Ed ecco altre dieci poesie sull'inverno, questa volta però gli autori sono dieci poeti italiani dell'800. Come nelle precedenti anche qui risaltano versi di profonda tristezza e di sentito dolore, ma accanto ad essi si trova dell' altro: la satira di chi descrive la crudele stagione in modo irriverente e originale; la stranezza di chi invoca l'inverno perché stanco delle solite immagini di "splendidi cieli" e di "fronzute piante"; la curiosità di chi osserva una pianta che coraggiosamente fiorisce quando il freddo più è intenso; la rabbia di chi vede la povera gente che non ha né casa né alcun altro rifugio per proteggersi dal gelo e per questo muore per la strada; la fantasia di chi paragona la sua vita all'immagine di un interno nel momento in cui la luce va scemando perché avanza il tramonto invernale; la memoria di chi ricorda un curioso momento famigliare in un inverno lontano nel tempo; la solitudine di chi si ritrova a camminare sui colli Berici e si consola del canto di un uccellino: unica compagnia rimastagli durante la stagione inclemente.
DIARIO
di Vittoria Aganoor (1855-1910)
Piove. Certo laggiù, povero morto,
è freddo e buio, ma più freddo e buio
è qui, qui sulla terra, ove le foglie
son tutte gialle, e van col vento, e cadono,
cadono, e il cielo copre una gramaglia
fredda. È quassù l'algore, in questo immenso
deserto, dove sola una smarrita
anima va, senza più meta, incontro
a un'infinita tenebra, sbattuta
dalla tempesta che non posa, in questo
inverno di dolore.
(Da "Leggenda eterna", Treves, milano 1900)
IMPRESSIONE
di Evelina Cattermole (nome d'arte: Contessa Lara, 1849-1896)
Nella sala da pranzo ampia e fiorita
d'antichi arazzi, il sol s'indugia un poco
in una lista d'oro scolorita,
mentre scoppietta nel camin il fuoco.
È un tramonto d'inverno. Ecco la vita.
Ecco quale vorrei che a poco a poco
mi fuggisse dagli occhi, scolorita;
mentre in una quiete ampia e fiorita
gli ultimi sprazzi ancòr mandasse il fuoco.
(Da "Nuovi versi", Galli, Milano 1897)
SCUOLA MODERNA
di Antonio Ghislanzoni (1824-1893)
- Al diavolo l'estetica,
La logica, il buon senso,
E l'idëal melenso!
Poichè l'arte pöetica
Dai vecchi impacci è sciolta,
Farò il comodo mio....
E spero questa volta
Coi famosi del secolo
Salire agli astri anch'io.
- Il verno io canto, il verno,
La stagione crudele -
Stanotte il Padre Eterno
In cima alla montagna
Ha fatto il lattemiele....
E gli Aquiloni batton la campagna.
- Al piè del Resegone
Ve'! come il lago fuma
Immoto, senza schiuma!...
Visto dal mio balcone
Il gelido cratère
Sembra la catinella d'un barbiere
A cui mancò il sapone.
- Dalle nuvole rotte
Il sole ad intervalli
In berretta da notte
Mette fuori la faccia stralunata,
Sbadigliando di noja -
E frattanto, di neve disgelata
Sgocciola la tettoia,
Come il nasuccio d'uno scolaretto
Che smarrì il fazzoletto.
- Al margine del fosso
Sulla morta natura
Squittisce un pettirosso,
Coll'aria d'un becchino,
Che d'una vergin sulla sepoltura
Legga ghignando un romanzo di Dròz,
O si sfiati a trillar sull'ottavino
Un tema di Berliòz.
- Se scendo all'orticello,
Cui bieco irride il sole,
Le assiderate aiuole
Mi chieggono un mantello....
Gli alberi incappucciati
Come convalescenti
Ringhiano da dannati:
Dio! che dolor di denti!
- Pur, dai gracili steli
Una pallida rosa piccioletta
In bianca parrucchetta
Sfida il rigor dei geli;
Tanto bella e gentil, che la diresti
Ai languidi colori, ai tratti mesti,
La crèola di Balzac,
Una smilza figura
Di Dorè, di Kaulbach,
Una giovin marchesa in miniatura.
Se non temessi offenderti,
Piccola Pompadour
Vorrei offrirti un cigaro Cavour!
- Là, sulla opposta riva,
Poderosa, anelante,
Una locomotiva
Fra i gioghi si allontana,
Come un tetro elefante
Che sbuffi il fumo d'un superbo avana.
E dietro a quella sfilano schierati
Dieci vagoni in sembianza di abati
Che vanno al Giubileo
Grugnendo il Laus Deo!
- Sull'ultimo vagone
Gaia e modesta ascendi,
O mia nuova Canzone;
E nella letteraria sinagoga
Se mai, per caso, apprendi
Che oggigiorno hanno voga
Dei carmi così fatti,
Raccomanda a chi studia pöesia
Di andare a scuola all'ospedal dei matti.
(Da "Libro proibito", Tipografia Editrice Lombarda, Milano 1878)
INVERNO
di Domenico Gnoli (1838-1915)
Ricordi i campi tepidi, lucidi?
Or su pel monte scote le roveri
cacciando innanzi l'atre nubi
soffio di borea lungo, greve.
Or dove i lieti giorni che corsero
sì brevi? Dove sotto la pergola
la mensa e i gai colloqui e i versi
facili, liberi e i motti e i canti?
La grinza vecchia scote la candida
sua testa, e i grossi ceppi che bruciano
attizza lenta sul camino,
narra le favole e i prischi tempi.
Ed io cavando fuor da la cenere
castagne dolci, l'aureo calice
vuotando, te richiamo e i versi
facili, liberi e i motti e i canti.
(Da "Odi tiberine", Loescher, Torino 1879)
ERA D'INVERNO...
di Olindo Guerrini (1845-1916)
Era d’inverno, tardi, e sedevamo
Accanto al fuoco, soli, imbarazzati,
E, parlando del tempo, arrossivamo
Come due collegiali innamorati.
Ella chinava gli occhi al suo ricamo,
Verso il soffitto io li tenea levati;
Non si direbbe, eppur ci vedevamo
Meglio che se ci fossimo guardati.
Ed io pensava - Sol per un sorriso
Ti darei dell’ingegno i fior più belli
E il sangue giovanil delle mie vene... -
Quand’ella si levò pallida in viso,
Mi cacciò le due man dentro ai capelli
E - senti - rantolò - ti voglio bene! -
(Da "Postuma", Zanichelli, Bologna 1889)
SOSPIRI ALL'INVERNO
di Emilio Praga (1839-1875)
Stanco son io di splendidi
cieli e fronzute piante;
mi annoia lo spettacolo
di una beltà costante;
venga il dicembre, ed operi
un cambiamento a vista:
un grazie al macchinista
dal petto esalerò.
Venga il gennaio, il placido
mese di pioggie e nevi,
venga, ed io chiuda il guscio:
oh giorni inerti e brevi,
vetri appannati, e amabili
grilli del focolare!
Voglio l'uscio inchiodare,
cantar l'inverno io vo'!
Come cadenze tremule
di cori in lontananza,
belle, ridenti, tiepide,
nella tranquilla stanza
tornano le memorie
del luglio e dell'aprile,
a colorir lo stile
del pallido pittor.
E accosciata in un angolo
al muro crepitante,
sospirosa e pettegola
come una vecchia amante,
la stufa mi consiglia
a non varcar la soglia,
e alle dolcezze invoglia
del solingo lavor.
Quando la nebbia intorbida
l'ampia campagna rasa,
è pur dolce l'immagine
delle donne di casa:
le muse son, son gli angeli
del domestico cielo
cui della pioggia il velo
imperla la beltà!
Le gonne allor bisbigliano
come selvette in maggio,
e se il capo ti aggravano
nuvole di passaggio,
ascolta... erra uno strascico
nella vicina stanza?
Ascolta; e la speranza,
la fede tornerà.
Venga il febbraio: ho un piccolo
vaso di sempre-vivi
che i vezzi non invidiano
dei fiorellini estivi;
ho un uccellino in gabbia,
un canerin gentile...
febbraio, marzo, aprile...
ecco l'estate ancor!
L'estate ancor!...Fantastico
mio cor di pellegrino,
né avran cessato i cantici
il bardo e il canerino:
giacché siam quattro in gabbia,
ed all'amor si beve,
il mandorlo è una neve,
la stalattite è un fior!
(Da "Penombre", Casa Editrice degli Autori-Editori, Milano 1884)
UNA SERATA D'INVERNO
di Giovanni Prati (1814-1884)
Dovunque io mova sospirando gli occhi,
spopolata è la terra e l'aer greve.
Stridemi il passo infido. E a larghi fiocchi
casca la neve.
Quanta bellezza sotto lei si perde
di musiche, di raggi e di colori!
Ahi! come langue sulla terra il verde,
languono i cuori.
Fuggito è dalle labbra il dolce riso;
si volgon l'ore desolate e corte;
pallido e senza lume è il paradiso,
come la morte.
Io, qui raccolto in solitaria cella,
al crepitar di quattro tizzi ardenti,
io penso i giorni dell'età più bella
gioiti e spenti.
E dalla ricordante anima oppressa
sale il pianto negli occhi a poco a poco,
sin che tutto è silenzio, e anch'egli cessa
d'ardere, il foco.
Oh! torni a noi la primavera e il sole,
la stagion dei sorrisi e della gioia:
coronati di rose e di viole
almen si muoia.
(Da "Poesie varie", Laterza, Bari 1916)
ROSE D'INVERNO
di Mario Rapisardi (1844-1912)
Tu, caro cespo, or ch'ogni ramo intorno
Vedovo stride al nembo,
E, come in pio soggiorno,
S'asconde il seme della terra in grembo,
Tu, non già sordo all'invernal tormento,
Ma generoso e pago,
Gitti al nemico vento
La fragranza de' fiori, onde sei vago.
Non dissimile io son: contro al cor mio
Scocca l'odio gli strali
Avvelenati, ed io
Lieto di mia virtù rido a' miei mali.
E in ogni piaga mia rosseggia un fiore;
E per ogni saetta
Fiorisce un verso. O amore.
È questa, e tu te 'l sai, la mia vendetta.
(Da "Le Poesie Religiose", Giannotta, Catania 1895)
NOTTE D'INVERNO
di Alessandro Seveso (?-?)
Girava come pazza,
scrutando dietro i vetri dei caffè,
e pensava: - perché là si gavazza
e di fuori si muore, perché, perché?
E pensava: - de' pranzi,
delle forbite loro imbandizion
a disfamarmi basterian gli avanzi...
È triste il verno, è fredda la stagion.
Tentò l'ultima speme,
pregò i passanti in nome del Signor...
le fecero proposte infami, oscene:
davan pranzi, chiedendo baci e amor.
Nella profonda notte
le membra pel gran gelo intirizzir,
e i lunghi spettri della fame a frotte
vennero, presenziando al suo morir.
Distesa nella via
e coperta di gelido lenzuol,
colla bocca che rigida s'apria
fu trovata al risorgere del sol.
(Dalla rivista «Giustizia», gennaio 1893)
UN MATTINO D'INVERNO SUI COLLI BERICI
di Giacomo Zanella (1820-1888)
Vittorïoso il sol spezza le nebbie,
Che, sgominate, in lieve
Falange si dileguano
Dietro le selve ancor vacue di neve;
E paiono velate monacelle
Che in lenta fila tornino alle celle.
Laggiù nella pianura escon, dal candido
Mar, palagi e tuguri;
Ritti, come fantasime,
Giganteggian dell'alpe i coni oscuri
In lontananza; e luccica, ad imago
D'argentea benda, appiè de' boschi, il lago.
Tutti gli augelli o valicâr l'oceano
O, nelle grotte occulti,
Il grigio ciel sogguardano;
Tu sol, crollando la brina, a' virgulti,
Saltelli, o re delle siepi piccino,
E conforti di canto il mio cammino.
Picciolo alato, alla natura in lagrime
Fedel solo rimasto!
Cosí le spalle volgere
Suole sovente alla sventura il fasto;
E nel tetto dei ricchi, or senza pane,
Ultimo amico il povero rimane.
(Da "Liriche", Vallardi, Milano 1934)
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