martedì 28 febbraio 2012

Da "Alla ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust

Trovo molto ragionevole la credenza celtica che le anime di quelli che abbiamo perduto siano prigioniere in qualche essere inferiore, una bestia, un vegetale, una cosa inanimata, perdute per noi fino al giorno, che per molti non arriva mai, in cui ci troviamo a passare vicino all'albero, a entrare in possesso dell'oggetto che le tiene prigioniere. Allora sobbalzano, ci chiamano, e appena le abbiamo riconosciute, l'incantesimo si spezza. Liberate da noi, hanno vinto la morte e ritornano a vivere con noi.
È così per il nostro passato. È invano che cerchiamo di rievocarlo, tutti gli sforzi della nostra intelligenza sono inutili. È nascosto al di fuori del suo campo e della sua portata, in qualche oggetto materiale (nella sensazione che un oggetto materiale ci potrebbe dare) che non sospettiamo. Quell'oggetto, dipende dal caso che lo incontriamo prima di morire, o che non lo incontriamo affatto.

(Marcel Proust: "Alla ricerca del tempo perduto - Dalla parte di Swann", F.lli Melita Editori, La Spezia 1988, p. 49)

lunedì 27 febbraio 2012

Candori

Nel lago sereno che dorme
vegliato dai lumi del cielo,
(la notte gli affonda nel cuore)
galleggia lontano un chiarore
immobile, tacito, informe,
più lieve, più dolce di un velo.

Ninfee?... che dischiusero i seni
stellanti dal gran cuore d’oro
sgorgato dai placidi laghi?
Cigni? Ali distese su i vaghi
giacigli dell’onda che pieni
ne cullano il bianco tesoro?

O spume? Più vaghe, più vane
di cose, di sogni o parole;
più brevi dell’ora mortale?
Chi sa?.. Qualche cosa che sale
di puro dall’ombra e rimane
mistero di fole, di fole…
 

Bellissima poesia di Luisa Giaconi (1870-1908) che fa parte della raccolta "Tebaide", uscita postuma nel 1909 e poi, con l'aggiunta di nuove poesie, nel 1912. Il tema è dato, come fa intuire il titolo, dal chiarore che si osserva sulle acque di un lago nelle ore notturne. Quale sia l'origine di tale fenomeno non è cosa nota; la poetessa prova a fare delle ipotesi: sono forse delle ninfee, ovvero le piante acquatiche con fiori dai petali bianchi e di dimensioni piuttosto grandi, che si sono dischiusi improvvisamente tutti insieme? O son forse dei cigni che hanno disteso le loro ali? O forse sono spume indefinite e brevi, chissà per quale motivo createsi? Impossibile sapere la verità: rimane soltanto il mistero di quel bianco puro salito dalle tenebre del lago favoloso.


L'amore nella poesia italiana decadente e simbolista

L'amore nella poesia simbolista e decadente italiana serve spesso da spunto per un discorso più ampio, che magari si ricollega al passato, alla sofferenza e alla morte. Altre volte (si legga la poesia del Vallini) il discorso si trasforma in una profonda meditazione sull'esistenza. Nei poeti crepuscolari anche l'amore è un'occasione per evidenziare uno status di compiaciuta tristezza e di dolce malinconia. Leggendo alcuni versi specifici, in "Se non ci sei..." di Giovanni Camerana l'assenza dell'amore causa al poeta una serie di sensazioni negative ben esplicitate da alcune parole del testo come: "sepolcreto", "nero", "noia" e "incubo". Nella prima lirica di "Intermezzo della primavera" Gian Pietro Lucini descrive "Amore" a guisa di una divinità che si acquatta e insidia chi gli capita a tiro. Ne "Il tempio dell'Amore" Arturo Graf immagina un edificio dedicato al dio Amore situato in mezzo ad un bosco selvaggio. Nelle due poesie di Corrado Govoni che fanno parte della raccolta "Le fiale", si crea una sorta di contrapposizione tra l'amore sacro e quello profano ovvero tra la santità ed il peccato, il bene ed il male, l'angelo ed il diavolo. In una poesia di Italo Dalmatico l'amore è simboleggiato dal sole splendente, mentre la morte è il mare sottostante in cui il sole si rispecchia. In una poesia di Diego Angeli si parla di un monumento dedicato all'amore morto, costruito dal poeta stesso che, pur avendo amato intensamente non ha ricevuto altrettanto amore. Infine Guido Gozzano in "Convito" vede malinconicamente apparire, dalle braci del suo camino, non più in forma umana, le (tante) donne che lo amarono ma che lui non seppe o non volle amare.
 

Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "Hic iacet amor" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Fausto M. Bongioanni: "Via Santa Chiara" e "Via Cottolengo" in "Venti poesie" (1924).
Antonio Bruno: "Sérénade d'autrefois" in "Fuochi di Bengala" (1917).
Giovanni Camerana: "Se non ci sei..." in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli: "L'amore morto" in "L'Incubo Velato" (1906).
Guelfo Civinini: "Lamento d'amore sul mare" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Guido Da Verona: "Amore" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).
Italo Dalmatico: "Amore splende come il sole..." in "Juvenilia" (1903).
Luigi Donati: "Il Risorto Amore" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Luigi Fallacara: "Il segno lieto" in "Illuminazioni" (1925).
Cosimo Giorgieri Contri: "L'ultima lettera" in "Il convegno dei cipressi" (1894).
Cosimo Giorgieri Contri: "Amor del passato" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Corrado Govoni: "Amore spirituale" e "Amore libidinoso" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni "L'amore è triste" e "O amante mia!" in "Gli aborti" (1907).
Guido Gozzano: "Convito" in "I colloqui" (1911).
Arturo Graf: "Il tempio dell'Amore" in "Le Danaidi" (1905).
Virgilio La Scola: "Primo incontro" in "La placida fonte" (1907).
Marco Lessona: "Sempre" in "Ritmi" (1902).
Gian Pietro Lucini: "Amore insidia dalla rosa e tace" e "La Ballata delle Dame del Fiore" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Fausto Maria Martini: "Esaltazione dell'amore" in "Panem nostrum" (1907).
Arturo Onofri: "Nulla è più lucido e bianco de' tuoi piccoli denti" in "Canti delle oasi" (1909).
Nino Oxilia: "Tu e io" in "Gli orti" (1918).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Come un rosaio" in "Sillabe ed Ombre" (1925).
Guido Ruberti: "A Marcella" in "Le Evocazioni" (1909).
Carlo Vallini: "L'amore" in "Un giorno" (1907).
Remigio Zena: "Colloquio spirituale" in "Le Pellegrine" (1894).
 

Testi

CONVITO
di Guido Gozzano

I.

M'è dolce cosa nel tramonto, chino
sopra gli alari dalle braci roche,
m'è dolce cosa convitar le poche
donne che mi sorrisero in cammino.
 

II.

Trasumanate già, senza persone,
sorgono tutte... E quelle più lontane,
e le compagne di speranze buone
e le piccole, ancora, e le più vane:
mime crestaie fanti cortigiane
argute come in un decamerone...

Tra le faville e il crepitio dei ceppi
sorgono tutte, pallida falange...
Amore no! Amore no! Non seppi
il vero Amor per cui si ride e piange:
Amore non mi tanse e non mi tange;
invano m'offersi alle catene e ai ceppi.

O non amate che mi amaste, a Lui
invan proffersi il cuor che non s'appaga.
Amor non mi piagò di quella piaga
che mi parve dolcissima in altrui...
A quale gelo condannato fui?
Non varrà succo d'erbe o l'arte maga?

 
III.

- Un maleficio fu dalla tua culla,
né varrà l'arte maga, o sognatore!
Fino alla tomba il tuo gelido cuore
porterai con la tua sete fanciulla,
fanciullo triste che sapesti nulla,
ché ben sa nulla chi non sa l'Amore.

Una ti bacierà con la sua bocca,
sforzando il chiuso cuore che resiste;
e quell'una verrà, fratello triste,
forse l'uscio picchiò con la sua nocca,
forse alle spalle già ti sta, ti tocca;
già ti cinge di sue chiome non viste...

Si dilegua con occhi di sorella
indi ciascuna. E si riprende il cuore.
«Fratello triste, cui mentì l'Amore,
che non ti menta l'altra cosa bella!»

(Da "I colloqui").
 
 

domenica 26 febbraio 2012

Ora io non guardo

Ora io non guardo che un punto bianco
su una lavagna scancellata.




COMMENTO
Questa poesia brevissima è stata scritta da Leonardo Sinisgalli (1908-1981) e fa parte del volume "Il passero e il lebbroso" che il poeta lucano pubblicò nel 1970. Col passare degli anni i versi di Sinisgalli, esponente di spicco dell'ermetismo, andarono sempre più verso una sintesi, una scarnificazione che s'avvicina all'epigrammaticità. In questo caso è intuibile uno stato di fissità oculare, forse sintomo di stanchezza, forse di apatia o forse di chiusura. La lavagna scancellata però fa pensare al periodo scolastico e quindi i due versi potrebbero essere riferiti ad un ricordo lontano; ma l'avverbio di tempo con cui inizia la poesia fa riferimento al presente e quindi ad una situazione diversa. Questa difficile interpretazione conferma che Sinisgalli mantenne, in qualche modo, la sua caratteristica ermeticità anche nelle opere più tarde.




Leonardo Sinisgalli





giovedì 23 febbraio 2012

Verrà un giorno

Verrà un giorno più puro degli altri:
scoppierà la pace sulla terra
come un sole di cristallo.
Una luce nuova
avvolgerà le cose.
Gli uomini canteranno per le strade
ormai liberi dalla morte menzognera.
Il frumento crescerà sui resti
delle armi distrutte
e nessuno verserà
il sangue del fratello.
Il mondo allora apparterrà alle fonti
e alle spighe che imporranno il loro impero
di abbondanza e freschezza senza frontiere.


L'autore di questa poesia è Jorge Carrera Andrade (Quito 1903 - Parigi 1978), poeta e storico ecuadoregno che nel suo paese ricoprì cariche prestigiose prima di trasferirsi a Parigi, nel 1946, perchè in contrasto col regime instauratosi nel paese sudamericano. In Europa divenne amico di letterati come Tzara ed Eluard. Tornò in Ecuador per un breve periodo (rischiò infatti il carcere per essersi opposto al governo militare) e quindi si stabilì negli Stati Uniti, dove insegnò alla State University di New York. Morì a Parigi all'età di 75 anni.
Nella poesia si parla di una utopia: la pace su tutta la Terra. L'impressione che si ha è quella di un sogno ad occhi aperti; un ottimismo che va al di là di ogni più rosea previsione fa immaginare al poeta che in un imprecisato futuro arriverà il giorno in cui finiranno per sempre gli odi e le guerre tra gli esseri umani. Da questo fantastico giorno anche la luce e la natura muteranno aspetto e si vivrà in una specie di paradiso terrestre in cui non esisteranno le armi, la fame né tanto meno le frontiere. Una delle cose che fanno grande la poesia ed i poeti è la capacità, con la forza del pensiero e con la bellezza delle parole, di immaginare mondi meravigliosi ma irreali, riuscendo a convincere che tali mondi possano divenire un giorno realtà.

martedì 21 febbraio 2012

Da "Gente in Aspromonte" di Corrado Alvaro

Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d'inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro coi lunghi cappucci attaccati ad una mantelletta triangolare che protegge le spalle, come si vede talvolta raffigurato qualche dio greco pellegrino e invernale. I torrenti hanno una voce assordante. Sugli spiazzi le caldaie fumano al fuoco, le grandi caldaie nere sulla bianca neve, le grandi caldaie dove si coagula il latte tra il siero verdastro rinforzato d'erbe selvatiche. Tutti intorno coi neri cappucci, coi vestiti di lana nera, animano i monti cupi e gli alberi stecchiti, mentre la quercia verde gonfia le ghiande pei porci neri. Intorno alla caldaia, ficcano i lunghi cucchiai di legno inciso, e buttano dentro grandi fette di pane. I pastori cavano fuori i coltelluzzi e lavorano il legno, incidono di cuori fioriti le stecche da busto delle loro promesse spose, cavano dal legno d'ulivo la figurina da mettere sulla conocchia, e con lo spiedo arroventato fanno buchi al piffero di canna. Stanno accucciati alle soglie delle tane, davanti al bagliore della terra, e aspettano il giorno della discesa al piano, quando appenderanno la giacca e la fiasca all'albero dolce della pianura.

(Corrado Alvaro: "Gente in Aspromonte", Garzanti, Milano 1996, p. 3)

lunedì 20 febbraio 2012

Antologie: "Poeti della rivolta"


"Poeti della rivolta, da Carducci a Lucini" è il titolo di un'antologia poetica curata da Pier Carlo Masini e pubblicata dalla Rizzoli in Milano nel 1978. La sostanza del libro è ben spiegata dal curatore sul retro dello stesso:

«Questa raccolta di testi poetici - in cui le firme celebri si affiancano a nomi oscuri o misconosciuti - attesta con singolare immediatezza di toni i sogni e le rivolte delle giovani generazioni, tra fine Ottocento e inizi Novecento, fra lo spegnersi delle speranze risorgimentali e le insorgenti delusioni dell'Italia unita. [...] Il volume mostra quanto consistente sia stata, nelle lettere italiane, una tradizione di protesta civile, e al tempo stesso quanto questa tradizione sia stata, in passato, ignorata e deprezzata dalla critica ufficiale, tanto sollecita nel divulgare scritti conformisti o di regime quanto pronta a emarginare le voci di dissenso e di rivolta [...]».

Ora, al di là della veridicità di queste affermazioni, sfogliando l'antologia ci si accorge di quanto, in quel preciso periodo, vi fosse realmente una inquietudine, un fermento sociale cui non erano estranei gli intellettuali e in modo particolare i poeti. Ma non tutti i soggetti presenti nella selezione antologica si possono identificare come poeti: vi figurano infatti nomi di famosi politici come Filippo Turati, il quale in gioventù pubblicò un libro di versi intitolato "Strofe"; ci sono giornalisti come Ugo Ojetti, pittori come Diego Martelli, magistrati come Lodovico Mattioli, avvocati come Luigi Molinari ecc. Insomma, uomini che, pur ricoprendo ruoli importanti nella società, vollero esprimere il loro malcontento nel modo che all'epoca risultava più facile e praticabile: scrivendo dei versi. Tra i "veri" poeti, a parte i due nomi citati nel titolo: Giosue Carducci e Gian Pietro Lucini, compaiono figure di notevole spessore come Giovanni Pascoli, Carlo Dossi, Giovanni Camerana, Lorenzo Stecchetti, Edmondo De Amicis e Arturo Graf; insieme a loro ci sono poi altri poeti minori del secondo Ottocento più o meno noti come Felice Cavallotti, Severino Ferrari, Mario Rapisardi, Giuseppe Aurelio Costanzo, Giovanni Marradi, Pompeo Bettini, Ada Negri e Giovanni Cena. Ma la sorpresa si ha leggendo i versi di autori del tutto sconosciuti come Carlo Monticelli, Carlo Baravalle e Giovanni Antonelli, poeti a mio avviso di un certo valore riscoperti da questa antologia certamente opportuna e molto interessante. Infine è impossibile non nominare il nome dell'anarchico Pietro Gori, anche lui presente nell'antologia con quattro canti tra cui la bellissima "Addio Lugano". Di seguito riporto l'elenco dei poeti inclusi nell'antologia.
 

Giosue Carducci, Eliodoro Lombardi, Giulio Uberti, Felice Cavallotti, Giulio Pinchetti, Giovanni Camerana, Carlo Dossi, Domenico Milelli, Giacinto Stiavelli, Stanislao Alberici-Giannini, Lorenzo Stecchetti, Ferdinando Fontana, Gerolamo Ragusa Moleti, Giovanni Pascoli, Severino Ferrari, Corrado Corradino, Vittorio Salmini, Enrico Onufrio, Carlo Monticelli, Oreste Fortuna, Giovanni Saragat, Antonio Ghislanzoni, Carlo Baravalle, Mario Rapisardi, Giuseppe Aurelio Costanzo, Carlo Borghi, Filippo Turati, Cesario Testa, Giovanni Marradi, Ulisse Barbieri, Domenico Oliva, Pompeo Bettini, Giovanni Antonelli, Tommaso Cannizzaro, Giovanni Lanzalone, Lodovico Mattioli, Ettore Sanfelice, Angiolo Cabrini, Giorgio Sinigaglia, Ada Negri, Pietro Gori, Sebastiano Satta, Diego Martelli, Anton Giulio Barrili, Arturo Colautti, Ugo Ojetti, Luigi Molinari, Giovanni Cena, Arturo Graf, Edmondo De Amicis, Gian Pietro Lucini.