Ma tutto è muto!
- Il sol dall’alto sferra
Gli ultimi raggi,
e sorride natura...
Tacciono i morti
e dormono sotterra.
I due sonetti che
compaiono in questo post e che portano il titolo Nel dì dei morti, sono di Iginio Ugo Tarchetti (pseudonimo di Igino Pietro Teodoro Tarchetti, San Salvatore Monferrato 1839 - Milano 1969) e furono pubblicati
all'interno della raccolta postuma Disjecta.
Versi (Zanichelli, Bologna 1879); dalla pagina 5 e 6 di detto volume li ho
trascritti. In seguito, questi versi comparvero in diverse antologie della
poesia italiana più o meno importanti, ed ora è possibile leggerli, insieme a
tutti i versi dello scrittore piemontese, in Disjecta. Frammenti lirici, a cura di Roberto Mosena, Carabba,
Lanciano 2017. Grazie a quest'ultimo volume, sono venuto a sapere che i due
sonetti fecero la loro prima comparsa nel novembre del 1867, sulla rivista L'Illustrazione universale. Poi,
comparvero di nuovo nella strenna Il
Presagio (Bontà e Co., Milano 1868); qui, tra l'altro, vengono inseriti un
luogo e una data di composizione: Milano,
1 novembre 1867, che meglio spiegano la frase del primo verso ("Suonano a festa"), ovvero il fatto
che i sonetti furono scritti nel giorno di Ognissanti, che precede quello della
commemorazione dei defunti. Per quel che riguarda il contenuto dei due sonetti,
iniziando dal primo si può dire che le due quartine si limitano a descrivere
l'ambiente e il paesaggio in cui il poeta si trova: il camposanto dove è
situata la tomba del genitore, in una giornata mite d'autunno; sembrerebbe
quasi l'inizio di un idillio, se non ci fosse quell'inquietante verso che
chiude entrambe le quartine, a sottolineare il silenzio dei morti, e il
conseguente malessere che si insinua nel poeta. La prima terzina del primo
sonetto mostra la tendenza - comune in quasi tutti gli scapigliati - al gusto
del macabro, insistendo troppo su particolari riguardanti il cadavere e le cose
che lo circondano, sinceramente superflui. La seconda terzina aumenta ancor di
più la drammaticità del contesto, a causa di quella voce interiore percepita dal poeta, che sottolinea l'infelicità cronica del padre del poeta, durata
praticamente per tutta la sua vita. Il secondo sonetto, se possibile, rincara
ancor di più la dose di drammaticità e di disperazione, con affermazioni
relative alla sorte dei familiari (cari)
più intimi, sia di Tarchetti che del padre, evidentemente poco fortunata. Quindi,
nella seconda quartina e nella prima terzina, il poeta inizia una sorta di
dialogo col genitore, quasi convinto che il povero defunto possa in qualche
modo rispondergli; in particolare gli chiede se, dopo la morte, abbia avuto la
possibilità di rinascere di nuovo, magari in altra forma vivente e con una
nuova possibilità di trovare quella felicità mai assaporata nella prima vita; poi
gli chiede ancora, se per tutto l'immenso dolore provato dall'anima e per il
fortissimo timore dell'incerto futuro (sentimenti provati sia dal padre che dal
poeta stesso) ci sia, dopo la morte, finalmente un riscatto. Si arriva infine
all'ultima terzina, che rimarca il silenzio assoluto dei morti, impossibilitati
a rispondere sia a questa che a qualunque altra domanda esistenziale; la poesia
trova il suo epilogo nello stesso modo in cui aveva trovato il suo prologo: con
la contraddittoria serenità che si respira in quel luogo destinato alle persone
scomparse; la natura ancora offre, sebbene l'autunno sia già iniziato da un
pezzo, giornate soleggiate e tiepide, mentre i morti, sotto terra, non possono
né parlare e né guardare quel paesaggio così incantevole e rassicurante.