lunedì 4 marzo 2013

Ai margini del crepuscolarismo

Prima di tutto intendo precisare che il titolo di questo post non è riferito ad una poesia marginale, ma intende porre in risalto il fatto che, oltre ai poeti inseriti nella corrente poetica definita crepuscolarismo, ci furono tanti altri autori di versi, contemporanei e non rispetto a questi ultimi, i quali subirono chiaramente l'influsso del crepuscolarismo, e ciò riguarda sia grandi nomi che piccoli. Ora, prima di analizzare più in profondità questo concetto, è bene chiarire quali siano stati i "luoghi" e i "pensieri" che caratterizzarono le poesie dei crepuscolari, per questo ho estratto un frammento molto eloquente dal volume "Antologia della letteratura italiana" di Mario Pazzaglia:
"La poesia crepuscolare vive in un'atmosfera, appunto, di crepuscolo: ha toni smorzati, un linguaggio volutamente dimesso, canta cose umili e banali. Ha un suo paesaggio caratteristico, continuamente rievocato: lo squallore dei solitari pomeriggi domenicali, organetti di Barberia che suonano nelle vie deserte, piccoli interni domestici, corsie d'ospedale, pallide e scialbe amanti provinciali. E tutto è avvolto da un silenzio scorato, da un sentore d'autunno e di rinuncia, di rimpianto per ciò che non è stato, e soprattutto da un senso di morte imminente, o meglio da un sentirsi morire un poco ogni giorno, che riflette un'avvertita incapacità di vivere".
Chiarito questo e chiarito che qui non s'intende parlare dei poeti a tutti gli effetti crepuscolari¹ ma di coloro che più o meno marcatamente attraversarono il crepuscolarismo, si potrebbe cominciare parlando di Arturo Onofri (1885-1928), poeta romano che è noto soprattutto per i suoi versi della maturità ("Terrestrità del sole" e "Vincere il drago!" tra le opere più famose) che per certi versi anticipano l'ermetismo; ma esiste anche l'Onofri della gioventù, che pubblicò libri come "Poemi tragici" (1908) e soprattutto "Canti delle oasi" (1909) dove emerge la netta vicinanza con la poetica crepuscolare, a comprova si leggano questi versi:


...
Ritorneremo buoni come alla nostra infanzia,
e se vicino al fuoco, anche, mi bacerai,
noi più non penseremo se in questa vecchia stanza
un tempo ci baciavamo, né se altra volta ci amammo.
Ora, senza rimorsi ed anche senza amarezza
languisci all'umile ombra della triste mia dolcezza,
come un dì sotto il salice in riva al lago...
Tu piangi? Gli occhi hai arsi dal lavorìo dell'ago...
Oh, guarda fra le lacrime la nostra bianca e vecchia
gatta che presso al fuoco freddolosa sonnecchia!
Piangi, piangi!: non ho per noi altra speranza
che di vivere ancora in questa nuda stanza.
...

(Da "Poemi del sole, XIX" in "Canti delle oasi")
 


Umberto Saba comiciava a farsi conoscere quando ormai i poeti crepuscolari avevano gi
à esaurito la loro vena poetica, la sua vicinanza con essi fu notata, tra gli altri, anche da Scipio Saltaper, a testimonianza del fatto che in effetti tale vicinanza ci fosse, trascrivo alcuni versi scritti dal poeta triestino nel 1906:

Piove sui campi e i colli. Era l'estate
ieri, la bella e grande estate. Ed ecco:
ha mutato stagione all'improvviso.
È pianto quel che fu ieri sorriso
del mondo. In cielo ininterrotte lente
vanno le nubi, dicono: l'estate,
una gioia è finita.
«Dove andò la tua vita,
con tutte le sue pene,
con la grazia arridente,
con le ore serene?
Antichissima oscura
la città dalle lunghe erte ti appare.
All'orizzonte un mare
trema d'acque, o trema agli occhi il pianto?
S'io giungessi, se accanto
io ti giungessi, non più atteso!» Ieri
era la bella estate, oggi diversa
delle cose è l'immagine. E i pensieri
vanno ai soli nel mondo, ai prigionieri,
ai marinai nostalgici, all'avversa
fortuna. È autunno. E il cor pur lo sente.

("Autunno" in "Il Canzoniere")
 


Anche Camillo Sbarbaro, poeta ligure che si inserì nell'ambiente degli intellettuali vociani e che è ritenuto, insieme a Eugenio Montale, uno dei migliori rappresentanti di quella "linea ligure" con cui si intese riunire molti poeti nati in Liguria di generazioni diverse che comunque nei loro versi presentavano alcuni aspetti in comune, anch'egli dimostrò almeno una simpatia per la poesia dei crepuscolari, principalmente nella sua raccolta più importante: "Pianissimo" (1914), dove si leggono questi versi:


Taci, anima mia. Son questi i giorni
tetri che per inerzia si dura,
i giorni che nessuna attesa illude.
Come l'albero ignudo a mezzo inverno
che s'attedia nell'ombra della corte,
non m'aspetto di mettere più foglie
e dubito d'averle messe mai.
...
Non sono che uno specchio rassegnato.
In me stesso non guardo perchè nulla
vi troverei...
E, venuta la sera, nel mio letto
mi stendo lungo come in una bara.

(Da "Pianissimo")
 


Diego Valeri
è un altro di quei poeti che, pur non essendo ritenuti crepuscolari, molto debbono a costoro, in quanto la loro poesia spesso palesa somiglianze sia per quel che concerne i temi trattati che per le atmosfere evocate. Ecco alcuni esempi tratti dalle raccolte "Le gaie tristezze" (1913), "Umana" (1916) e "Crisalide" (1919):
...
- Piccole care cose, mie compagne
umili e buone dei passati dì,
in questa notte fredda, in questa nuda
camera triste, fate ch'io vi scordi,
più non mi fate piangere così.

(Da "Notturno" in "Le gaie tristezze")
 

Vagabondi organetti di Novara
che umilmente per il mondo andate
effondendo in mazurche rassegnate
la vostra tremebonda anima ignara,
Io cantare vorrei, con umilitate
pari alla vostra, la dolcezza lene
che all'uomo oppresso dalle molte pene
con le musiche vostre dispensate.
...
Ecco: e il segreto affanno non
è piùche un gusto di domeniche svanite,
che un sentore di mammole appassite,
che un nostalgico amor di ciò che fu.
...

(Da "Organetti" in "Umana")
 

Bianco dorato mattino, di quanta tristezza sei grave,
tu che sorridi, come un malato al suo tremendo destino,
e una lacrima d'astro hai sul ciglio, e piangi col pianto dell'ave!...
Come somigli alla sera, tu, bianco dorato mattino!
E voi, cupe soavi viole, occhi bruciati di passione,
voi, stelle d'ombra profonda nell'erba chiara e sottile,
come sapete di disperazione,
come sapete d'autunno, voi, primi fiori d'aprile!...
...

(Da "Preghiera primaverile" in "Crisalide")
 


Vi sono poi altri poeti che pi
ù o meno nacquero tra il 1885 ed il 1895 e che non ebbero grande fortuna, anche se si conquistarono, ai loro tempi, un breve periodo di notorietà, pure questi chiaramente suggestionati dai crepuscolari; uno di essi è Francesco Cazzamini Mussi, dalla sua raccolta "Le allee solitarie" (1920) ecco alcuni versi dimostrativi:

Avanti, o banditore,
o Cuore, o Cuore,
facciamo l'inventario.
"Amor - Fede - Speranza..."
C'è qualcosa che avanza?
"Amor - Fede - Speranza..."
Nessuno compra o cede,
nessuno più ci crede?
Si prosegua l'incanto!
E tu, Gioja, o perduta
Gioja,
ove sei col tuo vario
sorriso, prostituta?
Facciamo l'inventario.
Tutto si ruppe tra le nostre dita...
Di chi la colpa? Mia? No, della vita.
Tutto si ruppe tra le nostre dita...
...

(Da "Incanto" in "Le allee solitarie")
 


Nicola Moscardelli fu poeta precoce che proprio ai suoi esordi ottenne discreto successo grazie anche alle poesie d'isprazione crepuscolare contenute in "Abbeveratoio"(1914), da cui estraggo questo passo:


Le rose convalescenti
agonizzano nelle tombe di vetri
nei salotti delle case borghesi
al suono di una vecchia romanza
nei pomeriggi di mosconi e di sole.
La notte allunga il suo corpo ignudo
su le cattedrali slanciate verso il cielo
per le vie che si sfiancano
sui balconi nostalgici che serrano
ancora qualche profumo
dell'ultimo tramonto
pronti a raccogliere le stelle del cielo
che sonnolente precipitano.
...

(Da "Macchie" in "Abbeveratoio")
 


Di Sandro Baganzani propongo parte di una poesia inclusa in "Arie paesane" (1920), l'opera che gli diede grande notoriet
à:

Questa giornata domenicale che gronda
malinconia di lumi nel canale morto
dopo il chiasso delle campane,
le grida dei venditori ambulanti,
il piffero che fa ballare gli amanti sul piazzale,
è come un lento male
che si attacca ai distanti,
il male della domenica.
...
Decadenza!
Nella camera immensa
piangere su di un romanzo:
come se i gialli cartocci delle foglie
che riempiono i viali
mi portino via qualchecosa
di molto caro,
che non so bene in fondo cosa sia:
e forse è l'ombra della tua veste
che dilegua,
forse è il profumo
del tuo seno di bambina
sotto la batista e la mussolina,
forse è la dolcezza delle parole
che ci scrivemmo un giorno
che non ci diremo più.
...

(Da "La mia triste vita" in "Arie paesane")
 


Ugo Betti prima di dedicarsi, con successo, al teatro, pubblic
ò alcuni volumi di versi, il primo dei quali s'intitola "Il Re pensieroso" (1922), dal quale ecco un frammento dal sapore crepuscolare:

...
Dove sono tutte le mie canzoni?
Erano doni
di cristallo e d'oro
per te, bambina!
Sono svaniti nella tua manina
come il tesoro d'una fiaba,
poveri miei doni!
E così piangi!
Ma so che tu perdoni...
Tu sei buona! Sapevi le parole
che addormentano il male...
E cullavi questi miei sogni...
Con le manine timide
mi coprivi gli occhi insonni
come per pietà!
Come una mamma, che vuol consolare
una pena misteriosa, e non sa.

(Da "Congedo" in "Il Re pensieroso")
 


Ecco infine qualcosa riguardante Augusto Garsia, la cui stella brill
ò per poco tempo, questi versi appartengono a "Opposte voci" (1921).

Mattina grigia, smorta
malinconia diffusa
che doni all'aria un volto
di triste pace assorta,
mattina grigia, molto
già stanca e già delusa,
che pur rassegnata
a sospingere innanzi
la novella giornata,
l'anima mia randagia
per una lunga notte
di sconforti, di lotte
e di speranze vane,
inerte in sé s'adagia,
inerte in te rimane.

("Mattina grigia" in "Opposte voci")
 


Anche dopo pi
ù di un decennio dalla fine del crepuscolarismo, non scompaiono suggestioni e imitazioni della corrente poetica primonovecentesca; in una antologia che ebbe larga fama, intitolata "Poeti Novecento", uscita nel 1928, che si proponeva di far emergere alcuni poeti di talento possibilmente giovani e praticamente sconosciuti, la poesia crepuscolare la fa da padrone, segno evidente che Corazzini, Gozzano e gli altri erano ancora il punto di riferimento principale per chi allora si dedicava alla scrittura di versi. Da quell'antologia voglio riproporre alcuni versi di due poeti in particolare, i quali, almeno stando alla data di nascita, certo non potevano essere considerati giovani, ma che comunque furono considerati emergenti; il primo è Carlo Kutufà, che in una lunga poesia scrive anche:
...
Ancor mi vedo l'umile impiegato
d'ieri, seduto in faccia allo sportello
d'un ufficio qualunque dello Stato.
Quella specie di lurido budello,
appestato da i fiati d'otto o nove,
con me, prostituiti del cervello,
oggi s'industria con sembianze nuove
d'accivettarmi, come le bagasce
fanno col merlo ch'è alle prime prove.
E a ridere mi forza. E come nasce
dal riso il pianto (e piansi, io lo confesso,
quando mi prese fra le sue ganasce),
mestamente rievoco me stesso
d'allora, meno scettico e più buono,
che i romani traducono più fesso.
...

(Da "Poeti Novecento")
 


L'altro poeta
è Attilio Canilli, del quale riporto qualche strofa della poesia "Orfanelle":

Nel cortile, dal cielo esangue
piove una luce avvelenata
che scolorisce le cose.
(Oh, ma quante quante rose,
rose rosse di sangue!)
E le tre bimbe giocano
con le loro bambole morte,
senza un grido, un gesto, una voce.
(Nemmeno la voce più fioca
in questo morto fiume senza luce!)
Dagli occhi azzurri, dagli occhi neri
goccia una lagrima, ancora,
che non cade, ma brilla.
(Oh, le fiamme dei ceri
oscillano oscillano oscillano!)
...

(Da "Poeti Novecento")
 


Chiudo con due premi Nobel della letteratura: Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo che mi sembra superfluo presentare. Del primo riporto una parte di un componimento poetico della giovent
ù, ritrovato grazie ad un manoscritto datato 1919:

Vieni qui, facciamo una poesia
che non sappia di nulla
e dica tutto lo stesso,
e sia come un rigagnolo di suoni
stentati
che si perde tra le sabbie
e vi muore con un gorgoglio sommesso;
facciamo una suonatina di pianoforte
alla Maurizio Ravel,
una musichetta incoerente
ma senza complicazioni,
che tanto credi proprio
a grattare nel fondo non c’e’ senso;
facciamo qualcosa di "genere leggero.

(Da "Sonatina di pianoforte" in "Tutte le poesie")
 


Di Quasimodo invece ecco una poesia che fa parte del suo volume d'esordio: "Acque e terre" (1930):


Io sono forse un fanciullo
che ha paura dei morti,
ma che la morte chiama
perche' lo sciolga da tutte le creature:
i bambini, l'albero, gli insetti;
da ogni cosa che ha cuore di tristezza.
Perche' non ha piu doni
e le strade son buie,
e piu non c'e' nessuno
che sappia farlo piangere
vicino a te, Signore.

("Nessuno" in "Tutte le poesie")
 


Note
1) I poeti che rientrano a pieno titolo nel crepuscolarismo sono: Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Corrado Govoni, Fausto Maria Martini, Marino Moretti, Carlo Chiaves, Aldo Palazzeschi, Carlo Vallini, Giulio Gianelli, Nino Oxilia, Guelfo Civinini, Tito Marrone, Umberto Bottone, Remo Mannoni; a questi andrebbero aggiunti alcuni poeti che fecero parte di cenacoli romani nei primissimi anni del XX secolo e che avevano come punto di riferimento principale la figura di Sergio Corazzini.

sabato 2 marzo 2013

I poeti emiliano-veneti della casa editrice Taddei (1915 - 1925)


Nell'ambito della poesia italiana d'inizio Novecento sarebbe opportuno a mio avviso ricordare un piccolo movimento nato nel cuore della penisola italica, intorno al 1915, conosciuto anche anche come "Cenacolo dei poeti di Ferrara" che faceva riferimento a Corrado Govoni e comprendeva un esiguo numero di scrittori, tutti (o quasi) nati in Emilia Romagna ed in Veneto; molti di loro collaboravano ad alcune riviste letterarie come «La Diana» e «La Brigata» dove pubblicarono anche alcune liriche. Il comun denominatore di codesto gruppo era l'evidente ammirazione per la poesia di Giovanni Pascoli e dei simbolisti francesi, mista ad una propensione verso quelle correnti che avevano maggiormente influenzato la poesia italiana del primissimo Novecento: crepuscolarismo e futurismo; ma questi scrittori non si limitavano ad imitare i loro illustri predecessori, bensì sperimentavano un rinnovamento della forma (tutti spesso facevano uso del verso libero) e, in parte, anche del linguaggio, pur dimostrando una rispettosa fedeltà alle tematiche dei loro maestri. Gli intellettuali che componevano questo cenacolo pubblicarono molte opere poetiche per la casa editrice Taddei di Ferrara, attiva particolarmente nel periodo che va dal 1914 al 1922 e che, per tal motivo, ho voluto inserire nel titolo di questo post. Voglio infine riportare un elenco dei poeti "emiliano-veneti" con le opere in versi da loro pubblicate nel decennio in questione; sarà facile notare la presenza di nomi importanti come il già menzionato Corrado Govoni e Diego Valeri, quest'ultimo si mise in luce con libri di liriche assai validi, da considerarsi tra i migliori dell'intero Novecento italiano. Per ciò che riguarda gli altri, si può affermare che tutti, noti o meno noti, dimostrarono di possedere una rimarchevole e fantasiosa originalità.



SANDRO BAGANZANI (Verona 1889 - ivi 1950). Opere poetiche: Arie paesane, Taddei, Ferrara 1920; Senzanome, Mondadori, Milano 1924.


LIONELLO FIUMI (Rovereto 1894 - Roverchiara 1973). Opere poetiche: Mussole, Taddei, Ferrara 1920; Tutto cuore, Alpes, Milano 1925.


CORRADO GOVONI (Tamara 1884 - Roma 1965). Opere poetiche: L'inaugurazione della primavera, La Voce, Firenze 1915 (2° ed. riveduta e corretta, Taddei, Ferrara 1920); Poesie scelte, Taddei, Ferrara 1920; Il quaderno dei sogni e delle stelle, Mondadori, Milano 1924; Brindisi alla notte, Bottega di Poesia, Milano 1924.


G. EDOARDO MOTTINI (Caluso 1884 - Milano 1935). Opere poetiche: Rose nel pruneto (1916-1919), Taddei, Ferrara 1921.


GIUSEPPE RAVEGNANI (San Patrignano di Romagna 1895 - Milano 1964). Opere poetiche: Io e il mio cuore, s. e., Ferrara 1916; Sinfoniale, Taddei, Ferrara 1918; Le due strade, Taddei, Ferrara 1921.


AMALIA VAGO (Venezia 1886 - Santa Margherita Ligure 1979). Opere poetiche: Il diario dell'anima, Taddei, Ferrara 1922.


DIEGO VALERI (Piove di Sacco 1887 - Roma 1976). Opere poetiche: Umana, Taddei, Ferrara 1916; Crisalide, Taddei, Ferrara 1919; Ariele, Mondadori, Milano 1924.


BRUNO VIGNOLA (Montebelluna 1878 - 1956). Opere poetiche: Gamma, Taddei, Ferrara 1918.


PIETRO ZANFROGNINI (Staggia 1885 - ?). Opere poetiche: Canti d'avanti giorno, Taddei, Ferrara 1917.

giovedì 28 febbraio 2013

Marzo in 10 poesie di dieci poeti italiani del XX secolo


L'ADOLESCENTE
di Cosimo Giorgieri Contri (1870-1943)

Sul mar, come velato
d'una nebbia fuggente,
il marzo adolescente
soffia un suo dolce fiato:

e giù dalli orti e dai
poggi il fiato si spande,
agile tra ghirlande
di futuri rosai.

Non vider occhi mai
un mattin più ridente:
per quanti, o adolescente
marzo, sorriderai?

Quanti cuor, quanti fiori
berran tuo dolce fiato,
in vista al mar, velato
di argentei vapori?

Poi che tu ben sorridi,
marzo, al pallido mare;
ecco: e il tuo riso pare
correr lungh'essi i lidi,

già luminoso tanto
che ogni cosa ne tepe;
e il cuore è come siepe
animata d'un canto.

Sorridi, o adolescente
marzo, in tue vesti chiare;
il mare è calmo: il mare
gode tacitamente;

viene a tratti, di mare
e di mandorli e di
peschi, un odor così
forte da inebriare.

Non pensiamo. Domani
dubiteremo ancora.
Non oggi: oggi s'infiora
marzo nei cuori umani:

e ognun che passa, come
ebro d'ignoti amori
risogna un sen che odori
sotto disciolte chiome.

(Da "Primavere del desiderio e dell'oblio", Lattes, Torino 1903)





MARZO
di Francesco Pastonchi (1874-1953)

Al novel tempo l'aere sereno
fa chiara nell'azzurro ogni montagna;
raggia di neve il culmine, un baleno
ha il rio che nel petroso alveo si lagna.

Ma là, dove il rigor del gel vien meno
cedendo al verdeggiar della campagna,
biancheggian fumi, e in qualche umido seno
striscia di nebbie cerule ristagna.

Sole, affretta il desio che trema e brilla
in ogni forma, se ben tutto tace,
e il tuo vigor novellamente infòndine;

si levi il canto che nell'ombra oscilla,
e questo velo fragile di pace
sia lacerato dalla prima rondine!

(Da "Belfonte", Streglio, Torino 1903)





ALITO DI MARZO
di Luigi Orsini (1875-1954)

O tiepido soffio di marzo 
    che il ciocco ultimo spegni, 
ma susciti in alto lo sfarzo 
    di più lucenti segni, 
e sei come l'alito ch'esce 
    largo da un petto umano, 
tu che, se spiri, già cresce, 
    già rinverdisce il grano; 
tu che, se svoli, si desta 
    ogni germe sotterra, 
e già de la vita a la festa 
    ogni cor si disserra; 
promessa di giorni più chiari 
    che a nòve spemi assenti, 
ond'è che azzurreggiano i mari, 
    sciolte le vele ai vènti: 
o àlito buono e odoroso 
    de le pie primavere, 
che avvivi lo sguardo pensoso 
    a le invernali sere, 
che guidi le rondini miti 
    su le memori gronde 
e chiami ai balconi fioriti 
    le fanciulle gioconde, 
che ad anime docili e pure 
    sogni più vaghi adduci, 
e fai che le fronti secure 
    s'incoronin di luci ; 
che spingi a le siepi tremanti 
    gli ansiosi vilucchi, 
e al bacio dei cieli esultanti 
    le nubi caste, a mucchi; 
tu sei come certe ventate 
    ch'errano per la vita, 
che giungon da plaghe ignorate 
    d'una terra sbandita, 
che vengon da zolle remote, 
    buone e misteriose, 
cui morso di gel non percote 
    ma carezzan le rose; 
che vengon da monti, da piani 
    ove eterno è l'amore, 
e stillano balsami arcani 
    e dà frutti il dolore : 
ventate ripiene di semi 
    benedetti e fecondi, 
che portano germi di spemi, 
    che rinnovano i mondi! 
Oh germi di palpiti santi, 
    oh dolcezze, oh richiami, 
che l'eco di placidi canti 
    lasciano in cor che s'ami: 
che scaldan con tenere cure 
    petti affraliti e macri, 
placano orribili arsure 
    come freschi lavacri: 
parole non mai proferite, 
    voci non mai intese, 
e piccole bocche sfiorite 
    a bocche altrui protese: 
occhiate che accendono al bene, 
    mani ploranti pace, 
e braccia che spezzan catene 
    a levare chi giace ! 
O tiepido soffio di marzo, 
    tutto in te si raccoglie, 
misteri, chiarori, onde, sfarzo, 
    acque, campane, foglie! 
In te, largo spirito, ch'esci 
    come da un petto umano, 
in te che, se tremoli, mesci 
    buffi e cori fra il grano: 
in te che, se penetri muovi, 
    ogni seme, sotterra; 
in te, onde a fremiti novi 
    ogni cor si disserra: 
in te che da lidi superni 
    a la valle infinita 
fra risa e fra palpiti eterni 
    fai rifiorir la vita! 

(Da "I canti delle stagioni", Antongini & De Mohr, Milano 1905)





FIORITA DI MARZO
di Ada Negri (1870-1944)

La fioritura vostra è troppo breve,
o rosei peschi, o gracili albicocchi
nudi sotto i bei petali di neve.

Troppo rapido e il passo con cui tocchi
il suolo — e al tuo passar l'erba germoglia
o Primavera, o gioja de' miei occhi.

Mentre io contemplo, ferma sulla soglia
dell'orto, il pio miracolo dei fiori
sbocciati sulle rame senza foglia,

essi, ne' loro tenui colori,
tremano già del vento alla carezza,
volan per l'aria densa di languori;

e se ne va così la tua bellezza
come una nube, e come un sogno muori,
o fiorita di Marzo, o Giovinezza!...

(Da "Dal profondo", Treves, Milano 1910)





MARZO
di Carlo Michelstaedter

Marzo ventoso
mese adolescente
marzo luminoso
marzo impenitente.

Marzo che fai tuoi giochi
con le nuvole in alto
e con l'ombra e le luci
dài mutevol risalto
alla terra stupita

alla terra intorpidita,
mentre dal seno le strappi
e le primole e le rose
e fresch'acque rigogliose
lieto fai rigorgogliare.

Ed il passero riscuoti
con la tua folle ventata
nella sua grondaia secca
nella siepe denudata.

Spazzi i portici e le calli
e la nebbia nelle valli
e la polvere degli avi
e i propositi dei savi
rompi e l'ombra delle chiese.

Ed il pavido borghese
che nell'essa porta il gelo
dell'inverno trapassato
e col corpo imbarazzato
geme il reuma ed il torpore,
che nel volto porta il velo
della noia ed il pallore
della diuturna morte,
si rinchiude frettoloso
si rinvoltola accidioso
e rincardina le porte.

Se lo scuoti e lo palesi,
marzo giovane pazzia,
la sua trista nostalgia
sogna il sonno di sei mesi.

Ei ti teme, dolce frate
marzo, terrore giocoso
ma tu passi vittorioso
sbatti gli usci e le impannate
con le tue folli ventate.

E la densa polve sveli
nel tuo raggio popolato
e sul legno affumicato
i vetusti ragnateli.

Poich'il termine al riposo
canti, marzo adolescente,
t'odia questa buona gente,
marzo luminoso.

Ma se t'odiano addormiti
nelle coltri riscaldate
ed i passeri impauriti
nelle siepi denudate,
t'ama il falco su nell'aria
che più agile si libra
nella tua ventata varia
e la sente in ogni fibra
lieto nella tua procella,
ché per lei si fa più bella
ché per lei si fa più pura
ai suoi occhi la natura.

Marzo mese luminoso
marzo adolescente
marzo mese irriverente
marzo ventoso.

1° marzo 1910

(Da "Scritti", Formiggini, Roma 1912)





MATTINA DI MARZO
di Carlo Stuparich (1894-1916)

  Questa mattina di marzo grigia e ventilata senza violenza, incontaminata ancora dall'industria polverosa, la sento come un dono espresso di un dio non pomposo. Il corpo rabbrividisce soltanto alla pelle, più dentro è tepido e mansueto come una primavera covata, e se le narici dilatate imbevono un po' di vento circolante, esso non porta né odor né sapore ma al cervello soltanto una leggerissima spruzzaglia di freschezza. La via che tutti i giorni mi mena al lavoro, vuota e immobile, senza svolte, si va assottigliando per essere più misteriosa in fondo, dove si ferma a una bassa parete di casa traversale impennacchiata di un'ala di verde cipressino: in fondo, dove il cielo cenere si indurisce e schiara in un bianco che se vi strisciassi la palma della mano lo sentirei come la madreperla intima di una conchiglia marina.

   Marzo 1915

(Da "Cose e ombre di uno", La Voce, Roma 1919)





SCHERZO DI MARZO
di Arturo Onofri (1885-1928)

  Il vento marzolino scava graziosi ombelichi d'azzurro nei corpaccioni dei nuvoli, che vanno ruzzolando pel cielo. Tra l'acqua a rovesci che spandono giù a quando a quando, e il sole che bevono ancora, quei cari giganti, non raccapezzandosi più per la gran sbornia di primavera, si lasciano andare a estrose scampagnate d'ombre e di luci, e mischiate fantasie di stagioni.
  La terra sta a guardarli, incantata di tanta arroganza, e dal fremito di seduzione che le fa offrire le rosee rotondità di colline e il ventre dorato di boschi, si capisce che n'è innamorata.
  Ma il vento maligno, che deve pensare agli amori più seri del sole, li caccia a nerbate per l'aria.

(Da "Arioso", Casa d'Arte Bargaglia, Roma 1921)





ACQUA DI MARZO
di Adriano Grande (1897-1972)

La breve acquata 
di primavera,
il ciel che a un tratto
s'oscura e torna limpido,
il caldo mezzodì, la rinfrescata
sera,
ora che marzo termina,
son meraviglie: incanti
di fanciullezza che a vivere impara.
Umor mutevole,
scherzo d'affetti, gioco
d'un sangue nuovo, questo
pianger del tempo
senza motivo e ridere,
all'uomo anziano lavano
l'anima un poco.

(Da "Strada al mare", Vallecchi, Firenze 1943)





MARZO
di Gian Carlo Conti (1928-1983)

Lasciatemi qui
a vedere il mondo alla rovescia:
la felicità mi fa girare la testa,
come a te il vino ti fa cantare
e dire cose care e sciocche,
gli occhi splendidi che mai
mi stancherei di baciare.

(Da "Il profumo dei tigli", Feltrinelli, Milano 1960)





MARZO E LE SUE IDI
di Bartolo Cattafi (1922-1979)

Di tutto diffido
del pugnale di bruto
della tenera carne di cesare
dello stesso destino
che passi presto il tempo
vengano alfine marzo e le sue idi.

(Da "Marzo e le sue idi", Mondadori, Milano 1977)





MARZO
di Carlo Betocchi (1899-1986)

Varia il tempo, fra scrosci di pioggia,
brevi serenità;
ne riluccica il rosso dei tetti,
dall'asciuttore solito. Riflette
quel suo color di nuovo che perdette
con gli anni. Poca cosa. Eppure
che ravviva un barlume, quasi dell'anima.
Ed il mio cuore fa come i colombi
grigi: in quel fresco umidore
bazzica, si rallegra del poco
che a uno specchio di sole
resta chiaro. E il cielo è amaro,
dolcemente amaro.

(Da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1984)


martedì 26 febbraio 2013

Poeti dimenticati: Domenico Oliva


Nacque a Torino nel 1860 e morì a Genova nel 1917. Fu valente giornalista e critico drammatico, ricoprì vari incarichi prestigiosi in politica e, in gioventù, scrisse anche due volumi di versi. In essi si trovano parecchi elementi tipici della poesia italiana ottocentesca, tra cui spiccano un vago gusto scapigliato, un più raro realismo e una primitiva tendenza a proporre le tematiche care alla poesia simbolista e decadente europea. Pur possedendo qualità per nulla trascurabili, la lirica dell'Oliva fu quasi totalmente ignorata, e fu forse per tal motivo che lo scrittore piemontese decise di abbandonarla molto presto in favore di altre, più gratificanti, attività.



Opere poetiche

"Poesie", Libreria editrice Galli, Milano 1889.
"Il ritorno", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1895.







Presenze in antologie

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903
"Poeti della rivolta", a cura di Pier Carlo Masini, Rizzoli, Milano 1978




Testi


NEL GRAN SILENZIO DELLA NOTTE...

Nel gran silenzio della notte e sotto
La vasta luce della luna s'odono
Voci lontane:
E son voci festose,
Canti d'ebbri, gridii di donne e strane
D'allegrie rumorose
Interrotte folate.
Ma tranquillo è il bastion candido e i candidi
Abitatori suoi sono tranquilli:
Le magre piante, grate
Alla lunar dolcezza,
Mostrano la bellezza
Dell'ombre lunghe e le grazie ridenti
Dei contorni lucenti.
Sempre sen riede questa
Fulgida festa
Di cose e d'orizzonti:
Per quei folli che cantano lontani
Ritornerà domani
La breve ora d'oblio?
Diman forse nemica
Li attenderà la sorte
Ovver la morte:
E, immaginando tremebondi Iddio,
Ei, renitenti invan, procomberanno
Nell'infinito vortice
Lividi e soli,
Ove del nulla i voli
Rapidamente avvolgonsi.

Milano, Febbraio 1888.

(Da "Poesie")

domenica 24 febbraio 2013

Il crepuscolo nella poesia italiana decadente e simbolista


Il crepuscolo è il momento del giorno che segue il tramonto e precede la sera, in cui è ancora presente una tenue luminosità del cielo. Nell'ambito del simbolismo poetico sono di fondamentale importanza i testi di Charles Baudelaire intitolati: Le Crépuscle du soir e Le Crépuscle du matin: entrambi descrivono dei momenti che precedono qualcosa, in questo caso la sera e il mattino, si tratta comunque di un'attesa o di una lento cambiamento, infatti ci dice il poeta in alcuni versi di Le Crépuscle du soir: «L'orizzonte si chiude lentamente» e «L'uomo impaziente si trasforma in belva». Ma il crepuscolo è inteso anche nell'accezione di perdita e di fine imminente; ciò si deduce leggendo alcuni versi da Le Crépuscle du soir. («È l'ora che i malati peggiorano! [...] Più d'uno non potrà più cercare la minestra odorosa, la cena accanto al fuoco, a un cuore che ama»). Altri componimenti relativi al crepuscolo sono presenti in poeti di fine Ottocento come Georges Rodenbach, Francis Jammes e Albert Samain, tutti o quasi con riferimenti precisi alla fine di qualcosa, alla malinconia e alla morte.




Poesie sull'argomento

Giovanni Camerana: "Guarda lo stagno livido" e "Bacia l'ultimo sole..." in "Poesie" (1968).
Francesco Cazzamini Mussi: "Malia crepuscolare" in "Canti dell'adolescenza" (1908).
Willy Dias: "Crepuscoli" in "Domenica Letteraria", marzo 1896.
Giuliano Donati Petteni: "Crepuscolo" in "Versi dorati" (1916).
Augusto Ferrero: "Crepuscolo" in "Gazzetta Letteraria", maggio 1893.
Enrico Fondi: "Crepuscolo laziale" in "Poesia", giugno 1906.
Diego Garoglio: "Crepuscolo nel podere" e "Ora crepuscolare" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Corrado Govoni: "Crepuscolo", "Crepuscolo di morte" e "Crepuscolo nel chiostro" in "Le fiale" (1903)
Corrado Govoni: "Petali di crepuscolo" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni: "Crepuscolo ferrarese" in "Fuochi d'artifizio" (1905).
Corrado Govoni: "Crepuscolo" (2 poesie) in "Gli aborti" (1907).
Olindo Malagodi: "Crepuscolo" in "Poesie vecchie e nuove" (1928).
Tito Marrone: "Crepuscolo" in "Cesellature" (1899).
Tito Marrone: "Il crepuscolo d'oro" in "Le rime del commiato" (1901).
Tito Marrone: "Crepuscoli d'inverno" in "Antologia poetica" (1974).
Arturo Onofri: "Crepuscolo d'agosto" in "Liriche" (1914).
Angiolo Orvieto: "Crepuscolo indiano" in "Verso l'Oriente" (1923).
Giovanni Pascoli: "Crepuscolo" in "Poesie varie" (1912).
Yosto Randaccio: "Crepuscolo di cielo e d'anima" in "Poemetti della convalescenza" (1909).
Alfredo Tusti: "Malinconie del crepuscolo" in "Giornale d'Arte", luglio 1905.
Teofilo Valenti: "Crepuscolo de la sera" in "Le Visioni" (1906).
Fausto Valsecchi: "Il crepuscolo della fede" in "Antologia della lirica italiana" (1924).
Alessandro Varaldo: "Nel crepuscolo bianco..." in "Marine liguri" (1898).
Giuseppe Villaroel: "Elegia crepuscolare" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).




Testi

CREPUSCOLO LAZIALE
di Enrico Fondi

Già sparve il dì sotto l’arco del cielo a l’estremo orizzonte
(non metallica volta di fucina, ove un fabro
Gigantesco foggi un mondo e nell’alto le impronte
Del suo lavoro accenda?): sol treman fra il cinabro

e l’ocra molle de’ cirri adamantini barbagli
che man mano snutriti van cedendo a la notte.
Che azzurro palpito è il mare! E, su, il cielo in che vivi frastagli
traccian gli strati! E come spiran leni le frotte

piumate delle brezze serotine! E come si stende
calma, nelle ombre, un’arra di superba dimane!
Per che ventura è sì azzurro il Tirreno? E sì nitido splende
Il cielo? E tersa è l’etra? Nè le nubi con strane

turpi Chimere, né offendono con fuliggìnei vapori
il trionfo dell’arco vitreo crepuscolare,
chè anzi un’armonia sonora di caldi colori
ne’ grembi hanno, stagnando, così, fra cielo e mare.

Oggi il divin Flutto, la vaga residua forza
de’ vergini elementi, in cui fervea non vano
un desìo distruttore, s’adunò – livida scorza
di fuso piombo – negli spazi e in un Uragano

si sfece, ebro, svellendo, per la sua rabbia gagliarda,
tutte le debolezze della multipla Vita,
tutta struggendo al suolo l’Impurità che ora guarda,
commista al fango, e ghigna contro a l’aria schiarita.

Nelle marine de’ cieli, sottili vanendo, gli strati
segnan le scie de’ venti (non pur l’addensamento
di tutti i cerebrali torpidi ingombri esalati
da la soggetta Roma con palustre fermento?),

né stridono, co’ grigi toni, a la cerula tregua,
ma letifican li occhi che vedono e che sanno.
La metallica volta che a grado a grado dilegua,
per l’incalzar delle ombre, lancia tra il loro inganno

l’accesa sfida, e chiara di gioie ne accerta la stanza
della dimane: il mondo novo che su le pire
del passato un gigante – l’invitto Pensiero che avanza –
sta foggiando per l’Uomo, di là, nell’avvenire.

 Monte Albano, - di agosto ‘904

 (Dalla rivista “Poesia”, aprile/maggio/giugno 1906)  

sabato 23 febbraio 2013

La pioggia in 10 poesie italiane del XX secolo

La pioggia è un argomento molto ricorrente nella poesia, in quella italiana ci sono poi diversi capolavori di poeti importanti come la famosissima Pioggia nel pineto di Gabriele D'Annunzio, da molti conosciuta e studiata sui banchi di scuola, non gli si può negare un fascino particolare quando descrive con maestria le sensazioni provate dal poeta e dalla sua donna che si trovano all'interno di una pineta durante una pioggia estiva: «Ascolta. Piove / dalle nuvole sparse. / Piove su le tamerici / salmastre ed arse, / piove su i pini / scagliosi ed irti, / piove su i mirti / divini, / su le ginestre fulgenti / di fiori accolti, / su i ginepri folti / di coccole aulenti, / piove su i nostri volti / silvani, / piove su le nostre mani / ignude, / su i nostri vestimenti / leggeri, / su i freschi pensieri / che l'anima schiude / novella, / su la favola bella / che ieri / t'illuse, che oggi m'illude, / o Ermione».
Era una poesia presente nei libri scolastici anche quella di Angiolo Silvio Novaro intitolata: Che dice la pioggerellina di marzo?; consiste in una confortante considerazione sulla pioggia marzolina che, al contrario di quella autunnale, è messaggera di nuova vita e della stagione primaverile ormai imminente: « - Passata è l'uggiosa invernata, / passata, passata! / Di fuor dalla nuvola nera, / di fuor da la nuvola bigia / che in cielo si pigia, domani uscirà Primavera ...».
Nell'ambito della poesia crepuscolare la pioggia è un elemento piuttosto frequente che si associa ad uno stato di depressione: un misto d'uggia e di tristezza. Corrado Govoni nella sua opera poetica Armonia in grigio et in silenzio ambienta molte sue liriche in un'atmosfera piovosa, tra le migliori c'è [Di fuori piove] che descrive, con lo stile inconfondibile del poeta emiliano, il tedio di una giornata uggiosa trascorsa in casa: «La buia solitudine / si scava la fossa: / la quieta quietudine / spuma la sua cimossa. / / I tappeti i bei racconti / velano di leggeri fumi; / nei ritratti, i ritratti a le fronti / affluiscono a grumi [...]. / Le imposte sono chiuse. / Il lume sembra un cero espiatorio / tra gli oggetti pieni di scuse. / e la camera è un purgatorio».
Anche nelle poesie di Marino Moretti la pioggia è spesso presente, un esempio è La domenica della pioggerella che fa parte delle Poesie scritte col lapis e rientra pienamente in quel tipo di ambientazione classica che predilige la poesia crepuscolare: un grigio giorno festivo, il cielo che piange e il suono delle campane che suscitano nel poeta un senso di struggente malinconia; sembra di leggere alcuni passi di Bruges la morta, romanzo di Georges Rodenbach: «E intanto, intanto di fuori / continua a piangere il cielo, / continua a stendere un velo / grigio sugli ultimi fiori, / / e una remota campana / continua i lenti rintocchi / solo perchè dai nostri occhi / scenda una lacrima vana».
Di nuovo crepuscolarismo e atmosfere autunnali contraddistinguono i versi di Guelfo Civinini in Pioggia d'ottobre: «Mormorano le gronde / nella piccola corte / sovra le foglie morte / canzoni moribonde. / / Il cuore si nasconde: / ha chiuso le sue porte, / pensa le foglie morte, / ascolta e non risponde».
Non lontano dalla poetica dei crepuscolari fu Diego Valeri, la sua lirica però (Pioviggina dalla raccolta Umana) prende le mosse da una giornata di pioggia per fare delle considerazioni esistenziali che però si concludono con una dichiarata incapacità di comprendere: «Ricordare?... Pensare?... / Io non so che ascoltare / la cantilena che le gronde arpeggiano / leggerissimamente / sul mio capo che brucia e mi fa male: / dolce lenta ed uguale, / dolce lenta ed uguale atrocemente».
Pensieri tristi balenano nella mente di Carlo Michelstaedter come si può notare leggendo i versi della poesia senza titolo che ancora una volta parla di un giorno molto piovoso e grigio: «Cade la pioggia triste senza posa / a stilla a stilla / e si dissolve. Trema / la luce d'ogni cosa. Ed ogni cosa / sembra che debba / nell'ombra densa dileguare e quasi / nebbia bianchiccia perdersi e morire ...».
Nella poesia intitolata In ritardo Giovanni Pascoli con la descrizione di un giorno di pioggia vuole porre in risalto un cambiamento di stagione (dall'estate all'autunno) che è rappresentato dalla pioggia stessa: «E l'acqua cade su la morta estate, / e l'acqua scroscia su le morte foglie; / e tutto è chiuso, e intorno le ventate gettano l'acqua alle inverdite soglie»; c'è poi la visione piuttosto ricorrente in Pascoli dei nidi delle rondini e, con l'approipinquarsi della notte, un netto riferimento alla morte imminente: «...e l'anno è morto, ed anche il giorno muore, / e il tuono muglia, e il vento urla più forte, / / e l'acqua fruscia, ed è già notte oscura, / e quello che c'era non sarà mai più».
Simile a quest'ultima è la poesia di Salvatore Quasimodo: Già la pioggia è con noi che trasmette una spaesata tristezza per l'inesorabile trascorrere del tempo: «Ancora un anno è bruciato, / senza un lamento, senza un grido / levato a vincere d'improvviso un giorno».
Termino con una profonda poesia della scrittrice Ada Negri, composta dalla maestrina di Lodi in tarda età e che ha come tema dominante il pensiero dell'al di là, palesato a seguito della descrizione di una precipitazione piovosa notturna, avvenuta all'inizio dell'autunno dopo un lungo periodo di siccità estiva: «Era la pioggia, sì; ma sovra un mare / di fronde mormoranti di felice /ristoro nelle tenebre; la prima / pioggia d'autunno, dopo un'arsa estate / tutta febbre di sole...»; poi la Negri esprime un desiderio: «Vorrei, pioggia d'autunno, essere foglia / che s'imbeve di te sia nelle fibre / che l'uniscono al ramo, e il ramo al tronco, / e il tronco al suolo; e tu dentro le vene / passi, e ti spandi, e sì gran sete plachi». Ma, come è ben noto, le foglie d'autunno si seccano e poi cadono; di questa cosa è ben consapevole la poetessa, però la sua speranza è che dopo la fine inevitabile della vita umana vi sia una rinascita, così come rinascono le foglie dell'albero in primavera: «Vorrei, pioggia d'autunno, essere foglia, / abbandonarmi al tuo scrosciare, certa / che non morrò, che non morrò, che solo / muterò volto sin che avrà la terra / le sue stagioni, e un albero avrà fronde».



LA PIOGGIA IN 10 POESIE ITALIANE DEL XX SECOLO


"In ritardo" di Giovanni Pascoli, da "Canti di Castelvecchio" (1903).

"Di fuori piove" di Corrado Govoni, da "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).

"La pioggia nel pineto" di Gabriele D'Annunzio, da "Alcyone" (1904).

"Che dice la pioggerellina di marzo?" di Angiolo Silvio Novaro, da "Il Cestello" (1910).

"La domenica della pioggerella" di Marino Moretti, da "Poesie scritte col lapis" (1910).

"Pioggia d'ottobre" di Guelfo Civinini, in "I sentieri e le nuvole" (1911).

"Cade la pioggia triste e senza posa" di Carlo Michelstaedter, da "Scritti" (1912).

"Pioviggina" di Diego Valeri, da "Umana" (1916).

"Pioggia d'autunno" di Ada Negri, da "Vespertina" (1930).

"Già la pioggia è con noi" di Salvatore Quasimodo, da "Ed è subito sera" (1942).
 
 
 

martedì 19 febbraio 2013

Antologie: "Poeti italiani del Novecento" di Vincenzo Mengaldo


"Poeti italiani del Novecento", a cura di Vincenzo Mengaldo, Mondadori, Milano 1978, è da ritenersi senza dubbio una delle migliori antologie presenti oggi sugli scaffali delle librerie, ed è certamente la migliore tra quelle dedicate ai poeti italiani del XX secolo. Il punto di forza di quest'opera è ritrovabile a mio avviso nella interessantissima e accurata introduzione, che, anche se può sembrare piuttosto lunga, risulta molto gradevole alla lettura. Qui sono spiegati in maniera molto precisa, informata e concreta, sia i criteri delle scelte fatte dall'antologizzatore, sia lo spazio temporale preso in considerazione per la selezione dei testi e dei poeti, sia le fasi principali in cui si è evoluta e sviluppata la poesia italiana tra il 1903 e il 1978. Si parte da Corrado Govoni, poeta che secondo molti critici fu il primo lirico novecentesco con le sue opere pubblicate nel 1903 ("Le fiale" e "Armonia in grigio et in silenzio"), per giungere fino ad Amelia Rosselli; la poetessa è infatti l'ultima tra gli scrittori selezionati. Vi sono, tra i poeti presenti, due sorprese: la prima è rappresentata da Massimo Bontempelli, prosatore lombardo molto noto, i cui versi pochi in realtà conoscono, visto che la sua sola opera pubblicata (escluse quelle ripudiate) è "Il purosangue. L'ubriaco", spesso ignorata o dimenticata dai critici e quasi mai inserita in antologie. L'altra sorpresa è Giaime Pintor, patriota e scrittore che morì in giovane età durante la 2° Guerra Mondiale, che è presente nell'antologia di Mengaldo con alcune traduzioni di poesie tedesche. Ecco infine l'elenco dei poeti inclusi nel volume.






Corrado Govoni, Sergio Corazzini, Aldo Palazzeschi, Guido Gozzano, Paolo Buzzi, Arturo Onofri, Marino Moretti, Umberto Saba, Luciano Folgore, Clemente Rebora, Dino Campana, Virgilio Giotti, Camillo Sbarbaro, Ardengo Soffici, Diego Valeri, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Ungaretti, Giovanni Boine, Massimo Bontempelli, Piero Jahier, Delio Tessa, Biagio Marin, Eugenio Montale, Attilio Bertolucci, Salvatore Quasimodo, Carlo Betocchi, Alfonso Gatto, Sergio Solmi, Giacomo Noventa, Mario Luzi, Cesare Pavese, Leonardo Sinisgalli, Giorgio Caproni, Sandro Penna, Vittorio Sereni, Giaime Pintor, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Orelli, Franco Fortini, Tonino Guerra, Nelo Risi, Andrea Zanzotto, Luciano Erba, Giovanni Giudici, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Albino Pierro, Antonio Porta, Giovanni Raboni, Amelia Rosselli, Franco Loi.