domenica 30 novembre 2014

Dicembre in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

DICEMBRE NELLA STANZA
di Siro Angeli (1913-1991)

Dicembre nella stanza
vuota mi inoltra. Duole
agli occhi quel riflesso
di sole che si insinua

dalle persiane. Sole
sul bianco soffitto
due mosche immote stanno.
Ma la vita continua

dicono. Il raggio fruga
inquieto l'ombra, sfiora
il letto intatto. Dentro
lo specchio c'è una fuga

di oggetti che ti ignorano.
Rigermina, all'inganno
del raggio, una precaria
estate. Ed ebbre, adesso,

le mosche in una danza
d'amore e morte vanno.
La vita è così varia.
D'oro per un momento

palpitano nell'aria;
poi giù sul pavimento
scendono a capofitto
come la mia speranza.

(Da "L'ultima libertà", 1962)





DICEMBRE
di Cesare Angelini (1886-1976)

Dicembre, il mese della santa festa
che ha fatto cristiane anche le nevi:
(ne parla il vento con sussurri brevi
ai sassi del ruscello, alla foresta).

Nel gran racconto, l'anima si desta
succhiando infanzia dai lontani evi.
(Le pievi ne discorrono alle pievi:
la terra tutta è un gran presepe in festa).

Nevica sui villaggi? Nelle veglie
le case tornano intime, sognanti;
le parole han riflessi di conchiglie.

Questa notte Gesù fa compagnia
al povero, al fringuello, al camminante
che come foglia fluttua per la via.

[Da "Autunno (e le altre stagioni)", 1959]





SUL LUNGARNO DI DICEMBRE, TRA UN PONTE E L'ALTRO IN COSTRUZIONE
di Piero Bigongiari (1914-1997)

È l'acqua che ha toccato la Tua mente
questa che scende dolcemente a valle
e muove il remo abbandonato sullo
scalmo come il pensiero al renaiolo.

È l'acqua del diluvio, delle tenebre.
Un blu affligge tenero le strade
poi più intenso è un colore d'uragano.

Da un caffé nel tepore del Lungarno
stendo la mano a Te, Signore delle
acque calme dentro la mandorla
cilestrina dei ponti,
                      lasciata la presa
si piega il timone della mia vita
al filo di queste acque indifferenti
dove il sole annega con luce lunare
un ultimo riflesso del fuoco primo.

Scendono dalla Tua eterna differenza
che nel lago del cuor m'era durata
i primi fuochi ciechi delle rive.

(Da "Le mura di Pistoia", 1958)





DICEMBRE
di Adriano Grande (1897-1972)

Il bel tempo è finito. Ecco a torrenti
dal ciel la pioggia; ed ecco, lamentosi,
dal mar, dai monti, i penetranti vènti.
Ecco la bruma dei pensieri ansiosi.

Questo, o Signore, delle risplendenti
fughe in natura, ove cercai riposi
e n'ebbi invece oscuri stordimenti,
m'avanza solo, nei dì dolorosi.

Sto inginocchiato con la fronte al suolo,
ma a Te non basta. Anche il mio pentimento
non dà riparo, lacero mantello.

Nell'antica miseria, al gelo e al duolo
rabbrividisco. Il nuovo smarrimento
lungi dal nembo, è il fuggir d'un uccello.

[Da "Poesie (1929-1969)", 1970]





DICEMBRE
di Carlo Michelstaedter (1887-1910)

Scende e sale senza posa
nebbia e pioggia greve e scura,
nella nebbia la natura
si distende accidiosa.

Goccia, goccia lieve chiara
va sicura al suo destin
scende e spera, e vanno a gara
altre gocce senza fin.

Giù l'attende terra molle
dove all'altre unita va
a formar le pozze putride
per i campi e le città.

Nella pozza riflettete
gocce unite in società
grigio in grigio terra e cielo
per i campi e le città.

Ma la noia il disinganno
fa le gocce sollevar
ed il bene che non sanno
van col vento a ricercar.

Dalle pozze dalle valli
sale il velo e in alto va,
non ha forma né colore
l'affannosa umidità.

Nella nebbia la natura
si distende accidiosa,
scende e sale senza posa
pioggia e nebbia fastidiosa.

(Da "Scritti", 1912)





DICEMBRE
di Nicola Moscardelli (1894-1943)

La cenere soffiata dal vento
si spande sulla soglia della casa
ove i mendicanti passando
scrivono pace con la punta del bastone
ma sotto l'ala dei grandi cappelli
grumi di rughe si sciolgono in lacrime.

(Da "Foglie e fiori", 1937)





MATTINA DI DECEMBRE
di Luigi Siciliani (1881-1925)

La nebbia che copriva e terra e cielo
a poco a poco intorno si dirada.
Ecco, tondeggia in mezzo al verde cupo
delle sue foglie il giallo degli aranci.
È nata l'erba; il suolo n'è coperto.
Qua marciscono, a piè dei loro gambi
pieni di foglie accartocciate e grigie,
abbattuti i notturni gelsomini;
là i crisantemi sembrano percossi
da una gran doglia e abbassano la loro
capellatura sotto il grave peso
dell'acqua che ne preme e steli e foglie.
Solo le rose ridono, là bianche,
qua porporine, a salutare il sole.

(Da "Arida nutrix", 1920)





DICEMBRE A PORTA NUOVA
di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)

Mi raccoglie nel suo gomito
Inerte la fredda sera d'autunno.
Scorre deserta sulle foglie
E mi ridesta a ogni tonfo 
Dei castagni. Tutto il bene
Che mi resta forse è in quest'ora
Calma che si accerta,
A questa svolta che si gonfia
D'acque perché la ripa si fa stretta.
Poi rotta la dolcezza dell'indugio
OgnI cosa decade con più fretta 
E non mi duole l'alito d'ombra 
Che mi gela la fronte. 
Sopra la spalletta curvo
Mi assale il vento dalla buca del ponte.

(Da "Vidi le muse", 1943)





DICEMBRE
di Diego Valeri (1887-1976)

Tristi venti scacciati dal mare
agitavano la città notturna.
Da nere gole aperte tra le case
rompevano, invisibili
ombre, con schianti ed urla;
si gettavano per le vie deserte
ferme nel bianco gelo dei fanali,
urtavano alle porte
sbarrate, s’abbrancavano alle morte
rame d’alberi dolenti,
scivolavano lungo muri lisci,
dileguavano via, serpenti,
con fischi lunghi e lenti strisci...

Ora mi sporgo all’attonita pace
della grigia mattina: tutto tace.
Teso il cielo di pallide bende.
Il gran cipresso, assorto, col suo verde
strano, nell’alta luce. Un coccio lustra
tra la terra bruna dell’orto.
Finestre senza tende, cupe,
guardano intorno. Non c’è voce umana,
grido d’uccello, rumore di vita,
nell’aria vasta e vana.
C’è solo una colomba,
tutta nitida e bionda,
che sale a passi piccoli la china
d’un tetto, su tappeti
fulvi di lana vellutata, e pare
una dolce regina
di Saba
che rimonti le silenziose scale
della sua fiaba.

(Da "Poesie", 1962)





TRE DICEMBRE
di Giorgio Vigolo (1894-1983)

La mattina che nacqui,
grigia e fredda di un tre dicembre,
il plumbeo cielo di neve
echeggiava di salve lontane,
(mi hanno detto, per non so quale
festa d'armi) e di là dal fiume
giungevano i colpi
sugli alberi del Lungotevere
al palazzetto di pietra serena.
Pareva che battesse un cuore
dentro a quel livido cielo di nuvole,
il mio piccolo cuore che palpitava
per lo spavento di nascere.

A forza d'immaginarla
mi ricordo di quella mattina;
alle origini d'ogni memoria
mi pare traudire in un sogno
remoto dal fondo
degli anni quel rombo,
quel cupo rintocco del cuore
che sempre ha battuto da allora,
che palpita ancora, che intona
i preludi del divenire.

(Da "La luce ricorda", 1967)

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