Le dieci poesie
seguenti furono scritte tutte negli anni del XIX secolo. Gli autori sono poeti
italiani attivi particolarmente nella seconda metà dell'Ottocento e molti di
loro furono (a torto) considerati minori. Leggendole si intuirà che spesso si
privilegia la visione, la descrizione dell'evento atmosferico e,
secondariamente, le emozioni, i pensieri che tale evento suscita nelle anime
nobili di chi scrive dei versi. Si differenziano dalle altre le poesie di
Corrado Corradino, Severino Ferrari e Enrico Panzacchi (potrebbe essere
aggiunto anche Giovanni Pascoli, ma ciò che cambia l'atmosfera rassicurante del testo è, nel suo caso, il solo titolo); questi tre poeti non si soffermano ad
elencare i particolari del paesaggio innevato, ma si concentrano su temi
spiccatamente sociali: vogliono cioè mettere in risalto il fatto che la neve e
il freddo possono divenire una tragedia per chi non ha i mezzi per affrontarli
adeguatamente.
FOLTA È LA NEVE
di Giovanni Camerana (1845-1905)
Folta è la neve
Sui nodi biechi dei
tronchi e sui rami
Atteggiati da
scheletro
Nel cielo buio e
greve.
Laggiù i tugùri
Sonnecchiano di
freddo e di tristezza;
Paion sepolcri e
tumuli
I lor profili oscuri.
Torpido fuma
Un comignolo, il
segno unico vivo;
Filo vago e nericcio
Sopra il fondo di
bruma.
Vedi! è deserta
La strada, è tutta
candida, e si perde
In mezzo alle
casupole
Tortuosa ed incerta;
È bianca, è queta,
Fa pensare al Natale
ed ai Re Magi;
Rivolge la memoria
Verso l’infanzia
lieta;
Verso le aurore
Traversate dai cento
cherubini
Della speranza, e i
rosei
Nimbi del primo
amore;
Giorni lontani
Come una vela nel
mare, e svaniti
Come fanno le nuvole
E i grandi echi
montani;
Ed io ripenso
Le precoci sepolte, e
guardo i rami
Atteggiati da
scheletro
Nel grigio umido e
denso.
(Da
"Versi", Streglio, Torino 1907)
NEVICATA
di Giosuè Carducci (1835-1907)
Lenta fiocca la neve
pe 'l cielo cinerëo: gridi,
suoni di vita piú non
salgon da la città,
non d'erbaiola il
grido o corrente rumore di carro,
non d'amor la canzon
ilare e di gioventú.
Da la torre di piazza
roche per l'aere le ore
gemon, come sospir
d'un mondo lungi dal dí.
Picchiano uccelli
raminghi a' vetri appannati: gli amici
spiriti reduci son,
guardano e chiamano a me.
In breve, o cari, in
breve - tu càlmati, indomito cuore -
giú al silenzio
verrò, ne l'ombra riposerò.
(Da "Odi
barbare", Zanichelli, Bologna 1910)
IDILLIO NOTTURNO
di Corrado Corradino (1852-1923)
«Noi veniamo dal
ciel, dove più d'uno
Direbbe volentieri:
io ci rimango.
Noi veniamo dal ciel
vuoto, importuno,
E discendiamo in
terra a far del fango.»
Così diceano i
fiocchi della neve
Lenti per la notturna
aria danzando:
Era tutto silenzio, e
solo un lieve
Fischio di vento
udivi a quando a quando.
Delle case i
domestici genietti
Seduti sulle cappe
dei camini
Si narravano certo a
denti stretti
I misteri dei tepidi
stanzini,
'U l'aria è piena del
romor dei baci
Sotto le molli
coltrici sonanti,
E nel sonno si
stringono tenaci
I corpi dei bambini e
degli amanti;
Ove sul capo degli
addormentati
Si addensan l'ombre
del divino oblio,
E nei cor dalle
veglie affaticati
La quiete discende,
unico iddio.
Allor sì, che i
domestici genietti
Gridavan per le canne
dei camini:
«State tranquilli
dentro i vostri letti;
Che freddo acuto fuor
degli stanzini!»
Che freddo! e di che
sconce lividure
Segnava d'una misera
la faccia!
Si trascinava per le
strade oscure
E nude al ciel levava
ambo le braccia.
Nel suo cammino
ell'era tutta sola
E i muri rasentando
barcollava;
Dicea la neve: Povera
figliola!
Ma intorno e accanto
a lei l'uomo russava.
Con le gonne facea
velo alla testa
La sciagurata, ed al
livido seno;
E per gli squarci
della poca vesta
Apparia degli strani
occhi il baleno.
E intanto camminava,
camminava
Pel fangoso sentier,
pur barcollando;
E così fra sé stessa
bestemmiava
Pazzamente come ebbra
sghignazzando:
— Viva il mondo
perdio! con la sua prole
Il buon Signore fa le
cose spicce;
Figlie, a noi dice,
scaldatevi al sole!
E alle dame : Per voi
ci ho le pellicce.
Damine immacolate, al
vigil lume
Della lucerna oh come
il sonno è grato,
Mentre distesa in sul
guancial di piume
La comoda virtù vi
russa allato!
Intanto che col
placido sposino
Voi ricambiate un
bacio e uno sbadiglio
Io qui, megera
lurida, trascino
Il mio vizio e me
stessa nel motriglio.
(Da "Su pe 'l
calvario", Casanova, Torino 1889)
NEVICATA (VICINO A
LEIDA)
di Edmondo De Amicis (1846-1908)
I.
Sulla campagna
squallida e pensosa
Scende la neve a
larghi fiocchi e lenti,
E sui morbidi strati
rilucenti,
Immaculata e tacita
si posa;
Scende, d'un fitto
vel copre ogni cosa,
Copre casette, ponti,
acque dormenti,
E colma fossi e
imbianca bastimenti.
E scende senza fine e
senza posa;
E via pei campi,
dietro al bianco velo,
Gli alti mulini in
grande atto severo
Tendon le braccia
irrigidite al cielo;
E del piano
bianchissimo al confine
Segna la vecchia
Leida un arco nero...
Nevica senza posa e
senza fine.
II.
Io veggo nelle tepide
casine
Gli olandesi panciuti
ed opulenti
Seduti intorno ai
caminetti ardenti
Sbuffare il fumo in
larghe onde azzurrino,
Stare a mensa con le
fronti chine
Argomentando in
riposati accenti,
E macinar gli arrosti
succulenti
Con le lente mascelle
elefantine;
Veggo le caste mogli
e i grossi putti,
E il placido gatton
lucido e bello
E monti di formaggi e
di prosciutti;
E i larghi letti
insidiati invano
Su cui l'Amore ha
scritto a stampatello:
Chi va piano va sano
e va lontano.
(Da
"Poesie", Treves, Milano 1880)
NEVE
di Severino Ferrari (1856-1905)
Neve, te canti
allegra fata il poeta stolto,
mentre coi piedi
caldi sta centellando il ponce;
e a chi 'l granaio
scricchia nel peso del raccolto
e s'alzano legnaie
d'olmi e querciuoli acconce.
Ma t'odia cui
l'inverno con doppia spada offende,
la fame e il freddo
acuti. Chi poi sotterra ha care
memorie, ad ogni
falda che sulle tombe scende
dentro ti sente
crescere e sopra il cuor pesare.
(Da "Nuovi
versi", Stab. tipo-litografico Pietro conti, Faenza 1888)
NEVE IN CITTÀ
di Giovanni Marradi (1852-1922)
E da una striscia
argentea di cielo,
che fra i neri edifici
alta serpeggia,
neve e neve giù giù
fiocca e volteggia
muta al tuo muto
soffio, aria di gelo.
E nel freddo
silenzio, a quando a quando,
fra i palagi di
marmo, ove ancor bella
vive in refugi tepidi
la vita,
qualche ombra umana
affrettasi, pestando,
sotto il fioccar che
ogni orma ne cancella,
quel candor molle
come una fiorita.
E in bianca pioggia
di fiori infinita
vien danzando giù giù
neve su neve,
lieve a ogni soffio
che tu soffii lieve
fra i palagi di
marmo, aria di gelo.
(Da
"Poesie", Barbera, Firenze 1907)
LA NEVE
di Guido Mazzoni (1859-1943)
Mite è la neve. Lieve
vien giù da un cielo di perla
Come il piovente
fiore de' biancospini;
Silenziosa vien giù,
s'aggira volando, sussulta,
Come farfalle lungo
la siepe nuova.
Sopra le vie fangose,
su le arse campagne da' ghiacci,
Morbida, bianca,
scende la neve pia,
Ed al maligno verno
che sta su le terre domate
Tanto squallore
splendidamente cela.
Crescon per lei
sicure le timide punte del grano:
Sognano il raggio de'
rinfiammati soli;
Cresce per lei la
speme di messi fiorenti; e il colono
Sogna la falce tra le
mature spighe.
Mira il fanciullo a'
vetri che il fiato fumante gli appanna;
Forti trastulli dona
la neve a lui.
Mira alla lente il
dotto; di stelle e di rigidi fiori
Studio sagace dona la
neve a lui.
Tace per lei
l'imbelle stridor delle vie cittadine;
Tra gli alti monti
bollono urlando i fiumi:
D'una feroce gioia
esultano i fiumi, che presto
Gonfi a ruina
diserteranno il piano.
Colpa ne ha la neve.
Lei, vergine bianca, dall'alto
Delle montagne
traggono a forza seco,
Strappanle il manto
puro. Di que' lutolenti all'amplesso
Cede la neve, vergine
bianca, e muore.
(Da
"Poesie", Zanichelli, Bologna 1913)
NEVICATA
di Ada Negri (1870-1945)
Sui campi e su le
strade
Silenziosa e lieve,
Volteggiando, la neve
Cade.
Danza la falda bianca
Ne l'ampio ciel
scherzosa
Poi sul terren si
posa
Stanca.
In mille immote torme
Sui tetti e sui
camini,
Sui cippi e nei giardini
Dorme.
Tutto dintorno è
pace:
Chiuso in oblio
profondo,
Indifferente il mondo
Tace....
Ma ne la calma
immensa
Torna ai ricordi il
core,
E ad un sopito amore
Pensa.
(Da "Fatalità",
Treves, Milano 1892)
NELLA NEVE
di Enrico Panzacchi (1840-1904)
Sull'alba, è intatta
al suolo
la grande nevicata
che fioccò tutta
notte.
Poi sul bianco
lenzuolo
appar qualche pedata:
piè grandi e scarpe
rotte.
Soffre la vita o
dorme.
Ai bimbi il verno è
crudo
come all'età cadente.
Veggo, fra l'altre,
l'orme
d'un picciol piede
ignudo
che m' attrista la
mente.
Ahi, ahi!, chi vi
ristora,
o tremanti piedini
di fanciullo
errabondo?
E vi son dunque
ancora
dei poveri bambini
che van, scalzi, pe'l
mondo?
(Da
"Poesie", Zanichelli, Bologna 1908)
ORFANO
di Giovanni Pascoli (1855-1912)
Lenta la neve fiocca,
fiocca, fiocca.
Senti: una zana
dondola pian piano.
Un bimbo piange, il
piccol dito in bocca;
canta una vecchia, il
mento sulla mano.
La vecchia canta:
Intorno al tuo lettino
c’è rose e gigli,
tutto un bel giardino.
Nel bel giardino il
bimbo s’addormenta.
La neve fiocca lenta,
lenta, lenta.
John Henry Twachtman, "Snow" (da questa pagina Web) |
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