O miei piovosi inverni,
umidità delle mie strade antiche
e voi chiese grondanti,
cimiteri dentro alle nuvole -
sola sera una fiamma
d'aperto cielo accende
il sanguigno mattone dei ruderi
solitario sui prati spenti.
Cuor mio, tu pure attendi
sui tuoi colori muti
il salmo dell'ora serale.
COMMENTO
Salmo è il titolo di una poesia di Giorgio Vigolo (Roma 1894 - ivi 1983), che fu pubblicata per la prima volta all'interno della raccolta poetica intitolata Conclave dei sogni, pubblicata dall'editore Novissima di Roma nel 1935. La medesima poesia fu riproposta dallo scrittore romano nella prima sezione (che porta proprio il titolo Conclave dei sogni) del volume La luce ricorda (Mondadori, Milano 1967) che ricapitola parzialmente la produzione poetica di Vigolo dal 1931 alla data di uscita della raccolta; l'unica differenza nel testo di Salmo si trova all'inizio del verso 8, dove Cuor mio viene sostituito con Mia vita. Nel primo libro in cui Vigolo presentò ai lettori esclusivamente testi poetici (in Canto fermo, uscito nel 1931, son presenti soltanto poche liriche che chiudono il volume), si notano delle peculiarità piuttosto differenti da quelle che caratterizzeranno le future raccolte del poeta romano; come lui stesso scrisse nell'autopresentazione che precede una selezione di sue poesie, nell'antologia Poesia italiana contemporanea 1909-1959 (Guanda, Parma 1964), l'ispirazione della maggior parte dei versi di questa raccolta nasce dal mondo onirico; ve ne sono molti esempi, ma credo che Salmo rappresenti un'eccezione; in questi versi, Vigolo descrive una volta di più le sue particolarissime e personalissime sensazioni, trovandosi di fronte agli straordinari spettacoli che sa offrire la città di Roma in qualsiasi stagione dell'anno. Qui si parla di un non precisato punto della capitale italiana, visto dal poeta in un'ora serale di un inverno decisamente piovoso; l'umidità delle antiche strade, le chiese che grondano acqua piovana, uniti all'oscurità sopraggiungente nel momento in cui sta calando la sera, trasmettono al poeta una sensazione di cupezza, che gli fa venire in mente dei cimiteri virtuali, fantasiosamente situati all'interno dei nuvoloni grigi che, nel cielo, ancora circondano la città eterna. Soltanto la presenza di uno squarcio permette a un raggio di luce - l'ultimo, prima della sera - di penetrare e illuminare i rossi mattoni di un rudere, che, forse per via dell'oscurità incombente, assumono un colore simile a quello del sangue, contribuendo alla visione quasi macabra del poeta; al colore vivo dei mattoni, fa contrasto quello dei prati circostanti, che sono "spenti", cioè grigi, incolori. In quest'atmosfera tutt'altro che rassicurante, al poeta non rimane altro che abbandonarsi alla fede, ovvero al "salmo dell'ora serale". Probabilmente Vigolo, quando scrisse questa poesia, stava per recarsi in una chiesa del centro di Roma, ad assistere alla messa serale; d'altronde, in questa e nelle raccolte successive del Nostro, sono tanti i riferimenti ai luoghi religiosi - particolarmente belli e misteriosi - di cui è ricchissimo il capoluogo laziale; luoghi amati e visitati da Vigolo, al di là e al di sopra della sua fede cristiana. Da ricordare infine che il "salmo" è una composizione poetica ebraica che non ha un argomento specifico, ma nella maggior parte dei casi vuole essere una lode o una invocazione a Dio; nei tempi antichi la recita del salmo era accompagnata da uno strumento a corda, e poteva diventare un vero e proprio canto spirituale. Il testo che si può leggere nella foto sopra riportata, è quello della raccolta La luce ricorda (p. 47); l'altro invece si trova alla pagina 38 della ristampa di Conclave dei sogni (San Marco dei Giustinani, Genova 2005).

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