sabato 6 agosto 2016

I cani in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

"Il cane è il migliore amico dell'uomo": questa si può definire una frase fatta, ma descrive una realtà incontestabile, poiché, se è vero che l'amico umano più sincero potrebbe rivelarsi tutt'altro, il cane è fedele di natura e il tradimento non fa parte del suo DNA. Forse, la sua pecca sta nel fatto che regala facilmente amicizia e fedeltà anche a chi non le merita affatto; ad esempio a quegli esseri inqualificabili che lo abbandonano in strada perché non si divertono più a tenerlo in casa o perché devono partire per la villeggiatura. Come il gatto, anche il cane non è amato da tutti perché rumoroso (quindi fastidioso) e, in alcuni casi, perché troppo aggressivo. Sappiamo però che in moltissime circostanze, il carattere del cane si adegua a quello del padrone, il quale, indirizzando l'animale verso determinati comportamenti con gli estranei, è diretto responsabile di tutto ciò. Nelle dieci poesie che seguono si noterà, in più di un caso, l'intenzione di sottolineare la bontà dei cani, anche di quelli che all'apparenza sembrano cattivi perché ringhiano e abbiano. C'è poi chi si sofferma ad osservare i comportamenti del proprio cane, o chi cerca di dare una spiegazione a precisi atteggiamenti che assumono, in particolari circostanze, questi animali domestici. C'è infine chi vuole mettere in evidenza il legame strettissimo che può nascere tra un uomo e un cane: così stretto da accomunare padrone ed animale come fosse un solo essere; e se dovesse venire a mancare uno dei due, di conseguenza verrebbe a mancare anche l'altro.




IL CANE LIEBE
di Luigi Bartolini (1892-1963)

Durante la strada si divertì
quanto noi, come noi, il cane Liebe,
corse dietro a ramarri, a lucertole
e, pei nascosti fra crepe del solleone,
ruspò la terra, squassò le buche;
poi ritrovò una gazza morta dove era
un groviglio di rami, soto una quercia;
e andò dilindoleggiandola per istrada
dinanzi a noi che, a testa china,
seguivamo i nostri pensieri.

(Da "Poesie 1911-1963", Rebellato, Padova 1964)




BUONGIORNO, CANI, CIAO
di Dino Buzzati (1906-1972)

Buongiorno, cani, ciao
cagnolini cagnolini cagnazzi
misterioso dono della natura
a noi carogne. Perché?
Incantevoli compagni di viaggio
che ci fissate negli occhi
con esagerata.
Belli come boschi come il vento
girano su e giù per la casa
come fiumi come rupi
come nuvole innamorate.
Belli quando ronfate
fate bave spazzate immondizie.
Egoisti, sporchi, noiosi
rompiscatole, puzzolenti, ingordi,
sudicioni, petulanti, tangheri,
Dio vi benedica.

(Da "Le poesie", Neri Pozza, Venezia 1982)




CAREZZA AL CANE
di Paolo Buzzi (1874-1956)

Cane, bontà degli uomini perduta,
o fedeltà di tanti falsi amici,
il mio cuore ti pensa e ti saluta!

Questa vita di tedï e malefici
te la dirò dentr'un'orecchia, o cane,
che i miei segreti ascolti e non li dici.

Le pupille tue fonde e più che umane,
san la mia dolce illusïon caduta.
E la tua testa è calda come un pane...

(Da "Bel canto", Studio Editoriale Lombardo, Milano 1916)




IL CANE
di Aldo Palazzeschi (1885-1974)

Molti conosco che non coltivano
eccessiva simpatia per il cane
e denunciano per prima cosa
quell'insistente quanto noioso abbaiare.
Ma non è forse il suo linguaggio
che noi
come già quello degli Etruschi,
non riusciamo a comprendere?
Udiste mai per la campagna
durante la notte
quando da un casolare abbaia un cane?
Dai casolari di quella zona
ogni altro si mette ad abbaiare
tanto da lasciar credere
in un impianto telefonico esemplare e incorruttibile.
E non farà lo stesso effetto
il nostro eterno cicalume
a chi nei nostri confronti meglio di noi capisce?
Infatti, se voi mettete un nome al vostro cane
con quello infallibilmente risponde
e quando non risponde v'informerà
con un moto dell'orecchio impercettibile
che ha capito perfettamente
ma che fa finta di non sentire
perché occupato in più importanti faccende.

(Da "Via delle cento stelle", Mondadori, Milano 1972)




IL CANE NOTTURNO
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Nell’alta notte sento tra i queruli
trilli di grilli, sento tra il murmure
piovoso del Serchio che in piena
trascorre nell’ombra serena,

là nell’oscura valle dov’errano
sole, da niuno viste, le lucciole,
sonare da fratte lontane
velato il latrato d’un cane.

Chi là, passando tardo per tacite
strade, fra nere siepi di bussolo,
con l’eco dei passi, in un’aia
destava quel cane, che abbaia?

Parte? ritorna? Lagrima? dubita?
ha in cuor parole chiuse che batton
col suono d’alterno oriuolo?
ha un’ombra, ch’è sola con solo?

Va! Va! gli dice la voce vigile
sonando irosa di tra le tenebre.
Traspare dagli alberi folti
la casa, che sembra che ascolti…

come tra il sonno, chiuse le palpebre
sue grandi… L’uomo dorme, ed un memore
suo braccio, sul letto di foglie,
sta presso la florida moglie.

E dorme nella zana di vetrici
la bimba, e gli altri piccoli dormono.
S’inseguono al buio con ali
di mosche i loro aliti uguali.

Uguali uguali, passano tornano
con ronzìo lieve, dentro le tenebre
cercandosi: e l’anime ancora,
si cercano, sino all’aurora,

per le ignorate lunghe viottole
del sonno; e al fine si ricongiungono;
e scoppia sul fare del giorno
l’allegro vocìo del ritorno.

(Da "Odi e inni", Zanichelli, Bologna 1906)




OH NELLA NOTTE IL CANE
di Sandro Penna (1906-1977)

Oh nella notte il cane
che abbaia di lontano.
Di giorno è solo il cane
che ti lecca la mano.

(Da "Poesie", Garzanti, Milano 1997)




IL CANE SORDO
di Antonia Pozzi (1912-1938)

Sordo per il gran vento
che nel castello vola e grida
è divenuto il cane.

Sopra gli spalti – in lago
protesi – corre,
senza sussulti:
né il muschio sulle pietre
a grande altezza lo insidia,
né un tegolo rimosso.

Tanto chiusa e intera
è in lui la forza
da che non ha nome
più per nessuno
e va per una sua
segreta linea
libero.

(Da "Parole", Garzanti, Milano 1989)




LA PIOGGIA RADA CADE A LENTE GOCCE
di Beppe Salvia (1954-1985)

la pioggia rada cade e lente gocce
picchiano sul dorso d'un can pastore
sordo e che il pesante incedere
rende pauroso ai bimbi che
visitano la villa,

e invece è buon amico, lappa le mani
culla col muso i cuccioli, perfino
il gatto bigio si trastulla con l'ombra
di costui can che un cartello
irriguardoso addita, cave canem,
a fuggire, e invece molce l'animo
il suo alito caldo, danzano
gli occhi suoi e dolce lume brillano -

poi corre presto via inseguendo
un frullo d'ale oltre lo steccato,
abbiamo una fotografia,
Garibaldino!

(Da "Estate", Il Melograno-Edizioni dell'Abete, Roma 1985)




BIANCHINA
di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)

Bianchina la slava
seminapulci, la zingara
ha figliato nella legnaia.
Porta i cuccioli appresso
raminga per amore
di libertà. Rifiuta
il latte, ruba
per non mendicare,
ringhia per non farsi
lisciare.

(Da "Mosche in bottiglia", Mondadori, Milano 1975)




MÀRTIN ANDAVA COL SUO VECCHIO CANE
di Diego Valeri (1887-1976)

Màrtin andava col suo vecchio cane
per viottole di monte.
L'uno a fianco dell'altro, senza dire
motto, solo scambiando qualche sguardo.

Ora non so del cane. So che Màrtin
se n'è andato dal mondo dei viventi.
Chissà se c'è laggiù monti, sentieri
di bosco, cani: un vecchio cane
che gli cammini al fianco
in silenzio, scambiando qualche occhiata.

(Da "Poesie scelte", Mondadori, Milano 1977)



Arthur Wardle, Hunting dogs
(from work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45988263)



mercoledì 3 agosto 2016

I gatti in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Sornioni, sonnacchiosi, lamentevoli, furbi, giocherelloni, curiosi, sospettosi, teneri, orgogliosi, indipendenti... e quanti altri aggettivi si potrebbero trovare per descrivere i gatti: animali domestici tra i più amati dagli esseri umani. Certo, esistono anche coloro che li detestano, o che fanno stupidi confronti o classifiche coinvolgendo altri animali. Ma chi li ama non sente ragioni, io compreso, che giudico il gatto come uno degli esseri viventi più belli e simpatici. Ho trovato molte poesie dedicate a questi piccoli felini; le dieci che ho selezionato tendono a descrivere determinati comportamenti, a sottolineare alcune specificità, a celebrarli quasi fossero vere e proprie divinità. Sono versi scritti da dieci poeti che, in un modo o in un altro, hanno amato i gatti; a questo proposito cito, per chiudere, una frase di Corrado Govoni presente, a mo' di epigrafe, alla fine di una sua famosa opera poetica:
"I gatti sono i poeti degli animali
come i poeti sono i gatti degli uomini"    




GATTI SUI TETTI
di Francesco Cazzamini Mussi (1888-1952)

Spalanco la finestra,
e sovra i tetti in faccia
alla mia stanza, nel grigior dell'alba
entro la luce scialba,
benché l'aria sia diaccia,
stan due gatti e si guardan miagolando.

Le vostre pene, o care bestie amiche,
molto compiango e vi darei ristoro,
ma non sapete che il silenzio è d'oro
per le umane fatiche?
Miagolerete, dite, fino a quando?

Ma la pace non viene
e forse di lor pene
fatti più acerbi ed anche più feroci
mescono sbruffi, acuti sgraffii e morsi.
E quei del vicinato tutti accorsi
— la famiglia dei gatti è numerosa —
discutono la cosa...

Fin presso la grondaia il più piccino
è scivolato ed io mi dico: è morto!
Ma no, che per miracolo risorto,
agguanta l'altro e giù lo scaraventa...
La famiglia dei gatti tutt'attenta
applaude al vincitore,
poiché pure tra i gatti il vinto ha torto
e perduto ha l'onore.

Torna il silenzio. Guardo. Già lontano
ogni gatto scompare discutendo,
e le lor voci ormai più non intendo.
Quand'ecco, una penombra, di soppiatto,
esce da un abbaino...
Ma il vincitore che si lecca i baffi,
benché malconcio, il muso tutto a sgraffi,
corre presso la bella del suo cuore...
onde la mia finestra chiudo in fretta
per salvar la morale
e l'etichetta.

Non darti l'aria, o cuore,
di rigido censore
ché fosti gatto e ancora lo sarai,
e sovra i tetti andrai
miagolando alle notti azzurre e pure
tutto il dolore delle graffiature.

(Da "Le allee solitarie", Ricciardi, Napoli 1920)




IL GATTO E LA LUNA
di Sergio Corazzini (1886-1907)

Luna nel cielo, lume su la porta.
Questa notte morirono le stelle,
le nuvole hanno fatto da barelle,
lampeggiarono i ceri della scorta.

Vagò, di cimitero in cimitero,
solo, con le pupille avide, rosse,
ardenti per continuo tormento,
il gatto enorme, il gatto enorme e nero,
come se in lui la notte atra si fosse,
materiata per incantamento.
Or va, torna col vento, ma se il vento
spegne il lume ad un tratto, nella via
rimangono due stelle in cui la pia
luna in sua dolce meraviglia è assorta.

(Dalla rivista «Marforio», ottobre 1904)




ALLA SUA GATTA PERSIANA
di Beniamino Del Fabbro (1910-1989)

Sotto i gerani a primavera ascolti
il tepore del marmo.
Sulle travi nevose avari passi
ti scavi. Non ami che i folti
di rose, le mie mani
sul dorso scarno.

(Da "Epigrammi", Ed. del Cavallino, Venezia 1944)




ALTRO GATTO
di Luciano Erba (1922-2010)

Figura tutte le lettere
dell'alfabeto latino
del cirillico anche e ahimè del runico
quando si allunga si dimena e stira
nero su fondo bianco
il mio gatto ecumenico.

(Da "L'ipotesi circense", Garzanti, Milano 1995)




DEL TUO TIMIDO GATTO...
di Franco Fortini (1917-1994)

Del tuo timido gatto
che scendeva la scala
dell'orto la mattina
con la sua ombra fina
lungo le terrecotte

cosa è rimasto? Nulla
fuor che l'impronta impressa
dalle sue zampe nella
gettata di cemento
dove annusava incerto

fra le tue grida: «Via,
via di lì, stupidino!»
Era luglio, era aperto
il cielo. Pensai: «Certo
rimarrà sempre un segno».

Ora il cemento è pietra
alle piogge d'ottobre.
Ostinate lo coprono
le foglie senza forma.
Toglile e potrai leggere

l'orma di quegli unghiòli.

(Da "Paesaggio con serpente", Einaudi, Torino 1984)




I GATTI BIANCHI
di Corrado Govoni (1884-1965)

Gatti candidi e taciturni,
misteriosi come i pipistrelli;
esseri ambigui, mistici, notturni,
pieni d’insidie e di tranelli.

Gatti candidi e sornioni
che amano far le fusa tra le stoffe,
e sui divani, in mille pose goffe,
darsi l’aria di padroni.

Gatti candidi e sonnacchiosi
che s’accovacciano di tra le gonne
e sopra le finestre de le nonne
tra i vasetti di tuberosi.

Gatti candidi e sognatori
chiusi come gli ignoti poeti;
gatti che celano i loro secreti
come i profumi certi fiori.

Gatti bianchi per i cimiteri,
su le tombe e tra le croci di legno;
gatti bianchi nei monasteri
tutti candidi: il loro vero regno.

Gatti bianchi, che nelle chiese
s’inebriano d’incenso e di frescore;
gatti da le pupille accese
di tradimento e di languore.

(Da "Armonia in grigio et in silenzio", Lumachi, Firenze 1903)




IL GATTO
di Tito Marrone (1882-1967)

Il gatto al sole pigro si grogiola,
socchiusi gli occhi, come se un brivido
    di freddo scorra nelle sue
        fibre, e distendesi mollemente.

Ma se l'inganno della perfidia
celata, o uomo, stolto dimentichi,
    e sfiori con la mano, lieve
        lieve, il sericeo dorso, ei balza

d'un tratto, ostile, pronto alla piccola
battaglia: spiega l'unghie; una rosea
    ferita traccia su la tua
        mano, e pacifico torna al sole.

(Da "Liriche", Artero, Roma 1904)




CANTO PER IL GATTO ALVARO
di Elsa Morante (1912-1985)

Fra le mie braccia è il tuo nido,
o pigro, o focoso genio, o lucente,
o mio futile! Mezzogiorni e tenebre
son tue magioni, e ti trasformi
di colomba in gufo, e dalle tombe
voli alle regioni dei fumi.
Quando ogni luce è spenta, accendi al nero
le tue pupille, o doppiero
del mio dormiveglia, e s'incrina
la tregua solenne, ardono effimere
mille torce, tigri infantili
s'inseguono nei dolci deliri.
Poi riposi le fatue lampade
che saranno al mattino il vanto
del mio davanzale, il fior gemello
occhibello.

           E t'ero uguale!
Uguale! Ricordi, tu,
arrogante mestizia? Di foglie
tetro e sfolgorante, un giardino
abitammo insieme, fra il popolo
barbaro del Paradiso. Fu per me l'esilio,
ma la camera tua là rimane,
e nella mia terrestre fugace passi
giocante pellegrino. Perché mi concedi
il tuo favore, o selvaggio?

Mentre i tuoi pari, gli animali celesti
gustan le folli indolenze, le antelucane feste
di guerre e cacce senza cuori, perché
tu qui con me? Perenne, tu, libero, ingenuo,
e io tre cose ho in sorte:
prigione peccato e morte.
Fra lune e soli, fra lucenti spini, erbe e chimere
saltano le immortali giovani fiere,
i galanti fratelli dai bei nomi: Ricciuto,
Atropo, Viola, Fior di Passione, Palomba,
nel fastoso uragano del primo giorno...
E tu? Per amor mio?

Non mi rispondi? Le confidenze invidiate
imprigioni tu, come spada di Damasco le storie d'oro
in velluto zebrato. Segreti di fiere
non si dicono a donne. Chiudi gli occhi e cantami
lusinghe lusinghe coi tuoi sospiri ronzanti,
ape mia, fila i tuoi mieli.
Si ripiega la memoria ombrosa
d'ogni domanda io voglio riposarmi.
L'allegria d'averti amico
basta al cuore. E di mie fole e stragi
coi tuoi baci, coi tuoi dolci lamenti,
tu mi consoli,
o gatto mio!

(Da "Alibi", Garzanti, Milano 1988)




MESSAGGIO
di Gianni Rodari (1920-1980)

Domando al gatto: che ne dici?

Che te ne pare e sembra?
Qual è la tua opinione
e spassionata sentenza?

Muove un orecchio. È un segno?
Significato o significante?
Un affettuoso riflesso?
Un consiglio? Una chiave?

Certo della mia attenzione
non apre nemmeno un occhio,
che io intenda o no il messaggio
non richiede suo controllo.

Muove un orecchio puntuto
alle sedici e cinquantuno,
né aggiunge l'emittente
un banale: Passo e chiudo.

(Da "Il cavallo saggio", Editori Riuniti, Roma 1990)




GATTO
di Tiziano Rossi (1935)

Il tempo cruciale, il più ampio svanire;
e il gatto malato per dissenteria
(roba maligna) scenderà per dove
dormono i morti senza suffragio.

Perciò ha azzerato qualunque movimento
- risorsa elementare, tecnica pertinente -
il caro, saggio mucchietto di ossa. Tuttavia
cosa vuoi che gli dica, e anche lui del resto...

I suoi baffi non sono più gran che,
il pelo gramo rabbrividisce;
e poi sta ognuno dentro sé recluso:
nocciolo inarrivabile.

Ci si sbalestra da tutti i focolari,
però questa volta niente insegnamenti,
se non la tua felina
signorilità, la poca lagna.

(Da "Miele e no", Garzanti, Milano 1988)





giovedì 28 luglio 2016

Antologie: "Nuovi poeti italiani contemporanei" a cura di Roberto Galaverni

Questa antologia, uscita da ormai venti anni (fu pubblicata a Rimini da Guaraldi/Gu.Fo Edizioni nel 1996), è stata per me basilare. Pur avendo già approfondito la personale conoscenza della poesia italiana novecentesca, avevo deciso di escludere, dai miei interessi, gli ultimi venti anni del secolo. Il motivo risiedeva nel fatto che ero convinto di non trovare alcun talento tra i giovani poeti attivi in quegli anni. Il mio disinteresse nasceva soprattutto dall'aver letto qualche altra antologia recente senza avervi trovato (a parte qualche rara eccezione) niente di entusiasmante o interessante. Fu leggendo questa antologia che mi accorsi, con grande sorpresa, della presenza di alcuni validi poeti, fino ad allora a me del tutto sconosciuti. Nuovi poeti italiani contemporanei comprende diciotto poeti italiani relativamente giovani (i più anziani non arrivavano a cinquant'anni e i più giovani avevano appena superato i trenta). Vi è un solo poeta dialettale, mentre, per quel che concerne le aree geografiche, le più rappresentate (con tre poeti ciascuna) sono l'Emilia Romagna, le Marche ed il Lazio (anche se, per quest'ultima, si parla di poeti prettamente romani). Complessivamente poco presente il sud (soltanto due poeti), completamente assenti le isole. Tutto questo discorso vale soltanto come statistica, poiché mi sembra ovvio che chiunque voglia selezionare i migliori poeti di un determinato periodo storico di una determinata nazione, non deve mai preoccuparsi della loro appartenenza geografica. Ritornando al discorso iniziale, la lettura di questa antologia mi fece scoprire alcuni talenti poetici; in particolare ne cito quattro: Antonella Anedda, Claudio Damiani, Umberto Fiori e Valerio Magrelli; in verità, di Magrelli avevo già letto qualcosa (se pur non approfonditamente), avendo lo scrittore romano già alle spalle una quindicina di anni di attività poetica (si rivelò giovanissimo nella famosa antologia del 1978: La parola innamorata). Non posso comunque dire che il resto dei poeti selezionati da Galaverni sia da buttare, tutt'altro... Penso infine che questa fondamentale antologia si ponga come limite estremo per ciò che riguarda la poesia italiana del Novecento; di conseguenza, ritengo che, tutte le generazioni seguenti di poeti (ovvero coloro che nell'anno di uscita del volume in questione non avevano ancora compiuto trent'anni) appartengano già al primo secolo del nuovo millennio. Ecco infine l'elenco dei poeti che figurano in questa ottima antologia.    



NUOVI POETI ITALIANI CONTEMPORANEI



Ferruccio Benzoni, Gianni D'Elia, Valerio Magrelli, Roberto Mussapi, Remo Pagnanelli, Alessandro Ceni, Francesco Scarabicchi, Patrizia Valduga, Beppe Salvia, Fabio Pusterla, Davide Rondoni, Umberto Fiori, Claudio Damiani, Gian Mario Villalta, Edoardo Albinati, Antonella Anedda, Andrea Gibellini, Antonio Riccardi.

lunedì 25 luglio 2016

Poeti dimenticati: Giosuè Borsi

Nacque a Livorno nel 1888 e morì a Zagora nel 1915. Dopo gli studi classici, ancora diciannovenne, cominciò a pubblicare i suoi versi. Si laureò in Giurisprudenza nel 1913. Dopo alcuni importanti lutti familiari si convertì al cattolicesimo e quindi partì volontario per la Grande Guerra, dove trovò la morte a soli ventisette anni. Le sue liriche, nel solco della tradizione, ebbero un discreto, momentaneo successo. Fu, in sostanza, un seguace del Carducci.




Opere poetiche

"Versi", Gazzetta Livornese, Livorno 1905.
"Primus fons", Zanichelli, Bologna 1907.
"Scruta obsoleta", Zanichelli, Bologna 1910.
"Versi 1905-1912", Le Monnier, Firenze 1922.





Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 288-290).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. I, pp. 151-163).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 190-192).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (p. 312).




Testi

NEBBIA

Lodo la nebbia: sia ch'essa vapori
d'una bianca corona i monti oscuri
e li ricuopra di velami puri,
di virginali impenetrati albori;

sia che pènetri grigia e trascolori
le città grige nelle vie, tra i muri,
e in fantasmi silenti trasfiguri
i frettolosi incerti viatori;

sia che col ciel si fonda in una densa
bianchezza, come un velo, sopra le onte
della misera Terra triste immensa,

e, coi candori immacolati e belli,
limitando d'intorno l'orizzonte,
impiccolisca il Mondo e lo cancelli.


(Da "Poesie 1905-1912")

sabato 23 luglio 2016

La giovinezza nella poesia italiana decadente e simbolista

La gioventù è stata simboleggiata in vari modi, ad esempio, per ciò che riguarda la flora, con i fiori di primula e con gli alberi sempreverdi (soprattutto se si parlava di eterna giovinezza); mentre tra gli animali è il cavallo quello maggiormente utilizzato quale emblema di gioventù. Da notare che spesso, i poeti simbolisti italiani tendono a personificare la giovinezza, a volte con le sembianze di donna (vedi Cosimo Giorgieri Contri), altre volte con una musica suadente (quella dell'oboe nella poesia di Graf) e, in rari casi (come in una poesia di Carlo Chiaves) si attua una sorta di dialogo con essa. Comunque il simbolo principale della gioventù è senz'altro il ritratto, anche se talvolta, come nel caso della lirica di Guido Gozzano, è sostituito da una foto.



Poesie sull'argomento

Enrico Cavacchioli: "La serenata" in "L'Incubo Velato" (1906).
Francesco Cazzamini Mussi: "Alla giovinezza" in "Le amare voluttà" (1910).
Carlo Chiaves: "Richiamo" in "Sogno e ironia" (1910).
Guglielmo Felice Damiani: "Nel bosco d'un tempo" in "Lira spezzata" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "O Giovinezza!" in "Poema paradisiaco" (1893).
Adolfo De Bosis, "Ultimamente..." in "Amori ac silentio e Le rime sparse" (1914).
Giulio Gianelli: "Carità" in «Gazzetta del Popolo della Domenica», gennaio 1907.
Cosimo Giorgieri Contri: "Bianca passeggiatrice" e "Ombra di giovinezza" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Corrado Govoni: "Giovinezze sfiorite" in "Gli aborti" (1907).
Guido Gozzano: "I colloqui" e "In casa del sopravvissuto" in "I colloqui" (1911).
Arturo Graf: "Vaneggiamento notturno" in "Le Danaidi" (1905).
Luigi Gualdo: "Semper et ubique" in "Le Nostalgie" (1883).
Virgilio La Scola: "Primo incontro" in "La placida fonte" (1907).
Giuseppe Lipparini: "La Chimera" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Enzo Marcellusi: "Morta! È morta la primavera" in "Il giardino dei supplizi" (1909).
Enzo Marcellusi: "Epigramma redibitorio" in "I canti violetti" (1912).
Enrico Panzacchi: "Nella calma" in "Poesie" (1908).
Romolo Quaglino: "O profili diafani squisiti" in "I Modi. Anime e simboli" (1896).
Emanuele Sella: "Perfluens sonitus" in "L'Ospite della Sera" (1922).



Testi

RICHIAMO
di Carlo Chiaves

La gioventù declina: pure, arrivata a l'estremo
passo, si volge e dice: — Oh! non lasciarmi morire!
tendimi ancora la mano, ch'io possa teco venire!
vedrai quant'altra strada insieme percorreremo! —

Chiama con voce lenta, con voce triste, profonda,
prega con fissi gli occhi e con le mani protese:
Io penso: «Quale amante, quale altra un giorno mi chiese
mercé con simil voce, che vela l'oblio e circonda?

Mia gioventù — rispondo — non fosti buona e non sei;
non è dunque ventura che tu per sempre scompaia?
forse con altro lume sarà la vita più gaia,
forse: per quale insano amore ti richiamerei?».

Tacqui: ed a poco a poco reclinò il capo, smarrita,
ella, e s'avviò piangendo verso la soglia fatale.
Allora, dentro al cuore, mi sorse un terribile male,
una tristezza immensa, più vasta di tutta la vita.

Pensai: «Dunque più fosca sarà la vita domani?
più incerto ancora il fato che mi sovrasta e minaccia?»
Ell'era su la soglia, ed io le tesi le braccia,
io la chiamai tremando: «Mia giovinezza, rimani!».

Pronta tornommi a canto. «Tu dunque ancora mi vuoi?»
«Sì! sì! ti voglio, intendi? Oh! non lasciamoci ancora!
Meglio il tuo lume torbo, lo sguardo che mi addolora,
ma ch'io conosco bene. Rimani ancora, se puoi!

Fin che potrai! poi, quando l'ora verrà, che a le porte
il mio destin mi tragga, senza mercé di ritorno,
fuggi, ma ch'io non senta, ch'io non lo sappia, e d'attorno
al cor duri il bagliore dei sogni, fino a la morte!».

(Da "Sogno e ironia")




PERFLUENS SONITUS
di Emanuele Sella

Chi sei? fluita e trema
nel vespero il tuo volto;
tu parli e invan t'ascolto,
dirti chi sei non so.

Sei forse tu lo mnéma
d'una consunta vita,
o d'un'età fuggita
sei tu il ricordo, no?

Perché, nel sogno mio,
sboccia la tua parola?
non sai ch' il tempo vola
e non ritorna più?

Ah, ti ravviso: addio!
io non ho più speranza:
tu sei la rimembranza

della mia gioventù.

(Da "L'ospite della sera")



Albert Lynch, "A Young Woman"

domenica 17 luglio 2016

Poeti dimenticati: Costantino Nigra

Non si vuole qui parlare del Costantino Nigra diplomatico e ambasciatore, poiché da questo punto di vista, il personaggio è già molto noto. Lo è meno il traduttore dal latino, il glottologo, lo studioso delle tradizioni popolari piemontesi e, soprattutto, il poeta. In vero, anche in questo campo Nigra ebbe una certa notorietà, grazie al lungo poema patriottico La Rassegna di Novara. Ma, a mio avviso, questo poeta oggi dimenticato diede il meglio di sé negli Idilli: pubblicati in età molto avanzata, questi pochi componimenti in versi mostrano un uomo legato alla propria terra, ai paesaggi di campagna e agli affetti familiari. Perspicace fu Benedetto Croce, che leggendo queste liriche le paragonò a quelle dell'Astichello di Giacomo Zanella: nelle une e nelle altre si respira un'aria genuina, si descrivono sentimenti, emozioni, malinconie, luoghi e anime in modo semplice e piacevole.




Opere poetiche

"La Rassegna di Novara", Barbera, Roma 1875.
"Idilli", Tipografia della Camera, Roma 1893.
"Poesie originali e tradotte", Sansoni, Firenze 1914.
"Le poesie", Zanichelli, Bologna 1961.





Presenze in antologie

"Fiori della poesia italiana antica e moderna", a cura di Carolina Michaelis, Loescher, Roma-Torino-Firenze 1871 (pp. 374-375).
"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 277-280).
"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (pp. 888-895).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 182-183).
"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (pp. 103-106).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. II, pp. 371-380).
"Poeti minori dell'Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Ricciardi, Napoli 1958 (pp. 747-763).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 357-362).
"Poesia dell'Ottocento", a cura di Carlo Muscetta ed Elsa Sormani, Einaudi, Torino 1968 (volume secondo, pp. 1518-1531).
"Poesia italiana dell'Ottocento", a cura di Maurizio Cucchi, Garzanti, Milano 1978 (pp. 274-279).




Testi

NELL'ORTO

Sotto la torre cadente, nitido
splendeva l'orto al sole;
tra l'erbe e l'umili piante domestiche
olezzavano all'ombra le viole,

nell'aria mite fresche olezzavano
dentro ai cespugli ascose;
rovi e stellate pervinche cerule
faceano siepe alle crescenti rose.

E la mia giovine madre, nel vespero
versava su gli steli
l'acqua, e benigni su lei versavano
la bionda luce del tramonto i cieli.

Acri del tenue fior di basilico
si diffondean gli aromi,
con lieve crepito qua e là sbocciavano
i bottoncini dei non nati pomi;

pendean le ciocche delle robinie
gravi di miele, e scosse
dal vespertino soffio di zeffiro
lucean precoci le ciliege rosse;

ad ora ad ora gli ultimi petali
sul capo dell'amata
innaffiatrice lenti cadevano
come fiocchi di neve immacolata.

Mia madre è morta... da un pezzo. Crebbero
gli arbusti in tronchi enormi.
Madre, da tanto tempo si chiusero
gli occhi tuoi buoni e nella tomba dormi.

Ed io ti vedo sempre, nel vespero,
chinata su gli steli
Versar nell'orto l'acqua, e a te versano,
madre, la luce del tramonto i cieli.


(Da "Le poesie")