domenica 3 giugno 2012

"Onore del vero" di Mario Luzi

Nel 1957 Mario Luzi pubblica il suo sesto volume di poesie, intitolato "Onore del vero" (Neri Pozza, Venezia); si tratta dell'opera migliore di Luzi, ormai lontano dalla poetica dell'ermetismo di cui era stato tra i migliori esponenti nelle sue prime pubblicazioni come "Avvento notturno" (1940) e "Un brindisi" (1946). Superata la soglia dei quarant'anni, il poeta toscano inserisce nei suoi versi molte note esistenziali, fa un bilancio (spesso amaro) della propria esistenza, descrive i paesaggi dei posti dove vive o dove si reca, che divengono simbolo dei suoi stati d'animo e della sua vita; a tal riguardo è molto bello un articolo di Pier Paolo Pasolini incluso in "Passione e ideologia" (Garzanti, milano 1973) in cui lo scrittore friulano elenca una serie di poesie del volume citato, sottolineando le caratteristiche del paesaggio che ne emerge: « [...] Insomma nella terra in cui vive Luzi, piove sempre o quasi, o soffia il vento, o gela. Se c'è il sole, è un sole insano, che dà malessere; se c'è sereno, è quel sereno allucianato e faticoso che tormenta il corpo del malato, del convalescente, dello psicastenico... A questa «scelta» del paesaggio nel paesaggio reale, corrisponde un'analoga «scelta», diciamo, sociologica. [...] Abbiamo tuguri in periferie fluviali, baraccamenti, campi di profughi, osterie tristi come antri, ecc. I personaggi che popolano questi posti sono, più che dei poveri, dei miserabili, degli zingari, molto vivaci e coloriti nella loro stravaganza sociale, benché atrocemente grigi ». Quindi, oltre ai paesaggi, anche i personaggi di queste poesie riflettono gli umori cupi di Luzi; non è assente poi una religiosità quasi celata, che un altro poeta, Giovanni Raboni, ha posto in evidenza in quest'altro articolo: « Nelle Primizie del deserto e, ancora di più nell'Onore del vero, il dibattito religioso che rappresenta la continuità della poesia di Luzi ci appare ormai indissolubilmente connesso a un paesaggio, a una cronaca essenziale perfettamente identificabile nel suo nucleo di persone, abitudini, mestieri. Queste relazioni non soltanto rendono comunicabili gli estremi della vicenda interiore, ma la proiettano, duplicandone il significato, sull'area di una precisa condizione storica ». Nelle 31 poesie di "Onore del vero" risiede il momento di massima maturità poetica di Luzi, l'apice di una nuova fase già iniziata con l'opera precedente: "Primizie del deserto" (1952) e che si sarebbe conclusa con quella successiva (cronologicamente parlando): "Sul fondo delle campagne" (1965). Ecco quindi, dal suddetto volume, una tra le migliori poesie.
 

NOTIZIE A GIUSEPPINA DOPO TANTI ANNI

Che speri, che ti riprometti, amica,
se torni per così cupo viaggio
fin qua dove nel sole le burrasche
hanno una voce altissima abbrunata,
di gelsomino odorano e di frane ?

Mi trovo qui a questa età che sai,
né giovane né vecchio, attendo, guardo
questa vicissitudine sospesa;
non so più quel che volli o mi fu imposto,
entri nei miei pensieri e n’esci illesa.

Tutto l’altro che deve essere è ancora,
il fiume scorre, la campagna è varia,
grandina, spiove, qualche cane latra,
esce la luna, niente si riscuote,
niente dal lungo sonno avventuroso.
 

sabato 2 giugno 2012

Poeti dimenticati: Raffaele Salustri

Raffaele Salustri
Raffaele Salustri nacque a Roma nel 1843; nella città eterna visse facendo l'impiegato e morì nel 1892. In gioventù conobbe e apprezzò i poeti della Scuola romana, soprattutto i fratelli Maccari da cui assimilò la rara semplicità spirituale. Successivamente approfondì gli studi della letteratura europea e diventò fervente seguace di Victor Hugo. Le sue poesie riflettono un'anima intenta ad osservare con meraviglia le cose del mondo; un'anima pregna di spiritualità e conscia della propria, profonda solitudine.

 


Opere poetiche

"Versi", Pallotta, Roma 1866.
"Solitudini", Tipografia del Senato, Roma 1878.
"Solitudini e visioni", Forzani e C., Roma 1886.
"Myosotis", Tip. Fratelli Centenari, Roma 1888.
"Poesie", Artero, Roma 1891.
"Poesie e prose scelte edite e inedite", Forzani e C., Roma 1905.
 


Presenze in antologie

"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (volume terzo, pp. 319-322).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 701-707).

 


Testi

La luna alta e serena
Tutta inradia l'amena
Fonte, e dà svariate
Bianchezze a le cascate,
Agl'intrecci, a le fughe,
A le placide rughe
Del bacin, da cui gronda,
Lento diluvio, l'onda,
Al fluttuar solenne
E di veli e di penne
E di frangie, che il vento
Scioglie in nebbia d'argento.
Ma i multiformi albori
Vince co' suoi candori
Lo zampillo, simile
A stelo alto e gentile,
Onde piovon croscianti
Fiori di diamanti.
Da l'acqua armoniosa
Un sospir senza posa
Esce; talor soave,
E talor triste e grave.

(Da "Poesie e prose scelte edite e inedite")


Pini

All'estremo orizzonte, i grandi pini
se n'andavano curvi, in lunga traccia,
a uno a uno come pellegrini;
e ciascuno recava per bisaccia,
alto sopra la livida brughiera,
una nuvola d'oro della sera.

(Da "Ariele" di Diego Valeri, Mondadori, Verona 1924, p. 15)


Spesso i migliori esiti della poesia di Diego Valeri si ritrovano in pochi versi che contengono immagini nate da una ineguagliabile e inaspettata fantasia. È il caso di "Pini", una poesia semplice in cui gli alberi vengono sottoposti ad una personificazione, divenendo così, nell'immaginario di chi li vede come non li vedono gli altri, dei pellegrini curvi che camminano in fila indiana lungo una brughiera e si portano sulle spalle delle bisacce, che in realtà sono nuvole, presenti e osservate da Valeri al di sopra degli alberi stessi: all'ultimo orizzonte.

venerdì 1 giugno 2012

Una frase di George Orwell

"La pubblicità è il rumore di un bastone in un secchio di rifiuti".


Questo pensiero di George Orwell non avrebbe bisogno di commenti tanto è eloquente; quante volte si è detto: "La pubblicità è l'anima del commercio", sarà anche così ma la sua invadenza penso abbia superato ogni limite. Ammesso che sia giusta la sua presenza non si capisce il motivo per cui debba essere inserita scriteriatamente in trasmissioni della TV, film, quotidiani, riviste e altro ancora. Ricordo la presa di posizione di alcuni grandi registi del nostro cinema quando, anni fa, gli spot pubblicitari venivano inseriti in modo massiccio all'interno di capolavori durante la loro mesa in onda: semplicemente scandaloso. E ricordo ancora di più i giornalini dei miei fumetti preferiti che comperavo da ragazzo, gradualmente essere letteralmente invasi dalle inserzioni pubblicitarie, tanto che alla fine trovavo più pagine commerciali che strisce di fumetti: vergognoso. Anche nello sport la pubblicità ha lentamente invaso il palcoscenico, basti pensare che una volta (e lo ricordo anch'io) era vietato qualsiasi tipo di pubblicità sulle casacche dei calciatori. Insomma con la scusa che la pubblicità produce ricchezza e migliora l'economia ce la propinano in gran quantità rendendocela nauseante.

mercoledì 30 maggio 2012

I poeti della "Scuola romana"

Chi ricorda, oggi, i poeti della Scuola romana dell'Ottocento? Se non nessuno, certo pochissimi. Eppure rileggendo le loro poesie mi sembra che non siano affatto da buttare; molti idilli dei fratelli Maccari, di Castagnola, di Gnoli e di qualche altro poeta dimenticato, non solo sono ancor oggi leggibilissime, ma trovo che siano di buono (se non ottimo) livello e che meritino di essere incluse nel meglio della produzione poetica italiana del XIX secolo.
La Scuola romana nacque all'incirca nel 1850 e si protrasse per una ventina di anni; come fa intendere la denominazione, tale scuola ebbe come sede Roma, dove alcuni intellettuali amavano ritrovarsi in luoghi come il Caffè Nuovo e il Caffè Greco. Durante le loro piacevoli riunioni si sviluppò l'idea di rinnovare la lirica italiana, troppo legata, secondo loro, ad un accademismo ormai logoro. Misero al bando perciò il Romanticismo e posero come punto di riferimento principale i poeti che nel lontano passato diedero più lustro alle nostre lettere, compresi tra il Petrarca ed il Poliziano; ma non esclusero la lirica di Giacomo Leopardi, soprattutto quella scaturita dalla sua vena più idilliaca. Nel contempo, alcuni dei poeti romani, introdussero nei loro versi alcuni elementi che potremmo definire realismo descrittivo e che, per certi versi, li portarono ad essere gli anticipatori di certa poesia posteriore.
Sui poeti della Scuola romana furono pubblicate due antologie: la prima, realizzata da uno di essi: Domenico Gnoli, s'intitola "I Poeti della Scuola (1850-1870)" e uscì nel 1913. La seconda, curata dal critico Ferruccio Ulivi, è "I poeti della scuola romana dell'Ottocento" e fu data alle stampe nel 1964. Da non trascurare anche il terzo volume della ricca antologia di Ettore Janni "I poeti minori dell'Ottocento", dove è dato largo spazio a molti componenti della scuola.
Ecco al dunque una breve bio-bibliografia dei poeti della Scuola romana.
 
 
GIUSEPPE BUSTELLI (Civitavecchia 1832 - Viterbo 1909)
Liberale, estimatore dell'Alfieri, frequentò i poeti della Scuola romana sporadicamente. Le sue liriche denotano un patriottismo sincero ed una intensa passionalità.
Opere poetiche: Canti nazionali (1859), Canti nazionali satire ed altri versi (1864).
 
AUGUSTO CAROSELLI (Roma 1853 - ivi 1899)
Amico intimo di Lodovico Parini e di Giambattista Maccari, scrisse versi d'imitazione petrarchesca. Fu anche traduttore e drammaturgo.
Opere poetiche: Versi (1870).
 
PAOLO EMILIO CASTAGNOLA (Roma 1825 - ivi 1898)
Studiò in seminario ma ne uscì ben presto dedicandosi assiduamente alla letteratura. Scrisse opere teatrali e poesie divenendo uno dei più convinti promotori della della Scuola romana, come dimostrano alcuni saggi suoi che pubblicò sulla "Rassegna Nazionale". I suoi versi denotano un classicismo popolareggiante e una vaga spiritualità.
Opere poetiche: Versi (1854), Concento (1855), Nuove poesie (1867), Poesie (1882).
 
LUIGI CELLI (Roma 1825 - ivi 1870)
Fu eccellente avvocato fino alla precoce morte dovuta alla tisi. I suoi versi, pubblicati poco tempo prima della sua dipartita, mostrano accenti macabri che in parte ricordano alcune cose di Baudelaire e di Stecchetti.
Opere poetiche: Versi (1870).
 
IGNAZIO CIAMPI (Roma 1824 - ivi 1880)
Fu avvocato, maggistrato e storiografo. Si interessò di letteratura scrivendo commedie, novelle e versi. Questi ultimi risentono di un classicismo non privo di toni umoristici.
Opere poetiche: Nuove poesie (1861), Nuovi poemetti (1871), Poesie (1880).
 
PIETRO COSSA (Roma 1830 - Livorno 1881)
Dopo alcuni anni d'insegnamento ed un periodo d'esilio dovuto alle sue idee troppo liberali, Cossa cominciò a concentrarsi sulla stesura di opere teatrali, ne scaturirono numerosi drammi storici che lo resero famoso in Italia. Fu anche frequentatore dei poeti della Scuola romana e autore di versi che ricordano molto sia alcuni idilli leopardiani, sia i soggetti storici della poesia del secondo romanticismo italiano.
Opere poetiche: Poesie liriche (1876), Poesie liriche inedite (1886).
 
ELENA GNOLI (? - ?)
Scrisse dei versi soltanto per un'esigenza interiore e per un bisogno intrinseco di esternare le sofferenze mentali e fisiche dovute alla lunga malattia che lentamente la uccise. Fu il fratello Domenco a rendere note le sue esili poesie pubblicandole nell'antologia "I Poeti della Scuola romana (1850-1870)".
 
DOMENICO GNOLI (Roma 1838 - ivi 1915)
Fu poeta eclettico, che seppe rinnovarsi e trasformarsi attraverso gli anni fino a diventare l'iniziatore di un nuovo fare poetico agli albori del XX secolo. Pubblicò alcuni volumi di versi usando degli pseudonimi. La sua adesione alla Scuola romana è documentata nel libro "Versi di Dario Gaddi", uscito nel 1870, e che possiede quelle peculiarità comuni agli altri poeti di detta scuola, ovvero una simpatia per i trecentisti e per la lirica leopardiana.
 
TERESA GNOLI (Roma 1833 - ivi 1886)
Sorella di Domenico e di Elena, cominciò a scrivere versi già a dieci anni. Nelle sue poesie, pubblicate in modo disomogeneo e mai raccolte in volume, si percepisce una rara sincerità di sentimento, mentre non c'è traccia di elementi che le possano ricondurre a scuole o tendenze di sorta.
 
LUIGI LEZZANI (Roma 1821 - ivi 1861)
Personaggio eccentrico e dalle caratteristiche romantiche, scrisse poche poesie classicheggianti, che molto attingevano dalla migliore tradizione letteraria italiana del lontano passato. Si suicidò compiuti i quarant'anni.
Opere poetiche: Poesie e lettere (1862).
 
GIAMBATTISTA MACCARI (Frosinone 1832 - Roma 1868)
Laureatosi in giurisprudenza, iniziò a lavorare a Roma, ma senza riuscire a tirarsi fuori da una povertà che coinvolgeva l'intera famiglia (aveva cinque fratelli) e che ricadde per intero sulle sue fragili spalle. Malato, avvilito da troppi lutti (dopo i genitori gli morirono anche due fratelli minori), Giambattista Macari si spense a soli trentasei anni dopo una vita di stenti e sofferenze. Poeticamente rappresenta il livello più alto raggiunto dalla Scuola romana. I suoi versi posseggono elementi che molto ricordano il miglior Leopardi.
Opere poetiche: Poesie (1856), Nuove poesie (1869).
 
GIUSEPPE MACCARI (Frosinone 1840 - Roma 1867)
Fratello di Giambattista, fu un appassionato studioso di letteratura greca e della poesia di Giacomo Leopardi; ciò è dimostrato anche dai suoi versi: semplici e limpidi, in cui spicca una preferenza per la descrizione di paesaggi con l'uso di modalità poetiche ritrovaabili nei grandi idilli leopardiani. Malato, morì a soli ventisette anni.
Opere poetiche: Poesie (1865), Poesie e lettere (1867).
 
CARLOTTA MARCUCCI (? - ?)
Moglie di Lodovico Parini, pubblicò i suoi versi insieme a quelli del marito scomparso da circa un anno. Fu attratta dalla poesia petrarchesca e, più in generale, dai grandi classici italiani.
Opere poetiche: Poesie (con Lodovico Parini, 1869).
 
ACHILLE MONTI (Roma 1825 - ivi 1879)
Figlio del pittore Giovanni che a sua volta era nipote del letterato Vincenzo, fu poeta classicista e pariniano. Nelle sue odi e nei suoi sonetti si riflette spesso un profondo rimpianto per un passato migliore del presente.
Opere poetiche: Odi (1856), Scritti in prosa ed in versi (1885).
 
FABIO NANNARELLI (Roma 1825 - Corneto Tarquinia 1894)
Liberale, combattè a favore della Repubblica romana. Fu precettore in casa Ruspoli e poi insegnante all'Accademia scientifica e letteraria di Milano. Come poeta si ispirò al Leopardi e ai trecentisti.
Opere poetiche: Poesie (1853), Nuove poesie (1856).
 
ETTORE NOVELLI (Velletri 1822 - ivi 1900)
Poeta di vena satirica e patriottica, attirò l'attenzione del Carducci, che ne lodò la ricchezza della lingua. I suoi versi posseggono anche larghe tracce di classicità e di un anticlericalismo portato a livelli di sguaiatezza.
Opere poetiche: Mnasylus (1880), Cromi (1881), Egle: La naiade e i satiri (1894).
 
LODOVICO PARINI (Roma 1838 - ivi 1868)
Studente, frequentò le lezioni di Luigi Maria Rezzi e conobbe, passando spesso per il "Caffé Nuovo", alcuni tra i poeti della Scuola romana. Pubblicò un solo volume di poesie insieme alla compagna Carlotta Marcucci, dove traspare la sua predilezione per i classici italiani del Trecento.
Opere poetiche: Poesie ( con Carlotta Marcucci, 1869).
 
GIOVANNI TORLONIA (Roma 1831 - ivi 1858)
Viaggiò molto attraverso l'Europa acquisendo un'educazione aperta e una cultura particolarmente varia e approfondita. Amò studiare e praticare discipline assai diverse tra loro. S'interessò anche di poesia, stringendo amicizie coi poeti della Scuola romana e scrivendo dei versi che, seppure s'inseriscano nelle modalità della Scuola, mostrano elementi distinti e distanti.
Opere poetiche: Poesie (1856).

martedì 29 maggio 2012

Da "Dio è la mia speranza" di Alessandro Emiliani

Giunto in età avanzata, ho constatato che tutto crolla intorno a me e che io stesso mi avvicino ogni giorno alla morte. L'unico che non crolla è Dio. So che Dio mi ama, che è la mia sola e valida speranza. A lui posso affidare la mia vita. Egli la custodirà trasformata per la vita eterna. Per questo motivo nell'ultimo tratto del mio cammino terreno ho concentrato il mio interesse sulle realtà escatologiche.
Ho scritto queste pagine col pensiero rivolto a Dio, in atteggiamento di preghiera lasciandomi guidare dalla ispirazione dello Spirito Santo, senza un piano prestabilito. Consegno queste mie pagine a te, caro lettore. Spero che ti possano giovare per renderti più consapevole che il nostro ultimo traguardo non è su questa terra, ma nell'aldilà, in unione con Dio che ci attende. Dio è la nostra speranza. Non dimentichiamolo mai.


(Da "Dio è la mia speranza" di Alessandro Emiliani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1997, p. 5)

domenica 27 maggio 2012

Il ballo (o la danza) nella poesia italiana decadente e simbolista

Il ballo e la danza ricorrono spesso nelle poesie dei simbolisti e dei decadenti; per ciò che riguarda la simbologia, ogni tipo di danza ha la sua: per esempio un ballo settecentesco come il minuetto è riferito alla nobiltà, all'eleganza ed alla galanteria che, nel caso della poesia crepuscolare, si collega anche ad un rimpianto del passato; la danza del ventre ha ovviamente a che fare con l'erotismo se non con la lussuria, in questa categoria è spesso presente una figura biblica quanto mai determinante e affascinante: Salomè; il valzer ha a che vedere con la passione e l'amore con conseguente riferimento ai tempi (anch'essi rimpianti) del romanticismo. Non mancano le cosiddette "danze macabre" i cui protagonisti sono gli scheletri ed altre forme che si rifanno all'orrido e al terrificante, settore in cui primeggiano le poesie di Graf e di Rubino. Parlando poi più in generale, bisognerebbe aggiungere che la danza spesso e volentieri si ricollega ad un istinto primitivo dell'uomo, il quale si manifesta col movimento sincronizzato con l'ascolto di una musica o di un rumore ritmico, e che esterna sensazioni di allegria o euforia.


 
Poesie sull'argomento 

Mario Adobati: "Il ballo in nero" e "Partenza per il ballo" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "La festa" in "La città di Vita" (1896).
Massimo Bontempelli: "Danza allo specchio" in «La Brigata», ottobre-novembre 1916.
Paolo Buzzi: "Festa da ballo" in "Bel canto" (1916).
Enrico Cavacchioli: "Danza macabra" in "L'Incubo Velato" (1906).
Enrico Cavacchioli: "Danza del ventre" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Luigi Donati. "La danza tormentosa" in "Poesia di passione" (1928).
Arturo Graf: "Le Danzanti" e "La danza dello scheletro" in "Le Danaidi" (1905).
Gian Pietro Lucini: "La danza d'amore" in "Cronaca d'Arte", gennaio 1897.
Gian Pietro Lucini: "La collana" in "Poesia", marzo 1908.
Gian Pietro Lucini: "La danza sacra" in "Poesia", aprile 1908.
Gian Pietro Lucini: "La pifferata", "La danza d'amore", "La furlana", "La danza del ventre" in "Le antitesi e le perversità" (1971).
Olindo Malagodi: "La eterna danza" in "Poesie vecchie e nuove (1890-1915)" (1928).
Nicola Marchese: "Minuetto" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone: "La danza di Fauno" in "Liriche" (1904).
Ettore Moschino: "Salomè" in "I Lauri" (1908).
Aldo Palazzeschi: "Gavotta di Kirò" in "Lanterna" (1907).
Guido Ruberti: "La danza" in "Le fiaccole" (1905).
Antonio Rubino: "Danza delle mani amputate" in "Versi e disegni" (1911).
Federigo Tozzi: "Ecco la danza delle nudi estati" in "La zampogna verde" (1911).
Mario Venditti, "La danza senza perché" in "Il cuore al trapezio" (1921).
 
 
 
Testi

LA DANZA D'AMORE
di Gian Pietro Lucini

Sotto ai miti splendori
delle notti serene
sorgono, coll’incanto, le Sirene
brune a comporre le strofe ed i cori.
Van pel calmo giardino
che la rugiada bagna,
da che la viola ride e trilla il ribechino.
Io lo so, sotto le piante odorose
stanno i molli giacigli, stanno i grati refugi;
io lo so, che tra i gigli e le rose
ride propizio il Nume.

Or voi le udite, queste mie note,
cantano d’amore, cantano.
La Dama e il Cavaliere vanno lontano,
sotto alla volta verde dei laureti.
- «Respiriamo, Signora,.» -
li aromati capziosi e inebrianti,
che da i calici i fiori, come bracieri di giada,
inalzano, Signora:
inebriamoci del vino
dolce che spreme la bionda Citerea
dalle turgide grappe raccolte nella vigna del piacere;
inebriamoci, Signora
La Dama e il Cavalier vanno lontano,
lontan’ sotto alla volta verde dei laureti.

Or voi le udite queste mie note,
cantano d’amore, cantano.
- «Oh perché mai, Signora,» -
l’occhi miei s’affisano nei vostri;
oh perché mai Signora,
freme la vostra mano nella mia?
Guardate, noi sempre danzeremo,
così, fino all’aurora;
e domani e dopo e poi?
Non credete al futuro; non temetelo mai.
Siete stanca Signora?
Or voi le udite, queste mie note
son domande d’amanti.
- «Che importa? Non fuggono i vostri occhi i miei imploranti.» -
Lasciatevi guardar bella e sincera. Temete?
Di che temete? Nel giardin’ delle fate viaggiamo;
senti, bambina, non è questa la vita?
Viaggiam, viaggiam lontano
per la terra del sogno,
per le regioni immense, arcane, eterne dell’irreale.
Non è un sogno la vita? Ed è un inganno il sogno?
Sì: ma se noi, bambina, non ci destassimo mai?
Or voi le udite, queste mie note;
son baci le note.

La Dama e il Cavalier vanno lontano,
lontan’ sotto alla volta verde dei laureti:
e nei miti splendori
delle notti serene
la danza e il ritmo sperdonsi sonori,
sulle rose,
amorose,
sbocciate nei cespugli e appassite tra i seni
candidi e sodi:
La mia nota si muore.

(Da "Le Antitesi e le Perversità")