domenica 26 agosto 2012

I capelli nella poesia italiana decadente e simbolista

I capelli sono in genere il simbolo della forza (si pensi alla leggenda di Sansone) o comunque hanno a che vedere con la potenza e con l'energia vitale; se sono di donne possono spesso riferirsi alla bellezza e alla seduzione. È sottinteso che la perdita o il taglio dei capelli simboleggia un evento nefasto e comunque negativo. In riferimento alla mitologia poi non è raro rintracciare il personaggio di Medusa, mostro mitologico che possedeva, in luogo dei capelli, luridi e spaventosi serpenti; non a caso Arturo Graf intitolò "Medusa" la sua raccolta poetica più cospicua e famosa.
 

 
 
Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "In un giardino di sera" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Giuseppe Casalinuovo: "Capello bianco" in "Dall'ombra" (1907).
Sergio Corazzini: "Capelli perduti" in «Marforio», marzo 1903.
Ettore Cozzani: "La chioma incantata" in "Poemetti notturni" (1920).
Guido Da Verona: "Le trecce nere" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).
Federico De Maria: "Ballata dei capelli" in "Voci" (1903).
Federico De Maria: "Capelli" in "La Leggenda della Vita" (1909).
Domenico Gnoli: "La tua chioma" in "Poesie edite ed inedite" (1907).
Corrado Govoni: "Ad una dalle chiome rosse" e "La chioma" in "Poesie elettriche" (1911).
Guido Gozzano: "Il sogno cattivo" in "La via del rifugio" (1907).
Tito Marrone: "Le chiome" in «Le Parvenze», marzo 1900.
Angiolo Orvieto: "Chiome d'oro" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Romolo Quaglino: "Cadon le trecce brune su le spalle" in "I Modi. Anime e simboli" (1896).
 
 

 
 
Testi
CADON LE TRECCE BRUNE SU LE SPALLE
di Romolo Quaglino

Cadon le trecce brune su le spalle,
con un lene sussurro di velluto,
delicate com'ali di farfalle,
morbide come serico tessuto.

Cadon le trecce bionde come gialle
fiumane ardenti giù per il dirùto
di forre alpine e gemono le falle
a la roccia un sospiro ed un saluto.

Ne l'iridi d'un bel nero corvino,
ne l'occhio ove risplende lo smeraldo,
tra le labbra procaci di rubino

freme l'incanto d'un invito baldo,
come un peäna squilla un argentino
riso d'ebbrezza, lugubre e spavaldo.

(Da "I Modi. Anime e Simboli")

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