Il "difetto" è a volte ritenuto dai poeti simbolisti un elemento positivo, che differenzia (in meglio) la persona, l'animale, la pianta, l'oggetto o il paesaggio. Non è il caso però di una poesia di Vittoria Aganoor in cui si parla di una valle apparentemente paradisiaca dove capita di trovare delle situazioni controverse e dolorose. Passando ad altri esempi, ne L'incrinatura di Guido Gozzano, il fiore morente a causa di una fenditura provocata accidentalmente al vetro di Boemia che lo racchiude è paragonato al cuore colpito, o meglio sfiorato appena da "una man superba", che per tal motivo lentamente si dissangua. Ne Il nido di Giovanni Pascoli, il difetto sta proprio in quel fondamentale rifugio per gli uccelli che risulta ormai abbandonato e cadente, circondato da un paesaggio autunnale che ne preannuncia il dissolvimento. Angiolo Orvieto invece vede nel Filo d'argento presente nella sua barba la morte che lo sta aspettando al varco e che gli manda, col pelo canuto, una sorta di avviso. In Buzzi infine, il difetto è rappresentato dalla Gabbia che impedisce al poeta di volare verso le più sfrenate fantasie e le più incontrollate libertà.
Poesie sull'argomento
Vittoria Aganoor: "Val di Sella" in "Leggenda eterna" (1900).
Ugo Betti: "I magri" in "Canzonette - La morte" (1932).
Paolo Buzzi: "La gabbia" in "Aeroplani" (1909).
Corrado Govoni: "Ascoltando un doppio" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Guido Gozzano: "L'incrinatura" in "Gazzetta del Popolo della domenica", maggio 1904.
Luigi Gualdo: "Rose appassite cui non rise il sole" in "Le Nostalgie" (1883).
Pietro Mastri: "Fuor di stagione" in "Lo specchio e la falce" (1907).
Nicola Moscardelli: "Vuoto" in "Abbeveratoio" (1915).
Angiolo Orvieto: "Filo d'argento" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Nino Oxilia: "Contraddizione" in "Gli Orti" (1918).
Giovanni Pascoli: "Il nido" in "Myricae" (1900).
Giovanni Pascoli: "Il fringuello cieco" in "Canti di Castelvecchio" (1903).
Yosto Randaccio: "Atonia" in "Poemetti della convalescenza" (1909).
Testi
CONTRADDIZIONE
di Nino Oxilia
I
Io maschio ben costrutto
per l’amore ed avvezzo agli sportivi
giochi fisici, io, l’uomo dai lascivi
impeti, l’uomo in cui l’istinto è tutto,
io sono triste.
Io fecondo animale
che non conosco il rispetto
dell’altalena sociale,
e mi compiaccio dando lo sgambetto
alle dottrine dell’intelligenza,
saltando di piè pari sopra il petto
della menzogna detta convenienza,
io sono triste.
Io che passeggio sul puritanismo
a torso nudo come un gladiatore,
che sputo su Loyola con furore
e prendo a calci l’indeterminismo,
io che il metodo aborro e il sillogismo
e il fato greco e il mistico fervore,
io che son sperma e mani e occhi e creta
ma che non son poeta,
io sono triste.
Io che ho la penna in mano e fumo e stono
come un treno diretto,
che sono tutto in marcia, testa, petto,
gambe, riso, bestemmie, urla, perdono,
io sono triste...
III
O tristezza! Tu sei la benvenuta,
o amante dei poeti simbolisti.
Noi farem l’orgia delle cose tristi
sulla coltre dell’anima svenuta.
Adàgiati che possa contemplarti.
Sei figlia del rimpianto? Od il rimedio
dell’Impotenza? Maschera del Tedio,
o la modella delle Belle Arti?
Che sei? La febbre della notte eterna,
o un principio di gastrica? La morsa
dell’attesa o il respiro della corsa?
Sei la provincia o la città moderna?
Oggi, ieri, o domani? Il magnetismo
di un occhio ignoto, a un bivio, tra gli specchi?
L’elica di un Caproni od i cernecchi
d’un postiglione del romanticismo?
(Da "Gli Orti")
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