domenica 2 novembre 2014

Novembre in 10 poesie di 10 poeti italiani del XIX secolo

Novembre, penultimo mese dell'anno, detto anche "mese dei morti", perché nel suo secondo giorno ricorre la commemorazione dei defunti. Per quanto mi riguarda, ho sempre amato Novembre, che viene troppo spesso descritto in modo negativo, con aggettivi che si rifanno a sentimenti tristi. Purtroppo, negli ultimi anni a Novembre sono accaduti eventi climatici e atmosferici tali da renderlo ancor più odioso. Ma se accade questo, se le piogge sono sempre più abbondanti e violente, se si susseguono alluvioni, bombe d'acqua e quant'altro, è veramente colpa di Novembre? Non c'entra nulla l'uomo? Comunque la pensiate, ecco 10 poesie di 10 poeti italiani dell'Ottocento, in cui Novembre viene descritto con quel romanticismo che ancora era di moda in quel secolo per noi così lontano. Com'era bello, allora, il Novembre!



NOVEMBRE
di Fausto Bonò (1832-1890)

Stavamo alla finestra,
Ed attraverso i vetri
Vedevansi grigi e tetri
Gli orti, le case, il ciel;

Mentre le morte foglie
Che con fioco lamento
Fea turbinare il vento
Portava il fiumicel.

Noi tacevam: tremando
Sulla chiusa vetrata
Dall'alito offuscata
Io scrissi: - T'amo, e tu? -

Ella arrossì: col dito
Scrisse non so che cosa,
Ma il ciel si tinse in rosa,
Altro non vidi più.

(Da "Poesie edite e inedite", 1890)





AL PITTORE LORENZO DELLEANI
di Giovanni Camerana (1845-1905)

Conoscete in Val Pesio il paesello,
Il grigio guardian della vallata?
Incubo e spia, gli sovrasta il castello
Dalla montagna squallida e bruciata.

Strepitante di sol, taglia il murello
I bitumi e le ombrìe della borgata,
E il campanile scintillante e snello
Fende l’aria autunnale immacolata.

È il giorno sesto di novembre, è l’ora
In cui fumano i tetti, e barcollando
L’enorme disco rovente si affonda

Nel zaffir delle gravi Alpi; e tu ancora
Una volta, sognando e contemplando,
Stampasti la virile orma profonda.

(Da "Poesie", 1968)





NOVEMBRE
di Giuseppe Deabate (1857-1928)

Da gli alberi le foglie ad una ad una
Con mesto crepitìo cascano giù:
Così è caduto l'amor mio; nessuna
Dolce speranza in cor palpita più!

Passò l'estate, ahimé! l'ore gioconde...
Il sorriso dei miti occhi passò;
Venne la pioggia delle foglie bionde,
E l'inverno del cuor seco portò.

(Da "Il canzoniere del villaggio", 1898)





LA FINE VOLGARE E TENERA
di Cosimo Giorgieri Contri (1870-1943)

Le povere viole hanno un lontano
odor di morte che mi fa sognare:
violettine di novembre rare
portemi dalla tanto amata mano!

Ella le tolse — oh vi morìan sì bene! -
dalla pelliccia della sua mantella:
le violette nella mano bella
avevano il color delle sue vene:

care pallide vene ove già tanto
s'indugiò la bocca disiosa:
care pallide mani ove il mio pianto
cadea come rugiada entro una rosa.

Io le dissi: Amor mio, ti sovverrai,
ti sovverrai di me, sempre? Sorrise
ella, la mano dalla mia divise,
— oh! il sorriso più triste che fu mai -

e mormorò misteriosamente:
Si; per sempre: ricordati anche tu...
Io non risposi, io non risposi più...
Mi figurai la cara bocca assente,

la cara mano ad altre strette unita:
e un dolore cocente, una paura
della mia solitudine futura
mi traboccò nell'anima smarrita.

Strinsi la mano gelida, la mano
spoglia del guanto; e le dissi: Perdona,
quanto cattivo io fui, tu che sei buona,
tu che tenera sei, quant'io fui vano...

Ti sovvenga di me come di un mite
ricordo, di un amor dolce, o diletta:
o mille e mille volte benedetta
l'anima che fu vostra benedite.

Oh! il sottil gesto! Ella tolse dal petto
le violette di novembre, rare:
eran fresche così, d'un violetto
così molle, così piccole e chiare,

ch'io ripensai le sue piccole vene
tramanti l'epidermide sottile,
e la dolcezza del "Ti voglio bene„
detto altre volte al polso signorile.

Con strider lungo un tram sopravveniva:
ella alzò il braccio, lenta, in gesto lento:
mentre il tram si fermava, io lo rammento,
vidi che il dolce viso impallidiva.

Poi salì: mi gettò come un addio
il suo profumo di viole rare:
e fu la fine tenera e volgare
che la tolse al mio sogno e all'amor mio.

(Da "Il convegno dei cipressi", 1894)





TRISTEZZA DI NOVEMBRE
di Arturo Graf (1848-1913)

La prima neve imbianca
La sommità del colle:
Scende una pace stanca
Sulle mietute zolle.

Di trilli e di richiami
Più non risuona il bosco.
Oh, lo squallor dei rami
Nell’aer freddo e fosco!

La dïafana spera
Dello stagno sopporta
Qualche piuma leggiera
E qualche foglia morta,

E fa veder, raccolti
Nell’orbe che la chiude,
Gli spettri capovolti
Delle arbori ignude.

Fuor della rupe cava
Querulo il fonte sgorga;
Ma fiore più non lava
Che in suo margine sorga.

L’aere impigrito e denso
Smorza la luce e il suono;
Spira ogni cosa un senso
Di tedio e d’abbandono.

D’una tristezza greve
L’anima mia s’ingombra:
Ecco la prima neve,
Ecco il silenzio e l’ombra.

Tornerai tu, se l’ôra
Blanda t’inviti, o maggio?
Rinverdiranno ancora
L’olmo, la quercia, il faggio?

Rinverdiran quei salci
Che dalla sponda a gara
Lentano i molli tralci
Sull’acqua muta e chiara?

Si copriran di novi
Fiori la piaggia e il brolo?
Rispunterà tra’ rovi
Il tenero giaggiolo?

Come novella sposa
Che s’alzi alla mattina,
Risorgerà la rosa
Dalla sua verde spina?

Faran da stranii lidi
Le rondini ritorno?
Pigoleranno i nidi
Al rinnovar del giorno?

O dolce primavera,
E tu che tanto amai,
Solitudine austera,
Vi rivedrò più mai?

D’una tristezza greve
L’anima mia s’ingombra:
Ecco la prima neve,
Ecco il silenzio e l’ombra.

(Da "Medusa", 1890)





LA GRIGIA NEBBIA DI NOVEMBRE...
di Olindo Guerrini (1845-1916)

La grigia nebbia di novembre ammanta 
Del paterno villaggio i casolari, 
Stridono i tizzi verdi in sugli alari, 
Geme il vento di fuori e il corvo canta. 

Oggi le donne pie disser la santa 
Prece dei morti a piè de' bruni altari, 
Ogni pietra, ogni croce oggi è compianta 
Dove dormon sepolti i nostri cari. 

Ma sono agli altri questi dì men gravi, 
Ma lieto il padre narra oggi al figliuolo 
Le antiche gioie e le virtù degli avi, 

Ma l'amor, la famiglia ad ogni duolo 
Recan oggi conforto e più soavi 
Sono i sorrisi, i baci... ed io son solo. 

(Da "Postuma", 1878)





NOVEMBRE
di Costantino Nigra (1828-1907)

Sull'irte stoppie dei mietuti campi
nella pianura grigia
la pioggia senza tuoni e senza lampi
scende lenta continua.

Come cappa di piombo, a poco a poco
s'abbassa il cielo. I villici,
nelle capanne affumicate, al fuoco
tendon le mani e guardano

per l'uscio aperto l'acqua che giù cade.
Ma l'affamata greggia
resta nei campi a divorar le rade
erbe del magro pascolo

nere di mota. Irrequieto attento
gira d'intorno e vigila
il cane, e su pel dorso ispido il vento
gli arruffa i peli ruvidi.

Ritto, appoggiato sul bastone, come
sentinella fantastica,
sta il pastor col cappuccio in sulle chiome
immoto all'intemperie.

Nella tasca ha la povera sua mensa,
dura ha la faccia ed ebete,
non favella, non opera, non pensa,
guata stupido ai nuvoli.

O vezzose Amarilli, o bionde Clori,
dai guarnelletti rosei,
o guinzagliate di nastrini e fiori
linde agnellette candide,

ecco il vostro Lindoro! Ahi! Sulla testa
ricci non ha né cipria,
e non vi mena ghirlandato a festa;
ai piedi nudi ha i zoccoli.

Ma dalla pieve suona il vespro. Ei piega
nel fango le ginocchia
e si fa segno di croce e prege.
Cade lenta la pioggia.

(Da "Idilli", 1893)





NOVEMBRE
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
                   senti nel cuore...

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
                   sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
                   fredda, dei morti.

(Da "Myricae", 1900)





NOVEMBRE
di Gabriele Rossetti (1783-1854)

Lascian gli alberi le spoglie
al venir dei dì brumali:
come cadono le foglie
così cadono i mortali;
ed ognuna, allor che scende,
par che dica a chi l'intende:

«Uom che passi, in me ti specchia,
se comprenderlo pur sai:
come fronda che s'invecchia
nel terren tu pur cadrai:
gioventù, se l'hai, si perde:
nell'estate anch'io fui verde».

Leve foglia, a te risponda
chi si sente un'alma in seno:
il mio corpo è gracil fronda
che rientra nel terreno:
tutto annunzia, a me d'intorno,
ch'indi venni e là ritorno.

Ma ragion che in me prevale
dice, unendosi alla fede,
ch'ho uno spirito immortale
come Quei che me lo diede:
torna al suol, ch'io tendo a Dio,
tu sei foglia, ed uom son io.

(Da "Poesie inedite e rare tratte dagli autografi", 1929)





NOVEMBRE
di Ulisse Tanganelli (1853-1931)

Distillano le rame a goccia a goccia
La lor malinconia nel tempo dolco;
È giallo d'acqua nei maggesi il solco,
E il primo verde del frumento sboccia.

Zirlano i tordi in cerca mattutina
Di ginepri odorati; il pettirosso
Torna alle siepi nella chiusa villa.
E fitta fitta un'acquerugiolina

Sopra il gran lutto del saturnio dosso
Piange l'occhio del ciel senza pupilla.
Non aura spira, né virgulto oscilla;

Tace d'intorno ogni tumulto umano,
Ma con singhiozzi di dolor silvano
Il rio percorre la materna roccia.

(Da "La buona dea", 1892)

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