L'amore nella poesia simbolista e decadente italiana serve spesso da spunto per un discorso più ampio, che magari si ricollega al passato, alla sofferenza e alla morte. Altre volte (si legga la poesia del Vallini) il discorso si trasforma in una profonda meditazione sull'esistenza. Nei poeti crepuscolari anche l'amore è un'occasione per evidenziare uno status di compiaciuta tristezza e di dolce malinconia. Leggendo alcuni versi specifici, in "Se non ci sei..." di Giovanni Camerana l'assenza dell'amore causa al poeta una serie di sensazioni negative ben esplicitate da alcune parole del testo come: "sepolcreto", "nero", "noia" e "incubo". Nella prima lirica di "Intermezzo della primavera" Gian Pietro Lucini descrive "Amore" a guisa di una divinità che si acquatta e insidia chi gli capita a tiro. Ne "Il tempio dell'Amore" Arturo Graf immagina un edificio dedicato al dio Amore situato in mezzo ad un bosco selvaggio. Nelle due poesie di Corrado Govoni che fanno parte della raccolta "Le fiale", si crea una sorta di contrapposizione tra l'amore sacro e quello profano ovvero tra la santità ed il peccato, il bene ed il male, l'angelo ed il diavolo. In una poesia di Italo Dalmatico l'amore è simboleggiato dal sole splendente, mentre la morte è il mare sottostante in cui il sole si rispecchia. In una poesia di Diego Angeli si parla di un monumento dedicato all'amore morto, costruito dal poeta stesso che, pur avendo amato intensamente non ha ricevuto altrettanto amore. Infine Guido Gozzano in "Convito" vede malinconicamente apparire, dalle braci del suo camino, non più in forma umana, le (tante) donne che lo amarono ma che lui non seppe o non volle amare.
Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "Hic iacet amor" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Fausto M. Bongioanni: "Via Santa Chiara" e "Via Cottolengo" in "Venti poesie" (1924).
Antonio Bruno: "Sérénade d'autrefois" in "Fuochi di Bengala" (1917).
Giovanni Camerana: "Se non ci sei..." in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli: "L'amore morto" in "L'Incubo Velato" (1906).
Guelfo Civinini: "Lamento d'amore sul mare" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Guido Da Verona: "Amore" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).
Italo Dalmatico: "Amore splende come il sole..." in "Juvenilia" (1903).
Luigi Donati: "Il Risorto Amore" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Luigi Fallacara: "Il segno lieto" in "Illuminazioni" (1925).
Cosimo Giorgieri Contri: "L'ultima lettera" in "Il convegno dei cipressi" (1894).
Cosimo Giorgieri Contri: "Amor del passato" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Corrado Govoni: "Amore spirituale" e "Amore libidinoso" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni "L'amore è triste" e "O amante mia!" in "Gli aborti" (1907).
Guido Gozzano: "Convito" in "I colloqui" (1911).
Arturo Graf: "Il tempio dell'Amore" in "Le Danaidi" (1905).
Virgilio La Scola: "Primo incontro" in "La placida fonte" (1907).
Marco Lessona: "Sempre" in "Ritmi" (1902).
Gian Pietro Lucini: "Amore insidia dalla rosa e tace" e "La Ballata delle Dame del Fiore" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Fausto Maria Martini: "Esaltazione dell'amore" in "Panem nostrum" (1907).
Arturo Onofri: "Nulla è più lucido e bianco de' tuoi piccoli denti" in "Canti delle oasi" (1909).
Nino Oxilia: "Tu e io" in "Gli orti" (1918).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Come un rosaio" in "Sillabe ed Ombre" (1925).
Guido Ruberti: "A Marcella" in "Le Evocazioni" (1909).
Carlo Vallini: "L'amore" in "Un giorno" (1907).
Remigio Zena: "Colloquio spirituale" in "Le Pellegrine" (1894).
Testi
CONVITO
di Guido Gozzano
I.
M'è dolce cosa nel tramonto, chino
sopra gli alari dalle braci roche,
m'è dolce cosa convitar le poche
donne che mi sorrisero in cammino.
II.
Trasumanate già, senza persone,
sorgono tutte... E quelle più lontane,
e le compagne di speranze buone
e le piccole, ancora, e le più vane:
mime crestaie fanti cortigiane
argute come in un decamerone...
Tra le faville e il crepitio dei ceppi
sorgono tutte, pallida falange...
Amore no! Amore no! Non seppi
il vero Amor per cui si ride e piange:
Amore non mi tanse e non mi tange;
invano m'offersi alle catene e ai ceppi.
O non amate che mi amaste, a Lui
invan proffersi il cuor che non s'appaga.
Amor non mi piagò di quella piaga
che mi parve dolcissima in altrui...
A quale gelo condannato fui?
Non varrà succo d'erbe o l'arte maga?
III.
- Un maleficio fu dalla tua culla,
né varrà l'arte maga, o sognatore!
Fino alla tomba il tuo gelido cuore
porterai con la tua sete fanciulla,
fanciullo triste che sapesti nulla,
ché ben sa nulla chi non sa l'Amore.
Una ti bacierà con la sua bocca,
sforzando il chiuso cuore che resiste;
e quell'una verrà, fratello triste,
forse l'uscio picchiò con la sua nocca,
forse alle spalle già ti sta, ti tocca;
già ti cinge di sue chiome non viste...
Si dilegua con occhi di sorella
indi ciascuna. E si riprende il cuore.
«Fratello triste, cui mentì l'Amore,
che non ti menta l'altra cosa bella!»
(Da "I colloqui").
Scampoli di letteratura dell'Ottocento e del Novecento, poeti dimenticati, vecchie antologie e altro ancora.
lunedì 27 febbraio 2012
domenica 26 febbraio 2012
Ora io non guardo
Ora io non guardo che un punto bianco
su una lavagna scancellata.
COMMENTO
Questa poesia brevissima è stata scritta da Leonardo Sinisgalli (1908-1981) e fa parte del volume "Il passero e il lebbroso" che il poeta lucano pubblicò nel 1970. Col passare degli anni i versi di Sinisgalli, esponente di spicco dell'ermetismo, andarono sempre più verso una sintesi, una scarnificazione che s'avvicina all'epigrammaticità. In questo caso è intuibile uno stato di fissità oculare, forse sintomo di stanchezza, forse di apatia o forse di chiusura. La lavagna scancellata però fa pensare al periodo scolastico e quindi i due versi potrebbero essere riferiti ad un ricordo lontano; ma l'avverbio di tempo con cui inizia la poesia fa riferimento al presente e quindi ad una situazione diversa. Questa difficile interpretazione conferma che Sinisgalli mantenne, in qualche modo, la sua caratteristica ermeticità anche nelle opere più tarde.
su una lavagna scancellata.
COMMENTO
Questa poesia brevissima è stata scritta da Leonardo Sinisgalli (1908-1981) e fa parte del volume "Il passero e il lebbroso" che il poeta lucano pubblicò nel 1970. Col passare degli anni i versi di Sinisgalli, esponente di spicco dell'ermetismo, andarono sempre più verso una sintesi, una scarnificazione che s'avvicina all'epigrammaticità. In questo caso è intuibile uno stato di fissità oculare, forse sintomo di stanchezza, forse di apatia o forse di chiusura. La lavagna scancellata però fa pensare al periodo scolastico e quindi i due versi potrebbero essere riferiti ad un ricordo lontano; ma l'avverbio di tempo con cui inizia la poesia fa riferimento al presente e quindi ad una situazione diversa. Questa difficile interpretazione conferma che Sinisgalli mantenne, in qualche modo, la sua caratteristica ermeticità anche nelle opere più tarde.
giovedì 23 febbraio 2012
Verrà un giorno
Verrà un giorno più puro degli altri:
scoppierà la pace sulla terra
come un sole di cristallo.
Una luce nuova
avvolgerà le cose.
Gli uomini canteranno per le strade
ormai liberi dalla morte menzognera.
Il frumento crescerà sui resti
delle armi distrutte
e nessuno verserà
il sangue del fratello.
Il mondo allora apparterrà alle fonti
e alle spighe che imporranno il loro impero
di abbondanza e freschezza senza frontiere.
L'autore di questa poesia è Jorge Carrera Andrade (Quito 1903 - Parigi 1978), poeta e storico ecuadoregno che nel suo paese ricoprì cariche prestigiose prima di trasferirsi a Parigi, nel 1946, perchè in contrasto col regime instauratosi nel paese sudamericano. In Europa divenne amico di letterati come Tzara ed Eluard. Tornò in Ecuador per un breve periodo (rischiò infatti il carcere per essersi opposto al governo militare) e quindi si stabilì negli Stati Uniti, dove insegnò alla State University di New York. Morì a Parigi all'età di 75 anni.
Nella poesia si parla di una utopia: la pace su tutta la Terra. L'impressione che si ha è quella di un sogno ad occhi aperti; un ottimismo che va al di là di ogni più rosea previsione fa immaginare al poeta che in un imprecisato futuro arriverà il giorno in cui finiranno per sempre gli odi e le guerre tra gli esseri umani. Da questo fantastico giorno anche la luce e la natura muteranno aspetto e si vivrà in una specie di paradiso terrestre in cui non esisteranno le armi, la fame né tanto meno le frontiere. Una delle cose che fanno grande la poesia ed i poeti è la capacità, con la forza del pensiero e con la bellezza delle parole, di immaginare mondi meravigliosi ma irreali, riuscendo a convincere che tali mondi possano divenire un giorno realtà.
scoppierà la pace sulla terra
come un sole di cristallo.
Una luce nuova
avvolgerà le cose.
Gli uomini canteranno per le strade
ormai liberi dalla morte menzognera.
Il frumento crescerà sui resti
delle armi distrutte
e nessuno verserà
il sangue del fratello.
Il mondo allora apparterrà alle fonti
e alle spighe che imporranno il loro impero
di abbondanza e freschezza senza frontiere.
L'autore di questa poesia è Jorge Carrera Andrade (Quito 1903 - Parigi 1978), poeta e storico ecuadoregno che nel suo paese ricoprì cariche prestigiose prima di trasferirsi a Parigi, nel 1946, perchè in contrasto col regime instauratosi nel paese sudamericano. In Europa divenne amico di letterati come Tzara ed Eluard. Tornò in Ecuador per un breve periodo (rischiò infatti il carcere per essersi opposto al governo militare) e quindi si stabilì negli Stati Uniti, dove insegnò alla State University di New York. Morì a Parigi all'età di 75 anni.
Nella poesia si parla di una utopia: la pace su tutta la Terra. L'impressione che si ha è quella di un sogno ad occhi aperti; un ottimismo che va al di là di ogni più rosea previsione fa immaginare al poeta che in un imprecisato futuro arriverà il giorno in cui finiranno per sempre gli odi e le guerre tra gli esseri umani. Da questo fantastico giorno anche la luce e la natura muteranno aspetto e si vivrà in una specie di paradiso terrestre in cui non esisteranno le armi, la fame né tanto meno le frontiere. Una delle cose che fanno grande la poesia ed i poeti è la capacità, con la forza del pensiero e con la bellezza delle parole, di immaginare mondi meravigliosi ma irreali, riuscendo a convincere che tali mondi possano divenire un giorno realtà.
martedì 21 febbraio 2012
Da "Gente in Aspromonte" di Corrado Alvaro

(Corrado Alvaro: "Gente in Aspromonte", Garzanti, Milano 1996, p. 3)
lunedì 20 febbraio 2012
Antologie: "Poeti della rivolta"

«Questa raccolta di testi poetici - in cui le firme celebri si affiancano a nomi oscuri o misconosciuti - attesta con singolare immediatezza di toni i sogni e le rivolte delle giovani generazioni, tra fine Ottocento e inizi Novecento, fra lo spegnersi delle speranze risorgimentali e le insorgenti delusioni dell'Italia unita. [...] Il volume mostra quanto consistente sia stata, nelle lettere italiane, una tradizione di protesta civile, e al tempo stesso quanto questa tradizione sia stata, in passato, ignorata e deprezzata dalla critica ufficiale, tanto sollecita nel divulgare scritti conformisti o di regime quanto pronta a emarginare le voci di dissenso e di rivolta [...]».
Ora, al di là della veridicità di queste affermazioni, sfogliando l'antologia ci si accorge di quanto, in quel preciso periodo, vi fosse realmente una inquietudine, un fermento sociale cui non erano estranei gli intellettuali e in modo particolare i poeti. Ma non tutti i soggetti presenti nella selezione antologica si possono identificare come poeti: vi figurano infatti nomi di famosi politici come Filippo Turati, il quale in gioventù pubblicò un libro di versi intitolato "Strofe"; ci sono giornalisti come Ugo Ojetti, pittori come Diego Martelli, magistrati come Lodovico Mattioli, avvocati come Luigi Molinari ecc. Insomma, uomini che, pur ricoprendo ruoli importanti nella società, vollero esprimere il loro malcontento nel modo che all'epoca risultava più facile e praticabile: scrivendo dei versi. Tra i "veri" poeti, a parte i due nomi citati nel titolo: Giosue Carducci e Gian Pietro Lucini, compaiono figure di notevole spessore come Giovanni Pascoli, Carlo Dossi, Giovanni Camerana, Lorenzo Stecchetti, Edmondo De Amicis e Arturo Graf; insieme a loro ci sono poi altri poeti minori del secondo Ottocento più o meno noti come Felice Cavallotti, Severino Ferrari, Mario Rapisardi, Giuseppe Aurelio Costanzo, Giovanni Marradi, Pompeo Bettini, Ada Negri e Giovanni Cena. Ma la sorpresa si ha leggendo i versi di autori del tutto sconosciuti come Carlo Monticelli, Carlo Baravalle e Giovanni Antonelli, poeti a mio avviso di un certo valore riscoperti da questa antologia certamente opportuna e molto interessante. Infine è impossibile non nominare il nome dell'anarchico Pietro Gori, anche lui presente nell'antologia con quattro canti tra cui la bellissima "Addio Lugano". Di seguito riporto l'elenco dei poeti inclusi nell'antologia.
Giosue Carducci, Eliodoro Lombardi, Giulio Uberti, Felice Cavallotti, Giulio Pinchetti, Giovanni Camerana, Carlo Dossi, Domenico Milelli, Giacinto Stiavelli, Stanislao Alberici-Giannini, Lorenzo Stecchetti, Ferdinando Fontana, Gerolamo Ragusa Moleti, Giovanni Pascoli, Severino Ferrari, Corrado Corradino, Vittorio Salmini, Enrico Onufrio, Carlo Monticelli, Oreste Fortuna, Giovanni Saragat, Antonio Ghislanzoni, Carlo Baravalle, Mario Rapisardi, Giuseppe Aurelio Costanzo, Carlo Borghi, Filippo Turati, Cesario Testa, Giovanni Marradi, Ulisse Barbieri, Domenico Oliva, Pompeo Bettini, Giovanni Antonelli, Tommaso Cannizzaro, Giovanni Lanzalone, Lodovico Mattioli, Ettore Sanfelice, Angiolo Cabrini, Giorgio Sinigaglia, Ada Negri, Pietro Gori, Sebastiano Satta, Diego Martelli, Anton Giulio Barrili, Arturo Colautti, Ugo Ojetti, Luigi Molinari, Giovanni Cena, Arturo Graf, Edmondo De Amicis, Gian Pietro Lucini.
domenica 19 febbraio 2012
Poeti dimenticati: Mercurino Sappa
Francesco Giovanni Giacinto Igino Mercurino Sappa nacque a Torino nel 1853 e morì a Mondovì nel 1926. Frequentò l'Università di Torino e fu allievo di Arturo Graf; ottenuta la laurea, insegnò a Reggio Emilia ed a Cuneo per poi stabilirsi definitivamente a Mondovì. I suoi versi parlano spesso dei luoghi che ebbe più cari, a cominciare da Mondovì che, come disse Ettore Janni, «amò come patria seconda». Non sono assenti però accenti più sarcastici e alcune volte satirici, in modo particolare nella sezione intitolata "Jaculi", ovvero frecce, che fanno parte delle "Ballatette", l'opera più importante del Sappa che alla sua uscita (nel 1904) ricevette, tra gli altri, gli elogi del suo maestro: Arturo Graf.
Opere poetiche
"Affetti lirici", Roux e Favale, Torino 1879.
"Poesie di Mercurino Sappa", S. Calderini e figlio, Reggio Emilia 1884.
"Rime", G. Issoglio, Mondovì 1890.
"Le pie rime", Casanova, Torino 1896.
"Le Monregalesi", Tip. fratelli Lobetti-Bodoni, Saluzzo 1899.
"Ballatette", Streglio, Torino-Venaria-Reale 1904.
"Il manipolo", Streglio, Torino-Genova 1908.
"Poesie (edite ed inedite)", Soc. Tip. Ed. Lobetti-Bodoni, Torino 1926.
Presenze in antologie
"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (pp. 374-381).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (volume quarto, pp. 188-193).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 621-627).
Un primo pesco di fiori vestito;
Opere poetiche
"Affetti lirici", Roux e Favale, Torino 1879.
"Poesie di Mercurino Sappa", S. Calderini e figlio, Reggio Emilia 1884.
"Rime", G. Issoglio, Mondovì 1890.
"Le pie rime", Casanova, Torino 1896.
"Le Monregalesi", Tip. fratelli Lobetti-Bodoni, Saluzzo 1899.
"Ballatette", Streglio, Torino-Venaria-Reale 1904.
"Il manipolo", Streglio, Torino-Genova 1908.
"Poesie (edite ed inedite)", Soc. Tip. Ed. Lobetti-Bodoni, Torino 1926.
Presenze in antologie
"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (pp. 374-381).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (volume quarto, pp. 188-193).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 621-627).
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Testi
PRIMIZIE
Un primo olir di mammola pudica,
Ch'empie la neve di gentil sorpresa;
Una prima mèlode in ciel sospesa
Di pur mo' giunta lodoletta amica;
Del Belvedere su la torre antica
Un primo storno, che chiami a distesa;
Una rondine prima a noi discesa,
Che l'agil volo nel cortile intrica;
Un primo grillo, che nell'erba canti
D'una tiepida auretta al primo invito;
Questi i fatti, i piacer, questi gl'incanti
Sono, che 'l cielo a Mondovì ha largito
Pe' mesti cuor de la natura amanti.
(Da "Il manipolo")
sabato 18 febbraio 2012
L'albero nella poesia italiana simbolista e decadente
Quella dell'albero è una immagine diffusissima in molte tradizioni religiose e non; a seconda del tipo di albero muta la sua simbologia: per fare alcuni esempi potremmo dire che i salici rappresentano il dolore ed il lutto, i pini e gli abeti l'immortalità, i pioppi la vecchiaia, gli ontani la spiritualità, le acacie e gli olivi la rinascita, i lauri la gloria, le palme il martirio. I cipressi, invece, meritano un discorso più approfondito. Si coglie poi, in molti casi, il riferimento ad una precisa simbologia che ha a che vedere con la superiorità e l'isolamento (l'albero in questi casi spesso si trova in paesaggi aridi dove s'impone e svetta quasi con superbia). Analizzando in breve alcuni testi poetici notiamo che ne "L'abete solitario" di Arturo Graf il sempreverde sembra assumere il ruolo di grande saggio o spettatore muto e superbo delle lontane vicende terrene; ne "I gattici" di Giovanni Pascoli, gli alberi brulli e dalle foglie color argento rappresentano la perdita di speranza e il disfacimento; in "Ai lauri" di Gabriele D'Annunzio, gli arbusti simboleggiano un passato felice e irripetibile; nelle poesie di Mario Morasso e di Luigi Fallacara diviene arduo individuare un significato preciso, ma si avvertono dei vaghi riferimenti a mondi, sogni e colori. Nella poesia "La morte dell'albero" di Sergio Corazzini, la triste sorte del colosso immenso e forte simboleggia l'imprevedibilità del destino; in "L'albero ucciso" di Giovanni Alfredo Cesareo gli alberi divengono esseri pensanti capaci di comprendere il significato della morte. In una poesia di Nino Oxilia c'è una pianura in cui svetta una quercia libera e sicura che silenziosamente | consuma nella fiamma il gran segreto. Ne "Il laureto" di Enrico Cardile si assiste ad una sorta di rito iniziatico che si svolge in una viva e densa | selva.
Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "Il vischio" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Umberto Bottone: "Gli Ulivi" e "I Salici" in "Lumi d'argento" (1906).
Giovanni Camerana: "Autunnale" in "Poesie" (1968).
Enrico Cardile: "Il laureto" in "Sintesi" (1923).
Giovanni Alfredo Cesareo: "L'albero ucciso" in "Le consolatrici" (1905).
Carlo Chiaves: "Il pino" in "Sogno e ironia" (1910).
Sergio Corazzini: "La morte dell'albero" in «Marforio», febbraio 1903.
Italo Dalmatico: "I vecchi" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio: "Ai lauri" in "Poema paradisiaco" (1893).
Luigi Fallacara: "L'albero" in "Illuminazioni" (1925).
Cosimo Giorgieri Contri: "L'alloro" e "Alberi antichi" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Cosimo Giorgieri Contri: "Il ginepro" in «Nuova Antologia», aprile 1906.
Corrado Govoni "L'acacia" e "Il pioppo" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "I pioppi d'argento" in "Poesie elettriche" (1911).
Arturo Graf: "L'abete solitario" in "Medusa" (1890).
Arturo Graf: "Vecchi ontani" in "Dopo il tramonto" (1893).
Giuseppe Lipparini: "L'albero dei sogni" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Tito Marrone: "Il pesco" in "Cesellature" (1899).
Pietro Mastri: "L'albero e l'aquilone" in "L'arcobaleno" (1900)
Pietro Mastri: "Olivo e cipresso", "La fronda oscillante" e "L'albero insonne" in "Lo specchio e la falce" (1907).
Mario Morasso: "Le sacre palme nelle notti di passione" e "I giunchi" in "I Prodigi" (1894).
Angiolo Orvieto: "Abeti" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Nino Oxilia: "In fondo alla giallognola pianura" in "Canti brevi" (1909).
Enrico Panzacchi: "Notte insonne" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "I gattici" e "Il pesco" in "Myricae" (1900).
Romolo Quaglino: "La orgogliosa umiltà - Preludio" in "Dialoghi d'Esteta" (1899).
Antonio Rubino: "L'albero umano" in «Poesia», ottobre 1908.
Testi
L'ALBERO
di Luigi Fallacara
Una parola vivida di grazia
al corpo assorto in suo stupore d'atto,
come per gloria d'albero che spazia
su vasta foga di rosso disfatto;
se una constatazione non ci sazia,
noi, smarriti nel vivere compatto,
e tu, esaltata, contorta a disgrazia
di colpa, carne che ancor chiede patto.
Ma così, sempre invano. Pentimento
solo, sconforto di virtù negata;
questo, alla tua grandezza che si sfoglia.
Incongruenza, in cogliere suo intento,
fatta legge; potenza disperata
d'albero umano che non rifà foglia.
(Da "Illuminazioni")
Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "Il vischio" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Umberto Bottone: "Gli Ulivi" e "I Salici" in "Lumi d'argento" (1906).
Giovanni Camerana: "Autunnale" in "Poesie" (1968).
Enrico Cardile: "Il laureto" in "Sintesi" (1923).
Giovanni Alfredo Cesareo: "L'albero ucciso" in "Le consolatrici" (1905).
Carlo Chiaves: "Il pino" in "Sogno e ironia" (1910).
Sergio Corazzini: "La morte dell'albero" in «Marforio», febbraio 1903.
Italo Dalmatico: "I vecchi" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio: "Ai lauri" in "Poema paradisiaco" (1893).
Luigi Fallacara: "L'albero" in "Illuminazioni" (1925).
Cosimo Giorgieri Contri: "L'alloro" e "Alberi antichi" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Cosimo Giorgieri Contri: "Il ginepro" in «Nuova Antologia», aprile 1906.
Corrado Govoni "L'acacia" e "Il pioppo" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "I pioppi d'argento" in "Poesie elettriche" (1911).
Arturo Graf: "L'abete solitario" in "Medusa" (1890).
Arturo Graf: "Vecchi ontani" in "Dopo il tramonto" (1893).
Giuseppe Lipparini: "L'albero dei sogni" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Tito Marrone: "Il pesco" in "Cesellature" (1899).
Pietro Mastri: "L'albero e l'aquilone" in "L'arcobaleno" (1900)
Pietro Mastri: "Olivo e cipresso", "La fronda oscillante" e "L'albero insonne" in "Lo specchio e la falce" (1907).
Mario Morasso: "Le sacre palme nelle notti di passione" e "I giunchi" in "I Prodigi" (1894).
Angiolo Orvieto: "Abeti" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Nino Oxilia: "In fondo alla giallognola pianura" in "Canti brevi" (1909).
Enrico Panzacchi: "Notte insonne" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "I gattici" e "Il pesco" in "Myricae" (1900).
Romolo Quaglino: "La orgogliosa umiltà - Preludio" in "Dialoghi d'Esteta" (1899).
Antonio Rubino: "L'albero umano" in «Poesia», ottobre 1908.
Testi
L'ALBERO
di Luigi Fallacara
Lignum habet spem.
Job. XIV - 7
Una parola vivida di grazia
al corpo assorto in suo stupore d'atto,
come per gloria d'albero che spazia
su vasta foga di rosso disfatto;
se una constatazione non ci sazia,
noi, smarriti nel vivere compatto,
e tu, esaltata, contorta a disgrazia
di colpa, carne che ancor chiede patto.
Ma così, sempre invano. Pentimento
solo, sconforto di virtù negata;
questo, alla tua grandezza che si sfoglia.
Incongruenza, in cogliere suo intento,
fatta legge; potenza disperata
d'albero umano che non rifà foglia.
(Da "Illuminazioni")
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