venerdì 8 luglio 2016

La campagna in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Per chi desidera trascorrere una vacanza in completo relax, c'è la campagna, che permette, a chi voglia visitarla da ospite, una meravigliosa pace, un'alimentazione sana e appetitosa, la presenza di animali e piante in gran quantità ecc. I versi dei dieci poeti che ho selezionato spesso indicano la campagna come "rifugio" dalla confusione cittadina (e quante città sono circondate da zone di campagna!); molti si soffermano su alcuni paesaggi, oppure su determinati oggetti, piante, animali o varia e semplice umanità. Ne scaturisce un mondo che invita alla distensione, una realtà fuori dalla realtà i cui tempi sono estremamente lenti ma altamente produttivi. Praticamente ci si trova davanti al ritorno di un lontano passato, quando l'Italia era prevalentemente un paese agricolo, e poteva dirsi, è vero, molto più povero economicamente, ma molto più ricco interiormente.  




CAMPAGNA
di Sandro Baganzani (1889-1950)

Fuggire stamattina
la polvere dei «camions» fragorosi
che dà una mano di bianco
agli alberi stremenziti
dei giardinetti pubblici
per seguire un fresco viottolo erboso
odoroso di sambuchi amarognoli
spruzzato di gocciole rosse
(la villanella che conduce le oche
a pascolare
si è punto il piede nudo?)
La gioia delle fattorie
pitturate di rosa e di celestino
con il maiale che grufola nel cortile
e le pezze del bucato sbandieranti
per la festa delle prime cicale!
Sotto l'oleandro il cane
sbadiglia alle mosche.
La vecchia vigila la teglia
per la sua gente alla campagna.
Dolcezza di avemarie
d'un viandante cieco
nel pulviscolo d'oro!...
Gli alberi cantano
ronzano vibrano frullano:
chioccolio di merli:
ticchettio di picchi spaccalegna:
pigolio di implumi:
le api si ubbriacano nei calici
rosa, nei calici bianchi
fino all'ultima stilla.
Quando suona l'Angelus
il viandante cieco si segna
per la gioia di vivere.

(Da "Arie paesane", Taddei, Ferrara 1920)





CAMPAGNA
di Giulio Gianelli (1879-1914)

Non più con poco sole aria maligna,
non più la via tumultuosa e stretta,
ma l'alto, d'onde la città soggetta
apparisce una grande orma sanguigna;

ma il mio libero cielo e la mia vigna
che al sole i succolenti acini affretta,
dove ogni zolla sempre un germe aspetta
che subito fiorisce e non traligna!

Tornare a'i cieli eterni e della terra
a'i frutti eterni, nuda erger la testa
a l'aquilone purificatore.

E, riscattato d'ogni intima guerra,
sorgere a l'alba ad offerire, in festa
alla natura e a Dio tutto il mio cuore.

(Da "Mentre l'esilio dura", Streglio, Veraria Reale-Torino 1904)





IN CAMPAGNA
di Corrado Govoni (1884-1965)

Per le fessure della finestretta
s’inserisce una luce scialba scialba.
Il campanile di Saletta
è il primo a suonare l’alba.

Le faraone ed i galli
schiammazzano dentro il pollaio.
Nitriscon nella corte dei cavalli.
Il vento scuote l’uscio del granaio.

Le rondini non ànno ancor parlato
nei loro nidi sopra il forno...
Rabbrividiscono i pioppi del prato.
Chissà se sarà un bel giorno!

La scopa or su e giù per la scala
fruscia ed ora è in cucina;
e, al pian terreno, il merlo nella sala
canta indomenicando la mattina.

(Da "Fuochi d'artifizio", Gianguzza Lajosa, Palermo 1905)





CAMPAGNA
di Arturo Onofri (1885-1928)

  Sul pendìo verdolino, aggraziato di margheritine, il bifolco affiena il carro da buoi con la forcina d'acciaio che brilla al sole, ingigantita dai lampi, come una pala d'argento sull'erba ancora tutt'intrisa d'alba.

(Da "Orchestrine", Libreria della Diana, Napoli 1917)





LA MIA CAMPAGNA
di Guglielmo Petroni (1911-1993)

O casa di campagna
riluttante nel tuo fondo scendo
al tuo disagio ed al tuo pane duro.

Nelle tue notti l'alte luci accendo
delle cortesi stelle dell'estate
e senza sonno alla finestra attendo
al grillo, che tagliente fischia, amico
e vibra come vibrano le stelle
e come l'alte punte dei cipressi.
Un lume solo nel tuo mondo mostri
alto, lontano e desolato;
richiamo delle case in fondo ai monti
opache, spente, quasi sommerse nella terra.

Nel mezzo della stanza
il letto mio biancheggia
semplice, di legno indecorato,
dentro la stanza spenta.

[Da "Poesie (1928-1978)", Guanda, Milano 1978]





PÀNICO
di Luigi Pirandello (1867-1936)

Pe ’l remoto viale di campagna,
tra fitte macchie, in sul cader del giorno:
io solo. È tal silenzio tutto intorno
che a un ragno sentirei tesser la ragna.

Come si tien così sospesa tanta
vita di foglie? Il cuore anch'io mi sento
sospeso, oppresso da strano sgomento;
stupito or questa guato or quella pianta.

L'anima quasi al limitar dei sensi
scende ansiosa, ma alcun lieve moto
non coglie, alcun rumore, e come un vuoto
mi s'apre dentro. Penetra fra i densi

rami del sol l'ultimo raggio intanto
e accende in alto lumi d'oro strani
nella macchia dei bigi ippocastani
che un tempio sembra ed opera d'incanto.

Di questa intimità con la natura
solitaria, del tutto inconsueta,
l'anima mia divien tanto inquieta,
quanto sarebbe forse per paura.

De' suoi sacri silenzii ancor non degno
dunque son io. Ma di notturne brine
tanto mi bagnerò che, puro alfine,
ella accoglier mi possa in questo regno.

(Da "Zampogna", Alighieri, Roma 1901) 





IN CAMPAGNA
di Agostino Richelmy (1900-1991)

Giugno adagio procede profumato
dai tigli, effusamente;
né mi disturba di scontrare a lato
i lasciti del fieno sul passaggio
delle carra di maggio.

Penetrare si può nella callaia
e trovare sul margine del prato
un anarchico fiore incoltivato;
là sta la vigna con filari in gaia
schiera guerresca a infiorescenze ritte
sui palmiti, tra breve con migliaia
d'acini penzolanti.

Intanto al campo appaiono già fitte
le spighe e l'orfane goccette rosse
dei papaveri, e sparsi azzurreggianti,
i fiordalisi teneri tra il grano.

Vanno grondoni al pascolo le grosse
mucche tranquille, e un vecchio mandriano
si sdraia all'ombre nuove
del noce or ora roseo di foglie.

Un uccelletto incomincia a cantare
in pace. Mi fa lieto e mi commuove
d'esser ben «lungi dal subdolo mare»
che sempre rumoreggia all'orizzonte.

(Da "La lettrice di Isasca", Garzanti, Milano 1986)





MONOLOGO AL MARGINE DI UN CAMPO
di Roberto Roversi (1923-2012)

Meglio dar fuoco al cumulo di fieno
che l’acqua gonfia e il sole non asciuga.
Lo stendo, lo raduno: nebbia, caldo
ci cadono all’estate
come giovani amanti.
Molto galante è il sole nell’amore.
La mia schiena si squama poi s’incurva.
Ricordo il gelo dell’89.
L’Ersilia è morta. Le fragole maturano
mentre vespe affondano nei fiori.
Non le raccolgo, lasciale appassire;
chi mangia più le dolci
fragole primaticce,
così stupide, soffici?
decrepiti, affondiamo nella terra,
stringiamo i lombrichi con le dita.
Sono stanco di stendere, adunare,
guardare in alto al gelo e all’acqua intento.
Fugge il sole? non lo chiamerò;
marcisce l’erba? anch’io cadrò
così, fra pochi mesi.
Un mare di pena è la mia carne.
Le fragole anneriscono sul campo,
gli anni frustano le spalle,
sporchi uccelli volano i ricordi.
Ombra di un’ala sopra l’acqua scende
adagio questa voce
nel pomeriggio fantastico.

(Da "La raccolta del fieno", Einaudi, Torino 1960)




CAMPAGNA
di Rocco Scotellaro (1923-1953)

Passeggiano i cieli sulla terra e
le nostre curve ombre
una nube lontano ci trascina.
Allora la morte è vicina
il vento tuona giù per le vallate
il pastore sente le annate
precipitare nel tramonto
e il belato rotondo nelle frasche.

(Da "È fatto giorno", Mondadori, Milano 1954)





MI RICORDERÒ DI QUESTO AUTUNNO
di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)

Mi ricorderò di questo autunno
Splendido e fuggitivo dalla luce migrante,
Curva al vento sul dorso delle canne.
La piena dei canali è salita alla cintura
E mi ci sono immerso disseccato dalla siccità.
Quando sarò con gli amici nelle notti di città
Farò la storia di questi giorni di ventura,
Di mio padre che a pestar l'uva
S'era fatto i piedi rossi,
Di mia madre timorosa
Che porta un uovo caldo nella mano
Ed è più felice d'una sposa.
Mio padre parlava di quel ciliegio
Piantato il giorno delle nozze, mi diceva,
Quest'anno non ha avuto fioritura,
E sognava di farne il letto nuziale a me primogenito.
Il vento di tramontana apriva il cielo
Al quarto di luna. La luna coi corni
Rosei, appena spuntati, di una vitella!
Domani si potrà seminare, diceva mio padre.
Sul palmo aperto della mano guardavo
I solchi chiari contro il fuoco, io sentivo
Scoppiare il seme nel suo cuore,
Io vedevo nei suoi occhi fiammeggiare
La conca spigata.

(Da "Vidi le muse", Mondadori, Milano 1943)



Giovanni Fattori, "Riposo in Maremma"


venerdì 1 luglio 2016

La montagna in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

La montagna è certamente una delle mete preferite dai villeggianti; e per trovarsi davanti a spettacoli di una bellezza e di una suggestività non paragonabili, basta rimanere nei confini della nostra stupenda penisola. Le catene montuose italiche infatti, posseggono tesori spesso sottovalutati o, perlomeno, non abbastanza considerati. Alcune località alpine in particolare, possono considerarsi dei veri e propri paradisi terrestri. Le dieci poesie che seguono questo preambolo descrivono soprattutto le estasianti atmosfere alpestri che è possibile vivere e godere in determinate stagioni dell'anno. Più d'una volta si fa riferimento al silenzio: caratteristica fondamentale di certi boschi montani, non rintracciabile in altri luoghi terrestri, come scrisse Dino Buzzati in "Il segreto del bosco vecchio" («Ma due o tre volte, quella notte, ci fu anche il vero silenzio, il solenne silenzio degli antichi boschi, non comparabile con nessun altro al mondo e che pochissimi uomini hanno udito»).




SULLA STRADA DI CHAMOIS
di Italo Mario Angeloni (1876-1957)

Un dì, dai verdi prati di Fierna
mentre al mattino le finestre aprivi, —
ché con sollecitudine materna

venìa l'aurora carezzando i clivi, —
te scorgemmo, Chamois, nera distesa
di casolari fra gli argentei rivi.

Là saliremo: fu la muta intesa
del mio cuore e del suo, che gli occhi in alto
levò dalla carrozza alla tua chiesa.

Ed oggi alfine verso il cheto spalto
pellegriniamo a un tuo desco frugale
per la scagliata costa di basalto.

Come un pensiero che la mente assale,
l'avvolge inavveduto e la costringe
di sogno in sogno, dolcemente eguale,

così la via che innanzi si sospinge
per i fianchi montani a sé ne tragge
verso il romito culmine che attinge.

Sosta, trasogna chi invocò da piagge
tumultuanti di città sonore
pace di solitudini selvagge.

Pascendo pure avidità nel cuore
sofferse il male, nel soffrir, sincero,
finché a salvezza non lo volse amore.

Ora l'Alpi egli ha in faccia e sul sentiero
montano, bianca, tra l'azzurro e i fiori
sali dolce, o Maria, con pie leggero

regina della luce e dei colori.

(Da "Il conquistatore", Lattes, Torino 1910)





SILENZIO SUI MONTI
di Gaetano Arcangeli (1910-1970)

Oggi il silenzio dura.
Non voci ciarliere di campane,
di campane senz'anima,
voci di povere bestie umane
malinconiche:
non gridi né voli né stridi
né canti.
Non piccole voci umane:
non voce del cuore
che immalinconisca la pace
di oggi.
La pace di oggi non fugge
né muore
uccisa da piccole voci;
grande voce divina che ascoltiamo
senza neppur respirare.

(Da "Dal vivere", Testa, Bologna 1939)





LA VALLE PERDUTA
di Alfredo Baccelli (1863-1955)

È una valle perduta in mezzo ai ghiacci
Che nessuno vi può mettere il piede.
Se un cacciatore, che non presta fede
Alla leggenda strana,
Tenta il negato varco e vi s'indugia,
La nebbia cala, con sottil malia
L incanta, lo confonde, lo disvia:
Per sempre l'allontana.

Di pini solatii la valle odora,
Mentre fischian marmotte, e bianche lepri
Fra rododendri scherzano e ginepri.
Pendono i rosei pomi
Le prugne nere e le ciliege in fuoco:
D'oro, di lapislazzuli e d'argento
Fiorisce il prato, e squilla alto un concento
Sotto i frondosi domi.

La notte, dove i rigidi cipressi
Levan, come colonne di basalto,
I neri tronchi in alto, in alto, in alto,
Verso il bruno zaffiro,
Che par si fonda al palpito degli astri,
Le fate, bianche più di bianche nevi
E come nebbie vanescenti e lievi.
Siedono tutte in giro.

V'è la pensosa e taciturna figlia
Del Passato che dorme e non ritorna,
E con le gemme dell' Inganno adorna
Quella de l'Avvenire:
V'è la figlia del Sogno che sospira.
La figlia della Gioia che non pensa,
E quella de la Fede che dispensa
La forza di morire.

Dagli occhi verdi come lo smeraldo
Raggiano per la notte un sottil lume,
E piano piano al pallido barlume
Va di dolcezza un canto.
Come un ricordo caro o una speranza.
Acque e venti lo portano lontano:
Lo portano dov'è il dolore umano.
Dov'è la morte e il pianto.

(Da "Alle porte del cielo", Zanichelli, Bologna 1921)





MALOIA
di Giovanni Bertacchi (1869-1942)

Io son salito all'umida e tardiva
primavera dell'Alpe: al mesto prato
io vidi il verde che ricompariva
quale il novembre ve l'avea lasciato.

Cinque mesi di neve! Or nel crucciato
mattin di giugno, dalla val saliva
e pioggia e bruma e vento: un tormentato
fumar di larve sulla fosca riva.

I monti, intorno, erano bianchi ancora.
Varia così, quella scena parea
la ruina immortai d'un verno stanco...

Là, verso Sils, un monte tutto bianco
pallidissimamente rilucea
come nel nimbo d'una fioca aurora.

(Da "Liriche umane", Libreria Editrice Nazionale, Milano 1903)





VILLAGGI ALPESTRI
di Antonio Cippico (1877-1935)

Oh su le verdi aeree pendici,
ne l'ombra della bianca alpe od in vetta,
piccola casa e piccola chiesetta,
che de l'infanzia a i dì, m'ebbi felici!

Giuoco di bimbo, allora! ora, sospiro;
qual vi riveggo, o lindi ermi villaggi,
cuspidi aguzze e bianchi romitaggi,
tetti d'ardesia, fumiganti in giro!

Natività novella d'infantile
innocenza! ne 'l cuor vecchio il miraggio
de 'l trastullo d'allora évoca il maggio
sfiorito de 'l mio cuor primaverile.

Come la casa, dunque, e la chiesetta
d'allora, che fiorir ne 'l mio dominio
di bimbo, or sorgon, qual per vaticinio
antico, i pii villaggi a l'alpe in vetta!

(Dalla rivista «Nuova Antologia», aprile 1904)





DOLOMITI
di Antonia Pozzi (1912-1938)

Non monti, anime di monti sono
queste pallide guglie, irrigidite
in volontà d'ascesa. E noi strisciamo
sull'ignota fermezza: a palmo a palmo,
con l'arcuata tensione delle dita,
con la piatta aderenza delle membra,
guadagnamo la roccia; con la fame
dei predatori, issiamo sulla pietra
il nostro corpo molle; ebbri d'immenso,
inalberiamo sopra l'irta vetta
la nostra fragilezza ardente. In basso,
la roccia dura piange. Dalle nere,
profonde crepe, cola un freddo pianto
di gocce chiare: e subito sparisce
sotto i massi franati. Ma, lì intorno,
un azzurro fiorire di miosotidi
tradisce l'umidore ed un remoto
lamento s'ode, ch'è come il singhiozzo
rattenuto, incessante, della terra.

(Da "Parole", Garzanti, Milano 1998)





MONTAGNA
di Giorgio Orelli (1921-2013)

Giungo dove non ronzano i beati,
in questa ganna di pieno silenzio.
Le gallinette stanno immobili
con i loro colli di pietra
e la marmotta uscita al primo sole
non teme d'essere uccisa
né fischierà.

Nessuno annulli la montagna,
ora, leggera e come costruita
con le carte da gioco dell'infanzia.

(Da "Poesie", Meridiana, Milano 1953)





SILENZIO ALPESTRE
di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (1871-1919)

Pensier che muto in sogno il cuor m'immaga
quando a Settembre l'aria mattutina
già tempera l'Estate, e il ciel affina
di un nitido languor ch'entro dilaga.

Oh allor ripide ascese! Allor vagare
da un balzo un ermo fluttuar di monti
tra l'infinito!; e scrutar borghi e ville,
e città curioso immaginare
ai remoti biancor' de gli orizzonti.

E lassù coglier soffi di tranquille
voci, come a lor riva: eco di squille,
tinnir di mandre: ed un zirlìo di grilli;
grilli de l'Alpe: da cui par zampilli
una pace di mondi altri presàga.

(Da "Sonetti e poemi", Traversari, Empoli 1910)





SULL’ORTOBENE
di Sebastiano Satta (1867-1914)

Meriggiano le pecore e i pastori.
Elci e felci non fremono a una stanca
Ala di vento; il mare si spalanca
Da monte Bardia fino a Galtellì.

L’ombra di un volo e un grido di rapina:
L’aquila. Con un dondolìo lento
Si rimescola il branco sonnolento:
L’ombra dilegua in seno al mezzodì.

(Da "Canti barbaricini", La Vita Letteraria, Roma 1910)





ASSENZIO
di Andrea Zanzotto (1921-2011)

La deserta stagione
nell'acqua dei cortili
le sue gioie scompone
precipita dai clivi.

Verso i monti delle alpi
torna azzurro ed assenzio
di venti, torna ai campi
la sagra del silenzio.

E il tuo freddo rimpianto
sta sui vacui confini
contro il porpureo vanto
dei mosti e dei giardini

mentre l’astro crudele
dalle attardate sfere
rigèrmina e fedele
cresce nel suo potere.

Sigillo augusto, degna
fine, voto profondo,
spada che a morte segna
per sempre il cielo e il mondo,

delle tenebre alunno
che impietrisci l’aurora!
Nell’ombra dell’autunno
il chiuso bosco odora.


(Da "Dietro il paesaggio", Mondadori, Milano 1951)



Konrad Petrides, "The Rax mountain"

mercoledì 29 giugno 2016

Le spiagge in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Giugno, luglio, agosto e settembre: tempo d'estate, di vacanze e quindi di spiagge. Come è noto, gli italiani, dovendo scegliere un luogo dove andare in villeggiatura, tra montagna, campagna e mare preferiscono quest'ultimo; perciò si spiega l'affollamento delle spiagge italiche: piene di fascino e di svaghi, occasione unica per abbronzarsi, divertirsi e alleviare il malessere causato dall'eccessivo caldo. Ma, se si vuole descrivere il contenuto delle dieci poesie sottostanti, è facile notare che raramente si respira quell'atmosfera spensierata e piacevole che spesso è presente sulle spiagge estive nostrane; in questi versi c'è, quasi sempre, molta malinconia; si parla infatti di spiagge di fine estate o di primo autunno, quando questi luoghi sono ormai stati abbandonati dai villeggianti; altrove si parla di spiagge che hanno visto scene di guerra, oppure di spiagge lontane... Le ore non sono quelle in cui questi posti sono maggiormente affollati, bensì le ore serali: proprio perché, quando sui lidi non c'è più nessuno, i poeti riescono a volare più alto con la fantasia, e trovano pensieri, sogni, immagini, figure che possano aiutarli a creare versi altrimenti impossibili. Sono, insomma, le spiagge della poesia.   





SPIAGGIA
di Gaetano Arcangeli (1910-1970)

Non piove fuoco più su questa landa
di giacenti, ove tento ravvisare
un tormento di vita, ove mi guida
il silente Virgilio della mente...
Tutto è franato a una mite catastrofe
di destini e di secoli, nel suono
di quest'onda perpetua, sempre l'ultima...

(Forse sommessi ridon fra le tende
dell'intralcio di un passo, nella rena,
che alto li rasenta, di un vigile
occhio che inquieto volge qui estranei
pensieri, naufraghi da alte bufere...)

(Da "Solo se Ombra a altre poesie", Mondadori, Milano 1954)





MARINA D'OTTOBRE
di Giorgio Bassani (1916-2000)

Che la pioggia dilavi il cielo, e il sole
basso d’autunno vermiglio sfavilli,
viola si curverà la spiaggia al lieto
urto del mare.

E andremo per la bruma lieve, soli,
nel sonno che dalle verdi e segrete
risacche fuma: sulle dune brilla
in pace il faro.

(Da "L'alba ai vetri", Einaudi, Torino 1963)





SPIAGGIA DI SERA
di Giorgio Caproni (1912-1990)

Così sbiadito a quest’ora
lo sguardo del mare,
che pare negli occhi
(macchie d’indaco appena
celesti)
del bagnino che tira in secco
le barche.

Come una randa cade
l’ultimo lembo di sole.

Di tante risa di donne,
un pigro schiumare
bianco sull’alghe, e un fresco
vento che sala il viso
rimane.

(Da "Come un'allegoria", Degli Orfini, Genova 1936)





RICONOSCIMENTO
di Bartolo Cattafi (1922-1979)

Verso le dodici di oggi
venticinque settembre settantuno
sulla spiaggia chiamata Marchesana
nel golfo tra i due capi
di Tyndaris e di Milae
trovo - bianca bombata
doppiamente bordata di marrone
d'ottima fattura siciliana -
una conchiglia che fu mia piastra
di riconoscimento
la prima volta
quando andavo per mare combattendo
aspettando la nebbia della morte
ed ora chi si ricorda di che tipo
fosse la mia anima
se cartaginese o romana.

(Da "L'aria secca del fuoco", Mondadori, Milano 1972)





Da "SPIAGGE"
di Emilio Jona (1927)

Ritorna a casa ogni vecchia signora
seduta su ispido cemento, lontano
brillano lampare
gli innamorati soltanto vivono
a scaldare coi baci l'umida oscurità.

Io pure avrei amato camminare
con una ragazza di nome...
inaccessibile ragazza, perduta alle intimità,
ma gli alberghi si sono vuotati d'un fiato
come bicchieri di ubriachi
le ragazze sono fuggite verso accaldate città
è rimasta la sabbia soltanto nelle mani,
umido stampo delle dita, le cabine
perse ai vestiti, ai colori del mattino
e sono tornato a me solo
come si torna la sera
di gente caduta.

Sul vetro troppe volte era scritta
un'immagine per essere vera.

(Da "Tempo di vivere", Mondadori, Milano 1955)





SULLA SPIAGGIA
di Eugenio Montale (1896-1981)

Ora il chiarore si fa più diffuso.
Ancora chiusi gli ultimi ombrelloni.
Poi appare qualcuno che trascina
il suo gommone.
La venditrice d'erbe viene e affonda
sulla rena la sua mole, un groviglio
di vene varicose. È un monolito
diroccato dai picchi di Lunigiana.
Quando mi parla resto senza fiato,
le sue parole sono la Verità.
Ma tra poco sarà qui il cafarnao
delle carni, dei gesti e delle barbe.
Tutti i lemuri umani avranno al collo
croci e catene. Quanta religione.
E c'è chi s'era illuso di ripetere
l'exploit di Crusoe!

(Da "Diario del '71 e del '72", Mondadori, Milano 1973)





A MAGGIO IN SPIAGGIA
di Nico Orengo (1944-2009)

A Maggio in spiaggia
Maria cambia faccia.
Il tempo lieve, minuscolo a punti di neve,
il ristorante con pesci e fiori accogliente...
Ci fosse musica sarebbe niente,
perché a parlarti mi viene da ingoiarti.

(Da "Narcisi d'amore", Guanda, Parma 1995)





LA SPIAGGIA
di Vittorio Sereni (1913-1983)

Sono andati via tutti -
blaterava la voce dentro il ricevitore.
E poi, saputa: - Non torneranno più - .

Ma oggi
su questo tratto di spiaggia mai prima visitato
quelle toppe solari... Segnali
di loro che partiti non erano affatto?
E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse.

I morti non è quel che di giorno
in giorno va sprecato, ma quelle
toppe di inesistenza, calce o cenere
pronte a farsi movimento e luce.
                                                 Non
dubitare, - m'investe della sua forza il mare -
parleranno.

(Da "Gli strumenti umani", Einaudi, Torino 1965)





DALLA SPIAGGIA
di Teresah (pseud. di Corinna Teresa Ubertis, 1877-1964)

Quando la sera colle dita d'oro
ti foggia al capo costellazioni
in corona di luce, ecco, m'appari.

Sali a specchio dell'onde: ài nel tesoro
degli occhi il radiar di visioni
che non so, l'ombra degli ignoti mari.

Freme il tuo sogno, la tua vela freme
da sconosciuti aneliti agitata,
porta la nave tua carichi d'ale...

Non io teco verrò a le rive estreme
onde mi chiami, per la mia placata
anima degna di un sogno immortale!

Naviga verso i regni del mistero,
bianco nocchiero: a me non diè la morte
alate vele per varcar le soglie.

Dalla spiaggia solinga, prigioniero
spirito, guardo lontanar le morte
speranze nella notte che m'accoglie.

(Da "Nova lyrica", Roux & Viarengo, Torino 1904)





SPIAGGIA
di Diego Valeri (1887-1976)

Mare, mi basta il tuo canto fondo,
la tua immensa voce fanciulla
che pare nata adesso dal nulla,
nel fresco mattino del mondo.

Non ti vedo: vedo il bell'oro
opaco della sabbia distesa,
e una fascia di cielo accesa
sopra l'orizzonte sonoro.

Ma tu sei là, respiro il tuo fiato
ch'à il sapore di tutta la vita...
E forse in quest'attimo è uscita
Venere santa dal tuo flutto salato.


(Da "Poesie", Mondadori, Milano 1962)



Georges Lacombe, "La baia"

domenica 26 giugno 2016

Poeti dimenticati: Argia Castiglioni Vitalis

Nacque a Rovigo nel 1855 e ivi morì nel 1933. Autrice di vari volumi poetici tra la fine del XIX secolo e il primo ventennio del Novecento, ebbe anche degli estimatori autorevoli come il poeta Pompeo Bettini, che, quando uscì la sua prima raccolta, soprattutto per alcuni suoi versi "impegnati", la paragonò ad Ada Negri. Sebbene non ebbe la fortuna della scrittrice lombarda, le sue poesie, pienamente inserite nel solco della tradizione, non sono da disprezzare.




Opere poetiche

"Non invano", Fratelli Drucker, Verona 1896.
"Ultime voci", Tip. Corriere Del Polesine, Rovigo 1914.
"Patria", Officine grafiche Corriere del Polesine, Rovigo 1915.
"Tutta l'anima", Tip. Corriere Del Polesine, Rovigo 1920.
"Poesie", Cappelli, Bologna-Rocca S. Casciano 1934.




Presenze in antologie
"Dio borghese", a cura di Adolfo Zavaroni, Mazzotta, Milano 1978 (pp. 178-179)




Testi

ROSAJO MORTO

Ho atteso invan le profumate rose:
morto è il rosajo, il rosajo gentile.
A le radici perfido, le ròse
                     un bruco vile.

Vennero indarno aprile e maggio. I morti
ahi! non ridestan miti aure tepenti.
I vili bruchi son spesso i più forti:
                     limano lenti.

Io, con tristezza, contemplai le fronde
aride, ignude, senza umor vitale.
Così talor ne l'uman cor s'asconde
                     bruco fatale

che le speranze e le dolcezze uccide,
e de la vita i tessuti disperde...
Morto è il rosajo. Ei più di fior non ride
                     né più rinverde.

(Da "Non invano")