venerdì 11 aprile 2014

Poeti dimenticati: Pier Ludovico Occhini

Pier Ludovico Occhini nacque ad Arezzo nel 1874 e vi morì nel 1948.  La sua famiglia era di origini nobili; dopo la laurea in legge, conseguita a Siena, si dedicò alla carriera politica seguendo così le orme del padre (già consigliere comunale e provinciale). Ricoprì la carica di senatore e di podestà, dimostrando di avere idee fortemente nazionaliste.
Si interessò alla poesia in giovane età, pubblicando due volumi di versi. Nel secondo: Biscuits de Sèvres (1897), che è decisamente il più notevole, prevalgono, come disse Glauco Viazzi: "uno scriver tutto di pittura" e "una vagheggiata settecentesca galanteria".



Opere poetiche

"Ghirlanda minima", Tip. Landi, Firenze 1896.
"Biscuits de Sèvres", Paggi, Firenze 1897.




Presenze in antologie

"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo primo, pp. 89-94)




Testi


L'ISOLA FELICE

Verdi dame d'incantevole viso
con la bocca di fragola, ma pur
molli e tristi nel tenue sorriso,
in smorti broccatelli Pompadour,

in danza, là ne l'isola lontana,
come dolci si piegano sul cuor
di cavalieri in seta melagrana
su tappeto di petali di fior.

E autunno profuma dolcemente
che que' fiori ne l'isola falciò.
Canta e muore una gavotta dolente
la gavotta di Luigi Rameau.

Quella è l'isola ove ne la danza
sono colte le rose che amore ha.
Languono i cavalieri a la fragranza
e, le verdi dame, di voluttà.

(Da "Biscuits de Sèvres", 1897)

mercoledì 9 aprile 2014

La donna nella poesia italiana simbolista e decadente

La descrizione di figure femminili è uno degli elementi più presenti nella poesia simbolista italiana. Dai versi di Gabriele D'Annunzio a quelli dei poeti crepuscolari e oltre, si susseguono tutta una serie di donne spesso misteriose, a volte sofferenti e non di rado affascinanti, le quali rappresentano più di un simbolo, più di un concetto. Si potrebbero menzionare, tra le idee che scaturiscono dalla lettura di codesti versi, quelle di mistero, di vita e nello stesso tempo di morte, di amore, di bellezza, di dolore, di tristezza, di eternità, di lussuria, di ascetismo, di maternità, di potere, di crudeltà, di forza ecc. Rarissime volte i poeti simbolisti italiani parlano delle donne in senso negativo; quando accade però, spesso la figura femminile è raccontata in modo orrendo: con dettagli che fanno pensare ad una profonda misoginia; esse, in questi precisi versi, divengono la rappresentazione del male assoluto.


Poesie sull'argomento 

Mario Adobati: "La gitana" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "La vedova" in "La città di Vita" (1896).
Diego Angeli: "La donna dell'orto" e "Rosalba" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Libero Altomare: "Per una pallida" in "Procellarie" (1910).
Paolo Buzzi: "La donna dalla corazza d'acciaio" in "I Poeti futuristi" (1912).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Le Madri" e "Elodiana" in "Le consolatrici" (1905).
Edmondo Corradi: " Le amanti" in «Domenica Letteraria», novembre 1897.
Italo Dalmatico: "La immagine di lei che mi sorprese" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio: "L'alunna" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Gabriele D'Annunzio: "Climene" in "Poema paradisiaco" (1893).
Guido Da Verona: "Ballata delle fanciulle povere" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).
Giuliano Donati Pétteni: "La Donna dei Sogni" in "Intimità" (1926).
Luisa Giaconi: "L'afflitta", "L'uccisa" e "Dianora" in "Tebaide" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "La Pensosa" in "Il convegno dei cipressi" (1894).
Corrado Govoni "Sorella", "Le spose della morte" e "La straniera" in "Gli aborti" (1907).
Guido Gozzano: "La preraffaellita" in «Il venerdì della contessa», 1903.
Guido Gozzano: "Le non godute" in «La Riviera Ligure», aprile 1911.
Gian Pietro Lucini: "Le Dame" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Nicola Marchese: "Tarda dea" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone: "Serena" in "Cesellature" (1899).
Mario Morasso: "L'eterna donna" in "Sinfonie luminose" (1893).
Angiolo Orvieto: "La donna delle paludi" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Aldo Palazzeschi: "Comare Coletta" in "Lanterna" (1907).
Aldo Palazzeschi: "La matrigna" in "Poemi" (1909).
Giuseppe Piazza: "Le benevole" e "Le insonni" in "Le eumenidi" (1903).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Le rassegnate" e "Nel viale" in "Il Libro dei Frammenti" (1895).
Federigo Tozzi: "L'imperatrice" in "La zampogna verde" (1911).
Domenico Tumiati: "La dama sola" e "La Dama del Veltro" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Carlo Vallini: "La donna del parco" in "La rinunzia" (1907).



Testi

LA DONNA DEL PARCO
di Carlo Vallini

I.

Tu solitaria ch’entro me t’effigi
quando nel sogno l’anima sconfina,
cupa celando un’ombra sibillina
nella profondità delli occhi grigi,

tu che nel muto parco prediligi
la serena tristezza vespertina
se tra i cipressi il raggio che declina
folgori sopra gli ultimi fastigi,

anima amante ed anima sorella,
abisso ignoto ove l’Amore cinge
brividendo la Morte che l’invita,

non tu rendi l’imagine di quella
che presiede nell’atto d’una sfinge
alle fonti del Sogno e della Vita?


II.

Sola nel parco, a vespero, una fresca
fontana rompe in getti di coralli
e n’emergono i fauni ed i cavalli
snelli, in atti di grazia pittoresca.

Ma sembra che piú languida s’accresca
la tristezza del parco oltre i cristalli
iridescenti, a toni rossi e gialli
della tua vasta casa secentesca.

Vuota è la casa: oscuri i secolari
quadri, come i pensieri che raccoglie
immobilmente la tua fronte china,

mentre guardi con occhi solitari
come nel parco muoiano le foglie
e crolli nel tuo cuore una rovina.


III.

Non piú la fuga delle stanze vuote
gravi di tante e tante cose morte
turbi il rombo feral del pianoforte
che i silenzi dei secoli riscote.

Il sogno è sacro: e qui si ripercote
tra la mollezza delle stoffe smorte
forse troppo improvviso e troppo forte
questo sonoro turbine di note.

Voglio un motivo lento, ove predòmini
la nota alta del pianto, ma con una
potenza che mi vincoli e m’assorba;

come quando, di notte, lungi agli uomini,
un infelice va, sotto la luna,
addolcendo le note alla tiorba.


IV.

E tu, simile all’erma che corrose
il tempo, senza fine ti prepari
a riveder tra i bussi secolari
avvicendarsi i colchici e le rose.

Infinito ritorno delle cose
nel tempo! Solo, in fondo alli occhi chiari
tuoi, come in grembo a laghi solitari,
il tuo mistico sogno si compose.

Ben ti conobbi allora ch’io bambino
di tutto ignaro, presentivo il lento
svolgersi della favola infinita,

quando, fiorendo a maggio il mio giardino
triste, con indicibile sgomento
m’atterrivo a quell’impeto di vita!


(Da "La rinunzia", 1907)

domenica 6 aprile 2014

La lettura (tre frammenti)

1

Da quando ebbi conquistato rigo per rigo il mistero del sillabario - [massicce lettere nere, minuscole ma in grassetto; oneste incisioni in legno; lontane e freddolose serate d'inverno, sotto al lume a petrolio, colla palla tutta dipinta di fiorellini arancioni ed azzurri, accanto alla mamma giovane e sola che cuciva coi capelli neri chinati sotto a' riflessi] - io non ebbi piacere più grande né consolazione più sicura del leggere.

(Da "Un uomo finito" di Giovanni Papini)




2

Avevo letto le ‘Mille e una notte’ e tanti libri là, di vecchie storie, di vecchi viaggi, a sette e otto e nove anni, e la Sicilia era anche questo là, ‘Mille e una notte’ e vecchi paesi, alberi, case, gente di vecchissimi tempi attraverso i libri. Poi avevo dimenticato, nella mia vita d’uomo, ma lo avevo in me, e potevo ricordare, ritrovare. Beato chi ha da ritrovare!
È una fortuna aver letto quando si era ragazzi. E doppia fortuna aver letto libri di vecchi tempi e vecchi paesi, libri di storia, libri di viaggi e le ‘Mille e una notte’ in special modo. Uno può ricordare anche quello che ha letto come se lo avesse in qualche modo vissuto, e uno ha la storia degli uomini e tutto il mondo in sé, con la propria infanzia, Persia a sette anni, Australia a otto, Canadà a nove, Messico a dieci, e gli ebrei della Bibbia con la torre di Babilonia e Davide nell’inverno dei sei anni, califfi e sultane in un febbraio o un settembre, d’estate le grandi guerre con Gustavo Adolfo eccetera per la Sicilia-Europa, in una Terranova, Una Siracusa, mentre ogni notte il treno porta via soldati per una grande guerra che è tutte le guerre.
Io ebbi questa fortuna di leggere molto nella mia infanzia, e a Terranova la Sicilia significava anche Bagdad e Palazzo delle Lagrime e giardino di palmizi per me. Vi lessi le ‘Mille e una notte' e altro, in una casa ch’era piena di sofà e ragazze d’un qualche amico di mio padre, e ne ricordo la nudità della donna, come di sultane e odalische, concreta, certa, cuore e ragione del mondo.

(Da "Conversazione in Sicilia" di Elio Vittorini)





3

C'è nella vita di ciascuno di noi un giorno in cui tutti i libri non sono bastati più, in cui abbiamo guardato agli scaffali della nostra biblioteca con una specie di rattenuta ribellione e d'odio segreto. In cui ci siamo accorti ch'erano stati loro, gli amici pietosi e ingannatori, a distrarre e ad illudere fino a quel giorno la nostra fame. Carte aride come foglie morte, pensieri corrosi e muti, fallaci invenzioni di poeti, dalle pagine inerti si levava un tanfo opprimente di chiuso, un senso di rovina e di desolazione senza riparo. Ci facemmo consapevoli che tutti i libri sono stati scritti, in un modo o nell'altro, per sostituire la vita; che tutti sono simili a specchi che abbiano serbato per qualche misteriosa virtù l'immagine d'una realtà ormai per sempre defunta e introvabile. E ci protendemmo disperatamente fuori, in cerca d'aria...

(Da "Prefazione a un catalogo di libri antichi e rari" di Sergio Solmi)

giovedì 3 aprile 2014

Da "Racconti di Pietroburgo" di Nikolaj Gogol'

Mio padre era un uomo notevole sotto molti aspetti. Era un artista come ce ne sono pochi, uno di quei fenomeni che solo la Rus' partorisce dal suo grembo inesauribile, un artista autodidatta che da solo, senza maestri e senza scuole, aveva trovato nel suo animo le regole e le leggi, spinto soltanto da un'ansia di perfezionamento, e aveva seguito, per motivi forse ignoti a lui stesso, solo la strada che l'anima gli indicava; uno di quei fenomeni spontanei che spesso i contemporanei bollano con l'offensivo epiteto di "ignorante" e che non si raffreddano per le critiche e gli insuccessi, ma anzi ne traggono nuovo zelo e nuove energie, mentre in cuor loro sono già molto distanti da quelle opere per le quali hanno ricevuto il titolo di ignoranti. Il suo sicuro istinto gli faceva intuire la presenza dell'idea in ogni oggetto; comprese da solo il vero significato del termine "pittura storica"; comprese perché una semplice testolina, un semplice ritratto di Raffaello, Leonardo da Vinci, Tiziano o Correggio si può chiamare pittura storica e perché un enorme quadro di soggetto storico sarà comunque un tableau de genre, nonostante tutte le pretese dell'autore. Tanto il sentimento interiore, quanto le sue personali convinzioni rivolsero il suo pennello ai soggetti religiosi supremo e ultimo giardino del sublime. Non c'era in lui l'ambizione o la suscettibilità così connaturata a molti artisti. Era un carattere fermo, un uomo onesto e retto, perfino rozzo, rivestito all'esterno di una scorza piuttosto ruvida, non privo di una certa fierezza d'animo, che degli uomini dava giudizi indulgenti e aspri insieme. 

(Da "Racconti di Pietroburgo" di Nikolaj Gogol', Rizzoli, Milano 1995)

martedì 25 marzo 2014

Poeti dimenticati: Aleardo Kutufà

Filippo Argenti, che in arte acquisì lo pseudonimo di Aleardo Kutufà d'Atene (la sua famiglia aveva origini ateniesi), nacque a Livorno nel 1888 e morì, presumibilmente nella stessa città toscana, nel 1950. Artista eclettico, nella sua vita praticò molte discipline, tra le quali la musica, la pittura e la poesia. Pubblicò pochi versi, la maggioranza dei quali si trovano in Elegia delle città morte (1928), in cui dimostrò la sua propensione alla poetica crepuscolare, anche se molto in ritardo rispetto all'età d'oro della famosa scuola poetica italiana. I temi e le atmosfere di queste composizioni molto ricalcano quelli di Sergio Corazzini: domeniche squallide, giardini abbandonati, vie deserte, musiche malinconiche, fanali, beghine, suore, malati ecc.



Opere poetiche

"Il Castello della Voluttà", Roma 1919.
"Elegia delle città morte", Tip. Benvenuti e Cavaciocchi, Livorno 1928.




Testi

LA VOCE DELLI ORGANI

Mi piace talvolta ascoltare con poesia,
con malinconia,
guardando per le ciglia socchiuse
la pelle rosea o bruna
di una bambina devota
che non conosco;
mi piace talvolta nelle chiese deserte,
ascoltare con poesia,
con malinconia,
le lunghe lente note
di musiche ignote
che organisti solinghi
suonan su le tastiere
di vecchissimi organi
perseguendo i loro sogni
pieni di nostalgia
innanzi alli altari spenti,
mentre nell'aria è l'odore sottile degl'incensi
un po' svaniti, e fuori,
su le dolci cose di primavera,
fuori, su i fiori dei prati e dei giardini
conclusi,
fuori, su i calici dei gelsomini schiusi,
su li alberi della magnolia
carichi di profumi bianchi,
su li stanchi sogni dei poeti errabondi,
su le mani un po' pallide
delle vogliose
adolescenti,
su le chiare vesti succinte delle amanti
frettolose,
su tutte le cose
dolci che la primavera accarezza
con le sue dita ignave
scende una pioggia soave
come il pianto di un'ebrezza
sconosciuta, di un'ebrezza che sia
più acuta di un dolore
nascosto
e più sottile della malinconia
di un morto amore.
Mi piace talvolta sognare con poesia,
con malinconia,
guardando per le ciglia socchiuse
la pelle rosea o bruna
di una bambina devota
mentre un vecchio organo piange
in una chiesa remota,
e nell'aria è un odore
d'aromi
così tenue che a pena si sente,
e fuori piove dolcemente
sul sacrato ch'è verde d'umidore;
mi piace talvolta, per lunghe ore,
nelle chiese deserte,
sognare con poesia,
con malinconia
i grandi nerissimi occhi
della mia bimba perduta,
quei neri occhi d'Oriente
che per la più acuta
mia carezza
languivano d'ebrezza
appassionatamente,
come per morire.

(da "Il Castello della Voluttà")




SILENZIO DELLE MESTE DOMENICHE

Silenzio, dolce ristoro
delle meste domeniche;
tristezza
inesplicabile, impressione
indefinibile
come della fragranza
di una ghirlanda
funebre
per un'educanda
morta
prima d'essere suora;
sensazione
mesta e angelica
d'avere in una stanza
della propria dimora
una piccola sorella
- ah, come bella!... -
malata
senza speranza,
che nella mattinata
s'è comunicata.


(da "Elegia delle città morte")






lunedì 24 marzo 2014

Antologie: "Adunata della poesia"



Tra le antologie dedicate alla lirica italiana uscite durante il ventennio fascista merita qualche parola anche "Adunata della Poesia": opera curata da Arnolfo Santelli e uscita in due edizioni: la 1° da Innocenti e Pieri nel 1928, la 2° da Editoriale Italiana Contemporanea nel 1929. Il titolo, perfettamente adeguato ai tempi, evidenzia in modo un po' ridicolo la genesi del libro, sorto da un appello del curatore (che si definisce adunatore) rivolto a tutti gli scrittori e soprattutto ai poeti d'Italia, affinché spedissero presso la sua redazione i loro scritti, per far sì che, dopo accurata selezione, lo stesso potesse costruire, mattone su mattone, un'opera in grado di porre in risalto i migliori talenti del periodo. Insomma il generale Santelli chiama a forte voce tutti i suoi "soldati-poeti" e sceglie i più valenti per la sua "ardita missione". Nella prefazione all'antologia, ecco, tra le altre cose, quello che scrive (con molta retorica) Santelli:

Lettore!
Quest' «Adunata della Poesia» fatta col solo intento d'una maggiore notorietà dei valori letterari nazionali nuovi e recenti, non vuol dimenticare quelli ignoti o comunque trattenuti per diverse e disparate ragioni, fra le quali, non ultime, la modestia e l'isolamento - e perciò appunto li proietta in primo piano.
Se ne sia valsa la pena è giudizio che darà la storia: il nostro è compito di propulsione e di valorizzazione.

Chiudo riportando i nomi dei poeti (escludendo perciò i prosatori) presenti nell'antologia.


Valerio Abbondio, Garibaldo Alessandrini, Alga Marina, Gino Altoviti, Antonino Anile, Giulio Aromolo, Carlo Baccari, Alfredo Baccelli, Sandro Baganzani, Leopoldo Baroni, Sandra Basilea, Michele Bianco, Federico Binaghi, Giovanni Bizzarri, Bice Bolognesi, Enrico Braccesi, Giuseppe Brancolini, Teodoro Bricos, Enrico Aldo Brizzi, Paolo Buzzi, Pasquale Cafaro, Alessandro Caia, Carmine Calandra, Diego Calcagno, Nella Doria Cambon, Francesco Cangiullo, Giovanni Cardella, Gino Catarzi, Alberto Cavaliere, Pasquale Cavallaro, Francesco Cazzamini Mussi, Aurelio Ceriello, G. Rodolfo Ceriello, G. Alfredo Cesareo, Raffaele Ciampini, Edoardo Cimbali, Delfino Cinelli, Giuseppe Cipparone, Castrense Civello, Ferruccio Coen, Gustavo Brigante Colonna, Carmelo Cordaro, Anton Florio Crimi, Luigi Crociato, Antonio Cuccaro, Gino Cucchetti, Leo D'Alba, Enrico D'Amia, Aleardo D'Atene Kutufà, Torquato Dazzi, Augusto De Benedetti, Angiolo Della Massea, Gino Del Guasta, G. De Logu Solinas, Vincenzo De Simone, Francesco Di Chiara, Tullio Didero, Olinto Dini, Eriberto D'Ippolito, Piero Domenichelli, Tina Doria, Giuseppe Fabris, Lina Ariana Fanno, Agostino Fattori, Lionello Fiumi, Fra' Giocondo, Enrico Fusco, Augusto Garsia, Mario Gastaldi, Giuseppe Cartella Gelardi, Vincenzo Gerace, Enrico Gerelli, Ugo Ghiron, Bruno Geffrè, Giacomo Giardina, Emilio Girardini, Domenico Giuliotti, Giovanni Golinelli, Giulio Gozzi, Ester Guglielmi, Giovanni Guzzardi, Edmondo Lapi, Orazio Lapini, Gerardo Lentini, Celso Augusto Lenzi, Argiro Licudis, Giuseppe Lipparini, Mansueto Lombardo-Lotti, Momo Longarelli, Giuseppe Longo, Salvatore Lo Presti, Marino Marin, Guido Marta, Corrado Martinetti, Pietro Mastri, Armando Mazza, Massimo Mazzanti, Riccardo Melani, Rosolino Melotti, Arturo Moggia, Tullio Murri, Hrand Nazariant, Ada Negri, Giuseppe Nicolosi Scandurra, Angiolo Silvio Novaro, Giovanni Orsini, Aldo Palatini, Vittorio Parisi, Francesco Antonio Perri, Donato Persichetti, Fiorenza Perticucci De Giudici, Edvige Pesci Gorini, Leon Maria Pessina, Renzo Pezzani, Lya Piazza, Pio Piet, Ottavio Profeta, Daniele Prosperi, Aristide Puglia, Margherita Marchis Romano, Pietro Romanelli, Alfonso Ricolfi, Raimondo Raimondi, Giovanni Maria Salvarezza, Giovanni Campus Santinelli, Gaetano Scarlata, Vincenzo Schivo, Saverio Sechini, Niccolò Sigillino, Maria Signorile, Francesco Sofia Alessio, Giovanni Spampinato, Massimo Spiritini, Gino Striuli, Arturo Tafuri, Pietro Conti Tarantino, Giovanni Tassoni, Giovanni Titta Rosa, Pia Tosca, Nicola Valenza, Giuseppe Villaroel, Nando Vitali, Amilcare Zumino.      



venerdì 21 marzo 2014

La primavera in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Che cosa si può dire della primavera: la stagione più decantata ed amata dagli artisti e da tutti coloro che adorano la natura. In primavera tutto rinasce, la vita ricomincia ed anche quelli che soffrono, con l’arrivo dei primi tepori, dei fiori sugli alberi e delle amate rondini, tornano a sperare. Anch’io provo queste sensazioni, poichè ancora una volta sono riuscito a superare un lungo, duro, crudele inverno, e sono qui con voi a gioire, perché è primavera!




BALLATA DELLA PRIMAVERA

di Sergio Corazzini (1886-1907)

O Primavera, Sandro Botticelli
sentì fiorire in cuore i tuoi rosai
poi che ti seppe come niuno mai
ne la soavità de’ suoi pennelli.

Ancor io, giovinetta, una fiorita
di mammole e di rose ebbi nel cuore
e m’era dolce assai tuo venimento
e m’era triste assai tua dipartita;

non oggi, o Primavera, ché il Dolore
come tarlo nel cuor rodere io sento
quasi per demoniaco incantamento;

non oggi, o Primavera, ché di spine
fatte del mio buon sangue porporine
come Cristo ho corona ai miei capelli.

(Da "Dolcezze", 1904)




A CELLINO
di Mario Novaro (1868-1944)

Uccellin che non ti vedo,
dove canti così lieto?
ruvida l’aria, nudi i rami,
ancora è inverno, e tu già canti?

- Primavera viene viene viene
sì sì sì primavera viene:
io lo so, io lo so, io lo so -
oh come folle tu canti! ma dove?

Nel cuore nel cuore tu canti:
invisibile ti vedo ti sento:
nell’aria ruvida, sui nudi rami
annunzi che viene, che sempre ritornerà.

(Da "Murmuri ed echi", 1912)




PRIMAVERA BORGHESE
di Enrico Cavacchioli (1885-1954)

Tardi viali, impigriti nell'ombra calda dell'ultimo sole!
Si confondono le cose in una nube diafana di lontananza
e gli alberi protendono le grandi braccia vestite
di una frangia verde di foglie vive,
sui sedili solitari: dove bisbigliano gli amanti primaverili.
Quest'angolo di mistero spalanca i panorami azzurri
del desiderio in tutte le pupille che sognano,
e il desiderio ad ogni istante si raddoppia.
Passano una alla volta, coppia dopo coppia,
uomini e donne avvolti in mantelli di tenebre.
Vanno col passo stanco come se indugiassero sui loro baci,
come se camminassero sulle loro parole dolcissime:
nel paese degli innamorati
che la primavera accende di piccole lucciole sentimentali.
La città si è dimenticata del grande giardino, che vive
all'ombra solitaria della sua decrepitezza,
ed all'infuori di queste ombre d'amore, che passano
abbracciate, forse per una volta sola, in cerca della gioia,
nessuno disturba il silenzio della solitudine borghese:
nemmeno i grilli!
Gli alberi soli si profilano nel cielo, dondolando
le braccia, quasi che ad ogni coppia che passa
e si allontana sulla cadenza dei baci lunghissimi,
volessero lanciare una pioggia di fiori:
come un pugno di confetti.
Diventano più violetti
ad ogni minuto: poi s'inchinàno alle stelle
in un gaglioffo saluto,
e s'addormentano in un'estasi generale
immobili: per non turbare con la presenza importuna
questi falsi richiami ciabattoni
di falsi innamorati: troppo ubriachi di luna....

(Da "Cavalcando il sole", Edizioni di Poesia, Milano 1914)




QUADRETTO DI PRIMAVERA
di Virgilio Giotti (1885-1957)

Un solco lungo e dritto, che la pioggia
molta ha ripieno, e ove si specchia il cielo
azzurro tra vivace ortaglia. In cima
un pezzetto di prato umido e fresco.
Dietro v'è una stradetta. Io non la vedo.
Me l'asconde la siepe con la bianca
sua fioritura. Questo vo guardando
dalla finestra: lo guardo e m'allegro.

(Dalla rivista «Circoli», novembre-dicembre 1931)




PRIMAVERA CITTADINA
di Vincenzo Cardarelli (1887-1959)

Fra tuoni allegri e raffiche puerili
la primavera mette i suoi colori
e spiega la sua bandiera
come una cerimonia militare
che si svolge con qualunque tempo.
Di giorno in giorno avanza
l'irrompente stagione.
E già la terra è piena
del suo passaggio
e del suo fresco e molle detrito.
Il biancospino è fiorito e sfiorito
aspettando la polvere di maggio.
Gli alberi che vedemmo lungo il fiume
tutto un inverno nudi
hanno le foglie nuove e i tronchi neri.
Una vita incredibile e segreta
scorre in quei fusti umidi e adorni
di sì tenera chioma.
A pie' dei vecchi muri
le prode rinverdite
son come carne d'adolescente,
e si risentono i ruderi.
Ma le orgogliose piante sempreverdi
non conoscono primavera.
Decorosa tristezza di quegli alberi,
ornamento dei nostri giardini,
che ottobre non denuda
e aprile non rinnova.
Insensibili piante. Sono pari
ai monumenti cui fanno corona
e non sospirano che il plenilunio
e un usignolo che le consoli.

(Da "Giorni in piena", Quaderni di Novissima, Roma 1934)




GIOIA PRIMAVERILE
di Olinto Dini (1873-1951)

Ho smarrito il passato;
mi sembra nuova questa
gioia primaverile.
Negli occhi ho un dolce stupore:
simile a quello d'un fiore
che, appena sbocciato,
vede l'aprile.

(Da "Voci della mia sera", L'Eroica, Milano 1937)




PRIMAVERA DEL '54
di Piero Bigongiari (1914-1997)

Grige le sere, come vetro il mondo
su cui posando il piede non s'incrina,
sul tuo sorriso ultimo una brina
si sfarina leggera lacrimando.

Le rose gialle péstano l'azzurro
del cielo, un'altra verità indistinta
romba nel gridìo del silenzio, aumenta
fitto i suoi voli tenebrosi il merlo

sull'inferriata dove già s'è punta
le mani un'altra primavera, spunta
peloso il cardo sonnacchioso, cerco
con gli occhi invano dove può coincidere

il riso concitato con quel pianto
che non ha occhi per sgorgare, il lampo
col suo baleno, il mio terreno esistere
con la falcata che stramazza o il volo

dell'ibis sul nilo, estratto il piede
dal canneto fangoso verso i Morti...
un'altra verità, terra, o che porti
senz'ali a ognuno che in attesa crede?

(Da "Il corvo bianco", Edizioni della Meridiana, Milano 1955)




PRIMAVERA DI TOMBE
di Luigi Fallacara (1890-1963)

Sulla pietra tombale il brullo suolo
si costella iridato di licheni,
primavera di tombe. E appena un volo
tacito di colombe l'aria tiene.

Così stride la foglia secca quasi
flauto segreto che soltanto i venti
conoscono con musiche pervase
da melodie che hanno un solo accento.

Alla morte sepolta ancora arride
misteriosa una stagione estrema,
con le foreste minime sui gelidi
pavimenti del tempo e il tempo preme.

Verdi aloni, mollezze di velluto,
là tra i pori dei marmi, nel tessuto
delle vene di pietra e, sopra i labbri
delle crepe, leggere ocre e cinabri.

Gocce di primavere in noi sfiorite
macchie, là, superfici della vita
combaciate col buio della morte,
e non saprai giammai quale è più forte.

(Da "Celeste affanno", Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1956)




PRIMA NOTTE DI PRIMAVERA
di Mario Luzi (1914-2005)

Che muore, che nasce
ora che un brontolio di tuono sgretola
l'altezza della notte, annunzio
improvviso di primavera che rompe il sonno...

Generazioni su generazioni
d'uomini chi vinto chi levato
nella fierezza dei suoi mali, età
profonde con dolore una nell'altra,
in una sofferenza, in un sol punto
premono, fanno tutte ressa, e geme
e cigola da pila a pila il ponte
oscuro verso l'ultima campata
e la pianta protesa dalla radice al frutto.

Porto la mano sulla fitta, ascolto.
Prima notte di primavera, gonfia
e lacera tra l'avvenire e l'essere.

(Da "Dal fondo delle campagne", Einaudi, Torino 1965)




PRIMAVERA
di Fernando Bandini (1931-2013)

Il cielo è meno altezzoso:
si piega su noi volentieri,
trasmette nuove regole
mescola azzurro e suoni di clacson.

Chiusi in casa i nemici del poeta
affilano punte
di frecce sul loro display.

(Da "Santi di Dicembre", Garzanti, Milano 1994)